LA PATRIE E LA TOLLERANZA DE' CULTI[1]
R.P. Beniamino Palomba d.C.d.G.
La Civiltà Cattolica anno XIX, serie VII, vol. III (fasc. 441, 20 Luglio 1868), Roma 1868 pag. 301-315.
L'errore della Patrie,
che prendemmo a confutare in un altro quaderno, riguarda la tolleranza
de' culti. Cristo medesimo, al dire di cotesto giornale, avrebbe
insegnato a chiare note il grande principio della tolleranza civile,
che è seguito da una gran parte de' politici di oggi. Questo
principio, secondo la stessa Patrie,
fu messo in pratica ne' primi e grandi secoli del cristianesimo. Ma da
quel tempo in poi fu del tutto dimenticato. Dopo quei secoli la Chiesa
incominciò a tenere ed a praticare, intorno a questa materia, una
dottrina tutto fondata sopra vane e miserabili arguzie; ed a simili
frivolezze si attiene anche la Chiesa, che al presente fiorisce sulla
terra.
Qual è l'opposta dottrina, a cui si attengono le società
moderne? Essa vien descritta dal Renan con quelle parole, che noi
già citammo in un altro articolo: La
tolérance extérieure, egli dice, est celle qui rend
possible la bienveillance entre les dissidents, et qui, en
politique, accorde aux uns et aux autres les mêmes droits
[2]. [«La tolleranza
esteriore è quella che rende possibile la benevolenza tra i
dissidenti, e che, in politica, concede agli uni ed agli altri
uguali diritti.» N.d.R.]
Adunque, stando alla Patrie,
Cristo insegnò: Che si ha da conversare amichevolmente, e
convivere in intima intrinsechezza con tutti coloro, che contrastano e
si ribellano alla Chiesa, da lui fondata per mezzo degli Apostoli; e
che i dissidenti, quali che essi sieno, debbono essere dai principi
cristiani favoriti al pari de' cattolici. Questa familiarità e
questa uguale distribuzione di favori fu osservata ne' primi secoli
del cristianesimo.
Or noi confutammo tali stoltezze con un argomento indiretto.
Concedemmo che la dottrina della Chiesa, dopo i primi secoli insino a
noi, fu sempre ed è quella stessa, che dice la Patrie;
cioè del tutto opposta alle false opinioni de' politici di questi
tempi. Dimostrammo, che la Chiesa tenne sempre per l'addietro questa
sua dottrina, e la tiene al presente, come una dottrina rivelata da
Cristo, e predicata a lei per bocca degli Apostoli. Di qui inferimmo,
esser cosa certa e indubitabile, che gli Apostoli riceverono da Cristo
la dottrina medesima, e che essi dapprima e poi di mano in mano tutt'i
loro successori la trasmisero fino a noi. È questa una immediata
e necessaria conseguenza della infallibilità della nostra Chiesa;
per la quale prerogativa essa non può mai cadere in inganno ed in
errore; vale a dire non può mai perdere la memoria di verun
insegnamento di Cristo, suo fondatore, suo capo e suo maestro; e molto
meno può professare una dottrina ripugnante alla dottrina di lui.
Da chi proviene questa maravigliosa infallibilità e questo
inalterabile assenso a tutte le verità, rivelate da Cristo? Da
Cristo medesimo, il quale, in chiari termini, ha promesso di starsi
colla sua Chiesa, e di assisterla sino alla consummazione de' secoli,
senza lasciarla mai in abbandono neppure un giorno solo: Ecce
ego vobiscum sum omnibus diebus, usqe que ad consummationem saeculi
[3]. [Matth XXVIII, 20:
«Ed ecco che Io sono con voi per tutti i giorni sino alla
consumazione de' secoli.» N.d.R.]
Svolgendo tali concetti, noi rispondemmo alle false proposizioni
della Patrie. E se una tale
risposta è indiretta, essa però, come già avvertimmo,
è efficace a ritenere tra i confini del vero tutti que'
cattolici, specialmente laici, i quali ignorano perfino i principii di
quelle stesse cose, di cui vogliono giudicare; e quindi parlano e
sentenziano non da cattolici ma da eretici.
