L'AMMINISTRAZIONE PUBBLICA - LA RICCHEZZA (I)
R.P. Luigi Taparelli D'Azeglio d.C.d.G.
La Civiltà Cattolica anno II, vol. VII, Roma 1851 pag. 401-417.
PRELIMINARI
SOMMARIO
1. Divario fra amministrazione e governo — 2. Si ricorda
il governo ammodernato — 3. e le sue conseguenze — 4.
L'amministrazione si guida colla scienza — S. Checchè ne
dicano gli utilitarii moderati.
1. Le persone si governano, le
cose si amministrano. È questa la espressione consueta
dettata dal senso comune agli animi retti, benchè non sia mancato
talvolta chi abbia voluto (e secondo [il principio] utilitario
non aveva il torto come vedremo) confondere e persone
e cose sotto il
comun vocabolo di Amministrazione.
La differenza per altro è enorme: l'Amministrazione versa intorno
alle sostanze irragionevoli e per[ci]ò incapaci di
lor natura di resistere agl'impulsi; il governo si rivolge ad enti
ragionevoli e per conseguenza liberi: l'arte di chi amministra
consiste nel far muovere,
l'arte di chi governa mira principalmente a far
volere.
2. Negli ultimi due articoli ho dimostrata la valentìa dei
nostri ammodernatori nel far sì che i sudditi vogliano
obbedire: essi hanno, trovato a tal uopo quello spediente non
men sublime e nuovo che logico e liberale. «Mettiamo, han detto,
il governante in tal condizione che sia riguardato dal popolo come un
nemico da atterrarsi, come un buffone da deridersi; ed a fronte della
moltitudine assalitrice, facciamo che egli perda ogni forza di
diritto, ogni speranza di arrivare al domane; e non dubitate! il
governante si troverà nella più favorevole delle condizioni
per fare che il popolo voglia obbedire, per
amore (già s'intende) di quella patria che più non
si sa dove alberghi.»
3. Non dubito, lettor cortese, che avrai dato il buon pro a codeste
sublimi intelligenze politiche, ed avrai capito quanto sieno ingiusti
i retrogradi quando pretendono, col consueto loro argomento Post hoc, ergo propter hoc [1], attribuire ai costituzionali ammodernati la
colpa di quel mal animo, di quelle interminabili discordie, di quella
opposizione sistematica, di quell'alternar perpetuo dei ministri e dei
ministeri, che lancia i popoli ammodernati quasi per divertirli
nell'arena, e li avvezza alle barricate e ai cannoni come in altri
tempi ai gladiatori ed agli anfiteatri. Il popolo si secca per la
monotonia, l'udimmo più volte; ci vuole un paio di gloriose
giornate o una guerra europea per divertirlo: altrimenti come si
stamperanno i giornali o di che parleranno essi?
Questa brutalità di un popolo sempre irrequieto, questa formola
novella, ma più sanguinaria del Panem
et circenses, tu ti sarai ben guardato dall'attribuirla a
quel mirabile meccanismo, in cui si racchiude l'unico
mezzo di ben governare gli uomini [2].
E se dapertutto, al parere del Balbo e del Melegari, le Costituzioni
del continente (vale a dire tutte le ammodernate) hanno prodotto quei
frutti appunto, che gl'ingegni grossolani credono doversi produrre in
un popolo persuaso di non dovere obbedire al potere che come a nemico,
da ministri persuasi di non potere nè comandare a quel popolo
nè resistergli; tu avrai benissimo compreso che codesto fatto
costante è una pura combinazione fortuita che non deve
attribuirsi agli Statuti. Mi maraviglio! una tale combinazione
fortuita dura in Francia da sessant'anni non già
perchè quel paese ha calpestata l'idea cattolica, ma perchè
quel popolo è leggiero; si manifesta in tutte le costituzioni
germaniche, ma perchè quel popolo è troppo grave e
metafisico; tormenta la Spagna da quarant'anni, ma perchè il
popolo fu abbrutito dalla Inquisizione; ha messo a fuoco e sangue
l'Italia, ma perchè ha durato troppo poco. Oh! se il Re di
Napoli, il Papa, il Duca grande e i minori un po' più fedeli ai
giuramenti che non prestarono e a quelli che i rivoluzionarii furono i
primi a violare, fossero tornati a felicitare i popoli di quella
sovranità usata da questi sì sobriamente, e ad esporre i
portafogli alla concorrenza del più furbo che seduce, del
più ricco che compra, del più fazioso e audace che strappa i
suffragi: oh! sì! l'età dell'oro incominciava allor per
l'Italia colla età del sacrifizio: il popolo avrebbe voluto
obbedire benchè sovrano; i ministri avrebber saputo comandare
benchè impotenti.
