mercoledì 20 luglio 2016

LA RICCHEZZA SECONDO L'IDEA CATTOLICA

R.P. Luigi Taparelli D'Azeglio d.C.d.G.

La Civiltà Cattolica anno III, vol. VIII, Roma 1852 pag. 25-39.

§. IV. SULL'AMMINISTRAZIONE [1]

SOMMARIO
25. Principii dogmatici, espiazione e redenzione. — 26. L'idea d'espiazione distacca dalla voluttà; — 27. come apparisce dalla storia: — 28. e conforta alla fatica; — 29. pareggiando i ricchi coi poveri. — 30. Stabilisce le giuste basi del valore — 31. falsate dagli economisti utilitarii ; — 32. corretti dalla carità cattolica. — 33. L'esempio del Redentore invocato dai filantropi, ha la sua vera forza fra' cattolici — 34. per gl'impulsi della carità; — 33. che rende spontaneo l'ordinamento economico, — 36. e l'armonia fra il ricco e il povero — 37. colla unità di coscienza pubblica, — 38. e colla onnipotenza della grazia. — 39. Meraviglie da lei operate; — 40. dovute al complesso dei suoi dogmi ed impulsi. — 41. Impotenza degli eterodossi al paragone. — 42. Non si emenda il comunista se non si emenda il ricco. — 43. Non si emenda il ricco senza influenze cattoliche. — 44. Non saranno sociali queste influenze, se la povertà non torna in onore. — 45. Non tornerà in onore, finchè si avvilisce l'elemosina, l'umiltà e il monachismo. — 48. Transizione.
25. Nel precedente articolo sull'Amministrazione abbiam considerata la ricchezza secondo l'idea che ce ne porge il sistema utilitario da un canto, e dall'altro la filosofia dell'ordine: passiamo a vedere le idee filosofiche dell'ordine nella ricchezza, perfezionate dall'influenza cattolica, ponderando prima gli universali principii dogmatici con cui si forma la giusta idea di ricchezza; poscia gli impulsi soprannaturali con cui la volontà vien confortata a seguir l'intelletto; da ultimo l'influenza che ne ridonda nell'opera e le condizioni in cui essa diviene efficace.
Tra i molti conforti che aggiunge al principio d'ordine la teoria cristiana, due soli ne ricorderemo per non farla da troppo ascetici, quantunque vedrassi nel séguito che l'ascetica non è poi così estranea all'economia come altri vorrebbe credere. E quei due conforti sono il principio d'espiazione e l'esempio del Redentore. Finchè voi considerate l'uomo nella filosofia dell'ordine, la ricchezza ricercata qual mezzo serba tuttavia gran forza ad incitar la cupidigia umana disordinatamente. Vero è che al disordine si oppone la ragione; ma sarà essa sempre sì esatta nel misurare e sì gagliarda nel regolare le sue opere, che mai non trascorra fuor delle vie prescritte? Conoscere un bene che lusinga il senso e non trasmodare nel procacciarlo, è opera più facile ad idearsi che ad eseguirsi, anche allo stoicismo di quei Bruti, che ad onta del loro eroismo, usureggiavano al 70 per 100; quanto più poi ove trattasi della sterminata moltitudine di ogni generazione d'uomini volgari! Quando dunque il misericordioso consiglio del Riparatore volle ristorare effettualmente e porre in atto di esecuzione il disegno primitivo formato dal Creatore intorno al genere umano, dovette necessariamente trovare un provvedimento, mediante il quale nella corrotta nostra natura l'ordine ideale divenisse possibile, non solo agli animi più sublimi, ma anche alla moltitudine dei volgari: un provvedimento onde i mezzi materiali, le cui soverchie attrattive sensibili avrebbero di leggieri sedotto la puramente naturale intelligenza e volontà, perdessero agli occhi dell'intelletto cristiano quelle soverchie lusinghe, affinchè esso nei suoi giudizii e nei suoi desiderii governar si potesse secondo la schietta idea dell'ordine: dovette in sostanza far quello che si fa nella bilancia, la quale se venga per un peso inclinata dall'un dei lati, e vogliasi ridurre all'equilibrio natio, conviene contrapporvi un peso uguale. E questo contrappeso appunto presentasi al cristiano relativamente alla idea di ricchezza, oltre molti altri, nel principio d'espiazione: principio intimo essenziale, connaturato alla idea di Redentore, e per conseguenza all'idea di cristiano. Imperocchè da che siamo noi redenti? dalla colpa d'origine. Qual è il mezzo di redenzione? la vita e la morte di Cristo. L'idea di colpa genera quella di espiazione, la vita e morte del Redentore ci si offre qual modello di chi de[v]e soggettarsi.
