sabato 13 agosto 2016

IL PRINCIPIO ETERODOSSO È ABOLIZIONE DEL DIRITTO E DELL'UNITÀ SOCIALE (I).

R.P. Luigi Taparelli D'Azeglio d.C.d.G.

Da: Esame critico degli ordini rappresentativi nella società moderna, parte I., principii teorici, Roma 1851 pag. 32-46.
PARTE I.
PRINCIPII TEORICI DEI GOVERNI AMMODERNATI
CAPO I.  —  IL PRINCIPIO ETERODOSSO È ABOLIZIONE DEL DIRITTO E DELL'UNITÀ SOCIALE. (§.II n° 41-60)

§. II.

Idea razionale del Protestantesimo.

41. Orsù dunque, che pretendete voi, Unitarii italiani? —  Aver una l'Italia. —  E con qual mezzo? —  Rendendola protestante.
Protestante! ... Ma converrà dunque che io, simile a quel cotale del Pulci,
«Vi faccia un lago di teologia;»
che torniamo alle controversie con Ecolampadio o Melantone; che risuscitiamo l'Eckio o il Gretsero: oh questi sì che sarebbero personaggi grotteschi nel secolo XIX! oh allora sì che le vedreste gemere sotto il peso, queste povere carte [1]; già non lievemente infastidite dal vedersi astrette ad inghiottir sillogismi da spiritarne.
No, no, lettor mio cortese
«Non dee guerra coi morti aver chi vive:»
lasciam costoro o riposare o urlar disperati ovunque gli abbia tratti o buona, o rea lor ventura, poichè promisi di non entrare in sacrestia. E invece di seguire quel Frate apostata alla sacrestia ove egli ci chiama, invitiamo anzi lui medesimo (e ce ne saprà buon grado), invitiamolo ad uscirne ed avventurarsi alla luce del giorno, all'aria aperta: invitiamolo a spiegarci per bocca dei suoi proseliti senza gergo teologico la sustanza dei suoi principii, che debbono formare, secondo certuni, la speranza d'Italia e del mondo.
42. Il gran male dell'Italia, il germe di sua scissione altro non è, secondo i novelli Unitarii, se non la servilità di sua ragione: conosca l'Italia una volta e riconosca la supremazia di questa re[g]ina del mondo e la sua unità sarà sicura, la felicità inenarrabile.
Ecco dunque formolato filosoficamente il problema: «La supremazia della ragione è ella tal principio da poterne inferire una giusta idea del d[i]ritto e col d[i]ritto l'unità sociale, e la social felicità?»
43. E qual dubbio, dirà forse fra sè e sè qualcuno dei miei lettori, qual dubbio che se si accorda alla ragione universalmente il primato, l'idea del d[i]ritto — risulterà in tutti la stessa, e ci congiungerà per conseguenza in unità perfettissima? Se il d[i]ritto sgorga dalla verità; se una è la verità come tutti consentono; se ragione è una partecipazione dello intelletto umano al vero: chi non vede che quando la ragione governa, governa la verità, e quando governa la verità l'unica idea del d[i]ritto naturalmente si forma?
44. Eppure, che volete? io ardisco asserire precisamente l'opposto,  anzi pretendo che voi medesimo lo tocchiate con mano, che stabilita la supremazia della ragione è perduta ogni speranza di unità.
E per darvene una prima dimostrazione, permettete ch'io v'interroghi perchè v'è un codice nella società? Certamente voi mi rispondete: per norma alle azioni del cittadino. —  Ma il cittadino non de[v]e guidarsi colla propria ragione? Se non operasse colla ragione, non oprerebbe da creatura ragionevole. —  Certamente, l'atto dell'uomo de[v]e essere ragionevole: ma qual atto più ragionevole che quello di leggere nel codice? Leggerebbe egli l'uomo, se non avesse la ragione?
Ottimamente: voi dunque mi consentite che l'uomo può aver la ragione, operar colla sua ragione, e frattanto regolarsi colla noma del codice. Dunque la ragione dell'uomo non è sempre la sua regola; e si può assegnare alla ragione dell'uomo una regola senza privarlo di sua ragione.