La capisci tu codesta profonda politica? Or bene: fanne tesoro; ed io
passerò a considerare l'Amministrazione pubblica, posta al solito
sotto l'influenza di quel tal principio d'indipendenza eterodossa, che
abbiam nomato Idea ammodernatrice.
4. Ma tu sai, lettor mio, che la pubblica amministrazione si guida a'
giorni nostri con principii scientifici, e con un meccanismo di
ufficiali indirizzati da codesti principii. Non siamo più a quei
tempi quando
. . . . in Lamagna
Re Carlo era attendato alla campagna,
e da quella tenda scriveva ai suoi intendenti come dovessero
regolarsi nel vendere le uova e nel curare i pulcini sotto la
chioccia. La economia politica è divenuta la regola degli
amministratori; e per comprendere fondatamente quel che sarà
l'Amministrazione ammodernata, conviene prima chiarire quale divenga
sotto l'Idea ammodernatrice
la Scienza economica. Fa dunque di ricordarti i principii da noi
chiariti della società ammodernata: Ogni
individuo è indipendente nel pensare; Il pensiero indipendente
scambia nella pluralità del volgo le propensioni anche guaste
colla natura; La natura dunque a modo suo vuol godere; Il governo
dee soddisfare agli istinti di natura. Applichiamo questi
principii alla Scienza della ricchezza sociale per dedurne poscia
l'operare degli amministratori e dei popoli, guidati da siffatta
scienza; e cominciamo dal paragonare le idee e i dettami forniti
dall'individualismo protestante, trasformato in egoismo morale, colle
idee e i dettami germinanti in questa sì vasta ed importante
materia dai documenti della retta filosofia e del cattolicismo.
5. Non ignoriamo che alcuni economisti credono oggidì
abbandonata, anzi morta irrevocabilmente la morale dell'interesse [3]; ma noi dubitiamo forte che
tali pareri nascano piuttosto dalla bontà di animi onesti, che
dalla giusta estimazione delle dottrine; conoscendo pur troppo quanto
sien pochi coloro che si formano una giusta idea del principio
utilitario considerato nelle più profonde sue radici. Declamano
costoro contro la morale dell'interesse riprovando che si derivi la
giustizia dall'utile; ma non sempre avvertono esser cosa impossibile,
almeno in società, assegnarle altra origine, se non si forma una
coscienza veramente pubblica; impossibile una coscienza veramente
pubblica se non sotto i dettati di autorità cattolica. Tutti
dunque coloro, che parteggiano per l'assoluta libertà delle
coscienze, della parola, della stampa, dell'insegnamento, ben potranno
per una onesta velleità abbominare la morale dell'interesse; ma
se tu chiedi loro una base del d[i]ritto certa,
irrefragabile, per tutta la società, o non sapranno che si dire o
ricorreranno alla falsa nozione del bene pubblico, da noi altrove
confutata, confondendolo coll'interesse dei più.
Le dottrine dunque dell'interesse, regolatrici malaugurate delle
società alla moderna, meritano i primi nostri sguardi in questa
materia, nella quale l'interesse trova sì vasto campo e preda
sì gradita al suo artiglio rapace.
L'AMMINISTRAZIONE
LA RICCHEZZA NEL PRINCIPIO UTILITARIO
SOMMARIO
6. La economica alla moderna — 7. è fondata
sull'errore, che felicità è somma di piaceri — 8. Ne
siegue l'insaziabilità ragionevole
dei piaceri ; — 9. e per conseguenza l'obbligazione
di trasricchire — 10. Il fatto conferma le teorie — 11.
Idea dell'economia regolata dalla insaziabilità di piaceri
— 12. Rettitudine logica degli utilitarii, — 13.
preveduta da Aristotele, — 14. non compresa dal Sismondi.
6. E siccome in ogni scienza è sommamente importante determinare
chiaramente l'oggetto intorno al quale essa si travaglia, così il
primo nostro passo debb'essere di considerare quale idea s'ingeneri
sotto l'influenza del principio protestante relativamente alla ricchezza: dal che verrà a
chiarirsi che cosa sia la scienza che intorno a lei ragiona, e per
quali vie essa debba procedere nella investigazione del suo oggetto e
nella determinazione dei suoi principii e delle sue leggi. A tale
effetto prendiamo le mosse dal principio utilitario; ed alla sua luce
contempliamo la ricchezza, cioè, secondo la consueta definizione,
un cumulo di capitali; e
dapprima consideriamola nella sua nozione universale per applicarla
poscia più particolarmente alla società.