26. Or questi due principii sono opportunissimi a correggere quelle soverchie attrattive che dalle impressioni lusinghiere del senso ridondano nella idea di ricchezza. Il domma della colpa originale, seguìta dalla condanna di sudarsi il pane e di aspettarsi la morte, ammaestra il cristiano a diffidare di quell'allettamento sensibile, ma avvelenato, additandogli nel tempo stesso la fatica e le privazioni, qual mezzo di espiazione. Laonde il cristiano lungi dall'agognare a sentir gradevolmente si crede in periglio quando gusta somiglianti diletti, si crede in vantaggio quando riesce vincendosi a privarsene [2]. Questa dottrina non piacerà per fermo a certi  economisti che sembrano non aver udito mai trovarsi al mondo un Vangelo insegnato da Dio-Crocifisso! Essi continueranno nell'epicureismo del Gioia e di tant'altri suoi pari a ripetere che «restringere i proprii bisogni a via di privazioni dolorose è domma o di un'eroica disperazione, occasionata da pessimo ordinamento sociale, o di una torpida noncuranza che rinuncia al godere solo per timore di soffrire .... La restrizione dei bisogni è un difetto di stimolo al progresso industriale ed una mancanza di occasione a' godimenti ..... Si può assumere in assioma, Che i bisogni de[vo]no essere tali che satisfatti ci rechino utile reale, e veri od innocenti piaceri, e tanti, che non oltrepassino i mezzi di satisfazione possibile ad ottenersi. E dico possibili ad ottenersi, poichè se l'uomo non concepisse bisogni mai al di là delle sole cose che possiede, l'industria rimarrebbe inerte [3]
Così continueranno a ripetere gli economisti utilitarii (e notinsi bene, quelle parole possibili ad ottenersi, parole di cui altrove vedremo l'importanza): ma i cattolici continueranno, se non rinnegano la lor fede, in quel combattimento contra la voluttà che forma l'essenzial carattere del penitente sommesso alla espiazione e del seguace di Cristo [4].
27. Continueranno, io dico, perchè niuno dei miei avversarii niega essere stato questo il carattere del cristiano fino al principio dell'età moderna, biasimando essi il medio evo appunto per quello spirito d'austerità che strascinava non pur claustrali e romiti, ma popoli e principi, e perfin principesse al vestir dimesso, ai digiuni, ai cilizii, ai pellegrinaggi. Questo spirito che la Chiesa ingesuitata non volle ancora rimodernare, togliendo agli occhi del cattolico il prestigio della ricchezza, gli rende agevole il valersene sol come mezzo, secondo i dettati della retta filosofia.
28. Da questo disprezzo delle ricchezze gli utilitarii temono, come udimmo testè dallo Scialoia, che l'industria rimanga inerte per difetto di stimolo al progresso industriale: e se i loro timori si limitassero a rimpiangere la perdita di qualche essenza odorosa, di qualche dilicatezza gastronomica, di qualche ballo e festino più lussureggianti, io non sarò sì fisicoso da contendere con esso loro. Ma se essi paventassero che il cattolico poltrisse come un Jogui indiano [= specie di monaco il quale pretende che a forza di contemplare l'Essere supremo si giunga ad un'intima unione con Dio; espressione odierna yogi. N.d.R.], senza più muover dito o batter palpebra, mostrerebbero aver dimenticato che il cristiano non solo lavorava per necessità di natura, ma per debito di espiazione. Dal che siegue, che non solo il misero e l'artigiano, ma il ricco e il patrizio si credono obbligati al lavoro. Cotalchè se anche il popolo non ispronato dalla bramosìa dei diletti, scemasse alcun poco nella voglia di faticare, la società non perderebbe nella somma totale delle sue ricchezze, sottentrando i doviziosi nella bisogna intralasciata dai poveri [5].
