IL PRINCIPIO ETERODOSSO È ABOLIZIONE DEL DIRITTO E DELL'UNITÀ SOCIALE (I).
R.P. Luigi Taparelli D'Azeglio d.C.d.G.
Da: Esame critico degli ordini rappresentativi nella società moderna, parte I., principii teorici, Roma 1851 pag. 32-46.
PARTE I.
PRINCIPII TEORICI DEI GOVERNI AMMODERNATI
CAPO I. — IL PRINCIPIO ETERODOSSO È ABOLIZIONE DEL DIRITTO E DELL'UNITÀ SOCIALE. (§.II n° 41-60)
§. II.
Idea razionale del Protestantesimo.
41. Orsù dunque, che pretendete voi, Unitarii italiani?
— Aver una l'Italia. — E con qual mezzo?
— Rendendola protestante.
Protestante! ... Ma converrà dunque che io, simile a quel cotale
del Pulci,
«Vi faccia un lago di teologia;»
che torniamo alle controversie con Ecolampadio o Melantone; che
risuscitiamo l'Eckio o il Gretsero: oh questi sì che sarebbero
personaggi grotteschi nel secolo XIX! oh allora sì che le
vedreste gemere sotto il peso,
queste povere carte [1]; già
non lievemente infastidite dal vedersi astrette ad inghiottir
sillogismi da spiritarne.
No, no, lettor mio cortese
«Non dee guerra coi morti aver chi vive:»
lasciam costoro o riposare o urlar disperati ovunque gli abbia tratti
o buona, o rea lor ventura, poichè promisi di
non entrare in sacrestia. E invece di seguire quel Frate
apostata alla sacrestia ove egli ci chiama, invitiamo anzi lui
medesimo (e ce ne saprà buon grado), invitiamolo ad uscirne ed
avventurarsi alla luce del giorno, all'aria aperta: invitiamolo a
spiegarci per bocca dei suoi proseliti senza gergo teologico la
sustanza dei suoi principii, che debbono formare, secondo certuni, la
speranza d'Italia e del mondo.
42. Il gran male dell'Italia, il germe di sua scissione altro non
è, secondo i novelli Unitarii,
se non la servilità di sua
ragione: conosca l'Italia una volta e riconosca la supremazia
di questa re[g]ina del mondo e la sua unità
sarà sicura, la felicità inenarrabile.
Ecco dunque formolato filosoficamente il problema: «La
supremazia della ragione è ella tal principio da poterne inferire
una giusta idea del d[i]ritto e col d[i]ritto
l'unità sociale, e la social felicità?»
43. E qual dubbio, dirà forse fra sè e sè qualcuno dei
miei lettori, qual dubbio che se si accorda alla ragione
universalmente il primato, l'idea del d[i]ritto —
risulterà in tutti la stessa, e ci congiungerà per
conseguenza in unità perfettissima? Se il d[i]ritto
sgorga dalla verità;
se una è la
verità come tutti consentono; se ragione
è una partecipazione
dello intelletto umano al vero:
chi non vede che quando la ragione governa, governa la verità, e
quando governa la verità l'unica
idea del d[i]ritto naturalmente si forma?
44. Eppure, che volete? io ardisco asserire precisamente
l'opposto, anzi pretendo che voi medesimo lo tocchiate con mano,
che stabilita la supremazia della ragione è perduta ogni speranza
di unità.
E per darvene una prima dimostrazione, permettete ch'io v'interroghi
perchè v'è un codice nella società? Certamente voi mi
rispondete: per norma alle azioni del cittadino. — Ma il
cittadino non de[v]e guidarsi colla propria ragione? Se
non operasse colla ragione, non oprerebbe da creatura ragionevole.
— Certamente, l'atto dell'uomo de[v]e
essere ragionevole: ma qual atto più ragionevole che quello di
leggere nel codice? Leggerebbe egli l'uomo, se non avesse la ragione?
Ottimamente: voi dunque mi consentite che l'uomo può aver
la ragione, operar colla
sua ragione, e frattanto regolarsi
colla noma del codice. Dunque la
ragione dell'uomo non è sempre la
sua regola; e si può assegnare alla ragione dell'uomo
una regola senza privarlo di sua ragione.