7. Tendere a felicità altro non è, secondo il principio
utilitario, che tendere a sentire
gradevolmente. Or badate bene che la sensazione nell'uomo
è essenzialmente limitata nella intensità e nella durazione:
ond'è che altra forma d'infinito non può rivestire, se non
quella di indefinita continuità e moltiplicità. L'uomo
schiavo del senso s'immagina una continuazione di sensazioni,
piacevoli senza limite determinato; ed ecco la felicità infinita
quale può adattarsi all'uomo sensuale. Ma, come voi ben vedete,
somigliante infinità è un puro inganno; stantechè la
sensazione piacevole ebbe un principio ed in ciascun momento della
vostra esistenza successiva ha pure un termine: termine progressivo se
volete, come progressiva sarà la vostra vita, ma sempre
determinante in ciascun momento la somma delle felicità già
godute.
8. Il principio utilitario ingenera dunque essenzialmente
quell'idea di felicità formolata dai sensisti colla nota
definizione: una somma di
godimenti: Bentham, Gioia e le scuole da loro figliate furono
logicamente coerenti nel dare quella definizione dell'umana
felicità. Se questa consiste nel sentire gradevolmente, non
può essere se non una somma,
ripugnando alla sensazione l'essere infinita nella intensità.
Ma questa somma anch'essa potrà mai essere infinita? certo che
no: somma ed infinito
son due termini tra loro pugnanti: l'uomo frattanto sente
irresistibilmente la sete dell'infinito. Come potrà dunque
contentarla nel sistema utilitario? non altrimenti che multiplicando
indefinitamente sempre nuovi godimenti. Talmente che dire
all'utilitario: È tuo dovere
tendere a felicità, vale altrettanto nel suo linguaggio
che dirgli: È tuo dovere
multiplicare e prolungar quanto puoi i tuoi godimenti; ed
è appunto questo, come voi ben sapete, il dovere fondamentale
dell'uomo nel sistema utilitario. Vero è che si può sentire
gradevolmente praticando la virtù come soddisfacendo i sensi; ma
siccome ambedue queste sensazioni son limitate, più felice è
l'uomo che ambedue le possiede, di quello che ne possiede una sola; e
per conseguenza dovendo ogni uomo tendere alla maggior felicità
possibile, più perfettamente adempie il dovere che ambedue le
procaccia, che se ne procacciasse una sola,
9. Chi conosce le idee che il mondo formasi oggigiorno della
virtù, vedrà chiaramente non aver queste nostre deduzioni
bisogno di altra prova; ed accetterà senza ripugnanza la prima
mia conclusione: il principio utilitario obbligar l'uomo a
procacciarsi la maggior somma possibile di sensazioni gradevoli,
così nell'ordine spirituale come nell'ordine sensibile. Or da
questo dettame è facile l'inferire quale idea germogli intorno
alla ricchezza:
giacchè con ogni quantità di ricchezza potendo un individuo
procacciarsi una quantità corrispondente di agiatezze e di
piaceri [4], l'obbligo di tendere
ad ottenere la maggior somma possibile di godimenti si trasforma
rigorosamente nell'obbligo di procacciarsi la maggior quantità
possibile di ricchezza, almeno fino a quel punto in cui non fa
ostacolo ad altri godimenti di ordine morale. I quali non potendo
essere impediti se non dal delitto, sarà dovere dell'uomo onesto
procacciar quanto più potrà di ricchezze, finchè non
giunge a comprarle con qualche delitto.
10. E tali appunto sono i precetti degli economisti che riguardano
come inutile anzi nocivo ogni individuo che non si fa produttore
indefinitamente; tale l'andamento della società, ove una sete
inestinguibile di ricchezze ne incalza perpetuamente tutte le classi a
precipitarsi sull'oro divenutone il dio, siccome quello che è il
solo emblema, anzi la sola causa, secondo il principio epicureo, del
bene infinito. Gli adoratori più franchi e men peritosi di
cotesto nume esecrabile professano svergognatamente la lor
servitù, ed accendono su pubblici altari i loro incensi; gli
animi più onesti o almen verecondi voglion ricchezza per aver
qualche superfluo da spandere in benefizio altrui, dopo avere appagato
ogni propria brama, e coronar così la buona dose di godimenti
sensuali colla giunta del piacere morale. Ma siccome questo medesimo
tanto sarà maggiore quanto maggiori sono i benefizi colla
riconoscenza e gloria che li accompagna; così il desiderio di far
del bene divien nuovo stimolo ad accumular ricchezze, nuovo titolo del
d[i]ritto e dovere di arricchire. Qual meraviglia, che
sotto tale principio la società sia divenuta un'arena, la
concorrenza una giostra, le coscienze una mercanzia? Io mi meraviglio
piuttosto, che un avanzo di verecondia ancor si sforzi di velare le
concussioni, i peculati, le usure, le venalità dei giudizi, le
frodolenze dei contratti e mille altre nequizie autenticate dal
principio utilitario generalmente accettato, se non vedessi in ta1
pubblica decenza l'ispirazione segreta dello spirito cattolico, non
ancora estinto, a dispetto della logica, nella società europea.