29. Quindi un altro vantaggio inestimabile pei tempi nostri: l'introdursi maggiore uguaglianza fra le varie condizioni sociali, togliendone quella distinzione sì ricisa di lavoranti e di ozianti, che forma lo scandolo degli artigiani comunisti; i quali non sanno farsi capaci che la Provvidenza abbia voluto la società umana divisa in gaudenti oziosi da un lato, in faticatori penurianti dall'altro. Cessa una somigliante separazione fra cattolici, tostochè la fatica non è più soltanto una necessità di natura pei poveri, ma un debito di espiazione per tutti. Ecco il risultamento di quella sentenza del Genesi: mangerai il tuo pane nel sudore del tuo volto!
30. Ma qui non finiscono le benefiche inferenze di quella tremenda e pur misericordiosa condanna. Se il cattolico applicandola a sè medesimo vi legge una sentenza criminale, applicandola ai prossimi ne ricava una importantissima legge commerciale. Se nel primo senso l'oracolo divino ha un valor negativo, nel secondo lo ha positivo; e due precetti potrebbero esprimersi in forma proverbiale con queste quattro parole: se il pane è sudore, il sudore è pane; o men laconico: chi non suda non de[v]e mangiare, de[v]e mangiare chi suda.
Usi a considerare quelle parole bibliche come sentenza penale, molti non riflettono al valore ch'esse hanno come sentenza commerciale: ma per poco che vi si rifletta si comprenderà che, se non ammettiamo lo snaturato principio, che certi individui umani nascano destinati a morirsi di fame, tutti i non possidenti o debbono vivere colle lor fatiche, o sostentarsi a spese altrui. Che in tal guisa venga sostentato l'invalido, pochi oggidì avran coraggio di negarlo: ma il robusto non avente altro tesoro che le sue braccia, chiara cosa è che delle sue braccia de[v]e vivere. Quindi una legge fondamentale per la tassazione dei valori sociali.
31. Gli economisti ci dissero, che i valori sono determinati nel commercio dalla domanda e dall'offerta: e con codesto principio (da cui derivano che i capitali possono darsi ad usura quando son molto ricercati) applicandolo alle braccia del povero, ridussero il proletario all'estremo dell'oppressione, scemandogli il salario a proporzione che cresceva la miseria, giacchè quanto più misero è l'artigiano, tanto più è costretto ad offerir le sue braccia al minimo prezzo. Ma è egli questo un giusto ragguaglio delle opere? è facile il vedere che un cattolico camminerà con tutt'altri principii.
Non già, vedete, che la domanda e l'offerta non possano influir realmente ad alzare od abbassare i prezzi; ma l'infimo di questi dovrà sempre esser tale che all'operaio fornisca un competente sostentamento. Competente, io dico, perchè il cattolico non misurerà il pane a chi lavora con quella lesina degli utilitarii inglesi, i quali nel lor Parlamento calcolarono, come i lettori certamente ricordano, non già il necessario per vivere, ma il sufficiente per non morire. Di che la proposizione fatta di una legge che riuscisse ai miseri artigiani di qualche sollievo, andò a finire in sancire col pubblico assentimento la spietatezza degli intraprenditori.
32. Quando i dritti dell'operaio si misurano alla stregua della carità cattolica, chi compra le braccia dell'artigiano glie ne pagherà il prezzo che ragionevolmente vorrebbe per sè medesimo. Vale a dire, tale che corrisponda al sostentamento di un fratello, secondo l'antico valore di questa parola. Nè perchè il fratello, stretto dalla miseria estrema, esibisca l'opera a minor prezzo, consentirà egli mai ad appropriarsene i sudori. Comprendo che nel commercio ordinario queste vedute economiche non sogliono avere applicazioni pratiche, essendo pochi coloro che son capaci di misurare al giusto i bisogni dell'operaio e il valore delle sue fatiche, valutate da lui talora indiscretamente. Ma noi non diamo al presente le norme pratiche, diamo i principii universali: e principio universale pel cattolico, secondo la sentenza del Genesi, è che il sudore de[v]e fruttare il pane.
