sabato 16 luglio 2016

L'AMMINISTRAZIONE PUBBLICA - LA RICCHEZZA (I)

R.P. Luigi Taparelli D'Azeglio d.C.d.G.

La Civiltà Cattolica anno II, vol. VII, Roma 1851 pag. 401-417.
PRELIMINARI
SOMMARIO
1. Divario fra amministrazione e governo — 2. Si ricorda il governo ammodernato — 3. e le sue conseguenze — 4. L'amministrazione si guida colla scienza — S. Checchè ne dicano gli utilitarii moderati.
1. Le persone si governano, le cose si amministrano. È questa la espressione consueta dettata dal senso comune agli animi retti, benchè non sia mancato talvolta chi abbia voluto (e secondo [il principio] utilitario non aveva il torto come vedremo) confondere e persone e cose sotto il comun vocabolo di Amministrazione. La differenza per altro è enorme: l'Amministrazione versa intorno alle sostanze irragionevoli e per[ci]ò incapaci di lor natura di resistere agl'impulsi; il governo si rivolge ad enti ragionevoli e per conseguenza liberi: l'arte di chi amministra consiste nel far muovere, l'arte di chi governa mira principalmente a far volere.
2. Negli ultimi due articoli ho dimostrata la valentìa dei nostri ammodernatori nel far sì che i sudditi vogliano obbedire: essi hanno, trovato a tal uopo quello spediente non men sublime e nuovo che logico e liberale. «Mettiamo, han detto, il governante in tal condizione che sia riguardato dal popolo come un nemico da atterrarsi, come un buffone da deridersi; ed a fronte della moltitudine assalitrice, facciamo che egli perda ogni forza di diritto, ogni speranza di arrivare al domane; e non dubitate! il governante si troverà nella più favorevole delle condizioni per fare che il popolo voglia obbedire, per amore (già s'intende) di quella patria che più non si sa dove alberghi.»
3. Non dubito, lettor cortese, che avrai dato il buon pro a codeste sublimi intelligenze politiche, ed avrai capito quanto sieno ingiusti i retrogradi quando pretendono, col consueto loro argomento Post hoc, ergo propter hoc [1], attribuire ai costituzionali ammodernati la colpa di quel mal animo, di quelle interminabili discordie, di quella opposizione sistematica, di quell'alternar perpetuo dei ministri e dei ministeri, che lancia i popoli ammodernati quasi per divertirli nell'arena, e li avvezza alle barricate e ai cannoni come in altri tempi ai gladiatori ed agli anfiteatri. Il popolo si secca per la monotonia, l'udimmo più volte; ci vuole un paio di gloriose giornate o una guerra europea per divertirlo: altrimenti come si stamperanno i giornali o di che parleranno essi?
Questa brutalità di un popolo sempre irrequieto, questa formola novella, ma più sanguinaria del Panem et circenses, tu ti sarai ben guardato dall'attribuirla a quel mirabile meccanismo, in cui si racchiude l'unico mezzo di ben governare gli uomini [2]. E se dapertutto, al parere del Balbo e del Melegari, le Costituzioni del continente (vale a dire tutte le ammodernate) hanno prodotto quei frutti appunto, che gl'ingegni grossolani credono doversi produrre in un popolo persuaso di non dovere obbedire al potere che come a nemico, da ministri persuasi di non potere nè comandare a quel popolo nè resistergli; tu avrai benissimo compreso che codesto fatto costante è una pura combinazione fortuita che non deve attribuirsi agli Statuti. Mi maraviglio! una tale combinazione fortuita dura in Francia da sessant'anni non già perchè quel paese ha calpestata l'idea cattolica, ma perchè quel popolo è leggiero; si manifesta in tutte le costituzioni germaniche, ma perchè quel popolo è troppo grave e metafisico; tormenta la Spagna da quarant'anni, ma perchè il popolo fu abbrutito dalla Inquisizione; ha messo a fuoco e sangue l'Italia, ma perchè ha durato troppo poco. Oh! se il Re di Napoli, il Papa, il Duca grande e i minori un po' più fedeli ai giuramenti che non prestarono e a quelli che i rivoluzionarii furono i primi a violare, fossero tornati a felicitare i popoli di quella sovranità usata da questi sì sobriamente, e ad esporre i portafogli alla concorrenza del più furbo che seduce, del più ricco che compra, del più fazioso e audace che strappa i suffragi: oh! sì! l'età dell'oro incominciava allor per l'Italia colla età del sacrifizio: il popolo avrebbe voluto obbedire benchè sovrano; i ministri avrebber saputo comandare benchè impotenti.
La capisci tu codesta profonda politica? Or bene: fanne tesoro; ed io passerò a considerare l'Amministrazione pubblica, posta al solito sotto l'influenza di quel tal principio d'indipendenza eterodossa, che abbiam nomato Idea ammodernatrice.
4. Ma tu sai, lettor mio, che la pubblica amministrazione si guida a' giorni nostri con principii scientifici, e con un meccanismo di ufficiali indirizzati da codesti principii. Non siamo più a quei tempi quando