11. Dover di godere indefinitamente, dover di arricchire
indefinitamente son dunque conseguenze rigorosamente logiche del
principio utilitario; e le ricchezze altro non sono sotto tale
influenza se non un mezzo di godimento o di felicità. Vediamo ora
qual direzione dovrà prendere sotto le medesime influenze la scienza economica considerata
genericamente, prescindendo per ora dalle varie specie in cui può
dividersi di economia individuale o domestica o pubblica.
Che cosa intendiamo noi giusta l'etimologia del nome? prendendo
l'ὄικος dei Greci nel significato generico
di tutto l'avere, economia
(νόμος τοῦ
ὄικου) sarà la scienza
regolatrice degli averi. Or quali norme pare a voi potervi
aspettare da codesta regolatrice qualor venga inspirata dal principio
utilitario? Non occorre studiarvi a lungo: l'aforismo utilitario ha
pronunziato apertamente esser dover dell'uomo l'indefinitamente
arricchire per godere indefinitamente. Se dunque l'economia dee
regolare l'operar dell'uomo intorno alla ricchezza, sotto gl'influssi
di tale aforismo altro non può fare se non insegnargli il modo di
aumentare indefinitamente la
ricchezza per impiegarla nel godimento [5].
E tale appunto nacque, come ognun sa, questa scienza presso gli
utilitarii inglesi, tale poco più poco meno si conservò e
progredì lungamente presso tutti i popoli filosofanti
in Europa, finchè la gravezza dei mali da lei
canonizzati non astrinse alcuni economisti a rivocarne le conseguenze,
benchè non penetrassero per lo più fino alla radice per
isbarbicarne il principio. L'Economia fu per essi la scienza di produrre e di aumentar
la ricchezza.
Vero è che al produrre soggiungevano
il distribuire e il consumare; ma con quale intento
si trattavano queste altre due parti? sempre coll'intento della
maggior produzione possibile, scopo costante di tutte le
investigazioni economiche.
E saviamente se miriamo alle leggi di logica, in quanto dovendo tutto
ordinarsi all'ultimo fine cioè alla felicità, e tanto
maggiore essendo questa quanto è maggiore la quantità di
ricchezze; allor sarà giusta la scienza regolatrice delle
ricchezze quando insegnerà a produrne la massima quantità
possibile.
12. Non deve dunque imputarsi a biasimo della scuola inglese la forma
ch'essa diede e le tendenze che inspirò alla pubblica economia:
ammesso il principio utilitario essa fu tanto più perfetta nel
suo essere di scienza, quanto più rigorose ne dedusse le
conseguenze. Ben potrete biasimar l'uomo snaturato che non ne
inorridisce; ma la scienza quando concatena inesorabilmente le
conseguenze coi loro principii, compie perfettamente le proprie
funzioni e merita lode non biasimo.
13. Ed è cosa meravigliosa a considerarsi che
quell'antichissimo e sommo tra filosofanti del gentilesimo Aristotele
prevedesse già e sviluppasse queste conseguenze del principio
utilitario nel primo dei suoi libri politici al capo 9. Ogni arte,
dice ivi, non ha limiti nella ricerca del proprio fine; così la
medicina vuol sanità, nè mai s'arresterà finchè
non l'abbia conseguita in tutta la sua perfezione. All'opposto
nell'uso dei mezzi ogni arte ha quei limiti che dal fine suo ultimo le
vengon prescritti; nè il medico dà indefinitamente bibite e
s[c]iroppi, ma sol quanto basta per ottenere la
sanità. Or così accade negli uomini rispetto alle ricchezze:
coloro che pensano a vivere con delizia invece di pensare a vivere con
onestà, bramano indefinitamente aumentare le ricchezze come mezzo
infallibile di aumentare indefinitamente il piacere [6].
Dal che poi siegue, continua lo Stagirita, che tutta l'arte di ben
governare gli averi vien da costoro collocata nell'arte di aumentarli,
affine di aumentarsi in tal guisa i godimenti [7]:
all'opposto chi prende per suo scopo il vivere onestamente, trova un
termine alla bramosia di ricchezze, riguardandole solo qual mezzo, di
cui tanto egli adopera quanto è necessario al suo scopo.
14. Chi crederebbe avere un pagano potuto conoscere sì
chiaramente l'errore dell'economia utilitaria al fioco lume di
tradizioni semispente, e di una ragione inferma? Eppure vi è per
me un altro fatto più meraviglioso e quasi incomprensibile; ed
è che sotto l'influenza del cristianesimo un moderno autore
stomacato dai vizî della economia utilitaria, mentre va
investigandone le radici e i rimedî, incontratosi in queste
profonde ed evidenti verità passa oltre senza fermarvisi [8]: tanto può sugli animi anche perspicaci e
retti il principio epicureo non interamente svelto dalla mente
ragionatrice!