Nè solo per l'uom che fatica, ma per la donna e pel fanciullo, che ne formano la famiglia, e ne preparano la continuazione. Qui lo Scialoia è con noi di accordo: Gli economisti, dic'egli, chiamano tassa naturale del salario quella quantità di mercede che basta al mantenimento del manuale ed al perpetuamento della specie. Poichè la destinazione primordiale dell'entrate si è quella di conservare il fondo produttivo del lavoro del pari che tutti gli altri [6]. Ma questa verità sì evidente agli occhi non pur della carità, ma dell'economia, come venne rispettata da molti altri economisti? quanti son quelli, che col Malthus condannano l'operaio o al celibato forzato, o alla morte! ovvero col Sismondi ne raccomandano il connubio all'avarizia imprenditori! Eppure è facile il comprendere che se la moglie e talora anche i figli non provvedessero alle bisogne domestiche, non potrebbe l'operaio impiegar liberamente la giornata a servizio di chi lo paga. Queste verità sì evidenti, la carità cattolica le intuisce quasi assiomi e le applica con quella facilità, con cui l'amministratore o il giudice sentenziano sugli averi non suoi; essendo dettato comunissimo della coscienza cattolica che il ricco è piuttosto depositario che proprietario delle ricchezze.
Ecco dunque i principii di economia, che il cristiano deduce dalla idea della colpa originale e dalla condanna che ne è conseguenza, a conforto dei dettati filosofici intorno alla ricchezza. Le ricchezze, dic'egli, sono un mezzo di sostentamento, non una Fonte di piacere: il piacere che ne sgorga funestò tutta la razza umana: il privarmene mi camperà da nuovi pericoli ed espierà i falli antichi; ma la mia astinenza non mi dispensa dalla legge di faticare; e se colle fatiche io aumento i miei capitali, essi anderanno in pro dei miei fratelli; e primi fra tutti ne godranno coloro cui son dovuti a titolo di mercede. Vedete qual comunicazione di affetto e di sostanze viene stabilita fra il ricco e il povero dalle dottrine del cattolicismo!
33. A questi sentimenti aggiungete l'esempio di Dio impoverito per l'uomo, e pensate qual forza acquisterà nel cuor del cristiano il disprezzo delle ricchezze, e per conseguenza la perfettissima libertà di sua ragione nell'usarle solo secondo le norme dell'ordine: e reciprocamente qual fiducia si desterà nel povero a raccomandare al ricco le proprie speranze e i propri bisogni, ravvisando nella condotta di lui una sì viva penetrazione dei principii cattolici. Non mancano oggidì tra' filantropi certi dottrinarii che, atterriti dai pericoli di sovvertimento e di saccheggio, han tolto in prestanza da noi il linguaggio evangelico, per edificazione dei comunisti: ai quali con eloquenza melliflua vanno esagerando la nobiltà conferita al lavoro da un Dio fattosi per noi artigianello in Nazaret! Ma finchè costoro non si trasformano in artigiani essi stessi, emulando la gloria che van predicando; finchè coi doveri predicati all'artigiano non congiungono la pratica della mortificazione e della carità cristiana; finchè esaltano la scodella frugale, tra i fumi del vino e delle imbandigioni, e la semplicità di una povera stanza, calpestando tappeti di Fiandra su divani di velluto; io temo forte, che la lor predica non approderà, e che l'artigiano risponderà, essere bella e buona la nobiltà del bracciante, ma per lo stomaco suo e dei figli volerci pane e non parole.
Fate all'opposto che vegga il ricco tenersi egli pure per condannato al lavoro, e divider col povero spontaneamente le sue ricchezze, come usano tanti patrizi e dame veramente cristiane, togliendo al lusso ciò che profondono in carità; e vedrete quanto sia facile ch'egli accetti per sè quei dettati medesimi, che debbono perfezionare fra cristiani tutto l'ordinamento economico.
