sabato 20 agosto 2016

IL PRINCIPIO ETERODOSSO È ABOLIZIONE DEL DIRITTO E DELL'UNITÀ SOCIALE (II).

R.P. Luigi Taparelli D'Azeglio d.C.d.G.

Da: Esame critico degli ordini rappresentativi nella società moderna, parte I., principii teorici, Roma 1851 pag. 46-59.
PARTE I.
PRINCIPII TEORICI DEI GOVERNI AMMODERNATI
CAPO I. — IL PRINCIPIO ETERODOSSO È ABOLIZIONE DEL DIRITTO E DELL'UNITÀ SOCIALE.[*] (§. II n° 61-74)
61. Dagli esempii fin qui accennati di principii morali foggiati o trasmutati arbitrariamente secondo il bisogno del momento nella nostra Penisola, sembrami risultare evidente con quanto nostro danno corriam pur troppo anche noi Italiani per quel pendio d'intellettuale indipendenza che tende direttamente ad annullare ogni verità e per conseguenza ogni d[i]ritto sociale. Ben potrà sopravvivere, anche se volete in molti intelletti, qualche verità individuale, capace di rannodare socialmente i consenzienti: ma questo nodo, essendo puramente accidentale, e mancante di quel vincolo esterno che chiarisce autorevolmente il vero, non può dare al d[i]ritto l'evidenza del titolo, e per conseguenza neppur la forza del concorso sociale; potrà produrre delle fazioni ma non mai l'unità sociale. Mi spiego: altro è il d[i]ritto evidente socialmente, altro quello che parla nei penetrali della coscienza: siete conscio a voi medesimo d'aver ricevuto un prestito? la coscienza intima altamente il dover restituire. Ma se non foste quell'uom sì retto che io vi credo, e ricusaste la restituzione, il vostro creditore troverebbe egli la via di costringervi in giudizio? Certo che no, se non avesse usata la precauzione d'esigere da voi un'apoca [= un contratto N.d.R.] in iscritto. E perchè? perchè il vostro debito non essendo visibile alla società,  questa non potrebbe a lui congiungersi per costringervi all'adempimento. In questo caso per altro sarebbe legata almeno la vostra coscienza, la quale a dispetto vostro v'intimerebbe di pagare al vostro creditore; talchè formerebbe fra voi due una unità d'intelletto e di propensione ragionevole, lasciando sussister soltanto il dissentimento della passione. Ma quant'altri casi possono succedere e succedono realmente tutto giorno, in cui due litiganti si persuadono con ragioni contrarie e con tutta la lealtà d'uomini onesti a strapparsi scambievolmente di mano la materia litigiosa! In simil caso ogni ravvicinamento per individual propensione è divenuto impossibile; ed appunto per questo necessaria diviene a mantenere il consorzio civile l'autorità giudiziaria. Se questa vien meno,  verrà meno con essa l'unità sociale delle volontà mancandone la base, la sociale unità d'intelletto.
62. Ed ecco appunto lo stato a cui la supremazia di ragione individuale condurrebbe necessariamente l'Italia, se riuscisse lo scellerato intento di ridurla a protestantesimo: sguinzagliate a farneticar liberamente tutte le private opinioni, più non vi porgerebbero un appiglio con cui collegarle. Citereste voi l'autorità del Vangelo? l'interpreterebbero col Deodati. I comandi del Principe? è servo della Camarilla. La legge delle Camere? sono organi dipendenti dalla nazione. La pluralità nazionale? non è ancora illuminata abbastanza: tocca a noi l'illuminarla[1]. Fu questa come voi ben sapete la condizion dell'Italia nei due anni ora scorsi, simile ad ogni altro popolo che abbia rinnegato ogni principio di autorità cattolica; senza la quale niun altro principio può durar lungamente all'urto indomabile dei delirii individuali[2].