. . . . in Lamagna

Re Carlo era attendato alla campagna,

e da quella tenda scriveva ai suoi intendenti come dovessero regolarsi nel vendere le uova e nel curare i pulcini sotto la chioccia. La economia politica è divenuta la regola degli amministratori; e per comprendere fondatamente quel che sarà l'Amministrazione ammodernata, conviene prima chiarire quale divenga sotto l'Idea ammodernatrice la Scienza economica. Fa dunque di ricordarti i principii da noi chiariti della società ammodernata: Ogni individuo è indipendente nel pensare; Il pensiero indipendente scambia nella pluralità del volgo le propensioni anche guaste colla natura; La natura dunque a modo suo vuol godere; Il governo dee soddisfare agli istinti di natura. Applichiamo questi principii alla Scienza della ricchezza sociale per dedurne poscia l'operare degli amministratori e dei popoli, guidati da siffatta scienza; e cominciamo dal paragonare le idee e i dettami forniti dall'individualismo protestante, trasformato in egoismo morale, colle idee e i dettami germinanti in questa sì vasta ed importante materia dai documenti della retta filosofia e del cattolicismo.
5. Non ignoriamo che alcuni economisti credono oggidì abbandonata, anzi morta irrevocabilmente la morale dell'interesse [3]; ma noi dubitiamo forte che tali pareri nascano piuttosto dalla bontà di animi onesti, che dalla giusta estimazione delle dottrine; conoscendo pur troppo quanto sien pochi coloro che si formano una giusta idea del principio utilitario considerato nelle più profonde sue radici. Declamano costoro contro la morale dell'interesse riprovando che si derivi la giustizia dall'utile; ma non sempre avvertono esser cosa impossibile, almeno in società, assegnarle altra origine, se non si forma una coscienza veramente pubblica; impossibile una coscienza veramente pubblica se non sotto i dettati di autorità cattolica. Tutti dunque coloro, che parteggiano per l'assoluta libertà delle coscienze, della parola, della stampa, dell'insegnamento, ben potranno per una onesta velleità abbominare la morale dell'interesse; ma se tu chiedi loro una base del d[i]ritto certa, irrefragabile, per tutta la società, o non sapranno che si dire o ricorreranno alla falsa nozione del bene pubblico, da noi altrove confutata, confondendolo coll'interesse dei più.
Le dottrine dunque dell'interesse, regolatrici malaugurate delle società alla moderna, meritano i primi nostri sguardi in questa materia, nella quale l'interesse trova sì vasto campo e preda sì gradita al suo artiglio rapace.
L'AMMINISTRAZIONE