45. Ma per meglio intenderlo osservate che tutta la quistione si
raggira sui termini equivoci Ragione
di cui è necessario determinare il giusto senso, e Regola. La Regola
ognuno comprende, che può essere moltiplice, e che nella
moltiplicità una parte può essere all'altra sottoposta.
Così per cagion d'esempio, se taluno cercasse qual'è la
regola del muratore nel disporre le sue pietre e i cementi, non è
chi non veda potersi rispondere essere l'occhio che lo guida, l'arte
che ha imparato, l'archipensolo, il regolo, il disegno
dell'architetto, il capomastro che lo spiega ed applica e finalmente
l'architetto medesimo colla voce e colla scienza. Allo stesso modo
molti possono essere i regolatori di tutte le azioni umane, come
l'Architetto supremo dell'universo e tutti i disegni ch'Egli
preparò per formarlo, i capimastri a cui raccomandò
l'esecuzione, gl'indirizzi pratici co' quali questi applicano la legge
dell'Architetto supremo, gli stromenti materiali necessarii a tale
esecuzione, la cui natura essendo per l'uomo immutabile deve a lui
servire di norma nella pratica se vuole riuscire ne' suoi intenti. Ma
tutte le regole superiori, potrebbono elleno [= esse,
N.d.R.] seguirsi dal muratore se
non avesse un po' di buon discorso? Impossibile. Dunque ci vuole
finalmente anche la sua ragione non già per disporre a suo
talento le pietre, ma per comprendere la norma datagli dal capomastro
e dall'architetto: e dite altrettanto di qualunque azione umana, di
cui l'ultima regola direttrice nell'opera è finalmente la ragione
che conosce ed eseguisce le leggi e gl'indirizzi dell'Architetto
supremo e degl'immediati sopraccapi. Se a tutti questi principii
direttivi può applicarsi il titolo di regola,
voi vedete quanti equivoci possono accovacciarsi all'ombra di tal
vocabolo. Dite altrettanto del vocabolo ragione
del quale il senso è ugualmente equivoco, epperò de[v]e
determinarsi se vogliam conoscere il sostantivo di cui discorriamo. E
per determinarlo basta solo che voi riflettiate a ciò che stiamo
facendo. Che stiam noi facendo in questa nostra familiar
conversazione? Stiam discutendo. — E perchè si
discute? — Per sapere chi di noi due ha ragione, se il
Triumviro che promette unità coll'apostasia, o io che
dall'apostasia preveggo discordia. — Sì signore,
questa appunto è la materia di discussione: si discute qual di
noi due abbia ragione. Ma
di grazia, lettor mio caro, potete voi, cortese come siete, negare a
me la ragione? Se un uomo
è animal ragionevole,
negare che io abbia ragione,
sarebbe altrettanto che darmi del bruto, darmi della bestia ...
oibò, oibò: questo voi nol farete giammai, nè con me,
nè col mio avversario: sarebbe troppa inurbanità. — Ma
dunque converrà dire che abbiamo ragione entrambi; e questo
sarebbe assurdo, mentre uno afferma quel che l'altro nega: il sì
e il no non possono esser veri ad un tempo.
46. Egregiamente. Vedete dunque lettor mio caro che sebbene tutti due
abbiam la ragione, pure
è impossibile in questo caso che tutti due abbiam ragione:
ed ecco manifesto l'equivoco racchiuso in quel tremendo vocabolo Supremazia della ragione.
47. Voi vedete che ragione può significare or la facoltà
che ha l'uomo di conoscere, or la regola suprema secondo cui
de[v]e guidarsi questa facoltà. Quando voi dite
che tutti due abbiam la ragione,
voi parlate della facoltà, la quale realmente si trova in tutti
gli uomini: quando asserite che un dei due ha
ragione, e l'altro no, voi mirate a quella legge suprema che
dovrebbe guidarci; e che, se ha guidato l'uno mentre dice di sì,
non ha guidato l'altro che asserisce il contrario. Ma questa legge
suprema perchè la chiamate ragione
come la facoltà umana? Perchè conosce anche essa il
Vero come la ragion nostra anzi infinitamente più: e il suo
conoscimento infinito dà legge al nostro: la
Ragion divina è regola
della ragione umana.