34. Il predominio dei principii introduce poi nell'economia politica altri elementi per parte della volontà, primo dei quali vogliam considerare quello che è propriissimo del cattolicismo, la Carità. Se la condanna alla fatica non venisse condita da questo elemento, non sarebbe sperabile quell'universale efficacia con cui operano i dettati del Vangelo. Ma quando negli animi destasi la scintilla elettrica della carità, allora l'esempio di Cristo acquista una forza smisurata; e quel dettato sì triviale della beneficenza cristiana per cui il più meschino dei prossimi è fratello del Redentore, ed esattore per lui di ciò che a noi sovrabbonda, acquista quelle dimensioni prodigiose che spingono l'eroismo dell'oblio di sè medesimo ad aver sembianza d'imprudenza, di follia: allora un Paolino da Nola dopo aver donato il suo, venderà schiavo sè stesso; allora un Tommaso da Villanuova non serberà di un fiume d'oro, che dalla mensa Arcivescovile gli sgorga, neppur un letto su cui abbandonare, morendo, il suo cadavere; costretto a ricevere in prestito per morirvi un letto da quel povero stesso cui egli lo avea donato. Esempi meravigliosi, e però nel loro eroismo meno frequenti; ai quali nondimeno altri potrebbero accoppiarsene a migliaia, d'uomini ancor viventi, fattisi amministratori dei poveri in quei tesori medesimi che pur sarebbero legittimamente loro proprietà. esclusiva. Donde codesta generosità, se non dall'amor verso Dio, travasato nei più miseri dei lor fratelli?
35. Da codesto sentimento sì dolce, derivasi nell'economia cattolica quell'altro elemento, degnissimo dell'osservazione di un filosofo, la spontaneità dell'ordine. Notammo altra volta esser questa spontaneità un carattere tutto proprio delle opere di Dio, come all'opposto il contrasto è carattere d'ogni artificio umano; e ciò per quella ragione semplicissima, che Dio crea le cose appropriate ai suoi fini, mentre l'uomo si vale pei fini proprii delle cose già create e dotate di qualità non tutte a lui opportune: perlocchè è costretto a neutralizzare colle une, le ripugnanze delle altre. Così quando il Creatore formò la società domestica, a guarentigia del debole infuse la tenerezza paterna nel cuor del più forte. L'uomo all'opposto quando volle farsi creatore della società, altro non seppe fare per guarentigia del suddito, che congegnare a contrasto i d[i]ritti del superiore.
Or questo stesso noi vediamo nelle comunicazioni commerciali. L'uomo che volle assicurarle senza coscienza e senza dipendenza, va facendo l'estremo di sua possa nel combinare interessi e diritti che si combattano: e mentre dice al ricco «fa di tutto per trasricchire smugnendo i poveri», si volge ai poveri predicando l'associazione e animandoli a difendersi contro i ricchi. E quando è riuscito a creare codesto antagonismo, crede aver dato la vita alla società e tesse i panegirici della concorrenza.
36. Il Vangelo all'opposto per rannodare tutti in una medesima società impone al ricco il dovere di generosità nel dare, e al povero di pazienza nel tollerare; e forma per tal guisa nel ricco l'economo dei poveri, nei poveri la riconoscenza verso i ricchi. Qual meraviglia che il popolano tolga allora a protettore dei propri interessi appunto quel ricco, contro cui l'eterodossia lo indispettisce e lo arma come contro un nemico?
37. Ma a produrre questa serenità di fiducia spontanea, il cattolicismo acquista forza dal complesso delle altre sue dottrine; ed ecco perchè egli può operare quei portenti ai quali la filosofia, benchè rettissima, non potrebbe neppure aspirare. Affinchè il povero si affidi al ricco, è necessario che gli legga nella coscienza i dettati di sue obbligazioni. Or questi dettati potrebbe egli leggerli mai se una universale autorità non li pubblicasse ugualmente, e al ricco e al povero? L'idea di autorità cattolica è dunque base essenziale di codesta fiducia scambievole.
38. Non basta: niuno ha fiducia di ottenere l'impossibile. Or l'abbassamento del grande all'abituro del meschino, è opera che troppo ripugna all'indole della natura corrotta, perchè essa possa riguardarla come generalmente possibile e comunale. Ma pei cattolici, soccorre alla debolezza della natura il conforto della grazia; ed è cosa talmente consueta il vedere i grandi impicciolirsi, non solo quando rinunziano al mondo, entrando in un chiostro, ma anche rimanendo nel secolo, fra agiatezze e dovizie, che il fatto ormai più non reca, nei paesi veramente cattolici, ombra di stupore [7]. Conscio a sè medesimo anche il povero dei prodigi che la grazia opera nel cristiano, qual meraviglia che speri altrettanto anche da chi nuota nelle ricchezze?