45. Ma per meglio intenderlo osservate che tutta la quistione si raggira sui termini equivoci Ragione di cui è necessario determinare il giusto senso, e Regola. La Regola ognuno comprende, che può essere moltiplice, e che nella moltiplicità una parte può essere all'altra sottoposta. Così per cagion d'esempio, se taluno cercasse qual'è la regola del muratore nel disporre le sue pietre e i cementi, non è chi non veda potersi rispondere essere l'occhio che lo guida, l'arte che ha imparato, l'archipensolo, il regolo, il disegno dell'architetto, il capomastro che lo spiega ed applica e finalmente l'architetto medesimo colla voce e colla scienza. Allo stesso modo molti possono essere i regolatori di tutte le azioni umane, come l'Architetto supremo dell'universo e tutti i disegni ch'Egli preparò per formarlo, i capimastri a cui raccomandò l'esecuzione, gl'indirizzi pratici co' quali questi applicano la legge dell'Architetto supremo, gli stromenti materiali necessarii a tale esecuzione, la cui natura essendo per l'uomo immutabile deve a lui servire di norma nella pratica se vuole riuscire ne' suoi intenti. Ma tutte le regole superiori, potrebbono elleno [= esse, N.d.R.] seguirsi dal muratore se non avesse un po' di buon discorso? Impossibile. Dunque ci vuole finalmente anche la sua ragione non già per disporre a suo talento le pietre, ma per comprendere la norma datagli dal capomastro e dall'architetto: e dite altrettanto di qualunque azione umana, di cui l'ultima regola direttrice nell'opera è finalmente la ragione che conosce ed eseguisce le leggi e gl'indirizzi dell'Architetto supremo e degl'immediati sopraccapi. Se a tutti questi principii direttivi può applicarsi il titolo di regola, voi vedete quanti equivoci possono accovacciarsi all'ombra di tal vocabolo. Dite altrettanto del vocabolo ragione del quale il senso è ugualmente equivoco, epperò de[v]e determinarsi se vogliam conoscere il sostantivo di cui discorriamo. E per determinarlo basta solo che voi riflettiate a ciò che stiamo facendo. Che stiam noi facendo in questa nostra familiar conversazione? Stiam discutendo. —  E perchè si discute? —  Per sapere chi di noi due ha ragione, se il Triumviro che promette unità coll'apostasia, o io che dall'apostasia preveggo discordia. —  Sì signore, questa appunto è la materia di discussione: si discute qual di noi due abbia ragione. Ma di grazia, lettor mio caro, potete voi, cortese come siete, negare a me la ragione? Se un uomo è animal ragionevole, negare che io abbia ragione, sarebbe altrettanto che darmi del bruto, darmi della bestia ... oibò, oibò: questo voi nol farete giammai, nè con me, nè col mio avversario: sarebbe troppa inurbanità. — Ma dunque converrà dire che abbiamo ragione entrambi; e questo sarebbe assurdo, mentre uno afferma quel che l'altro nega: il sì e il no non possono esser veri ad un tempo.
46. Egregiamente. Vedete dunque lettor mio caro che sebbene tutti due abbiam la ragione, pure è impossibile in questo caso che tutti due abbiam ragione: ed ecco manifesto l'equivoco racchiuso in quel tremendo vocabolo Supremazia della ragione.
47. Voi vedete che ragione può significare or la facoltà che ha l'uomo di conoscere, or la regola suprema secondo cui de[v]e guidarsi questa facoltà. Quando voi dite che tutti due abbiam la ragione, voi parlate della facoltà, la quale realmente si trova in tutti gli uomini: quando asserite che un dei due ha ragione, e l'altro no, voi mirate a quella legge suprema che dovrebbe guidarci; e che, se ha guidato l'uno mentre dice di sì, non ha guidato l'altro che asserisce il contrario. Ma questa legge suprema perchè la chiamate ragione come la facoltà umana? Perchè conosce anche essa il Vero come la ragion nostra anzi infinitamente più: e il suo conoscimento infinito dà legge al nostro: la Ragion divina è regola della ragione umana.