48. Premessi questi schiarimenti sul vocabolo, possiamo ormai
determinare il senso del problema, sostituendo una espressione
determinata all'espressione equivoca. Il problema era questo:
«Possiamo noi sperare l'unità sociale dalla Supremazia della
Ragione?» A voi pareva di sì, perchè intendevate per ragione la legge di
verità; a me pareva di no, perchè intendea per ragione
la facoltà dei singoli uomini: ed avevamo ragione
amendue, voi nel vostro senso, io nel mio. Verissimo che se tutti si
guidano secondo la legge suprema
del Vero, avrem l'unità; ed io vel consento: verissimo ugualmente
che se tutti si vogliono guidare colla
propria testa l'unità diviene impossibile; e voi,
spero, nol mi disdirete. E qual è quel galantuomo che possa
vivere lungamente con chi la vuol sempre a modo suo?
49. Resta dunque solo che vediamo che cosa intendono coloro, che
vorrebbero render una l'Italia,
una tutta l'umana famiglia, rendendola protestante. Or qui non
occorrono ricerche erudite, non dispute teologiche: se essi intendono
che l'unità sociale si otterrà quando la società
sarà governata dalla regola
suprema del vero siam tosto d'accordo; e resterà solo da
decidere qual sia l'organo di questa regola. Ma qui batte il punto:
quando costoro ci parlano di supremazia
della ragione intendono appunto che l'organo della
verità è la ragione di ciascun uomo, la vostra, la mia: e
che colla propria ragione de[v]e guidarsi ciascun uomo.
Or questa (decidete voi, lettore assennato) è ella una buona
medicina per rimediare alla divisione, e donare alla società
l'unità sospirata? «Ciascuno pensi come gli pare, ciascuno
faccia quel che vuole; e siam certi che tutti sarem d'accordo!»
50. Se voi accettate codesta formola, potete farne subito lo
sperimento. Immaginate vicino il carnevale, e incominciate a regolare
con questa formola il primo ballo e la prima musica a cui
interverrete, e vi torrete così un piccol saggio della futura
unità d'Italia, della futura società
umanitaria. Pubblicate il programma: «Gran ballo domani
al teatro: affinchè proceda in buon ordine ognuno intreccerà
quelle figure che gli parranno più galanti; e affinchè la
musica suoni in perfetto accordo, ciascun suonatore eseguirà sul
rispettivo strumento quel pezzo di musica che gli parrà aver
miglior effetto.» Oh questa sì che sarà armonia! Quella
appunto che alla porta dell'aristocratico al quadrivio Bussy fecero
sentire i baccanti della montagna: «La musique
éclate comme un coup de tonnerre; chaque musicien joue
un air différent; la grosse caisse, le chapeau chinois, les
cymbales et les ophicléides font merveille. Tous les Montagnardes
qui n'ont point d'instrument entonnent à tue-tête des chants
divers; la voix puissante de Pornin domine, elle atteint des notes
jusqu'alors inconnues; tout en lui est action, il bat la mesure avec
sa canne, le pavé résonne sous sa jambe de bois; les torches
s'agitent et répandent de sinistres clartés dans les airs,
éclairant les atroces figures des Montagnards. [2].» [«La musica attacca come un
colpo di tuono; ogni musicante suona un'aria differente; la
grancassa, il cappello cinese, i timpani e le oficleidi fanno
meraviglie. Tutti quei Montagnardi che non hanno strumento intonano
con quanto fiato hanno dei canti diversi; la voce possente di Pornin
domina e giunge a delle note fino allora sconosciute; tutto in lui
è azione, batte il tempo col suo bastone, il lastrico
risuona sotto la sua gamba di legno, le torce si agitano e
spandono per l'aria una fosca luce che rischiara le
atroci figure dei Montagnardi.» Adolphe Chenu, Les Conspirateurs, Paris 1850.