LA RICCHEZZA NEL PRINCIPIO UTILITARIO

SOMMARIO
6. La economica alla moderna — 7. è fondata sull'errore, che felicità è somma di piaceri — 8. Ne siegue l'insaziabilità ragionevole dei piaceri ; — 9. e per conseguenza l'obbligazione di trasricchire — 10. Il fatto conferma le teorie — 11. Idea dell'economia regolata dalla insaziabilità di piaceri — 12. Rettitudine logica degli utilitarii, — 13. preveduta da Aristotele, — 14. non compresa dal Sismondi.
6. E siccome in ogni scienza è sommamente importante determinare chiaramente l'oggetto intorno al quale essa si travaglia, così il primo nostro passo debb'essere di considerare quale idea s'ingeneri sotto l'influenza del principio protestante relativamente alla ricchezza: dal che verrà a chiarirsi che cosa sia la scienza che intorno a lei ragiona, e per quali vie essa debba procedere nella investigazione del suo oggetto e nella determinazione dei suoi principii e delle sue leggi. A tale effetto prendiamo le mosse dal principio utilitario; ed alla sua luce contempliamo la ricchezza, cioè, secondo la consueta definizione, un cumulo di capitali; e dapprima consideriamola nella sua nozione universale per applicarla poscia più particolarmente alla società.
7. Tendere a felicità altro non è, secondo il principio utilitario, che tendere a sentire gradevolmente. Or badate bene che la sensazione nell'uomo è essenzialmente limitata nella intensità e nella durazione: ond'è che altra forma d'infinito non può rivestire, se non quella di indefinita continuità e moltiplicità. L'uomo schiavo del senso s'immagina una continuazione di sensazioni, piacevoli senza limite determinato; ed ecco la felicità infinita quale può adattarsi all'uomo sensuale. Ma, come voi ben vedete, somigliante infinità è un puro inganno; stantechè la sensazione piacevole ebbe un principio ed in ciascun momento della vostra esistenza successiva ha pure un termine: termine progressivo se volete, come progressiva sarà la vostra vita, ma sempre determinante in ciascun momento la somma delle felicità già godute.
8. Il principio utilitario ingenera dunque essenzialmente quell'idea di felicità formolata dai sensisti colla nota definizione: una somma di godimenti: Bentham, Gioia e le scuole da loro figliate furono logicamente coerenti nel dare quella definizione dell'umana felicità. Se questa consiste nel sentire gradevolmente, non può essere se non una somma, ripugnando alla sensazione l'essere infinita nella intensità.
Ma questa somma anch'essa potrà mai essere infinita? certo che no: somma ed infinito son due termini tra loro pugnanti: l'uomo frattanto sente irresistibilmente la sete dell'infinito. Come potrà dunque contentarla nel sistema utilitario? non altrimenti che multiplicando indefinitamente sempre nuovi godimenti. Talmente che dire all'utilitario: È tuo dovere tendere a felicità, vale altrettanto nel suo linguaggio che dirgli: È tuo dovere multiplicare e prolungar quanto puoi i tuoi godimenti; ed è appunto questo, come voi ben sapete, il dovere fondamentale dell'uomo nel sistema utilitario. Vero è che si può sentire gradevolmente praticando la virtù come soddisfacendo i sensi; ma siccome ambedue queste sensazioni son limitate, più felice è l'uomo che ambedue le possiede, di quello che ne possiede una sola; e per conseguenza dovendo ogni uomo tendere alla maggior felicità possibile, più perfettamente adempie il dovere che ambedue le procaccia, che se ne procacciasse una sola,
9. Chi conosce le idee che il mondo formasi oggigiorno della virtù, vedrà chiaramente non aver queste nostre deduzioni bisogno di altra prova; ed accetterà senza ripugnanza la prima mia conclusione: il principio utilitario obbligar l'uomo a procacciarsi la maggior somma possibile di sensazioni gradevoli, così nell'ordine spirituale come nell'ordine sensibile. Or da questo dettame è facile l'inferire quale idea germogli intorno alla ricchezza: giacchè con ogni quantità di ricchezza potendo un individuo procacciarsi una quantità corrispondente di agiatezze e di piaceri [4], l'obbligo di tendere ad ottenere la maggior somma possibile di godimenti si trasforma rigorosamente nell'obbligo di procacciarsi la maggior quantità possibile di ricchezza, almeno fino a quel punto in cui non fa ostacolo ad altri godimenti di ordine morale. I quali non potendo essere impediti se non dal delitto, sarà dovere dell'uomo onesto procacciar quanto più potrà di ricchezze, finchè non giunge a comprarle con qualche delitto.
10. E tali appunto sono i precetti degli economisti che riguardano come inutile anzi nocivo ogni individuo che non si fa produttore indefinitamente; tale l'andamento della società, ove una sete inestinguibile di ricchezze ne incalza perpetuamente tutte le classi a precipitarsi sull'oro divenutone il dio, siccome quello che è il solo emblema, anzi la sola causa, secondo il principio epicureo, del bene infinito. Gli adoratori più franchi e men peritosi di cotesto nume esecrabile professano svergognatamente la lor servitù, ed accendono su pubblici altari i loro incensi; gli animi più onesti o almen verecondi voglion ricchezza per aver qualche superfluo da spandere in benefizio altrui, dopo avere appagato ogni propria brama, e coronar così la buona dose di godimenti sensuali colla giunta del piacere morale. Ma siccome questo medesimo tanto sarà maggiore quanto maggiori sono i benefizi colla riconoscenza e gloria che li accompagna; così il desiderio di far del bene divien nuovo stimolo ad accumular ricchezze, nuovo titolo del d[i]ritto e dovere di arricchire. Qual meraviglia, che sotto tale principio la società sia divenuta un'arena, la concorrenza una giostra, le coscienze una mercanzia? Io mi meraviglio piuttosto, che un avanzo di verecondia ancor si sforzi di velare le concussioni, i peculati, le usure, le venalità dei giudizi, le frodolenze dei contratti e mille altre nequizie autenticate dal principio utilitario generalmente accettato, se non vedessi in ta1 pubblica decenza l'ispirazione segreta dello spirito cattolico, non ancora estinto, a dispetto della logica, nella società europea.
11. Dover di godere indefinitamente, dover di arricchire indefinitamente son dunque conseguenze rigorosamente logiche del principio utilitario; e le ricchezze altro non sono sotto tale influenza se non un mezzo di godimento o di felicità. Vediamo ora qual direzione dovrà prendere sotto le medesime influenze la scienza economica considerata genericamente, prescindendo per ora dalle varie specie in cui può dividersi di economia individuale o domestica o pubblica.