39. So che non mancherà di sogghignare un qualche economista, nel vederci aspettare dalla spontanea generosità dei ricchi l'agiatezza della plebe: ma rida egli pure a sua posta, io nel compatirò, sapendo benissimo che l'operar del cattolico non può comprendersi se non dalla fede e dalla carità. Ma il sogghigno beffardo potrà egli cancellar dal Vangelo una sillaba, o dalla Storia uno di quei fatti che vi registrò in tanta copia la carità cristiana? Cadranno forse a quel suo sogghigno tanti Ospizi eretti fin dai tempi dei Cesari persecutori a conforto di ogni guisa di miserabili? ovvero si dimenticheranno le larghezze di tanti Monarchi che impoverirono per dare ad altrui? Saranno, confiscati quei beni lasciati alla Chiesa, affinchè un terzo almeno ella ne dividesse coi poveri? Rida pur l'economista di chi spera nella carità cattolica; ma si ricordi che codesto riso è una contraddizione; si ricordi che egli, egli stesso avrà bestemmiato in altre occasioni il soverchio largheggiar dei ricchi nel dotar monasteri, il soverchio largheggiar dei monasteri nel satollar vagabondi ed oziosi. E sa egli il nostro derisore chi sieno questi vagabondi, l'ozio dei quali accende il suo zelo che tace si indulgente in faccia all'ozio dei ricchi, se pur non ne partecipa le voluttà raffinate? Questi vagabondi sono quei proletarii feroci, che in altri paesi, ove il ricco pensa solo a godere, van correndo indracati a centinaia e a migliaia colla fiaccola incendiaria alla mano, gridando che han d[i]ritto al lavoro, che la proprietà è un furto, che la terra è per tutti e di tutti. Codesti spettacoli di terrore sì frequenti nei paesi eterodossi, il cattolico non li conosce. E sapete perchè? perchè fra' cattolici, il ricco è depositario più che proprietario dei suoi beni; ed ode ogni giorno intimarselo, non dalle urla di un popolaccio furibondo che lo sforzerebbe a chiudere gli scrigni e la casa, ma dal soave impero di una coscienza che lo alletta a splancarli promettendogli il cento per uno.
40. Tutto adunque nel cattolicismo concorre a riordinare in dialettica armonia le relazioni fra il povero ed il ricco, idee, precetti, sentimenti, esempi. L'idea di ricchezza, se non perde l'allettativo pel senso, fa insospettire e temer la ragione: il faticare, lungi dall'essere un avvilimento pel povero, è un dovere anche pel ricco: questo dovere che frutta al ricco il dritto al suo pane, lo frutta egualmente pel povero; e il povero lo spera conoscendo il dovere e la pietà nella coscienza del ricco; e il ricco lo adempie confortato da quella grazia che lo affratella col povero: e ad amendue le classi aggiunge conforti di dolcezza inestimabile, l'esempio di Dio che fatica e patisce nel povero, tesoreggia e largisce nel ricco. Tutto questo complesso di elementi soprannaturali dove lo troverete voi fuor del cattolicismo?
41. Ecco per qual motivo sarà sempre impossibile nelle società eterodosse, se non si ricorra alla schiavitù e all'abbrutimento del proletario, evitare o sterminare il terribil nemico della proprietà, il comunismo. Leggete pur le difese di questa nel Thiers, nel Bastiat, nel Guizot, o in quale altro vi piaccia degli economisti miscredenti; il meglio che possiate trarne (se pur vi giungete) sarà un freddo riconoscimento del diritto secondo ragione. Ma questa Ragione, non parla ella anche in favor del povero? e il povero che ascolta le due ragioni contrarie sarà egli imparziale nel sentenziar fra le due? Non vedrà che il proprio dritto può calpestarsi, perchè egli è debole? che de[v]e calpestarsi perchè così vuole l'interesse del ricco? Che si calpesta di fatti, poichè egli muor di fame sulla porta del ricco all'odore di un convivio epulonesco, al rumor delle musiche, all'aspetto di un lusso sfoggiato, che sembrano insultarlo?
Fate all'opposto ch'ei vegga l'universale dei ricchi persuaso del dovere di soccorrerlo, che li creda aiutati a farlo da una grazia onnipotente, che questa onnipotenza comparisca efficace a prova di fatti: allora sì potrà egli persuadersi, che tutti i dritti debbono rispettarsi; che il Vangelo ha pensato anche a lui; che non è per lui solo l'inferno.