N.d.R.] Ecco quel che sarebbe
una musica ove ciascuno intonasse a talento della propria fantasia; ed
ecco insieme una giusta idea della società governata col
principio protestante. Voi vi scandalizzate, lettor mio caro, che in
materia sì grave io scherzi cosi fantasticando, e chi sa se non
mi vorreste toglier di mano la penna, perchè perdo il tempo nel
risponder a codesti farnetichi. Ma se codesti farnetichi ci vengono
spacciati in tuono da oracolo!... Se si pubblica sì audacemente
che data la libertà ad ogni pensiero, l'Italia conquisterà
l'unità! Se centinaia d'Italiani li ascoltano con riverenza, li
credono con dabbenaggine, li propagano con attività, come volete
voi che io ne taccia? o parlandone, come è possibile che io non
ne rida?
51. Sebbene a dir vero, la stravaganza non è poi tanta quanta
ella sembra a prima vista; o, se volete meglio, la stravaganza non
istà nella proposizione che desta le risa e lo sdegno nostro, ma
sta in un'altra più ridicola e più empia, dalla quale
discende logicamente la precedente. Per comprendere il mio pensiere
richiamate il doppio senso della parola Supremazia
della ragione: questa voce, abbiam detto, esprime una dogma
innegabile, se s'intende che la legge suprema di verità de[v]e
governare tutti gli uomini. Or questa legge suprema per qual motivo si
chiama Ragione? Qual è
quella ragione, che
può chiamarsi legge suprema della verità? L'abbiam detto:
non è altra che la Ragione divina, giacchè essa sola è
infallibile nel conoscere, essa sola è la causa suprema di tutto
ciò che è vero. Infatti se io presento due pezzi di metallo
ad un artefice per sapere se sieno oro entrambi, ed egli mi risponde
che l'uno è oro vero,
l'altro oro falso: egli
intende per vero quell'oro
che ritien la natura propria d'un tal metallo, la qual altro non
è se non quella assegnatagli dalla Ragion divina; per falso
quello che non è conforme alla Ragione divina.
52. Questa è dunque la legge suprema del vero, la cognizione
divina. Onde se voi foste un Dio, voi dovreste non solo pensare
colla vostra ragione, ma colla vostra ragione parimente regolarvi, giacchè essa
sarebbe la legge suprema di verità. Or voi sapete benissimo che
il Mazzini, devoto seguace del Panteismo tedesco (questo tedesco
è sfuggito all'ostracismo) ha divinizzato il popolo, e per
conseguenza tutti gli individui che lo compongono. Qual maraviglia
dunque che ciascuno di codesti individui divini
dia legge colla sua ragione alla verità? Non è questo, come
abbiam veduto, il gran privilegio della Ragion divina sulla umana?
Quando l'uomo pensa, la verità delle cose si prende come
principio indubitato; e vero si chiama il suo pensiero, se sia
conforme alle cose che pensa: all'opposto quando pensa un Dio, il
principio indubitato è il divin pronunziato; e vere si dicono le
cose qualora a lui si conformano. Se dunque ogni uomo è Dio,
secondo la dottrina del Panteismo, che potrete voi trovare di assurdo
nell'asserzione protestante che la ragion di ciascuno è norma
della verità delle cose? La stravaganza dunque non è tanto
nell'asserzione che attribuisce supremazia alla ragione, quanto in
questa apoteosi della ragione di ciascun uomo cui si attribuisce la
divinità. Oh questo sì che sarebbe proprio ridicolo se non
fosse empio! che si potesse persuadere agl'Italiani ciascun di loro
esser proprio un Dio, o per lo meno un pezzetto di Divinità.
Eppure, come voi ben vedete, qui arriverebbero logicamente ancor
gl'Italiani, come ci sono arrivati que' Tedeschi: persuasi una volta
che ciascuno de[v]e prendere per legge la propria
ragione, che potrebber eglino rispondere a chi soggiungesse: «Or
la legge suprema di verità non è altri che Dio: dunque la
vostra ragione è Dio»? Qui non c'è mezzo: o negar le
premesse o accettar le conseguenze.