Trasricchisci: ecco
il ragionevole aforismo, conseguenza logica dell'individualismo
e naturalismo con
cui si pretende ammodernare la società. Ma questo precetto
considerato nell'uomo individuo lo porrebbe in un cimento da cui
difficilmente saprebbe sbrigarsi, non potendo obbedire al precetto economico senza trasgredire in
parte il primo principio della morale epicurea. Conciosiachè un
individuo isolato non può trasricchire senza molta fatica,
nè faticare assai senza rinunziare a molti godimenti; e così
farebbero a calci i due aforismi godi
senza limiti: arricchisci senza termine.
Per buona ventura l'uomo è naturalmente sociale, e come tale gode nella conversazione dei
suoi simili: tratto poi a conversare con essi, egli si avvede ben
presto che dalla loro società può trarre ben altro
emolumento che il puro novellar per diletto, potendo dalle loro
braccia ottenere il trasricchire senza che la fatica sottragga punto
nulla al suo godere ossia alla sua felicità. Ed eccogli
interpretato dalla società il perfettissimo accordo dei due
aforismi epicurei, che potranno ridursi socialmente alla formola
seguente: Vivi nella società
in maniera che cedendo ad altrui il meno che puoi del tuo godimento
e della tua ricchezza, tu ottenga il più che puoi il loro
concorso per goder senza limiti e trasricchir senza termine.
Il mio lettore capirà a prima vista le conseguenze di questo
connubio dialettico fra il piacere
e la ricchezza: egli
vedrà che se io debbo per natura trasricchire
per godere, dovrò sforzarmi di riuscirvi senza faticare;
per trasricchire senza faticare, dovrò farlo quanto posso colle
braccia altrui; trasricchire colle braccia altrui vuol dire spremerne
il maximum del lavoro
retribuendo il minimum del
salario: il minor salario possibile sarà o il vitto giornaliero
ad uno schiavo, o il minimo in danaro al manuale. Così dal
principio epicureo dee germogliare, o la schiavitù del
paganesimo, o il proletariato dell'operaio inglese.
Ma queste inferenze sarebbero affrettate. Noi dovendo qui parlare
genericamente intorno all'Economia
per preparare le dottrine della Economia
sociale, ci contenterem per ora di questo cenno, riserbandone
lo sviluppo all'articolo seguente: per ora dalla contemplazione del
principio utilitario passeremo al principio opposto, e vedremo quale
idea ne risulti di felicità,
di ricchezza, di scienza
economica [9].
LA RICCHEZZA NEL PRINCIPIO FILOSOFICO
SOMMARIO
15. Idea della ricchezza nella filosofia dell'ordine —
16. L'ordine è bene e felicità dell'uomo in terra —
17. provasi col fatto — 18. non essendovi proporzione fra
ordine e ricchezza — 19. La ricchezza è mezzo di
sostentamento — 20. Epperò non è dovere aumentarla
per sè —21. Idea generica di scienza economica: regola
l'uso non la produzione — 22. Obbiezione. L'amor dell'ordine
non basta a spronar chi lavora — 23. Risposta. Chi ama
l'ordine, non è insensibile al bisogno; — 24. ma lo
prende per indizio del dovere.
15. L'uomo tende a felicità significa, secondo la nostra
filosofia, l'uomo tende ad impossessarsi di un bene senza fine: questa
tendenza tutta obbiettiva viene regolata dal volere del Creatore
conosciuto da me colla ragione e non dalla mia inclinazione o dai miei
istinti eccitati per la
sensazione del bisogno. Indipendente dunque da ogni mia affezione
soggettiva, la mia ragione ravvisa un certo ordine di operazioni
conformi al disegno universale del Creatore; le quali essendo atte a
condurmi al termine da lui prefissomi, sono mezzo per me ad ottenere
quel bene infinito, verso cui mi sospinge natura. Quest'ordine di
azioni dirette a tal fine, è ciò ch'io chiamo l'ordine
morale; e la filosofia morale che lo prende per guida dei
suoi giudizi, è quella ch'io chiamo filosofia
dell'ordine.