48. Premessi questi schiarimenti sul vocabolo, possiamo ormai determinare il senso del problema, sostituendo una espressione determinata all'espressione equivoca. Il problema era questo: «Possiamo noi sperare l'unità sociale dalla Supremazia della Ragione?» A voi pareva di sì, perchè intendevate per ragione la legge di verità; a me pareva di no, perchè intendea per ragione la facoltà dei singoli uomini: ed avevamo ragione amendue, voi nel vostro senso, io nel mio. Verissimo che se tutti si guidano secondo la legge suprema del Vero, avrem l'unità; ed io vel consento: verissimo ugualmente che se tutti si vogliono guidare colla propria testa l'unità diviene impossibile; e voi, spero,  nol mi disdirete. E qual è quel galantuomo che possa vivere lungamente con chi la vuol sempre a modo suo?
49. Resta dunque solo che vediamo che cosa intendono coloro, che vorrebbero render una l'Italia, una tutta l'umana famiglia, rendendola protestante. Or qui non occorrono ricerche erudite, non dispute teologiche: se essi intendono che l'unità sociale si otterrà quando la società sarà governata dalla regola suprema del vero siam tosto d'accordo; e resterà solo da decidere qual sia l'organo di questa regola. Ma qui batte il punto: quando costoro ci parlano di supremazia della ragione intendono appunto che l'organo della verità è la ragione di ciascun uomo, la vostra, la mia: e che colla propria ragione de[v]e guidarsi ciascun uomo. Or questa (decidete voi, lettore assennato) è ella una buona medicina per rimediare alla divisione, e donare alla società l'unità sospirata? «Ciascuno pensi come gli pare, ciascuno faccia quel che vuole; e siam certi che tutti sarem d'accordo!»
50. Se voi accettate codesta formola, potete farne subito lo sperimento. Immaginate vicino il carnevale, e incominciate a regolare con questa formola il primo ballo e la prima musica a cui interverrete, e vi torrete così un piccol saggio della futura unità d'Italia, della futura società umanitaria. Pubblicate il programma: «Gran ballo domani al teatro: affinchè proceda in buon ordine ognuno intreccerà quelle figure che gli parranno più galanti; e affinchè la musica suoni in perfetto accordo, ciascun suonatore eseguirà sul rispettivo strumento quel pezzo di musica che gli parrà aver miglior effetto.» Oh questa sì che sarà armonia! Quella appunto che alla porta dell'aristocratico al quadrivio Bussy fecero sentire i baccanti della montagna: «La musique éclate comme un coup de tonnerre; chaque musicien joue un air différent; la grosse caisse, le chapeau chinois, les cymbales et les ophicléides font merveille. Tous les Montagnardes qui n'ont point d'instrument entonnent à tue-tête des chants divers; la voix puissante de Pornin domine, elle atteint des notes jusqu'alors inconnues; tout en lui est action, il bat la mesure avec sa canne, le pavé résonne sous sa jambe de bois; les torches s'agitent et répandent de sinistres clartés dans les airs, éclairant les atroces figures des Montagnards. [2][«La musica attacca come un colpo di tuono; ogni musicante suona un'aria differente; la grancassa, il cappello cinese, i timpani e le oficleidi fanno meraviglie. Tutti quei Montagnardi che non hanno strumento intonano con quanto fiato hanno dei canti diversi; la voce possente di Pornin domina e giunge a delle note fino allora sconosciute; tutto in lui è azione, batte il tempo col suo bastone, il lastrico risuona  sotto la sua gamba di legno, le torce si agitano e spandono per l'aria una fosca luce che rischiara le atroci figure dei Montagnardi.» Adolphe Chenu, Les Conspirateurs, Paris 1850. N.d.R.] Ecco quel che sarebbe una musica ove ciascuno intonasse a talento della propria fantasia; ed ecco insieme una giusta idea della società governata col principio protestante. Voi vi scandalizzate, lettor mio caro, che in materia sì grave io scherzi cosi fantasticando, e chi sa se non mi vorreste toglier di mano la penna, perchè perdo il tempo nel risponder a codesti farnetichi. Ma se codesti farnetichi ci vengono spacciati in tuono da oracolo!... Se si pubblica sì audacemente che data la libertà ad ogni pensiero, l'Italia conquisterà l'unità! Se centinaia d'Italiani li ascoltano con riverenza, li credono con dabbenaggine, li propagano con attività, come volete voi che io ne taccia? o parlandone, come è possibile che io non ne rida?