63. Se non che essendo ugualmente impossibile all'uomo l'abbandonare ogni unità sociale, impossibile alla società il rannodarsi senza qualche unità d'idea; è pur giuoco-forza finalmente trovare un elemento di d[i]ritto novello da sostituire all'elemento cattolico: e questo elemento è l'Opinione, madre tirannica della bastarda Legalità; sostituite, la prima alla certezza cattolica, la seconda all'eterna giustizia. Coll'Opinione e colla Legalità si è trovata una maschera al dispotismo della forza brutale, e si conduce a poco a poco qualsivoglia popolo anche più incivilito ad incurvar turpemente le spalle al giogo, ringraziando ancora il dominator che lo calpesta. Permettetemi, lettor cortese, di svolgere alquanto queste poche idee: semplici come elle sono e trivialissime, pure giungeran forse nuove a più d'uno: e chi sa? se non sarò accusato di ribelle, di tracotante, perfin di stravagante e di pazzo, perchè non riconosco l'autorità dell'Opinione, e la giustizia della Legalità: tanto è vero aver già fitto profonde radici in Italia il Protestantesimo!
Sì, signore; così va proprio la faccenda: quando manca la certezza cattolica sottentra tiranna l'Opinione, la quale in sostanza altro non è che la prevalenza della forza brutale sopra l'intelligenza. Imperocchè che cosa è finalmente codesta Opinione arrogantesi il titolo di re[g]ina del mondo? Altro ella non è che la voce più comunemente diffusa nella società. E dico la voce e non la sentenza, perchè non vi suppongo sì innocente e sì nuovo in questo mondo, che non sappiate in qual modo ed a qual fucina si fabbrica la così detta Opinione pubblica. Qual è quel fanciullo ormai che non ne conosca la ricetta? quattro o cinque paia di giornalisti venali, poche centinaia di gridatori prezzolati nella plebaglia, e dieci o dodici emissarii nella società gentile, formano in brev'ora la pubblica Opinione [3], vale a dire formano un concerto di pappagalli più o men plebei, ripetenti in ogni angolo della città gli stessi spropositi e le stesse ragioni, con tanto maggiore asseveranza quanto è maggiore l'incapacità loro nel valutarne la forza. Or ditemi se vi ha maggior tirannia che assumere per verità inconcussa una voce sì insussistente d'una sì tenue minorità? Ma voglio supporla voce ancora di un intero popolo per concedere agli adoratori di codesto idolo più ancora di quel che mai oseranno sperare: Qual d[i]ritto avrebbe l'intero popolo d'impormi le sue idee? Io comprendo che possa stare in favor di lui una qualche presunzione quando egli parla nel coro di tutte le nazioni, e ripete la dottrina di tutti i secoli; giacchè in tal caso egli ripete il primitivo dettato del Creatore spiegato ed applicato con natural criterio agl'interessi sociali. Ma se nel tumulto delle passioni, nel tramestìo degl'intriganti, sotto il pungolo di un qualche urgente interesse un popolo anche intero abbracci e sostenga un errore, può ella la delirante moltitudine conferir all'errore verun diritto sugl'intelletti? Niun altro per fermo se non il d[i]ritto di quei milioni di braccia, che ella vende all'errore, dopo averle vendute alla passione: ma non per questo cessa l'obbligazione nella moltitudine di piegare ogni intelletto in ossequio del Vero, e nel Vero il d[i]ritto di comandare agl'intelletti della moltitudine:  questa potrà stordirvi perchè migliaia di polmoni grideranno con lei; potrà atterrirvi se non le consentite, perchè ha più braccia di voi; ma l'ossequio dell'intelletto sarà sempre natural tributo dovuto unicamente al Vero. Ed ecco perchè io dissi l'Opinione una tirannia della moltitudine sugl'intelletti.
Da questa tirannia nasce per natural conseguenza la tirannia della legalità cui vi prego, lettor cortese, di ben discernere dal così detto criterio legale. Quando vive in una società la giusta idea del d[i]ritto da noi già chiarita, ne germina l'idea d'autorità, principio legittimo della sociale operazione; e dalla autorità risulta un giusto titolo ne' casi dubbii per guidare il proprio intelletto in ciò che riguarda i pubblici interessi: nei quali il pretendere di condurre un intero popolo senz'altra norma che il pensar di un privato, sarebbe evidente ingiustizia che subordinerebbe il tutto alla parte, sarebbe volere un effetto maggior della causa, giacchè da causa privata trarreste effetto pubblico. Allora è chiaro potersi assumere per guida della pubblica operazione la cognizione pubblica, ossia il criterio legale. Ma questo che ha valore dalla autorità legittima pei casi dubbii, può egli applicarsi ugualmente nei casi certi, e all'opinar delle moltitudini? e tosto che sarete riuscito sorprendere e strappar di mano ad un Parlamento o ad un magistrato un'ingiusta sentenza, potrete voi procedere senza scrupolo di sorta alla strage dell'innocente? [4] La legalità ve l'accorda e vi assolve, ma la coscienza?....