16. Il quale essendo mezzo come abbiam detto per giungere al bene
obbiettivo onde sarem beati, diviene un bene esso medesimo, come bene
è ogni mezzo utile ad un bene finale. Anzi per l'uomo
pellegrinante sulla terra, l'ordine può dirsi il sommo o
piuttosto l'unico vero bene della sua esistenza passaggiera,
come il sommo bene del viandante, in
quanto viandante, è tuttociò che gli agevola il
pervenire al termine di suo viaggio. Prego il mio lettore di ben
meditare questa importantissima verità, dimostrata e sviluppata
in altri articoli del nostro periodico; perciocchè se egli non la
comprende ad evidenza e vivamente non se ne persuade, inutile gli
tornerà tuttociò che sarò per dire in appresso intorno
alla filosofia delle scienze economiche. Le quali mai non
ripiglieranno, a parer mio, il retto loro andamento, finchè gli
economisti non abbiano adottato come irrefragabile assioma che il bene dell'uomo sulla terra, bene
sommo, bene unico è l'ordine:
l'ordine nell'uso
delle facoltà sue individuali, l'ordine
delle relazioni sociali. E quando dico l'unico
bene dico per conseguenza l'unica felicità, giacchè
per l'uomo ragionevole, come testè dicemmo, felicità è
il conseguimento del bene. Talmente che quando si dice dell'uomo
viatore che egli tende a felicità, quest'assioma può
tradursi in quest'altro: l'uomo
viatore tende per natura, come a suo fine qui in terra,
insaziabilmente all'ordine. Ogni bene materiale potrà a
tale scopo riuscirgli utile in qualità di mezzo; ma lo scopo
ultimo, il compimento di sue brame
in quanto egli è ragionevole è l'ordine, il giusto,
l'onesto: voci tutte all'uopo nostro poco men che sinonime.
17. E che così sia veramente nel fatto voi potete evidentemente
conoscerlo nell'orrore cagionato irresistibilmente in ogni animo retto
da qualsivoglia specie d'ingiustizia o di disordine. Salvo il caso di
una qualche passione o interesse che trasvii la ragione (nel qual caso
agente dell'opera non è più l'uom ragionevole),
in ogni altra circostanza l'ingiustizia, il disordine produce
nell'animo nostro una impressione a lui ripugnante; come ripugna alla
intelligenza una proposizione evidentemente falsa od assurda. Anzi
anche nell'atto che altri opera malamente strascinato da qualunque
passione o interesse vedete di qual rossore si copre! quant'arte usa
per nascondersi agli occhi! quanta ipocrisia per mascherarsi alla
perspicacia di chi lo mira! quante scuse per dare ad intendere
un'intenzione retta nell'atto che sente internamente il rimorso del
suo disordine! vi è egli mai per un uom non corrotto una qualche
voluttà malvagia che non venga attossicata da codesti palpiti di
rossore, di rimorso, d'ipocrisia, omaggi involontarii di un'anima
traviante al sublime impero dell'ordine? Quando dunque vi dico esser
l'ordine l'unica felicità dell'uomo sulla terra, vi presento un
fatto confermato dall'esperienza non meno che dimostrato dalle teorie;
nè credo mestieri di arrestarmici ulteriormente per ottenere
dagli animi retti a cui parlo l'assenso de me poc'anzi richiesto,
senza cui vario riuscirebbe il progredire nelle dottrine.
18. Ma se ebbi la sorte di ottenerlo, vedrà tosto il lettore
qual sia l'idea di ricchezza derivata
da tal concetto di felicità. L'ordine può egli comprarsi?
È ridicola la dimanda! L'ordine può egli dividersi in
particelle e distribuirsi così sminuzzato fra gl'individui? Nuova
ridicolezza, giacchè dicesi ordine
l'immensa unità che abbraccia tutte le relazioni dell'universo.
Non vi è dunque proporzione di natura o di quantità, nè
somiglianza di divisione fra il ben morale dell'ordine e il bene
materiale degli averi. Per conseguenza il dovere di tendere a
felicità non può qui trasformarsi nel dovere di aumentar la
ricchezza.
19. Sotto quale aspetto si presenta ella dunque la ricchezza nella
filosofia dell'ordine? o in altri termini, quale intento ebbe il
Creatore nel fornire all'uomo degli averi materiali, se noi
consultiamo l'armonia delle relazioni fra gli uomini e le cose? Io
veggo che l'uomo senza averi materiali non si sostenta; nè è
capace di concorrere coll'opera a perfezionare i disegni confidati dal
Creatore alla libera operazione di lui. Gli averi sono dunque in
questa filosofia un mezzo di sostentamento e di operazione; non
già di piacere: un presupposto all'azione
non già una causa di felicità;
un rimedio dell'infermità,
non una delizia per sè
appetibile.
Vero è che l'uomo animalesco al par dei bruti viene tratto al
cibo e all'operare da un appetito, che soddisfatto recherà
diletto; ma l'uom ragionevole ravvisa nell'appetito e nel diletto un
puro sussidio della volontà, affinchè men le ripugni il
sostentarsi e l'operare, in quella guisa che nei bruti l'appetito
è un sussidio della ragion divina che li guida con tal mezzo a
continuar la loro esistenza e propagarla. Mirabile providenza che
innalza l'uomo a fare sulla parte animalesca nel picciolo suo mondo
quelle funzioni medesime che fa sugli animali nel mondo universo la
Ragion divina; sublimandolo così a partecipare la divina
grandezza e padronanza sulla materia.