51. Sebbene a dir vero, la stravaganza non è poi tanta quanta ella sembra a prima vista; o, se volete meglio, la stravaganza non istà nella proposizione che desta le risa e lo sdegno nostro, ma sta in un'altra più ridicola e più empia, dalla quale discende logicamente la precedente. Per comprendere il mio pensiere richiamate il doppio senso della parola Supremazia della ragione: questa voce, abbiam detto, esprime una dogma innegabile, se s'intende che la legge suprema di verità de[v]e governare tutti gli uomini. Or questa legge suprema per qual motivo si chiama Ragione? Qual è quella ragione, che può chiamarsi legge suprema della verità? L'abbiam detto: non è altra che la Ragione divina, giacchè essa sola è infallibile nel conoscere, essa sola è la causa suprema di tutto ciò che è vero. Infatti se io presento due pezzi di metallo ad un artefice per sapere se sieno oro entrambi, ed egli mi risponde che l'uno è oro vero, l'altro oro falso: egli intende per vero quell'oro che ritien la natura propria d'un tal metallo, la qual altro non è se non quella assegnatagli dalla Ragion divina; per falso quello che non è conforme alla Ragione divina.
52. Questa è dunque la legge suprema del vero, la cognizione divina. Onde se voi foste un Dio, voi dovreste non solo pensare colla vostra ragione, ma colla vostra ragione parimente regolarvi, giacchè essa sarebbe la legge suprema di verità. Or voi sapete benissimo che il Mazzini, devoto seguace del Panteismo tedesco (questo tedesco è sfuggito all'ostracismo) ha divinizzato il popolo, e per conseguenza tutti gli individui che lo compongono. Qual maraviglia dunque che ciascuno di codesti individui divini dia legge colla sua ragione alla verità? Non è questo, come abbiam veduto, il gran privilegio della Ragion divina sulla umana? Quando l'uomo pensa, la verità delle cose si prende come principio indubitato; e vero si chiama il suo pensiero, se sia conforme alle cose che pensa: all'opposto quando pensa un Dio, il principio indubitato è il divin pronunziato; e vere si dicono le cose qualora a lui si conformano. Se dunque ogni uomo è Dio, secondo la dottrina del Panteismo, che potrete voi trovare di assurdo nell'asserzione protestante che la ragion di ciascuno è norma della verità delle cose? La stravaganza dunque non è tanto nell'asserzione che attribuisce supremazia alla ragione, quanto in questa apoteosi della ragione di ciascun uomo cui si attribuisce la divinità. Oh questo sì che sarebbe proprio ridicolo se non fosse empio! che si potesse persuadere agl'Italiani ciascun di loro esser proprio un Dio, o per lo meno un pezzetto di Divinità. Eppure, come voi ben vedete, qui arriverebbero logicamente ancor gl'Italiani, come ci sono arrivati que' Tedeschi: persuasi una volta che ciascuno de[v]e prendere per legge la propria ragione, che potrebber eglino rispondere a chi soggiungesse: «Or la legge suprema di verità non è altri che Dio: dunque la vostra ragione è Dio»? Qui non c'è mezzo: o negar le premesse o accettar le conseguenze.