53. Riepiloghiamo il fin qui detto. Chi
asserisce che l'uomo deve operare secondo
ragione, può intendere questa voce in due significati,
cioè secondo la Ragione
divina, ossia secondo la verità delle cose, e questo
è vero: secondo la propria
testa, e questo è falso, giacchè la propria testa
de[v]e conformarsi alla verità; è regolata
non regola, o
almeno regola secondaria
e non primaria. Ci
può servire bensì di un qualche documento di natural
onestà, allorchè legge rettamente il voler supremo
nell'ordine universale di natura; in quella guisa appunto che ci guida
nelle azioni cittadine, quando legge rettamente gli ordinamenti del
codice civile, benchè senza tale aiuto ella non basti. Se
nell'ordine civile non le date un codice, basterà mai la ragione
a formare da sè sola tra i cittadini quella unità che
chiamiamo l'ordine civile? È chiaro che no: ed appunto per questo
vi è bisogno d'un codice. Or quello che niuna gente ha creduto
potersi ottenere nell'ordine civile abbandonando a sè sole le
ragioni de' singoli cittadini, quanto sarà più difficile ad
ottenersi nel morale ordine universale!
Eppure questo è ciò che pretendesi da chi ci esorta ad
emancipare la nostra ragione colla indipendenza protestante,
promettendone in compenso l'unità d'Italia e del genere umano: si
pretende che quando ogni individuo umano si regolerà a suo senno,
allora finalmente sarem tutti d'accordo. In verità, la promessa
è sorprendente. Resta or dunque, che paragonando codesto
principio coll'idea del d[i]ritto analizzata da noi nel
paragrafo precedente, veggiamo se il principio protestante applicato
alla società potrà mai formare in essa una verace e costante
unità.
§. IV.
Il d[i]ritto abolito dal protestantesimo.
54. Il principio protestante abbiam noi detto, si riduce finalmente a
quella brevissima formola: «Ogni uomo è giudice supremo del
Vero, e ne ha norma infallibile l'individual sua ragione:» e da
questo principio, io soggiungo, s'inferisce necessariamente la
distruzione, anzi l'impossibilità del d[i]ritto,
di quella forza unificante, senza cui la società stessa diviene
impossibile.
E in verità, chi non vede essere impossibile il d[i]ritto,
se ammettete che ciascun privato trovi nella propria ragione la norma
del vero? Ogni d[i]ritto, abbiam noi detto, presuppone
come condizione di sua esistenza una doppia verità d'idea e di
fatto, la cui cognizione concorde rende possibile l'associazione delle
volontà. Se dunque voi togliete l'unità nelle nozioni
presupposte, non cadrà per ciò appunto l'unità del d[i]ritto?
L'unità cattolica avea formato in Europa un abito si inveterato
di idee ragionevoli, che parve un tempo quasi impossibile lo
spogliarsene totalmente: ed appunto per questo fu tanto vantata nel
secolo scorso la potenza della ragione, perchè fu preso qual
natio valore dell'umanità ciò che era solo effetto dello
spirito cattolico. Ma cessate a poco a poco queste influenze,
l'unità andò cessando di fatto come dovea cessare per
natural ragione; essendo impossibile che la moltiplicità
degli umani intelletti trovi in sè sola la ragione di unità.
55. Perciocchè donde mai potrebb'ella nascere codesta unità
di molti intelletti? Io non ne veggo altra origine possibile se non o
nella lor sostanza o nelle lor facoltà ed attributi. La sostanza
dei molti non è una, come uno
non è molti.
Resta dunque che formisi in loro una unità, congiungendo la
tendenza delle lor facoltà. Così, sebbene un
esercito, un'armata
non sieno una sostanza ma
molte, pure divengono uno tendendo di conserva ad unico scopo, la
vittoria; con unico mezzo, l'ordine strategico. Unità di molti
intelletti potrà dunque ottenersi, se troviate in essi unica
direzione ad unico scopo. Avvertite però che nel
caso nostro non giova il ricorrere ad un'autorità
direttrice, essendo questa appunto che vien negata dal
razionalismo: conviene che l'unità di tendenza risulti dalla
natura degl'intelletti; i quali, come abbiam veduto, si formano l'idea
del d[i]ritto colla cognizione d'una
verità, d'un ordine,
d'un'idea incarnata in un fatto. Se dunque l'unità
delle molte intelligenze de[v]e risultare da natural
tendenza al vero, conviene che tutte naturalmente
consentano o ad un fatto
o ad un'idea.