Che cosa intendiamo noi giusta l'etimologia del nome? prendendo l'ὄικος dei Greci nel significato generico di tutto l'avere, economia (νόμος τοῦ ὄικου) sarà la scienza regolatrice degli averi. Or quali norme pare a voi potervi aspettare da codesta regolatrice qualor venga inspirata dal principio utilitario? Non occorre studiarvi a lungo: l'aforismo utilitario ha pronunziato apertamente esser dover dell'uomo l'indefinitamente arricchire per godere indefinitamente. Se dunque l'economia dee regolare l'operar dell'uomo intorno alla ricchezza, sotto gl'influssi di tale aforismo altro non può fare se non insegnargli il modo di aumentare indefinitamente la ricchezza per impiegarla nel godimento [5]. E tale appunto nacque, come ognun sa, questa scienza presso gli utilitarii inglesi, tale poco più poco meno si conservò e progredì lungamente presso tutti i popoli filosofanti in Europa, finchè la gravezza dei mali da lei canonizzati non astrinse alcuni economisti a rivocarne le conseguenze, benchè non penetrassero per lo più fino alla radice per isbarbicarne il principio. L'Economia fu per essi la scienza di produrre e di aumentar la ricchezza.
Vero è che al produrre soggiungevano il distribuire e il consumare; ma con quale intento si trattavano queste altre due parti? sempre coll'intento della maggior produzione possibile, scopo costante di tutte le investigazioni economiche.
E saviamente se miriamo alle leggi di logica, in quanto dovendo tutto ordinarsi all'ultimo fine cioè alla felicità, e tanto maggiore essendo questa quanto è maggiore la quantità di ricchezze; allor sarà giusta la scienza regolatrice delle ricchezze quando insegnerà a produrne la massima quantità possibile.
12. Non deve dunque imputarsi a biasimo della scuola inglese la forma ch'essa diede e le tendenze che inspirò alla pubblica economia: ammesso il principio utilitario essa fu tanto più perfetta nel suo essere di scienza, quanto più rigorose ne dedusse le conseguenze. Ben potrete biasimar l'uomo snaturato che non ne inorridisce; ma la scienza quando concatena inesorabilmente le conseguenze coi loro principii, compie perfettamente le proprie funzioni e merita lode non biasimo.
13. Ed è cosa meravigliosa a considerarsi che quell'antichissimo e sommo tra filosofanti del gentilesimo Aristotele prevedesse già e sviluppasse queste conseguenze del principio utilitario nel primo dei suoi libri politici al capo 9. Ogni arte, dice ivi, non ha limiti nella ricerca del proprio fine; così la medicina vuol sanità, nè mai s'arresterà finchè non l'abbia conseguita in tutta la sua perfezione. All'opposto nell'uso dei mezzi ogni arte ha quei limiti che dal fine suo ultimo le vengon prescritti; nè il medico dà indefinitamente bibite e s[c]iroppi, ma sol quanto basta per ottenere la sanità. Or così accade negli uomini rispetto alle ricchezze: coloro che pensano a vivere con delizia invece di pensare a vivere con onestà, bramano indefinitamente aumentare le ricchezze come mezzo infallibile di aumentare indefinitamente il piacere [6].
Dal che poi siegue, continua lo Stagirita, che tutta l'arte di ben governare gli averi vien da costoro collocata nell'arte di aumentarli, affine di aumentarsi in tal guisa i godimenti [7]: all'opposto chi prende per suo scopo il vivere onestamente, trova un termine alla bramosia di ricchezze, riguardandole solo qual mezzo, di cui tanto egli adopera quanto è necessario al suo scopo.
14. Chi crederebbe avere un pagano potuto conoscere sì chiaramente l'errore dell'economia utilitaria al fioco lume di tradizioni semispente, e di una ragione inferma? Eppure vi è per me un altro fatto più meraviglioso e quasi incomprensibile; ed è che sotto l'influenza del cristianesimo un moderno autore stomacato dai vizî della economia utilitaria, mentre va investigandone le radici e i rimedî, incontratosi in queste profonde ed evidenti verità passa oltre senza fermarvisi [8]: tanto può sugli animi anche perspicaci e retti il principio epicureo non interamente svelto dalla mente ragionatrice!
Trasricchisci: ecco il ragionevole aforismo, conseguenza logica dell'individualismo e naturalismo con cui si pretende ammodernare la società. Ma questo precetto considerato nell'uomo individuo lo porrebbe in un cimento da cui difficilmente saprebbe sbrigarsi, non potendo obbedire al precetto economico senza trasgredire in parte il primo principio della morale epicurea. Conciosiachè un individuo isolato non può trasricchire senza molta fatica, nè faticare assai senza rinunziare a molti godimenti; e così farebbero a calci i due aforismi godi senza limiti: arricchisci senza termine.
Per buona ventura l'uomo è naturalmente sociale, e come tale gode nella conversazione dei suoi simili: tratto poi a conversare con essi, egli si avvede ben presto che dalla loro società può trarre ben altro emolumento che il puro novellar per diletto, potendo dalle loro braccia ottenere il trasricchire senza che la fatica sottragga punto nulla al suo godere ossia alla sua felicità. Ed eccogli interpretato dalla società il perfettissimo accordo dei due aforismi epicurei, che potranno ridursi socialmente alla formola seguente: Vivi nella società in maniera che cedendo ad altrui il meno che puoi del tuo godimento e della tua ricchezza, tu ottenga il più che puoi il loro concorso per goder senza limiti e trasricchir senza termine.
Il mio lettore capirà a prima vista le conseguenze di questo connubio dialettico fra il piacere e la ricchezza: egli vedrà che se io debbo per natura trasricchire per godere, dovrò sforzarmi di riuscirvi senza faticare; per trasricchire senza faticare, dovrò farlo quanto posso colle braccia altrui; trasricchire colle braccia altrui vuol dire spremerne il maximum del lavoro retribuendo il minimum del salario: il minor salario possibile sarà o il vitto giornaliero ad uno schiavo, o il minimo in danaro al manuale. Così dal principio epicureo dee germogliare, o la schiavitù del paganesimo, o il proletariato dell'operaio inglese.
Ma queste inferenze sarebbero affrettate. Noi dovendo qui parlare genericamente intorno all'Economia per preparare le dottrine della Economia sociale, ci contenterem per ora di questo cenno, riserbandone lo sviluppo all'articolo seguente: per ora dalla contemplazione del principio utilitario passeremo al principio opposto, e vedremo quale idea ne risulti di felicità, di ricchezza, di scienza economica [9].