Veniamo ora, secondo la promessa, a confutare direttamente le stesse
falsità; e diciamo, che ove si esamini la dottrina di Cristo, si
vedrà questa non prescrivere, come afferma la Patrie,
ma riprovare quella tolleranza civile de' culti, che è proclamata
dai moderni politici; e che ove si percorrano i grandi secoli del
cristianesimo, si raccolgono quivi a piene mani fatti e testimonii, i
quali son lungi dal favorire, come dice la stessa Patrie,
ma condannano invece una tale tolleranza. Ecco, in effetto ciò
che conchiude di necessità, chi attentamente considera ogni
accento ed ogni precetto di Cristo, che è autore della Chiesa; e
di più indaga diligentemente tutte le parole e tutt'i fatti degli
Apostoli, i quali Cristo stesso si scelse come esecutori del proprio
disegno; egli deve conchiudere: Che la Chiesa fa immaginata e voluta
da Cristo a maniera di una società perfetta, e di un regno
ordinato e munito al meglio che è possibile, e che tale di suo
comando essa fu edificata dagli Apostoli e propagata su tutta la
terra. Questa sola conclusione noi opponiamo alla Patrie
e a tutti coloro, che discorrono all'impazzata, come lei;
essa sola basta a rintuzzare direttamente la falsità de' loro
detti.
Se la Chiesa è costantemente chiamata da Cristo e dagli Apostoli
coi nomi di ovile, di corpo, di famiglia, di città, di regno, di
esercito; se, in parola, essa è rappresentata, come ora dicevamo,
quale società costituita con un ordine perfetto; deriva per
necessaria conseguenza, che essa è fondata sopra una gerarchia,
cioè sopra un principio sacro di autorità, e che un tale
principato è perfetto nel suo genere; poichè la perfezione
della società nasce da quella del suo governo, e per[ci]ò
se è imperfetto il governo, anche la società dev'essere
imperfetta.
Or gli attributi necessarii di qualsivoglia sovranità sono il
dettar leggi, l'amministrare i beni comuni, e finalmente il
costringere, se è mestieri, anche colla forza all'osservanza
degli ordini stabiliti, e vendicare con giuste pene le violazioni di
tali ordini. Adunque la gerarchia della Chiesa, perfetta nel suo
genere, è investita di questi tre dritti inseparabili da ogni
buon governo; cioè del d[i]ritto della
legislazione, del d[i]ritto dell'amministrazione e di
quello della coazione. Tutti e tre questi d[i]ritti son
raccolti in una maniera tutto speciale e tutto propria nel romano
Pontefice, il quale, erede e successore di Pietro, è il vertice e
l'origine di ogni giurisdizione ecclesiastica.
Questi d[i]ritti non solo si argomentano, per
legittimo discorso, dal vero concetto della perfezione della Chiesa;
essi sono di più espressamente enunciati nelle sacre Scritture,
nelle quali ora si rappresenta Cristo, che li conferisce ai suoi
Apostoli, ed ora si rappresentano gli Apostoli medesimi, i quali o
affermano di averli ricevuti da Cristo, o li mettono in opera. Ecco, a
confermazione di ciò che diciamo, alcuni pochi esempii.
Dapprima Cristo parla in particolare al solo Pietro in questi
termini: «Io dico a te che tu sei Pietro, e sopra questa Pietra
edificherò la mia Chiesa; e a te io darò le chiavi del regno
de' cieli, e qualunque cosa avrai legata sopra la terra, sarà
legata anche nei cieli; e qualunque cosa avrai sciolta sopra la terra,
sarà sciolta anche ne' cieli: Ego
dico tibi, quia tu es Petrus, et super hanc petram aedificabo
ecclesiam meam. Et tibi dabo claves regni caelorum. Et quodcumque
ligaveris super terram, erit ligatum et in caelis; et quodcumque
solveris super terram, erit solutum et in caelis [4]. Pasci i miei agnelli: Pasce
agnos meos [5]. Pasci le
mie pecorelle: Pasce oves meas
[6].» Queste parole dette a
Pietro, si riferiscono anche a tutti i successori di lui, cioè a
tutti i Vescovi di Roma.
Oltre a ciò così egli parla in generale a tutti gli
Apostoli: «È stata data a me tutta la potestà in cielo
e in terra. Andate adunque, istruite tutte le genti, insegnando loro
di osservare tutto quello, che io vi ho comandato: Data
est mihi omnis potestas in caelo et in terra. Euntes ergo docete
omnes gentes; docentes eos servare omnia quaecumque mandavi vobis
[7]. Andate per tutto il mondo,
predicate il Vangelo a tutti gli uomini. Chi non crederà
sarà condannato: Euntes in
mundum universum, praedicate Evangelium omni creaturae. Qui non
crediderit condemnabitur [8].
Come il Padre mandò me, anche io mando voi: Sicut
misit me Pater, et ego mitto vos [9].
Chi ascolta voi, ascolta me; e chi disprezza voi, disprezza me. E chi
disprezza me, disprezza colui, che mi ha mandato: Qui
vos audit, me audit; et qui vos spernit me spernit. Qui autem me
spernit, spernit eum, qui misit me [10].