64. Eppure tal'è ormai in molte persone anche assennate il pervertimento delle idee, che le ingiustizie ancor più solenni sembran giustificate o almeno scusabili, quando si scocchino a voce comune [5]: «Si sono osservate le forme, i suffragii sono stati liberi, con prova e controprova.» Ognuno se ne lava le mani, ed a ragione; conciossiachè non avendovi in una società protestante nulla di vero o di falso accertatamente, niun tribunale che autorevolmente lo accerti, solo il numero può dare una ragione di preponderanza a questa o quella sentenza. Se la ragion del numero non si ammetta, la società non avrà alcun principio per riunirsi volontaria, nè alcuna forza per costringere i riottosi: adottato il principio delle prevalenza numerica, si ottiene il vantaggio che il d[i]ritto si congiunge essenzialmente colla forza. Il che val poi quanto dire che la forza si identifica col d[i]ritto: ultimo funestissima risultato dei principio protestante in questa materia. Sì: ammesso codesto principio, o bisogna che la società perisca, o che la forza sottentri al d[i]ritto, l'Opinione alla verità, gl'individui agglomerati alla società. «Ecco, dice egregiamente il Kersten, ecco a che giovano quei falsi principii di assoluta indipendenza, sopra dei quali fabbricar si vorrebbero da certuni le moderne costituzioni dei popoli: essi giovano meravigliosamente a dare all'oppressione un aspetto di legalità [6]».
65. Or chi potrà poi enumerare le funestissime conseguenze di tal sostituzione? Credo inutile internarmi in codesta cloaca che mi strascinerebbe a perlustrare tutti gli orrori della tirannide e della pessima fra tutte le tirannidi, il dispotismo della moltitudine; dispotismo a cui non so come si adagino sì docili coloro che gridano senza posa contro arbitrio.
Non debbo peraltro terminar questa materia senza alcune osservazioni sulle essenziali proprietà ed influenze del Governo numerico. «Se il numero è quel che governa, dicono i fautori di codesto sistema, avremo almeno la certezza che la felicità sociale sarà retaggio del maggior numero.»
66. Chi così discorre mette la felicità negl'interessi della terra, e soppone che il maggior numero di un Parlamento equivalga al maggior numero della nazione: doppio errore che qui solo accenno perchè ne ragioneremo fra poco: per ora facciamo un'altra osservazione. Il maggior numero in un'adunanza deliberante come si suol congiungere? O per deferenza all'autorità, o per combattere la prevalenza di un partito. Lasciam da parte il primo caso in cui niegasi di fatti il principio protestante accettando l'impulso di un'autorità; e consideriamo solo il secondo. Che cosa deve accadere ed accade realmente nelle lotte dei parlamenti, quando vien meno l'influsso del d[i]ritto riconosciuto e dell'autorità? Che tutti i partiti sconfitti debbono riunirsi, quando un solo prevale, a formare tutti insieme una pluralità a lui contraria; la quale strettamente compatta fino al dì che riesce ad atterrarlo, ricomincerà a battagliare il giorno appresso. La prevalenza dunque del numero andrà perpetuamente oscillando fra i varii partiti; ed appena un di essi sarà giunto all'apice della piramide sociale, gli si addenseranno all'intorno come mastini gli altri tutti, finchè giungano coi latrati e coi morsi a precipitarnelo. Questa è, come ben voi sapete, la storia di tutte le Repubbliche e di tutti i Governi poliarchici fondati fino al dì d'oggi sullo spirito protestante: e l'Italia nostra nei soli trenta mesi di sua rivoluzione ha potuto pigliarsene una satolla: giacchè ha veduto succedersi i Ministeri con tal