56. Or l'elemento di fatto non
ha per sè unità alcuna, come poc'anzi abbiamo osservato, e
come risulta dalla natura stessa di questo elemento, tutto per sè
contingente e per[ci]ò perpetuamente mutabile. Ed
anzi nell'elemento appunto di fatto sta la gran ragione di quel
perpetuo avvicendarsi dei diritti nell'umano consorzio: oggi cangia la
volontà del proprietario, e cede il d[i]ritto di
proprietà; domani l'inesorabil legge di morte consuma una
esistenza, e coll'esistenza si perdono i d[i]ritti;
quella terra che vi conoscea padrone è franata nel torrente ed il
vostro d[i]ritto è perduto; alla sponda opposta
è cresciuto il terreno di alluvione e l'accessione aumenta il
diritto del vostro vicino; ogni fatto benchè menomo è capace
d'ingenerare un qualche diritto; il d[i]ritto di stare
nel teatro in questo o in quel luogo, il d[i]ritto
di precedere nella trattazion di una causa, il d[i]ritto
di ottenere per anzianità un impiego, quante volte non avrà
altra base di fatto, se non l'esser giunto mezz'ora prima del vostro
competitore! Vedete accidentalità del d[i]ritto se
voi lo misurate col principio di fatto! L'orologio che fallisca un
minuto può farvi perdere una eredità; e mi ricordo un
fallimento di un gran negoziante per aver tardato pochi minuti nel
recarsi alla diligenza. La unità dunque del d[i]ritto,
quella per cui questo è capace di legare perpetuamente,
irrefragabilmente le volontà, non nasce certamente dall'elemento
di fatto: sol dall'idea,
elemento necessario ed eterno, può ripetersi la necessità ed
immutabilità del diritto: oh! qui sì che abbiam trovata una
base saldissima, non essendovi uom sulla terra che a certe verità
necessariamente non si arrenda.
57. Eppur che volete? Anche questo elemento vacilla, se voi non
riconoscete per norma dei vostri giudizii se non l'apprensione
dell'individual vostra ragione: la quale, contingente anch'essa e
mutabile come ogni altro esser creato, riceverebbe bensì una
cotale immutabilità dall'obbietto necessario ed eterno che ella
naturalmente contempla, se lo intuisse sgombro d'ogni fantasma
sensibile e d'ogni nebbia di affetto. Ma disgraziatamente, se ne
eccettuate quei primi principii universalissimi la cui intuizione
è necessità di nostra natura, tutte le altre verità
ideali vanno complicandosi nelle immagini della fantasia, e
annebbiandosi al calor delle passioni: la fantasia tenta tradirvi
applicando all'intelligibile i limiti dello spazio e del tempo;
l'affetto poi rende infermo il giudizio preoccupando la volontà
che nel giudizio tanto influisce. E trattandosi specialmente di cose
agibili, quest'influenza è sì gagliarda, che la società
civile, la quale tutta quasi vive nel pratico, diverrebbe impossibile,
se il poter giudiziario non intervenisse a dirimere ogni questione: e
sapete voi, se ne insorgano nei tribunali delle intricate e difficili
non sol di fatto ma anche di d[i]ritto; sapete voi
quanto sieno svariati i giudizii dei moralisti nel decidere lecita o
illecita questa o quell'altra forma di contratto, questo o quell'atto
morale ridotto alle pure condizioni dell'idea. Or se costoro titubano
in tal guisa nel puro ordine astratto, pensate se vacilleranno gli
operanti, esposti agl'impeti delle più gagliarde passioni, quanto
col giudizio loro concreto dovran forse condannar sè medesimi ai
sacrifizii più ardui, più ripugnanti che impor si possano
dall'inesorabil voce della giustizia. Mettete centinaia, migliaia,
milioni di cittadini, guidati tutti nell'intelletto da giudizii
diversi, nel fatto da esperienze contrarie, negl'intenti da contrarii
interessi, e ditemi dove trovate qui un elemento di unità con cui
tutti pronunziar debbano concordemente: «è dovere il
soffrire questo o quel dispendio, correre questo o quel pericolo,
intraprendere questa o quella fatica?» «Pochi sono, dicea
già lo Statuto di
Firenze parlando dell'Assemblea legislativa di Francia, pochi sono
quelli pe' quali gl'interessi della Società .... sieno superiori
agl'interessi del partito. O per dir meglio, ognuno si dice tenero e
zelante del bene della Francia, purchè .... accetti la panacea
che gli prepara il proprio partito.»