In verità vi dico: Tutto quello che legherete, sulla terra,
sarà legato anche nel cielo; e tutto quello che scioglierete
sulla terra, sarà sciolto anche nel cielo: Amen
dico vobis, quaecumque alligaveritis super terram, erunt ligata et
in caelo; et quaecumque solveritis super terram, erunt soluta et in
caelo [11]. Chi non
ascolta la Chiesa, si abbia come per gentile e per pubblicano: Si ecclesiam non audierit, sit tibi
sicut ethnicus et publicanus [12].»
Finalmente san Paolo dice di sè e degli altri Apostoli: Noi
dobbiam esser da tutti riguardati come ministri di Cristo e come
dispensatori dei misteri di Dio: Sic
nos existimet homo ut ministros Christi, et dispensatores
mysteriorum Dei [13].
Afferma, che lo Spirito Santo ha costituiti i Vescovi, come re della
Chiesa di Dio: Vos Spiritus
Sanctus posuit episcopos regere Ecclesiam Dei [14]. Spedisce Timoteo in Tessalonica,
acciocchè i Tessalonicesi gli rendano conto della loro fede: Misi Timotheum ad cognoscendam fidem
vestram [15]. Riprende
acremente i Galati, perchè rinnegavano la dottrina, che egli
aveva loro predicata: O insensati
Galatae, quis vos fascinavit non obedire veritati? [16] Minaccia i Corinti di volerli giudicare e
punire, perchè essi prestavano orecchio ad alcuni falsi apostoli:
Veniam ad vos... et cognoscam...
Quid vultis? in virga veniam ad vos? [17]
Ma quello che più rileva al nostro proposito si è, che,
stando alla dottrina di Cristo e degli Apostoli, l'apostasia dalla
fede, l'eresia e lo scisma sono da tenersi come gravi delitti, anzi
come i sommi tra quei delitti, che si dicono ecclesiastici; e per
conseguenza tocca sommamente all'autorità ed alla giurisdizione
della Chiesa il giudicarli ed il punirli. L'eresia si paragona nella
Scrittura ad un cancro che rode [18];
e gli eretici sono rassomigliati ora agli assassini, che spogliano i
viandanti e li uccidono [19],
ed ora ai lupi rapaci che divorano la greggia [20].
San Paolo li chiama uomini pervertiti, e condannati pel loro proprio
giudizio [21]. Più al vivo
li descrive san Giuda nella sua lettera canonica. Dice, che essi sono
uomini intrusi ed empii, che convertono in lussuria la grazia del
nostro Dio, negano Gesù Cristo solo Dominatore e Signor nostro,
contaminano la carne, disprezzano la dominazione, ingiuriano la
maestà, bestemmiano tutto ciò che ignorano, e come muti
animali abusano a loro depravazione di tutte quelle cose, che
naturalmente conoscono. E per questo li rassomiglia ora alle nuvole
senz'acqua, trasportate qua e là dai venti; ora agli alberi di
autunno, infruttiferi, morti due volte e degni di essere sradicati;
ora ai flutti del mare infierito, che spumano le proprie turpitudini,
ed ora alle stelle erranti, alle quali è riserbata in eterno una
tenebrosa caligine [22]. Cogli
stessi colori li dipinge san Pietro, come può vedersi in tutto il
secondo capo della seconda sua lettera.
Da tali sentenze della sacra Scrittura si conchiude, come ora
dicevamo, che l'eresia è il massimo tra i delitti ecclesiastici.
Essa rapisce ai fedeli la stessa fede, la quale non solo è uno
de' beni comuni della Chiesa, ma è il fondamento di tutti gli
altri suoi beni. Essa nega all'autorità ecclesiastica il d[i]ritto,
che Dio le ha conferito di amministrare un tal bene insieme cogli
altri; cioè l'ufficio di custodire intatto e di dispensare a
pubblica utilità il deposito della rivelazione. All'infallibile
magistero della Chiesa essa sostituisce i capricci dello spirito
privato; ed alle verità rivelate da Dio antipone le follie, che
si generano negli umani cervelli, trai fumi dell'orgoglio. Per lo che
nè Cristo nè gli Apostoli esagerano, descrivendoci colle
parole che abbiamo riferite, la malizia di questa colpa; e dall'altro
canto legittimamente si deduce dalle medesime parole di Cristo e degli
Apostoli, che una tal colpa è meritevole più di ogni altra
di esser punita dalla Chiesa; sia perchè essa offende più di
ogni altra la Chiesa stessa, attribuendole l'errore e l'inganno; sia
perchè più d'ogni altra essa nuoce alle anime, spogliandole
del prezioso tesoro della fede, nella quale consiste la radice e la
base della vita soprannaturale.