LA RICCHEZZA NEL PRINCIPIO FILOSOFICO

SOMMARIO
15. Idea della ricchezza nella filosofia dell'ordine — 16. L'ordine è bene e felicità dell'uomo in terra — 17. provasi col fatto — 18. non essendovi proporzione fra ordine e ricchezza — 19. La ricchezza è mezzo di sostentamento — 20. Epperò non è dovere aumentarla per sè —21. Idea generica di scienza economica: regola l'uso non la produzione — 22. Obbiezione. L'amor dell'ordine non basta a spronar chi lavora — 23. Risposta. Chi ama l'ordine, non è insensibile al bisogno; — 24. ma lo prende per indizio del dovere.
15. L'uomo tende a felicità significa, secondo la nostra filosofia, l'uomo tende ad impossessarsi di un bene senza fine: questa tendenza tutta obbiettiva viene regolata dal volere del Creatore conosciuto da me colla ragione e non dalla mia inclinazione o dai miei istinti eccitati per la sensazione del bisogno. Indipendente dunque da ogni mia affezione soggettiva, la mia ragione ravvisa un certo ordine di operazioni conformi al disegno universale del Creatore; le quali essendo atte a condurmi al termine da lui prefissomi, sono mezzo per me ad ottenere quel bene infinito, verso cui mi sospinge natura. Quest'ordine di azioni dirette a tal fine, è ciò ch'io chiamo l'ordine morale; e la filosofia morale che lo prende per guida dei suoi giudizi, è quella ch'io chiamo filosofia dell'ordine.
16. Il quale essendo mezzo come abbiam detto per giungere al bene obbiettivo onde sarem beati, diviene un bene esso medesimo, come bene è ogni mezzo utile ad un bene finale. Anzi per l'uomo pellegrinante sulla terra, l'ordine può dirsi il sommo o piuttosto l'unico vero bene della sua esistenza passaggiera, come il sommo bene del viandante, in quanto viandante, è tuttociò che gli agevola il pervenire al termine di suo viaggio. Prego il mio lettore di ben meditare questa importantissima verità, dimostrata e sviluppata in altri articoli del nostro periodico; perciocchè se egli non la comprende ad evidenza e vivamente non se ne persuade, inutile gli tornerà tuttociò che sarò per dire in appresso intorno alla filosofia delle scienze economiche. Le quali mai non ripiglieranno, a parer mio, il retto loro andamento, finchè gli economisti non abbiano adottato come irrefragabile assioma che il bene dell'uomo sulla terra, bene sommo, bene unico è l'ordine: l'ordine nell'uso delle facoltà sue individuali, l'ordine delle relazioni sociali. E quando dico l'unico bene dico per conseguenza l'unica felicità, giacchè per l'uomo ragionevole, come testè dicemmo, felicità è il conseguimento del bene. Talmente che quando si dice dell'uomo viatore che egli tende a felicità, quest'assioma può tradursi in quest'altro: l'uomo viatore tende per natura, come a suo fine qui in terra, insaziabilmente all'ordine. Ogni bene materiale potrà a tale scopo riuscirgli utile in qualità di mezzo; ma lo scopo ultimo, il compimento di sue brame in quanto egli è ragionevole è l'ordine, il giusto, l'onesto: voci tutte all'uopo nostro poco men che sinonime.
17. E che così sia veramente nel fatto voi potete evidentemente conoscerlo nell'orrore cagionato irresistibilmente in ogni animo retto da qualsivoglia specie d'ingiustizia o di disordine. Salvo il caso di una qualche passione o interesse che trasvii la ragione (nel qual caso agente dell'opera non è più l'uom ragionevole), in ogni altra circostanza l'ingiustizia, il disordine produce nell'animo nostro una impressione a lui ripugnante; come ripugna alla intelligenza una proposizione evidentemente falsa od assurda. Anzi anche nell'atto che altri opera malamente strascinato da qualunque passione o interesse vedete di qual rossore si copre! quant'arte usa per nascondersi agli occhi! quanta ipocrisia per mascherarsi alla perspicacia di chi lo mira! quante scuse per dare ad intendere un'intenzione retta nell'atto che sente internamente il rimorso del suo disordine! vi è egli mai per un uom non corrotto una qualche voluttà malvagia che non venga attossicata da codesti palpiti di rossore, di rimorso, d'ipocrisia, omaggi involontarii di un'anima traviante al sublime impero dell'ordine? Quando dunque vi dico esser l'ordine l'unica felicità dell'uomo sulla terra, vi presento un fatto confermato dall'esperienza non meno che dimostrato dalle teorie; nè credo mestieri di arrestarmici ulteriormente per ottenere dagli animi retti a cui parlo l'assenso de me poc'anzi richiesto, senza cui vario riuscirebbe il progredire nelle dottrine.