53. Riepiloghiamo il fin qui detto. Chi asserisce che l'uomo deve operare secondo ragione, può intendere questa voce in due significati, cioè secondo la Ragione divina, ossia secondo la verità delle cose, e questo è vero: secondo la propria testa, e questo è falso, giacchè la propria testa de[v]e conformarsi alla verità; è regolata non regola, o almeno regola secondaria e non primaria. Ci può servire bensì di un qualche documento di natural onestà, allorchè legge rettamente il voler supremo nell'ordine universale di natura; in quella guisa appunto che ci guida nelle azioni cittadine, quando legge rettamente gli ordinamenti del codice civile, benchè senza tale aiuto ella non basti. Se nell'ordine civile non le date un codice, basterà mai la ragione a formare da sè sola tra i cittadini quella unità che chiamiamo l'ordine civile? È chiaro che no: ed appunto per questo vi è bisogno d'un codice. Or quello che niuna gente ha creduto potersi ottenere nell'ordine civile abbandonando a sè sole le ragioni de' singoli cittadini, quanto sarà più difficile ad ottenersi nel morale ordine universale!
Eppure questo è ciò che pretendesi da chi ci esorta ad emancipare la nostra ragione colla indipendenza protestante, promettendone in compenso l'unità d'Italia e del genere umano: si pretende che quando ogni individuo umano si regolerà a suo senno, allora finalmente sarem tutti d'accordo. In verità, la promessa è sorprendente. Resta or dunque, che paragonando codesto principio coll'idea del d[i]ritto analizzata da noi nel paragrafo precedente, veggiamo se il principio protestante applicato alla società potrà mai formare in essa una verace e costante unità.

§. IV.

Il d[i]ritto abolito dal protestantesimo.

54. Il principio protestante abbiam noi detto, si riduce finalmente a quella brevissima formola: «Ogni uomo è giudice supremo del Vero, e ne ha norma infallibile l'individual sua ragione:» e da questo principio, io soggiungo, s'inferisce necessariamente la distruzione, anzi l'impossibilità del d[i]ritto, di quella forza unificante, senza cui la società stessa diviene impossibile.
E in verità, chi non vede essere impossibile il d[i]ritto, se ammettete che ciascun privato trovi nella propria ragione la norma del vero? Ogni d[i]ritto, abbiam noi detto, presuppone come condizione di sua esistenza una doppia verità d'idea e di fatto, la cui cognizione concorde rende possibile l'associazione delle volontà. Se dunque voi togliete l'unità nelle nozioni presupposte, non cadrà per ciò appunto l'unità del d[i]ritto? L'unità cattolica avea formato in Europa un abito si inveterato di idee ragionevoli, che parve un tempo quasi impossibile lo spogliarsene totalmente: ed appunto per questo fu tanto vantata nel secolo scorso la potenza della ragione, perchè fu preso qual natio valore dell'umanità ciò che era solo effetto dello spirito cattolico. Ma cessate a poco a poco queste influenze, l'unità andò cessando di fatto come dovea cessare per natural ragione; essendo impossibile che la moltiplicità degli umani intelletti trovi in sè sola la ragione di unità.
55. Perciocchè donde mai potrebb'ella nascere codesta unità di molti intelletti? Io non ne veggo altra origine possibile se non o nella lor sostanza o nelle lor facoltà ed attributi. La sostanza dei molti non è una, come uno non è molti. Resta dunque che formisi in loro una unità, congiungendo la tendenza delle lor facoltà. Così, sebbene un esercito, un'armata non sieno una sostanza ma molte, pure divengono uno tendendo di conserva ad unico scopo, la vittoria; con unico mezzo, l'ordine strategico. Unità di molti intelletti potrà dunque ottenersi, se troviate in essi unica direzione ad unico scopo. Avvertite però che nel caso nostro non giova il ricorrere ad un'autorità direttrice, essendo questa appunto che vien negata dal razionalismo: conviene che l'unità di tendenza risulti dalla natura degl'intelletti; i quali, come abbiam veduto, si formano l'idea del d[i]ritto colla cognizione d'una verità, d'un ordine, d'un'idea incarnata in un fatto. Se dunque l'unità delle molte intelligenze de[v]e risultare da natural tendenza al vero, conviene che tutte naturalmente consentano o ad un fatto o ad un'idea.