Lo stesso deve dirsi dell'apostasia e dello scisma. Per l'apostasia
oltre al rinnegare la fede, come si fa per l'eresia, si rinnega
altresì il nome cristiano. Lo scisma poi o non incomincia senza
eresia, ovvero non può andare a lungo, senza che si accompagni
con essa.
Dirà forse taluno: — Non si legge, che gli eretici sieno
stati puniti da Cristo, allorchè visse sulla terra. —
Rispondiamo, che la Chiesa, di cui Cristo è autore,
incominciò ad esistere di fatto dopo l'ascensione di lui al
cielo, vale a dire nel dì della Pentecoste. Da quel giorno
principiarono gli Apostoli a promulgare ed a confermare coi prodigi la
divinità della missione e della dottrina del loro Maestro; ed
insieme incominciarono allora ad intimare agli uomini l'obbligo di
ascriversi col battesimo alla Chiesa, di cui essi erano i fondamenti,
e di dipendere in fatto di religione dal magistero e
dall'autorità, che Cristo aveva conferito a tutti loro, ma in
ispecial maniera a Pietro ed ai suoi legittimi successori.
Talchè, propriamente parlando, non si potè, se non da quel
giorno in poi, cominciare a commettere il peccato di eresia; mentre
questo delitto consiste in ciò, che chi è battezzato si
attiene, in materia di fede e di culto, ad una dottrina la quale egli
pertinacemente reputa migliore e più vera di quella, che è
insegnata dal magistero ecclesiastico. Gli eretici dunque non uscirono
fuori, se non dopo fondata la Chiesa; cioè quando Cristo non era
più sulla terra. Ma però appena che essi apparvero, il che
fu nel tempo medesimo in cui vivevano gli Apostoli, Cristo stando in
cielo non lasciò, come più innanzi dimostreremo, di punire
il loro peccato.
Qui intanto torniamo a ripetere, che Cristo ebbe ogni potestà,
ed in particolare quella di punire i malvagi: Data
est mihi omuis potestas in coelo et in terra [23]; Ego
constitutus sum rex... Dabo tibi gentes haereditatem tuam, et
possessionem tuam terminos terrae. Reges eos in virga ferrea; et
tamquam vas figuli confringes eos [24]:
È stata data a me tutta la potestà in cielo e in terra. Io
sono stato costituito re... Io ti darò in retaggio le genti; ti
darò in dominio il mondo intero. Percuoterai i tuoi nemici con
verga di ferro, e gli stritolerai come un vaso di creta. La qual
verga, come spiega san Giovanni [25],
è specialmente destinata a flagellare coloro, che si ribellano e
contrastano alla verità, rivelata da Cristo medesimo. È poi
cosa certa, che Cristo non la ricevè a questo patto; cioè di
maneggiarla in maniera visibile egli solo ed immediatamente. Egli non
doveva sempre vivere visibilmente sulla terra; laddove la sua Chiesa
ha da rimanere quaggiù, fino alla consummazione del mondo, sempre
contraddetta e combattuta dagli eretici. Egli dunque ebbe quella
verga, e l'ebbe col dritto di adoperarla per mezzo de' suoi vicarii e
de' suoi ministri. Egli la consegnò alle loro mani; ed era
mestieri che la consegnasse; perchè la mera potestà
spirituale, priva di questa forza coattiva, sarebbe riuscita
inefficace a ben governare la sua Chiesa e a difenderla contro la
temerità degli eretici.
Ma veniamo a cose più particolari e più pratiche.
Esaminiamo se veramente gli Apostoli e quelli che dopo loro
governarono la Chiesa fino a Costantino, usarono essi ed imposero ai
fedeli che usassero dimestichezza e benevolenza verso gli eretici;
ciò che affermano coloro che stiamo confutando: ovvero se per lo
contrario gli uni e gli altri, sia nella condotta della loro vita, sia
nelle leggi che prescrissero, si attennero a quella severità di
disciplina, di cui finora abbiamo ragionato. Non possiamo soddisfare a
tale questione, se non col riferire qualche altra sentenza, e col
raccontare alcune brevi storie.