20. Che se la ricchezza è un mezzo, il procacciarne tanto quanta
è necessario allo scopo di sostentarsi ed operare
ragionevolmente, sarà il dovere dettato intorno agli averi dalla
filosofia dell'ordine. E dico ragionevolmente, perchè le
relazioni naturali fra l'uomo e le cose ci dimostrano non ogni mezzo
qualunque essere atto ugualmente per fornire all'uomo e mantenergli le
forze del corpo e della mente: e così il dovere di sostentarsi e
di operare include insieme, secondo l'ordine di natura, la scelta dei
mezzi più opportuni nelle varie circostanze di età, di
professione, di temperamento, di relazioni sociali ecc. ecc. Il
temperamento gracile, le contemplazioni mentali richiederanno un vitto
men grossolano, un'abitazione più agiata: all'opposto i
temperamenti robusti, le occupazioni meccaniche potranno contentarsi
di minori agiatezze. Dal che vi si fa chiaro il principio ragionevole
di quelle diversità che occorrono nel trattamento delle varie
classi e condizioni sociali. Il grosso volgo e molto più il volgo
epicureo, trova naturalissimo che il ricco si dia bel tempo e goda: e
che altro cercava egli quando procacciò d'arricchire? Ma se tu
guardi l'uso delle ricchezze colla ragione, le carezze del corpo non
hanno il lor perchè nella ricchezza o nell'appetito, ma
unicamente nell'essere conducenti al compimento delle funzioni per cui
la Provvidenza ci collocò sulla terra. Ecco l'idea di ricchezza
secondo la filosofia dell'ordine.
21. Or da questa idea di ricchezza, ridotta ad essere mezzo di
decente sostentamento e di utile operazione, è facile il
comprendere sotto quale aspetto ci si presenti la scienza economica.
Essa de[v]e, come sopra si disse, regolar l'uomo
nell'uso degli averi: se gli averi altro non sono che mezzo necessario
di decente sostentamento e di utile operazione, Economia
sarà la scienza che insegna ad impiegar gli averi per
modo che l'uomo sia decentemente sostentato ed operi secondo sua
natura. Lo scopo del sostentamento decente e del socievole operare
sarà dunque voluto dall'uomo ed insegnato dal filosofo
assolutamente; ma i mezzi di ricchezza saran voluti ed usati tanto
solo, quanto allo scopo del vivere onesto e naturalmente socievole
saran necessarii. L'aumento
indefinito della ricchezza, sì vantato e raccomandato
dagli economisti, divien qui dunque un assurdo, come assurdo sarebbe
se il medico raccomandasse all'infermo di provvedersi, ed applicarsi
indefinitamente medicine e vescicanti; e il noto aforismo economico: moltiplicate i bisogni del lusso per
favorire l'aumento di produzione apparisce nella nostra
teoria così assurdo come in bocca di un medico quest'altro: moltiplicate le malattie per favorir la
produzione dei farmacisti. Qual meraviglia che una teoria
economica inducente a proposizioni sì assurde abbia formata la
sventura dei popoli cui venne applicata?
22. Ma io mi avveggo presentarsi qui tosto all'animo prevenuto di chi
bevve a men pure sorgenti la dottrina economica, una tremenda
obbiezione. «Togliere alla produzione lo sprone del bisogno,
l'allettamento del piacere! sogni ascetici di chi non conosce l'uomo
nella realtà, ma sol nelle sue contemplazioni! Limitar la
produzione al puro sostentamento e all'opera! Voi intendete dunque di
tornar la società moderna alle tende di Abramo ed alla età
patriarcale?» A misura che verremo sviluppando le conseguenze
della nostra teoria, comprenderà facilmente il lettore ammettersi
da noi tutti gl'incrementi di civile coltura, e ricusarsi soltanto
quel lusso che produce l'immenso squilibrio tra le classi agiate e le
povere ond'è travagliata là società presente! Ma
siccome ciò appartiene all'Economia
sociale, ed io sto parlando generalmente della universale
idea di economia, non posso risponder per ora più estesamente
alla seconda parte della difficoltà. Solo farò osservare che
essendo l'uomo naturalmente socievole, e per[ci]ò
chiamato a promuovere in altrui come in sè medesimo gl'intenti
del Creatore, il debito di operare non lo costringe soltanto a lavorar
per sè, ma lo spinge inoltre sotto molti riguardi a faticar per
altrui: questo faticare poi mentre giova col ricambio vicendevole,
mette l'uomo nella necessità di operare sull'universo materiale,
ed operandovi incita a nuovi esplicamenti le forze dell'individuo con
perfezione sempre crescente. Dal che tu vedi come le ragioni finali
del Creatore rendono attivo l'uom ragionevole sì pel debito che
egli ha verso di sè medesimo di sostentarsi e perfezionarsi,
sì pel debito verso gli altri a cui lo congiunge o giustizia o
benevolenza: e questo doppio impulso lo conduce naturalmente a
soggiogare e perfezionare tutta la terra a lui data in retaggio dal
Creatore, adoperandosi quanto può non sol per la propria, ma
eziandio per la sostentazione ed agiatezza degli uomini tutti e
specialmente dei più necessitosi. Ma di questo più a lungo
altra volta.