rapidità, che certi Ministri ebbero il portafoglio per meno di ventiquattr'ore. Or che altro è d'ordinario il cangiamento di Ministero se non cangiamento della pluralità? E il peggio si è che codesto cangiamento, benchè oscillando fra il d[i]ritto e la forza, pure è realmente in perpetuo progresso verso l'anarchia; proprietà consueta di tutte le lotte fra il d[i]ritto e la forza. In quella guisa che i concordati tra il Pontefice e i Governi producono per lo più un sempre maggiore inceppamento della Chiesa, perchè sempre ne assumono le anteriori concessioni come non revocabili, chiedendone sempre delle nuove; nella stessa guisa il partito anarchico assume sempre come d[i]ritti già acquisiti anzi ricuperati, tutti quelli ch'egli ha già strappato all'autorità governante, e procede oltre all'acquisto di nuove libertà; si vale insomma di tutti i partiti intermedii, secondo il noto precetto del Mazzini, come di mezzi a fare i primi passi, abbandonando poi tosto, osteggiando, infamando quei dabbenuomini che si arrestano a mezzo il cammino. Insomma egli vuole (permettetemi l'espression proverbiale) trarre la castagna d'in su le brage colla zampa del gatto: e poi? ..... sapete come si trattano i gatti: o se nol sapeste potete ricordarvi come furon trattati i moderati divenuti codini; potete leggere l'Andreozzi nella vita di Carlo Alberto a pag. 155 [7]. Or quale speranza di bene può aversi in una perpetua mutazione non solo di persone ma di principii governanti? Finchè regna un principio di giustizia riconosciuto, finchè si sa chi ha d[i]ritto o torto secondo l'eterne idee di verità, la mutazione personale può cangiar gl'interessi ma non cangia l'ordine delle idee e dei d[i]ritti; può impedir qualche bene, ma non ne sterpa la radice. All'opposto quando non v'è più nè ordine, nè verità, nè d[i]ritto se non nelle proporzioni numeriche dei proseliti di questa o quella setta, di questa o quella fazione, allora è chiaro che ogni mutazion di governo importa mutazion di principio.
67. E la conseguenza è sì evidente che nessuno se ne adombra; anzi è cerimonia ormai ammessa nel rituale diplomatico, che ogni nuovo Ministero pubblichi il suo programma come gli antichi Proconsoli romani nell'atto d'incamminarsi alla lor provincia, per farci sapere quello che sarà giusto nei pochi mesi di sua sopravvivenza: ogni Ministero accetta in tal guisa formalmente il principio protestante, la libertà di ragione nel giudicare intorno alle più sublimi verità morali [8]. Dite altrettanto di molti autori anche cattolici, i quali accettano senza scrupolo il principio professando col ch. Cibrario: «Io rispetto tutte le opinioni che muovono da intimo convincimento.» Il ch. A. che conosce, come cattolico, una verità assoluta, ben può compatir chi n'è orbo, ma rispettarne l'errore non mai: rispettate voi in un infermo la febbre, la cancrena?
68. Bandita poi in tal guisa al cospetto di un'intera nazione dai più saggi (almen presuntivamente), dai più illuminati, dai più influenti suoi cittadini l'impossibilità di conoscere e di applicare con certezza le leggi immutabili dell'eterna giustizia; professata officialmente quella riverenza al santuario della coscienza, che nel linguaggio protestante significa riverenza ad ogni errore per impotenza di conoscere la verità, qual sentimento potrà seguirne nel popolo? Raccapriccio al pensarvi; ma si tratta di un fatto e non di una induzione: il popolo perderà nonchè il rossore, perfino l'idea, del delitto; e qual freno rimarrà più a contenere le moltitudini? donde trarrete baionette o per cui mano le maneggerete?