56. Or l'elemento di fatto non ha per sè unità alcuna, come poc'anzi abbiamo osservato, e come risulta dalla natura stessa di questo elemento, tutto per sè contingente e per[ci]ò perpetuamente mutabile. Ed anzi nell'elemento appunto di fatto sta la gran ragione di quel perpetuo avvicendarsi dei diritti nell'umano consorzio: oggi cangia la volontà del proprietario, e cede il d[i]ritto di proprietà; domani l'inesorabil legge di morte consuma una esistenza, e coll'esistenza si perdono i d[i]ritti; quella terra che vi conoscea padrone è franata nel torrente ed il vostro d[i]ritto è perduto; alla sponda opposta è cresciuto il terreno di alluvione e l'accessione aumenta il diritto del vostro vicino; ogni fatto benchè menomo è capace d'ingenerare un qualche diritto; il d[i]ritto di stare nel teatro in questo o in quel luogo,  il d[i]ritto di precedere nella trattazion di una causa, il d[i]ritto di ottenere per anzianità un impiego, quante volte non avrà altra base di fatto, se non l'esser giunto mezz'ora prima del vostro competitore! Vedete accidentalità del d[i]ritto se voi lo misurate col principio di fatto! L'orologio che fallisca un minuto può farvi perdere una eredità; e mi ricordo un fallimento di un gran negoziante per aver tardato pochi minuti nel recarsi alla diligenza. La unità dunque del d[i]ritto, quella per cui questo è capace di legare perpetuamente, irrefragabilmente le volontà, non nasce certamente dall'elemento di fatto: sol dall'idea, elemento necessario ed eterno, può ripetersi la necessità ed immutabilità del diritto: oh! qui sì che abbiam trovata una base saldissima, non essendovi uom sulla terra che a certe verità necessariamente non si arrenda.
57. Eppur che volete? Anche questo elemento vacilla, se voi non riconoscete per norma dei vostri giudizii se non l'apprensione dell'individual vostra ragione: la quale, contingente anch'essa e mutabile come ogni altro esser creato, riceverebbe bensì una cotale immutabilità dall'obbietto necessario ed eterno che ella naturalmente contempla, se lo intuisse sgombro d'ogni fantasma sensibile e d'ogni nebbia di affetto. Ma disgraziatamente, se ne eccettuate quei primi principii universalissimi la cui intuizione è necessità di nostra natura, tutte le altre verità ideali vanno complicandosi nelle immagini della fantasia, e annebbiandosi al calor delle passioni: la fantasia tenta tradirvi applicando all'intelligibile i limiti dello spazio e del tempo; l'affetto poi rende infermo il giudizio preoccupando la volontà che nel giudizio tanto influisce. E trattandosi specialmente di cose agibili, quest'influenza è sì gagliarda, che la società civile, la quale tutta quasi vive nel pratico, diverrebbe impossibile, se il poter giudiziario non intervenisse a dirimere ogni questione: e sapete voi, se ne insorgano nei tribunali delle intricate e difficili non sol di fatto ma anche di d[i]ritto; sapete voi quanto sieno svariati i giudizii dei moralisti nel decidere lecita o illecita questa o quell'altra forma di contratto, questo o quell'atto morale ridotto alle pure condizioni dell'idea. Or se costoro titubano in tal guisa nel puro ordine astratto, pensate se vacilleranno gli operanti, esposti agl'impeti delle più gagliarde passioni, quanto col giudizio loro concreto dovran forse condannar sè medesimi ai sacrifizii più ardui, più ripugnanti che impor si possano dall'inesorabil voce della giustizia. Mettete centinaia, migliaia, milioni di cittadini, guidati tutti nell'intelletto da giudizii diversi, nel fatto da esperienze contrarie, negl'intenti da contrarii interessi, e ditemi dove trovate qui un elemento di unità con cui tutti pronunziar debbano concordemente: «è dovere il soffrire questo o quel dispendio, correre questo o quel pericolo, intraprendere questa o quella fatica?» «Pochi sono, dicea già lo Statuto di Firenze parlando dell'Assemblea legislativa di Francia, pochi sono quelli pe' quali gl'interessi della Società .... sieno superiori agl'interessi del partito. O per dir meglio, ognuno si dice tenero e zelante del bene della Francia, purchè .... accetti la panacea che gli prepara il proprio partito.»