42. Non si dà dunque risposta intera al comunismo se la predica ai poveri non è seguìta da una predica ai ricchi: e per la stessa ragione non riuscirà la prima a convertire i poveri, se non riesce la seconda a convertire i ricchi. Al che vorrei ponessero mente questi ultimi per farne lor pro', mirando e provvedendo al lor imminente pericolo. La vera rivoluzione sociale, voglio dire la rivoluzion di principii, incominciò dai ricchi: e l'empio da Ferney [cioè Voltaire N.d.R.] ne gli lodava colla nota bestemmia: il n'y a plus que les gredins qui croyent au Consubstantiel: ed allora les gens comme il faut ridendo del Consubstantiel e dei suoi precetti e consigli, si diedero bel tempo, e crearono quella smodata necessità di lusso che forma la povertà dei ricchi e la fame dei poveri, non trovandosi più ricco sì sfondolato, cui sopravanzi di che sfamare il povero. Ma il Consubstantiel o meglio (per non profanare il linguaggio nostro con codeste bestemmie esecrabili) il Verbo eterno prende oggi la sua rivincita, e spedisce i Gredins apportatori di sue risposte alle gens comme il faut facendo comprendere ai miseri che la disuguaglianza fra di loro è ormai giunta a segno da ferire spietatamente la natura e la ragione. Finchè il loro divario si riducea soltanto a qualche addobbo di più nelle camere, a qualche camera di più nel quartiere, a qualche piatto di più nella mensa, il povero poteva dire nell'alzarsi satollo colla famigliuola dal parco, ma sufficiente suo desco: «in sostanza noi siamo uguali al ricco, egli stancatosi nelle fatiche di mente, appresta ad un corpo infermiccio manicaretti più delicati: il nostro cibo è materiale come la nostra fatica, ma noi siam forse meglio in sanità». Ma quando la differenza fra i due rappresenta da una parte l'epicureo che nuota nei piaceri ozioso, dall'altra l'operaio che muore sotto la fatica colla famiglia affamata; allora dov'è più l'uguaglianza di natura? e come riuscirete a persuadere al povero che la rispetti, mentre la calpesta il ricco?
Le quali osservazioni, come dimostrano non esservi salvezza oggidì per la società, senza concorso dei ricchi (il quale non sarà mai sincero, efficace e durevole fuor della Chiesa cattolica ), così dimostra, che se i ricchi non tornano al cattolicismo pratico coll'abolizione del lusso e della mollezza rispettando nel lor superfluo il dritto dei poveri, questi saranno gli esecutori della Giustizia divina contro il loro scialacquo, come i sudditi furono pur troppo contro la prepotenza dei governanti. Colpevoli i sudditi, colpevoli i poveri individualmente [8], arrogandosi un ufficio riserbato a sè dalla divina vendetta; ma adempienti purtroppo una di quelle leggi provvidenziali con cui la Sapienza infinita serba con forzato equilibrio l'ordine materiale fra quei protervi che porrebber sossopra il mondo se potessero violare a man salva l'ordine morale.
43. Il fin qui ragionato ci conduce, come voi ben vedete, a due conseguenze. La prima è, che la rettitudine della scienza economica fuor del cristianesimo non sarà mai altro che specolativa; solo nel cristianesimo scenderà nell'opera, perchè l'opera ne divien possibile. In fatti mancano forse dottrine di ordine fuor del cattolicismo? non credo che trovinsi mai coerenti e compiute; ma il negare che anche fra i miscredenti s'incontrino degli animi onesti, i quali abborriscono l'oppressione del povero, lo smugnimento dei salarii, la prostrazione della educazione popolare, l'incarimento dei generi più necessari ecc., sarebbe, a parer mio, una ingiustizia. Essi han predicato, han promosso il ben del povero con isforzo tanto più singolare, quanto meno veniva favorito dai principii puramente naturali in cui si racchiudevano. Frattanto però, qual frutto ne han tratto finora? Qual proporzione fra le predicazioni e l'effetto? Senza negare assolutamente ogni fecondità a tanti buoni desiderii di animi naturalmente onesti, credo peraltro non essere ingiusto se affermo, che alla grandezza dei mezzi restò inferiore a pezza l'effetto dell'opera; che sulla sommità del regno industriale il predominio della cupidigia vince le propensioni benefiche; che poco scorre alle convalli di quel Pattolo che impaluda sulle vette; che è più facile trovare fra i miscredenti espressione di affetto, che sagrifizi di persona; che alle centinaia di Suore cattoliche, di Benfratelli, d'Ignorantelli, di Redentori degli schiavi, la filantropia contrapporrebbe difficilmente poche diecine di loro imperfetti imitatori. E perchè? perchè nell'ordine naturale il bene dei mezzi, ancorchè si riguardi dalla ragione qual bene secondario, ancora ha gran forza a strascinare la volontà coll'allettamento sensibile non contrappesato dai principii di fede e dalle dolcezze di carità.