18. Ma se ebbi la sorte di ottenerlo, vedrà tosto il lettore qual sia l'idea di ricchezza derivata da tal concetto di felicità. L'ordine può egli comprarsi? È ridicola la dimanda! L'ordine può egli dividersi in particelle e distribuirsi così sminuzzato fra gl'individui? Nuova ridicolezza, giacchè dicesi ordine l'immensa unità che abbraccia tutte le relazioni dell'universo. Non vi è dunque proporzione di natura o di quantità, nè somiglianza di divisione fra il ben morale dell'ordine e il bene materiale degli averi. Per conseguenza il dovere di tendere a felicità non può qui trasformarsi nel dovere di aumentar la ricchezza.
19. Sotto quale aspetto si presenta ella dunque la ricchezza nella filosofia dell'ordine? o in altri termini, quale intento ebbe il Creatore nel fornire all'uomo degli averi materiali, se noi consultiamo l'armonia delle relazioni fra gli uomini e le cose? Io veggo che l'uomo senza averi materiali non si sostenta; nè è capace di concorrere coll'opera a perfezionare i disegni confidati dal Creatore alla libera operazione di lui. Gli averi sono dunque in questa filosofia un mezzo di sostentamento e di operazione; non già di piacere: un presupposto all'azione non già una causa di felicità; un rimedio dell'infermità, non una delizia per sè appetibile.
Vero è che l'uomo animalesco al par dei bruti viene tratto al cibo e all'operare da un appetito, che soddisfatto recherà diletto; ma l'uom ragionevole ravvisa nell'appetito e nel diletto un puro sussidio della volontà, affinchè men le ripugni il sostentarsi e l'operare, in quella guisa che nei bruti l'appetito è un sussidio della ragion divina che li guida con tal mezzo a continuar la loro esistenza e propagarla. Mirabile providenza che innalza l'uomo a fare sulla parte animalesca nel picciolo suo mondo quelle funzioni medesime che fa sugli animali nel mondo universo la Ragion divina; sublimandolo così a partecipare la divina grandezza e padronanza sulla materia.
20. Che se la ricchezza è un mezzo, il procacciarne tanto quanta è necessario allo scopo di sostentarsi ed operare ragionevolmente, sarà il dovere dettato intorno agli averi dalla filosofia dell'ordine. E dico ragionevolmente, perchè le relazioni naturali fra l'uomo e le cose ci dimostrano non ogni mezzo qualunque essere atto ugualmente per fornire all'uomo e mantenergli le forze del corpo e della mente: e così il dovere di sostentarsi e di operare include insieme, secondo l'ordine di natura, la scelta dei mezzi più opportuni nelle varie circostanze di età, di professione, di temperamento, di relazioni sociali ecc. ecc. Il temperamento gracile, le contemplazioni mentali richiederanno un vitto men grossolano, un'abitazione più agiata: all'opposto i temperamenti robusti, le occupazioni meccaniche potranno contentarsi di minori agiatezze. Dal che vi si fa chiaro il principio ragionevole di quelle diversità che occorrono nel trattamento delle varie classi e condizioni sociali. Il grosso volgo e molto più il volgo epicureo, trova naturalissimo che il ricco si dia bel tempo e goda: e che altro cercava egli quando procacciò d'arricchire? Ma se tu guardi l'uso delle ricchezze colla ragione, le carezze del corpo non hanno il lor perchè nella ricchezza o nell'appetito, ma unicamente nell'essere conducenti al compimento delle funzioni per cui la Provvidenza ci collocò sulla terra. Ecco l'idea di ricchezza secondo la filosofia dell'ordine.
21. Or da questa idea di ricchezza, ridotta ad essere mezzo di decente sostentamento e di utile operazione, è facile il comprendere sotto quale aspetto ci si presenti la scienza economica. Essa de[v]e, come sopra si disse, regolar l'uomo nell'uso degli averi: se gli averi altro non sono che mezzo necessario di decente sostentamento e di utile operazione, Economia sarà la scienza che insegna ad impiegar gli averi per modo che l'uomo sia decentemente sostentato ed operi secondo sua natura. Lo scopo del sostentamento decente e del socievole operare sarà dunque voluto dall'uomo ed insegnato dal filosofo assolutamente; ma i mezzi di ricchezza saran voluti ed usati tanto solo, quanto allo scopo del vivere onesto e naturalmente socievole saran necessarii. L'aumento indefinito della ricchezza, sì vantato e raccomandato dagli economisti, divien qui dunque un assurdo, come assurdo sarebbe se il medico raccomandasse all'infermo di provvedersi, ed applicarsi indefinitamente medicine e vescicanti; e il noto aforismo economico: moltiplicate i bisogni del lusso per favorire l'aumento di produzione apparisce nella nostra teoria così assurdo come in bocca di un medico quest'altro: moltiplicate le malattie per favorir la produzione dei farmacisti. Qual meraviglia che una teoria economica inducente a proposizioni sì assurde abbia formata la sventura dei popoli cui venne applicata?