«E questo pure annunzia un profondo scadimento del senso morale, il quale si rivela soltanto per la virtù del sacrifizio, e per l'abnegazione delle passioni individuali [3]
L'alterazione dell'idea del d[i]ritto è dunque necessaria conseguenza di quelle dottrine che alla facoltà giudicatrice tolgono ogni norma esterna e suprema con cui regolarsi.
58. Ma vi è di peggio: quando la ragione ha smarrito il principio anche sol nelle quistioni più pratiche e concrete, ella corre senza pure avvedersene a distruggere con logica sterminatrice le verità più astratte ed universali; e così appunto, così solo possiam noi comprendere che siasi giunto a negare o cogli Occasionalisti l'unità sostanziale dell'uomo, o con Berkley l'esistenza dei corpi, o con Hume la continuità dell'Io pensante. Scambiato una volta l'ideale col sensibile o la ragione colla passione, e adottato l'errore come principio indubitabile, non vi è più conseguenza che spaventi nè in teoria nè in pratica; e come l'immagine di un infinito esteso sostituita all'idea dell'infinito semplice ha condotto gl'intelletti più grossi all'incomprensibile assurdità di dire «io sono Dio»; così la passion del godere sostituita alla ragion dell'ordine gli ha condotti ad annichilar la società, la proprietà, la famiglia, elementi evidentissimi, non che del godere, d'ogni umana esistenza. Le teorie e la storia sono qui dunque in perfettissimo accordo: le verità più evidenti all'intelletto, le più care al cuore, le più importanti all'interesse, tutte doveano vacillare, tutte vacillano realmente da che si è detto all'uomo «la tua ragione è norma infallibile dei tuoi giudizii:» la storia delle variazioni incominciata dal Bossuet nel santuario della teologia, potrebbe ormai continuarsi in tutto il campo del saper profano fino a quei limiti ove l'errore si trasforma in delirio: e questi limiti stessi basterebbero eglino ad arrestarlo? Interrogatene la filosofia tedesca e il comunismo francese; e se vi si parrà evidente niuna verità regger più salda sotto la grandine dell'individualismo, inferitene per conseguenza niun d[i]ritto poter più sussistere; giacchè ogni d[i]ritto, come abbiam veduto, dalla verità soltanto può acquistare la sua gagliardia.
59. Sì: dal momento in cui un certo numero d'intelletti può credersi persuaso e convinto che la proprietà è un furto, che l'insurrezione è un dovere, che l'apostasia è religione, che l'uomo è Dio; da quel momento il d[i]ritto di proprietà, di governo, di fedeltà, di coscienza è per costoro incomprensibile: e se giunga l'errore a dilatarsi tanto, da abbracciare gran parte della società, cesserà in essa per conseguenza l'idea del d[i]ritto, e col d[i]ritto ogni legame di società. Or posto il principio protestante si può giungere, ed in molti popoli numerose moltitudini son giunte pur troppo ad ammettere codesti assurdi. Dunque col protestantesimo è impossibile formare l'unità fondamentale del d[i]ritto.