69. S'incominciò dall'abolire i delitti religiosi, giacchè in Religione ogni uomo è libero: si passò ai delitti politici, e voi sapete che nessuno ormai sente più vergogna di codeste colpe: «Son delitti d'opinione: oggi è delitto la mia, domani la tua.» Ma il trionfo delle opinioni politiche esige una guerra civile, tumulti, macchine infernali, barricate, coltelli, grimaldelli, ecc.; or il d[i]ritto al fine include d[i]ritto ai mezzi, giacchè ogni d[i]ritto è per sè coattivo: dunque non v'è più rossore nell'assassinio e in ogn'altro simil misfatto quando è tinto di politica; anzi è atto d'uom forte e di cittadino generoso. Ma se le opinioni sono rispettate nell'ordine politico,  perchè non si rispetteranno ancor nel civile? Vi è forse per queste opinioni un tribunale infallibile? o cessa al frontispizio del codice civile l'infallibilità della ragion privata e la riverenza dovuta al santuario della coscienza? Spero che non vogliate essere sì incoerenti da asserirlo; e per[ci]ò quando il Comunista è convinto dell'ingiustizia nella ricchezza sfondolata dei proprietarii, del dover di abolirla imposto dal S. Vangelo, non vorrete pretendere ch'egli debba resistere ai dettami di sua coscienza, o arrossire dell'averli adempiuti. Quanto meno poi dovrà uomo arrossire di mille altre, che il pregiudizio dei nostri vecchi chiamò colpe morali, brutali disonestà; ma che la mia ragione non trova nè condannevoli nè vituperose! Ecco dunque eliminate tutte le idee di colpa nell'ordine religioso, politico, civile, morale; ecco reso impossibile ogni rattento di coscienza, di d[i]ritto e perfin di vergogna; ecco trasformata la morale in un'Opinione di cui sarà scuola il patibolo, professore il boia, argomento la mannaia. Italiani, a qual freno dovranno allor ricorrere i vostri Governanti?
70. Alla forza, sì, diciamolo, ripetiamolo arditamente, alla forza: la forza è l'unico mezzo di società che rimane al Protestante che vuol esser logico. E siccome il mezzo unico di salvezza diviene un d[i]ritto nella società; il d[i]ritto nella società protestante è la forza: ed è questo il bel principio di unità di che fan regalo all'Italia gli spasimati suoi adoratori; è questo il d[i]ritto con cui ci governerà nel secol d'oro il frate apostata di Wittemberg: esaminate pure,  analizzate, crivellate questo breve mio scritto: son certo che non potrete campare dalla terribil logica di questa conseguenza: qua sono giunti con codesto principio gl'Illuminati di Weishaupt dialettici esplicatori di codesti principii, che qui vi riepilogo in poche parole.
71. Che cosa è d[i]ritto? È poter morale nato dall'idea di un ordine obbligatorio: dunque tolta l'unità d'idea, è tolta l'unità nella nozione del d[i]ritto. Che vuol dire Protestantesimo? Vuol dire indipendenza della ragion privata: l'indipendenza della ragion privata toglie ai giudizii ogni esterno principio di unità: internamente non è all'uom naturale ed essenziale un determinato giudizio, specialmente nell'ordine pratico; dunque il Protestantesimo abolisce l'unità d'idea, l'unità di d[i]ritto.
72. Ma senza unità di d[i]ritto o almen di giudizio la società è impossibile, come è impossibile l'uomo naturalmente socievole senza società: dunque de[v]e trovarsi un altro principio d'unità intellettuale sotto pena di perdere la società e l'uomo. Ma tolto ai giudizii l'intrinseco valore di verità, tutto il valore estrinseco si riduce al numero; dunque la società dev'essere governata necessariamente dal numero dei giudizii, vale a dire dall'Opinione speculativa, e dalla legalità pratica.
Sente però ciascuno che il numero, per lo più di stolti [9], non ha alcun d[i]ritto sui privati intelletti ligii essenzialmente alla verità; dunque tutte le leggi fondate sul numero, non legano la coscienza, dunque la loro infrazione non è delitto, non è vergogna, e può esser dovere [10]: dunque, volendoci pure un'unità nella società, ogni Governo ha d[i]ritto a costringere colla forza le ripugnanze della coscienza: dunque poichè il Governo appartiene alla pluralità, chiunque è certo di sentire coi più ha il d[i]ritto d'impossessarsi del Governo colla forza.