22. Ma io mi avveggo presentarsi qui tosto all'animo prevenuto di chi bevve a men pure sorgenti la dottrina economica, una tremenda obbiezione. «Togliere alla produzione lo sprone del bisogno, l'allettamento del piacere! sogni ascetici di chi non conosce l'uomo nella realtà, ma sol nelle sue contemplazioni! Limitar la produzione al puro sostentamento e all'opera! Voi intendete dunque di tornar la società moderna alle tende di Abramo ed alla età patriarcale?» A misura che verremo sviluppando le conseguenze della nostra teoria, comprenderà facilmente il lettore ammettersi da noi tutti gl'incrementi di civile coltura, e ricusarsi soltanto quel lusso che produce l'immenso squilibrio tra le classi agiate e le povere ond'è travagliata là società presente! Ma siccome ciò appartiene all'Economia sociale, ed io sto parlando generalmente della universale idea di economia, non posso risponder per ora più estesamente alla seconda parte della difficoltà. Solo farò osservare che essendo l'uomo naturalmente socievole, e per[ci]ò chiamato a promuovere in altrui come in sè medesimo gl'intenti del Creatore, il debito di operare non lo costringe soltanto a lavorar per sè, ma lo spinge inoltre sotto molti riguardi a faticar per altrui: questo faticare poi mentre giova col ricambio vicendevole, mette l'uomo nella necessità di operare sull'universo materiale, ed operandovi incita a nuovi esplicamenti le forze dell'individuo con perfezione sempre crescente. Dal che tu vedi come le ragioni finali del Creatore rendono attivo l'uom ragionevole sì pel debito che egli ha verso di sè medesimo di sostentarsi e perfezionarsi, sì pel debito verso gli altri a cui lo congiunge o giustizia o benevolenza: e questo doppio impulso lo conduce naturalmente a soggiogare e perfezionare tutta la terra a lui data in retaggio dal Creatore, adoperandosi quanto può non sol per la propria, ma eziandio per la sostentazione ed agiatezza degli uomini tutti e specialmente dei più necessitosi. Ma di questo più a lungo altra volta.
23. In quanto alla prima parte della difficoltà, è facile l'osservare che quando il filosofo suggerisce all'uomo i dettati di ragione, non lo sottrae per[ci]ò agl'incitamenti del senso: anzi avendo noi riguardato poc'anzi il bisogno ed il piacere come sussidii della volontà ragionevole, abbiamo dovuto accettarne le impressioni e trarne profitto, come altrove l'abbiam tratto dalla intolleranza del volgo a freno dei governanti [10]. Nel dire all'uomo: Tu de[v]i procacciar ricchezze per sostentarti non l'abbiam fatto esente della fame e dal freddo; ma lasciandogli questi stimoli dell'uomo animalesco, un altro ne abbiamo aggiunto smisuratamente più gagliardo per l'uom ragionevole, rialzandolo così dalla condizion di bruto, a cui gli avversarii vorrebbero condannarlo. Tu senti il bisogno, gli abbiam detto, e questo tuo bisogno è stimolo a soddisfarti: ma la tua volontà è ella legata da tale stimolo irresistibilmente? No! tu potresti resistere all'impulso se questo non ti additasse una legge di Dio medesimo. Ma se tu ben rifletti, comprenderai da siffatto impulso volersi dal Creatore che ti sostenti ed operi. Or a tal volere puoi tu ragionevolmente resistere?
24. La nostra teoria congiunge dunque tutti i vantaggi del sistema utilitario, aggiungendovi nuova forza, guidandolo per le vie dell'ordine e sublimandolo a grandezza da lui prima non conosciuta; ma la teoria filosofica è un puro substratum della teoria cattolica: il cattolicismo nell'abbassarsi dalle superne regioni sulla creta di nostra natura opera quello appunto che il raggio del sole sulla bassa materia del mondo, rivestendola di nuove bellezze, dotandola di nuova attività, di cui non sarebbe stata capace finchè durava corrotta sotto il predominio del principio epicureo. Finchè l'uomo dice: sentir gradevolmente è la mia felicità, l'abbrutito suo cuore è inaccessibile ai celestiali influssi [11]; ma tostochè valicando dal senso all'intelligenza ha saputo pronunziare: oggetto di mia felicità è un: bene infinito: felicità mia presente è l'ordine con cui vi tendo, allora egli ha aperto il suo cuore alle vie della grazia [12], lo ha reso materia adatta a riceverne le impressioni; e il lavorio della grazia incomincia senza che sia necessario distruggere l'opera naturale formata nel primordi del mondo dalla virtù creatrice. E qual sarà sotto le influenze di tal lavorìo l'idea di ricchezze e per conseguenza l'idea di Scienza economica? Lo spiegheremo nel venturo quaderno.
[CONTINUA]