60. Ed ecco ove vogliono finalmente condurci....... che dico io mai? Ecco ove ci hanno oramai condotti in gran parte i promotori novelli dell'unità italiana: chè, conviene pur confessarlo, questo elemento imperativo del d[i]ritto è già terribilmente infiacchito, anche in Italia, (benchè sieno qui tuttora gagliarde le ispirazioni cattoliche) essendosi accreditato un nuovo metodo di discorrere e di foggiar principii arbitrari a talento di ciascun individuo, per le influenze del razionalismo individuale [4]. Il quale essendo il più gagliardo ausiliario della passione, individuale anch'essa ed egoistica per essenza, sarà sempre invocato in soccorso da chiunque, fattosi schiavo di essa, sentesi vacillare sotto i piedi il terren sodo delle verità universali, riverite in ogni tempo dal genere umano, ed aventi per ufficio d'infrenare ogni eccesso [5]. Così per esempio quando si volle innalzare il popolo a libertà politica si bandì l'aforismo che il Governo appartiene essenzialmente a chi ha la mente già illuminata, esser dovere de' Principi il chiamar le moltitudini già colte ed illuminate in società del trono. Quando questo principio parve insufficiente agli ulteriori sconvolgimenti, vi si sostituì la natural sovranità de' popoli: e stabilite queste gratuite teorie se ne dedusse l'abolizione del triregno e la repubblica Italiana. Si volle cacciare lo straniero d'Italia? Invece di ricorrere a qualche antico principio di d[i]ritto internazionale, si foggiò la nuova idea della naturale indipendenza nazionale, e senza darsi briga di determinarne il significato, e di misurarne l'estensione e la forza, si corse all'armi e si suonò a stormo. A cacciare in bando numerosi corpi di cittadini innocenti si adottò dal despotismo di Roberspierre il formidabil diritto dello spirito del secolo che più non li vuole; quando poi la moderazione obbligò perfino il Gioberti a riconoscere, o almen confessare la turpitudine dell'inumano ed illegal procedere, si accettò un altro gran principio della giustizia novella, il fatto consumato. Ma siccome si correa pericolo che la Santa Sede imbevuta degli antichi pregiudizi in favor del decalogo, ricorresse al settimo comandamento per annullare anche il fatto consumato, la prudenza filosofica mandò innanzi delle sentinelle avanzate protestando di saper benissimo a qual partito appigliarsi qualora il Papa pretendesse intrudersi in materie filosofiche [6]. Ed ognun sa con quanta franchezza e disinvoltura codesto principio sì comodo sia stato adoperato contro l'Esule augusto del Vaticano: dal saper benissimo qual conto farne al non far alcun conto degli Oracoli Pontificii, e per conseguenza alla supremazia assoluta della ragione individuale è sì sdrucciolo il passo, che molti in Italia si son trovati per metà protestanti prima ancora che il Triumviro in partibus c'invitasse alla totale apostasia; e Dio voglia che al sentire il detestabile invito aprano gli occhi e conoscano il baratro di cui già stanno sull'orlo. La distinzione delle verità filosofiche dalle teologiche ha certamente il suo retto significato che noi lungi dal negare, abbiamo esplicitamente chiarito [7]. Ma il senso ordinario in cui si prendo codesta distinzione da coloro che l'adoperano a spezzare ogni giogo, si riduce in sostanza all'antico assurdo del Pomponazzi che sostenea certe proposizioni esser vere in filosofia, false in teologia. Bizzarra transazione, diceva il Cousin [8] che preludeva in Italia alla ribellion luterana. Ma se accettiamo l'indipendenza dell'umana ragione dal Pontefice per involare i beni di Chiesa e cacciarne i possessori, indarno ricorrerem poscia alle interpretazioni di Lui per arginare col settimo comandamento l'arpia del comunismo minacciante ogni possedimento sociale. La verità sopra cui s'appoggia il d[i]ritto de' proprietari profani non ha evidenza maggiore della verità sopra cui si appoggia la proprietà della Chiesa, nè otterrà dal popolo italiano maggior riverenza il d[i]ritto che ne risulta.
[CONTINUA]

NOTE:

[1] Gemuit sub pondere cymba Sutilis (Aeneid. VI). Gemè sotto il peso la barchetta rattoppata.» N.d.R.]
[2] Chenu. Les Cospirateurs: chapitre XIII pag. 108.
[3] Lo Statuto 22 Luglio 1850.
[4] Chi crederebbe che un deputato alla Camera piemontese abbia orata invocare pubblicamente la nullità d'ogni convenzione internazionale? Vedete se abbiam progredito in Italia per questa via! «M. le député Brofferio a dit qu'en général les traitès n'etaient pas obligatoires, attendu qu'ils doivent suivre les phases de la politique.» (Discorso del signor Palluel degli 8 marzo).
[5] Il sopraccitato deputato Palluel interroga saviamente «pourquoi chercher une base nouvelle, contestable, quand nous, en avons une certaine à cet ègard? Il lettore vede la risposta a quel pourquoi: si cambiano le basi quando si vuole cambiare l'edifizio.
[6] Gioberti Prolegomeni.
[7] V. § II, n. 33 e 36.
[8] Cousin. Hist. de la phil. T. I. pag 361.

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