«E questo pure annunzia un profondo scadimento del senso morale,
il quale si rivela soltanto per la virtù del sacrifizio, e per
l'abnegazione delle passioni individuali [3].»
L'alterazione dell'idea del d[i]ritto
è dunque necessaria conseguenza di quelle dottrine che alla
facoltà giudicatrice tolgono ogni norma esterna e suprema con
cui regolarsi.
58. Ma vi è di peggio: quando la ragione ha smarrito il
principio anche sol nelle quistioni più pratiche e concrete, ella
corre senza pure avvedersene a distruggere con logica sterminatrice le
verità più astratte ed universali; e così appunto,
così solo possiam noi comprendere che siasi giunto a negare o
cogli Occasionalisti l'unità sostanziale dell'uomo, o con Berkley
l'esistenza dei corpi, o con Hume la continuità dell'Io
pensante. Scambiato una volta
l'ideale col sensibile o la ragione colla passione, e adottato
l'errore come principio indubitabile, non vi è più
conseguenza che spaventi nè in teoria nè in pratica; e
come l'immagine di un infinito esteso sostituita all'idea
dell'infinito semplice ha condotto gl'intelletti più grossi
all'incomprensibile assurdità di dire «io sono Dio»;
così la passion del godere sostituita alla ragion dell'ordine
gli ha condotti ad annichilar la società, la proprietà, la
famiglia, elementi evidentissimi, non che del godere, d'ogni umana
esistenza. Le teorie e la storia sono qui dunque in
perfettissimo accordo: le verità più evidenti
all'intelletto, le più care al cuore, le più importanti
all'interesse, tutte doveano vacillare, tutte vacillano realmente da
che si è detto all'uomo «la tua ragione è norma
infallibile dei tuoi giudizii:» la storia delle variazioni
incominciata dal Bossuet nel santuario della teologia, potrebbe ormai
continuarsi in tutto il campo del saper profano fino a quei limiti ove
l'errore si trasforma in delirio: e questi limiti stessi basterebbero
eglino ad arrestarlo? Interrogatene la filosofia tedesca e il
comunismo francese; e se vi si parrà evidente niuna verità
regger più salda sotto la grandine dell'individualismo,
inferitene per conseguenza niun d[i]ritto poter
più sussistere; giacchè ogni d[i]ritto, come
abbiam veduto, dalla verità soltanto può acquistare la sua
gagliardia.
59. Sì: dal momento in
cui un certo numero d'intelletti può credersi persuaso e
convinto che la proprietà è un furto, che l'insurrezione
è un dovere, che l'apostasia è religione, che l'uomo
è Dio; da quel momento il d[i]ritto di
proprietà, di governo, di fedeltà, di coscienza è per
costoro incomprensibile: e se giunga l'errore a dilatarsi tanto, da
abbracciare gran parte della società, cesserà in essa per
conseguenza l'idea del d[i]ritto, e col d[i]ritto
ogni legame di società. Or posto il principio protestante si
può giungere, ed in molti popoli numerose moltitudini son
giunte pur troppo ad ammettere codesti assurdi. Dunque col
protestantesimo è impossibile formare l'unità fondamentale
del d[i]ritto.
60. Ed ecco ove vogliono finalmente condurci....... che dico io mai?
Ecco ove ci hanno oramai condotti in gran parte i promotori novelli
dell'unità italiana: chè, conviene pur confessarlo, questo
elemento imperativo del d[i]ritto è già
terribilmente infiacchito, anche in Italia, (benchè sieno qui
tuttora gagliarde le ispirazioni cattoliche) essendosi accreditato un
nuovo metodo di discorrere e di
foggiar principii arbitrari a talento di ciascun individuo,
per le influenze del razionalismo individuale [4].
Il quale essendo il più gagliardo ausiliario della passione,
individuale anch'essa ed egoistica per essenza, sarà sempre
invocato in soccorso da chiunque, fattosi schiavo di essa, sentesi
vacillare sotto i piedi il terren sodo delle verità universali,
riverite in ogni tempo dal genere umano, ed aventi per ufficio
d'infrenare ogni eccesso [5].