44. Che se la prima conseguenza è evidente, non esser possibile retta economia pratica in una società non cattolica, la seconda conseguenza germoglia spontanea dalla prima. Volete riordinare economicamente una società? rinnovatela nello spirito cattolico, e la scienza economica potrà dedurre arditamente tutte le più rigorose conseguenze dell'ordine morale colla certezza di trovare nei cuori dei buoni cattolici un eco fedele delle più ardue verità, un esecutore eroico dei sagrifizii più generosi. Ella potrà intimare al ricco il dover della fatica, della frugalità, della liberalità; predicando al povero la pazienza, essa gli assicurerà il sostentamento, senza armarlo di un dritto onde insolentisca, ma anzi congiungendolo al ricco suo benefattore coi sentimenti di riconoscenza e d'umiltà.
45. Ma a tal uopo conviene accettare dalla religion cattolica tutti i suoi dogmi e il suo spirito: convien risuscitare il disprezzo della ricchezza, e l'onor della povertà nella pubblica  opinione. Ma finchè la società, sotto pretesto di riformare abusi, continuerà quella guerra del protestantesimo contro l'umiltà cristiana, contro l'elemosina, contro il monachismo, in cui l'evangelica povertà si personifica; finchè la noncuranza degli agi e delle ricchezze, onorata perfin dai pagani nei Diogeni, nei Focioni,  nei Cincinnati, avrà il corteggio soltanto di derisioni e d'insulti, la pecunia continuerà ad essere l'idolo sociale, la rabbiosa sete insaziabile non conoscerà altro termine che il possibile ad ottenersi; e il possibile ad ottenersi dello  Scialoia sarà tutto ciò che il delitto procaccia, che il segreto nasconde, che la forza assicura.
46. Bastino queste premesse che erano necessarie per ispiegare i fenomeni disastrosi che presentano le finanze nei governi ammodernati dalla eterodossia, specialmente quando si atteggiano a forme di rappresentanza nazionale. Gli articoli seguenti entreranno nel campo delle applicazioni.

NOTE:

[1] Vedi il vol. VII, pag. 401 e segg.
[2] Quae mihi fuerunt lucra, arbitratus sum propter Christum detrimenta. Philipp. III. 7.
[3] Scialoia, Princ. di Econ. soc. cap. I, sez. IV, § VII, n. 417.
[4] Qui Christi sunt carnem suam crucifixerunt. Galat. V, 24.
[5] La compagnia di S. Paolo soppressa testè in Torino dai liberali, amici dei poveri come Dio tel dica, era una viva pruova della nostra asserzione. Persone delle più distinte in quella capitale vi si dedicavano gratuitamente a faticare in una complicatissima amministrazione, ove facevano in servizio dei poveri da agenti, da segretarii, da avvocati, non per guadagnarsi il pane di che abbondavano, ma per compiere il debito d'uomo e di cristiano. L'opera passerà ormai in mani più liberali che trarranno a stipendio proprio quel che andava in soccorso dei poveri; e questo si chiama amministrazione di beneficenza!
[6] Scialoia, Princ. di econ. soc. cap. I, §. I, n. 123, pag. 84.
[7] Non è in Roma chi non ricordi quella madre dei poveri derelitti, la Principessa Borghese, al cui funerale il pianto di costoro fu il più solenne ornamento; e tutta Roma vide nella terribile inondazione del 1846 il Principe suo consorte girare in una barchetta recando di casa in casa il giornaliero alimento. Chi parla più di questi fatti? fra noi cattolici son troppo triviali. Il liberalismo ci avrebbe provveduto invece con dare un ballo a profitto degli inondati.
[8] Vae homini illi per quem scandadum venit. Matth. XVIII, 7.

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