NOTE:

[1] Capirà il Costituzional pontificio che l'argomento della Civiltà Cattolica non è mancante di ogni valore scientifico, quando col Post hoc ossia col fatto conferma una teoria già dimostrata. Così fa ogni buon filosofo; così l'Europa attonita credette confermati dalla scoperta del Newton i calcoli del Leverrier. E l'Europa non manca sempre di logica benchè combatta talora gli statutisti ossia l'universale o il mondo illuminato, come essi talora per distrazione sogliono appellarsi. V. la Miscellanea di Firenze pag. 193. 221 ecc.
[2] V. nella Miscellanea il Costituzionale pontificio pag, 224 e segg.
[3] Discorso fatto dall'Avv. Conforti all'Accademia di Filosofia Italica intorno alle proprietà.
[4] Chaque portion de richesse a une portion correspondant de bonheur. Bentham tom. 1 pag. 60.
[5] Le cose in mezzo a cui vive (l'uomo), considerate come atte ad essere o a divenire mezzi di soddisfazione per lui ... lo studio delle quali forma l'oggetto della scienza economica. Scialoia, Economia sociale, Sez. I, cap. I, §. I.
[6] Cum sit infinita cupiditas illa, fit ut etiam efficientia vitae voluptuariae infinita concupiscant. Arist. 1. Politic. cop. 9, Trad. Lambino.
[7] Quaerunt unde .... voluptatibus corporis perfrui possint. Itaque quoniam hoc in rerum partarum possessione inesse videtur omnis eorum opera .... in pecunia quaerenda consumitur. Ibi cap. 10.
[8] Sismondi, Nuovi principii d'Economia polit. lib. I. cap. 3.
[9] Sismondi, Nuovi princ. di Econ. polit. lib, I. cap. 3.
[10] V. Civiltà Cattolica Vol. V. pag. 34 e segg.
[11] Animalis homo non percipit ea quae sunt spiritus Dei. [I Cor. II, 14. N.d.R.]
[12] Il Concilio di Trento ricerca qual condizione del perdono che il penitente incominci ad amar Dio tamquam totius iustitiae fontem. [Conc. Trid. Sess. VI (13. Ian. 1547). Decretum de iustificatione, cap. 6, DB 798. N.d.R.]

Nessun commento:

Posta un commento

La moderazione dei commenti è attiva.