Così per esempio quando si volle innalzare il popolo a
libertà politica si bandì l'aforismo che il Governo
appartiene essenzialmente a chi ha la mente già illuminata, esser
dovere de' Principi il
chiamar le moltitudini già colte ed illuminate in società
del trono. Quando questo principio parve insufficiente agli ulteriori
sconvolgimenti, vi si sostituì la natural
sovranità de' popoli: e stabilite queste gratuite teorie
se ne dedusse l'abolizione del triregno e la repubblica Italiana. Si
volle cacciare lo straniero
d'Italia? Invece di ricorrere a qualche antico principio di d[i]ritto
internazionale, si foggiò la nuova idea della naturale
indipendenza nazionale, e senza darsi briga di determinarne il
significato, e di misurarne l'estensione e la forza, si corse all'armi
e si suonò a stormo. A cacciare in bando numerosi corpi di
cittadini innocenti si adottò dal despotismo di Roberspierre il
formidabil diritto dello spirito
del secolo che più non li vuole; quando poi la
moderazione obbligò perfino il Gioberti a riconoscere,
o almen confessare la turpitudine dell'inumano ed illegal procedere,
si accettò un altro gran principio della giustizia novella, il fatto consumato. Ma siccome si
correa pericolo che la Santa Sede imbevuta degli antichi pregiudizi in
favor del decalogo, ricorresse al settimo comandamento per annullare
anche il fatto consumato, la prudenza filosofica mandò innanzi
delle sentinelle avanzate protestando di saper benissimo a qual
partito appigliarsi qualora il Papa pretendesse intrudersi in materie
filosofiche [6]. Ed ognun sa con
quanta franchezza e disinvoltura codesto principio sì comodo sia
stato adoperato contro l'Esule augusto del Vaticano: dal saper
benissimo qual conto farne al non far alcun conto degli
Oracoli Pontificii, e per conseguenza alla supremazia assoluta della
ragione individuale è sì sdrucciolo il passo, che molti in
Italia si son trovati per metà protestanti prima ancora che il
Triumviro in partibus
c'invitasse alla totale apostasia; e Dio voglia che al sentire il
detestabile invito aprano gli occhi e conoscano il baratro di cui
già stanno sull'orlo. La distinzione delle verità
filosofiche dalle teologiche ha certamente il suo retto significato
che noi lungi dal negare, abbiamo esplicitamente chiarito [7]. Ma il senso ordinario in cui si prendo codesta
distinzione da coloro che l'adoperano a spezzare ogni giogo, si riduce
in sostanza all'antico assurdo del Pomponazzi che sostenea certe
proposizioni esser vere in filosofia, false in teologia. Bizzarra
transazione, diceva il Cousin [8]
che preludeva in Italia alla ribellion luterana. Ma se accettiamo
l'indipendenza dell'umana ragione dal Pontefice per involare i beni di
Chiesa e cacciarne i possessori, indarno ricorrerem poscia alle
interpretazioni di Lui per arginare col settimo comandamento l'arpia
del comunismo minacciante ogni possedimento sociale. La verità
sopra cui s'appoggia il d[i]ritto de' proprietari
profani non ha evidenza maggiore della verità sopra cui si
appoggia la proprietà della Chiesa, nè otterrà dal
popolo italiano maggior riverenza il d[i]ritto che ne
risulta.
[CONTINUA]
NOTE:
[1] Gemuit
sub pondere cymba Sutilis (Aeneid. VI). [«Gemè sotto il peso la barchetta
rattoppata.» N.d.R.]
[4] Chi crederebbe che un
deputato alla Camera piemontese abbia orata invocare pubblicamente la
nullità d'ogni convenzione internazionale? Vedete se abbiam
progredito in Italia per questa via! «M. le député
Brofferio a dit qu'en général les traitès n'etaient pas
obligatoires, attendu qu'ils doivent suivre les phases de la
politique.» (Discorso del signor Palluel
degli 8 marzo).
[5] Il sopraccitato deputato
Palluel interroga saviamente «pourquoi chercher une base
nouvelle, contestable, quand nous, en avons une certaine à cet
ègard? Il lettore vede la risposta a quel pourquoi: si cambiano
le basi quando si vuole cambiare l'edifizio.
[7] V. § II, n. 33 e 36.
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