73. Sì, lo ripeto, è questa, Italiani, l'unità sociale che vi promettono le novelle idee razionalistiche che tra voi si spandono dai fervidi amatori della Unità italiana; i quali si affrettano a svellere fino dalle ime barbe quel sacro principio di religiosa concordia, che formò dell'Italia finora non un sol Governo materialmente congiunto dal centralismo burocratico, ma un solo popolo animato, unificato dallo spirito cattolico. Congiunti sempre dai tempi di Costantino fin oggi per religioso consentimento, dall'una all'altra costiera e dall'Alpi all'Ionio, potemmo, dovemmo chiamarci fratelli. Dall'alto di sua croce pendente l'Uomo-Dio vedea tutte le fronti italiane chine al cospetto di lui sulla polvere, imploranti dall'amor suo ogni bene della terra, non come felicità agognata, ma come mezzo di sostentamento di chi va pellegrino verso una regione troppo più lieta e serena che non è questo nostro ciel di zaffiro. La speranza di un ben sì grande ci rendea forse men curanti d'ingrandimento terreno, men desti a produrre, meno industriosi ad artificiare, meno accorti a negoziare: agricoltura, manifattura, commercio, vapori, navigazioni, e quella enciclopedia di cognizioni che dalla attività delle corrispondenze mercantili mirabilmente si accresce, non fiorivano in Italia come fioriscono presso altre nazioni eterodosse: gran torto invero ed imperdonabile al cospetto di un secolo per cui la materia è tutto, lo spirito nulla. Ma appunto per questo erano minori fra noi le rivalità, l'antagonismo, le divisioni: ma l'Italia era una nel pensiero, una nell'affetto, una nella vita domestica, una nella religiosa, una nella civile. Mancava solo l'unità politica, e questa ci vien promessa oggidì dalla Riforma che c'invade, corteggiata da immenso corredo di quelle ricchezze ch'ella adora, e di quei tanti mezzi di produzione, che germoglieranno, dice, sotto i suoi passi, tostochè ella sia riuscita ad estinguere nei cuori italiani l'amore esclusivo del Cielo, surrogandovi l'inestinguibile sete dell'oro. Che ve ne pare,  Italiani cattolici, avrem noi fatto un cambio adeguato, se per vantaggiar la Patria negli ordini materiali avrem perduta l'essenza dell'unità sociale? Se colle perle e i diamanti dell'India potremo ingemmare il cadavere, il solo cadavere dell'unità italiana non più avvivata dalla grande idea del d[i]ritto fondato in natura, o dell'eterna Giustizia reggitrice degli uomini, non già lor creatura. A questo riuscì finalmente la sconsigliata Albione, a questo è incalzata dal pugnal dei comunisti la società francese (1850); e le mirate entrambe fra i colpi sanguinosi della orda che le minaccia alzar le grida estreme, e tender tremanti le palme allo spirito cattolico, ultima ed unica loro speranza. E in faccia a codesto spettacolo compassionevole; in faccia all'agitazione germanica, che, sotto pretesto di unir la patria comune, le minaccia non lontano l'eccidio; in faccia alla cancrena universitaria che già mostra intaccati i visceri dell'autocrazia boreale: in faccia, diciamolo in una parola, allo sfacelo universale della società protestante, si trova un Italiano, si trovano forse mille Italiani, che alla lor madre cattolica, dando l'amplesso e il bacio dell'Iscariote, osano promettere unità se si lasci innestare codesta cancrena!
74. Unità senza spirito! Unità. senza ordine! Unità senza d[i]ritto!... Italiani, scegliete: spalancate, se vi piace, la chiostra delle Alpi a quei mostri, cedete loro colla tirannia dei vostri torchi l'assoluto arbitrio dei vostri pensieri: vendete per amor del commercio e della libertà i concittadini, i domestici, i figli, le spose a codesta schiavitù di seduzione, e d'inganno. Ma vi ricordi, che se lo sconvolgere le opinioni di un popolo è giuoco diabolico di un anno, il riordinarle è pianto di secoli: che quando, pervertite le idee, corrotti i costumi, pubblicata la maldicenza, affilati i pugnali, inebriate d'avarizia e di strage le turbe, invocherete, per arrestarne il fremito, d[i]ritti umani e Religione celeste, codesti vocaboli avran perduto ogni forza: saran vostre opinioni.

NOTE:

[1] «Nè diciamo questo per cieca venerazione al suffragio universale: il suffragio universale, dove non si costituisca interprete d'un fatto accettato dall'associazione, e non s'illumini con una educazione nazionale è metodo sterile ed incerto.» (Mazzini: Della santa alleanza de' popoli, pag. 8).