23. In quanto alla prima parte della difficoltà, è facile
l'osservare che quando il filosofo suggerisce all'uomo i dettati di
ragione, non lo sottrae per[ci]ò agl'incitamenti
del senso: anzi avendo noi riguardato poc'anzi il bisogno ed il
piacere come sussidii della volontà ragionevole, abbiamo dovuto
accettarne le impressioni e trarne profitto, come altrove l'abbiam
tratto dalla intolleranza del volgo a freno dei governanti [10]. Nel dire all'uomo: Tu
de[v]i procacciar ricchezze per sostentarti
non l'abbiam fatto esente della fame e dal freddo; ma lasciandogli
questi stimoli dell'uomo animalesco, un altro ne abbiamo aggiunto
smisuratamente più gagliardo per l'uom ragionevole, rialzandolo
così dalla condizion di bruto, a cui gli avversarii vorrebbero
condannarlo. Tu senti il bisogno, gli abbiam detto, e questo tuo
bisogno è stimolo a soddisfarti: ma la tua volontà è
ella legata da tale stimolo irresistibilmente? No! tu potresti
resistere all'impulso se questo non ti additasse una legge di Dio
medesimo. Ma se tu ben rifletti, comprenderai da siffatto impulso
volersi dal Creatore che ti sostenti ed operi. Or a tal volere puoi tu
ragionevolmente resistere?
24. La nostra teoria congiunge dunque tutti i vantaggi del sistema utilitario, aggiungendovi nuova
forza, guidandolo per le vie dell'ordine e sublimandolo a grandezza da
lui prima non conosciuta; ma la teoria filosofica è un puro substratum della teoria
cattolica: il cattolicismo nell'abbassarsi dalle superne regioni sulla
creta di nostra natura opera quello appunto che il raggio del sole
sulla bassa materia del mondo, rivestendola di nuove bellezze,
dotandola di nuova attività, di cui non sarebbe stata capace
finchè durava corrotta sotto il predominio del principio
epicureo. Finchè l'uomo dice: sentir
gradevolmente è la mia felicità, l'abbrutito suo
cuore è inaccessibile ai celestiali influssi [11]; ma tostochè valicando dal senso
all'intelligenza ha saputo pronunziare: oggetto di mia felicità
è un: bene infinito:
felicità mia presente è l'ordine con cui vi tendo,
allora egli ha aperto il suo cuore alle vie della grazia [12], lo ha reso materia adatta a riceverne le
impressioni; e il lavorio della grazia incomincia senza che sia
necessario distruggere l'opera naturale formata nel primordi del mondo
dalla virtù creatrice. E qual sarà sotto le influenze di tal
lavorìo l'idea di ricchezze e per conseguenza l'idea di Scienza
economica? Lo spiegheremo nel venturo quaderno.
[CONTINUA]
NOTE:
[1] Capirà il Costituzional
pontificio che l'argomento della Civiltà Cattolica non
è mancante di ogni valore scientifico, quando col Post
hoc ossia col fatto conferma una teoria già dimostrata.
Così fa ogni buon filosofo; così l'Europa attonita credette
confermati dalla scoperta del Newton
i calcoli del Leverrier. E l'Europa non manca sempre di
logica benchè combatta talora gli statutisti ossia l'universale
o il mondo illuminato,
come essi talora per distrazione sogliono appellarsi. V. la Miscellanea
di Firenze pag. 193. 221 ecc.
[3] Discorso fatto dall'Avv.
Conforti all'Accademia di Filosofia Italica intorno alle
proprietà.
[5] Le cose in mezzo a cui vive
(l'uomo), considerate come atte ad essere o a divenire mezzi
di soddisfazione per lui ... lo studio delle quali forma
l'oggetto della scienza economica. Scialoia,
Economia sociale, Sez. I,
cap. I, §. I.
[6] Cum
sit infinita cupiditas illa, fit ut etiam efficientia vitae
voluptuariae infinita concupiscant. Arist.
1. Politic. cop. 9, Trad.
Lambino.
[7] Quaerunt
unde .... voluptatibus corporis perfrui possint. Itaque quoniam hoc
in rerum partarum possessione inesse videtur omnis eorum opera ....
in pecunia quaerenda consumitur. Ibi cap. 10.
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