[2] Troviam questa verità dimostrata da un Autor non sospetto nell'Indépendance belge 9 aprile 1850, pag. 2 colonna prima, citata (benchè erroneamente sotto il 10) e confermata nel Giornale storico di Liegi. «La souveraineté nationale .... a un pouvoir absolu et incessant sur une constitution, qu'elle domine comme le cause domine l'effet, comme le principe domine la conséquence; sur une constitution qui ne peut, sous aucun rapport, être un contrat, parce que l'autre contractant n'existe pas et ne peut exister ... autrement, un effet du droit prévaudroit sur le droit lui-même, ce qui est absurde en fait; car il en résulteroit qu'un peuple qui se gouverne, ne pourroit pas se gouverner, et que par cela seul qu'il se seroit donné par ses délégués une constitution funeste en elle-même ou devenue telle par le changement des choses, il devroit mourir à ses pieds plutôt que de la changer! Donc, le peuple peut réviser, modifier, abroger la constitution, en faire ce qu'il lui plaît.» Journal historique et littéraire de Liège F. XVII L. 1, pag. 58 e seg. 
Lo stesso osserva lo Statuto 22 Luglio: «... Da questa babelica confusione due verità sono fatte palesi agli occhi di tutti. Il discredito che viene al sistema rappresentativo per la permanenza delle Assemblee. Il pericolo che vi è nel riporre i destini di un popolo in balìa di una sola Assemblea. Così vediamo di mese in mese cambiarsi e rinnovarsi le leggi fondamentali dello Stato: così vediamo i partiti parlamentarii pressochè ridursi come gli eserciti dopo una campagna troppo prolungata: e le Commissioni disfare i progetti del Governo, ed un individuo disfare l'opera delle Commissioni, e dell'Assemblea.»
[3] Eccone un esempio recentissimo:
«Dopo la seduta dell'Assemblea del 18 in cui fu letta la relazione sulla riforma elettorale, molti emissarii si misero a percorrere le vie di Parigi dandone notizia e spargendo mots d'ordre.» (L'Armonia 24 maggio 1850).
[4] Questo è stato il caval di battaglia del Governo piemontese contro l'Arcivescovo di Torino. (V. Nota al March. Spinola in risposta al Card. Antonelli).
[5] La Frusta l'ha detto espressamente: «se anche la legge fosse ingiusta e' bisogna pure osservarla.» Campana 11 maggio 1850.
[6] Ils sont merveilleusement propres à donner un air de légalité à l'oppression. (Journ. hist. de Liège T. XVII, L. 1, pag. 135.)
[7] Eccone un brano a cui l'avventatezza non toglie molte parti di verità. «Maledizione ed infamia sui capi di coloro, che governando allora le cose, non seppero tirar profitto di quelle straordinarie condizioni di un popolo levato; ma soffocatone l'entusiasmo e ricacciatolo nell'egoismo, suscitarono negli animi italiani le più vili ed abbiette passioni. E costoro tentarono ricoprire la loro inettezza col decorarsi del nome di moderati. E persuadevano al volgo d'aver essi il privilegio del senno pratico nelle cose di Stato; e con quel loro dire continuo doversi operare con senno, credevano d'aver senno, e non avevano senno; perchè le loro idee erano sempre più addietro di quello che i tempi concedevano. Predicavano unione e concordia, e poi perseguitavano accanitamente come nemico chiunque non consentiva alle idee loro grettissime. Furono ministri e non seppero trovare altro mezzo di governo che la consorteria e la ipocrisia; per l'una si fecero faziosi, e propalarono la differenza e la calunnia nei popoli; per l'altra insospettirono i principi, e questi non portarono alla causa italiane che un soccorso mentito. Volevano coloro governare colle arti celate dei Ministri del medio evo; mostrando dimenticare quello che già fece udire Roberto Peel dalla tribuna inglese: la migliore politica ai nostri giorni consistere nella bontà dei principii, e nella franca esposizione delle proprie vedute».
[8] Il deputato Chenal ha pronunziata esplicitamente questa formola senza verun richiamo nella Camera torinese. A part l'existence de Dieu et quelques croyances éternelles.... acceptées par tous les peuples, le reste est soumis et continuera d’être soumis à des appréciations diverses, infinies.
[9] Stultorum infinitus est numerus. [Eccl. I, 15. N.d.R.]
[10] «Après avoir édité ce qu'il lui a plus, comment ose-t-elle (la société) punir ceux qui violent une loi qu'elle seule a faite?» Proudhon. La révolution sociale démontrée par le coup d'État du 2 décembre; citato dalla Revue des deux mondes tom. XVI nouvelle période, pag. 1160.

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