Incominciamo dagli Apostoli. San Paolo ordina espressamente e
raccomanda sì ai Vescovi, come ai semplici fedeli, che fuggano
gli eretici. Sfuggi l'uomo eretico, così egli scrive a Tito: Haereticum hominem devita [26]. Lo stesso egli ripete a Timoteo [27]. E nella lettera ai Romani parla in questi
termini: «Io vi prego, o fratelli, che vi guardiate da coloro,
che mettono dissensioni e inciampi contro la dottrina, che avete
imparata. Ritiratevi da essi. Questi tali non servono a Cristo, ma al
proprio ventre; e colle melate parole e colle adulazioni seducono i
cuori de' semplici: Rogo autem vos,
fratres, ut observetis eos, qui dissensiones et offendicula praeter
doctrinam, quam vos didicistis, faciunt, et declinate ab illis.
Huiuscemodi enim Christo Domino nostro non serviunt, sed suo ventri:
et per dulces sermones et benedictiones, seducunt corda innocentium
[28].»
San Giovanni comanda ai fedeli, che non solo non accolgano in loro
casa qualsiasi eretico, ma che nemmeno lo salutino, se lo incontrino
per via: Nolite recipere eum in
domum, nec ave ei dixeritis [29].
E porta la ragione, dicendo, che: «Chi saluta un eretico,
partecipa delle sue opere malvage: Qui
enim dicit illi ave, communicat operibus eius malignis [30].» E questi è quel Giovanni, sì
celebre tra tutti gli altri Apostoli, tanto per l'amore che a lui ebbe
Cristo, quanto per la carità e per la condiscendenza che egli
usò verso il prossimo. Or di quest'Apostolo sant'Ireneo racconta
un fatto, che esso udì insieme con altri dalla bocca di san
Policarpo, il quale fu discepolo di san Giovanni medesimo, ed era
stato da esso ordinato Vescovo. Un tale racconto fa al nostro
proposito; ed eccolo colle parole stesse di sant'Ireneo: «Vi
sono, egli dice, alcuni, i quali udirono raccontare da Policarpo, come
Giovanni, discepolo del Signore, stando in Efeso, andò un giorno
alle terme per lavarsi; e che vide là entro l'eretico Cerinto. A
quella vista sbalzò subito fuori del bagno, dicendo di temere,
che non cadesse tutto l'edificio, perchè vi era dentro Cerinto,
il nemico della Verità [31].»
Di Policarpo stesso il medesimo Ireneo racconta, com'egli nella sua
vecchiezza venne a Roma, ove trovavasi in quel tempo l'eretico
Marcione. Questo eretico, egli narra, veduto Policarpo, gli si
parò davanti, e gli disse: Non mi conosci tu? Al che il santo
Vescovo rispose: Bene ti conosco, primogenito di Satanasso; e
senz'altro aggiungere voltò le spalle [32].
Sant'Ireneo conchiude la narrazione di questi fatti, esclamando: In
tanto orrore gli Apostoli e i loro discepoli ebbero il comunicare solo
a parole con alcuno di quelli, che avevano adulterata la verità
della rivelazione! [33]
Citiamo due altri insigni Padri, sant'Ignazio e san Cipriano; il
primo de' quali risplende in mezzo a quelli, che immediatamente
succederono agli Apostoli, ed il secondo in mezzo a coloro, che
precederono di poco tempo la conversione di Costantino.
Sant'Ignazio nella lettera che scrisse agli Smirnei, gli ammonisce,
che non solamente non debbono alloggiare gli eretici, ma che, se
è possibile, nè anche si debbono imbattere in alcuno di
loro. Gli eretici, esso dice, sono belve sotto umane sembianze: Admoneo vos, praemunio vos contra feras
humana specie indutas: quas non solum oportet vos non recipere; sed,
si possibile est, nec obviam eis fieri [34]. Il glorioso Vescovo e martire, che così
parla, fu discepolo degli Apostoli Pietro e Giovanni.
L'altro, illustre Vescovo e martire di Cartagine, in più luoghi
delle sue opere prescrive la stessa regola. Riferiamone un solo
esempio, tolto da una sua lettera a Papa Cornelio: «Niun
commercio, egli dice, si ha da avere cogli eretici; non si hanno da
ammetter mai alla nostra mensa o ai nostri colloquii. È forza che
noi ci separiamo tanto da loro, quanto essi fuggono dalla Chiesa.
Niuna società vi può essere tra la fede e la perfidia. Chi
non è con Cristo, chi è avversario di Cristo, chi è
nemico della sua unità e della sua pace, non può convivere
con noi. Se costoro vengono da noi, porgendo suppliche e dando
soddisfazione, si ascoltino; se ci mandano maledizioni e ci fanno
minacce, si respingano: Nulla cum
talibus commercia copulentur, nulla convivia vel colloquia
misceantur; simusque ab eis tam separati quam sunt illi de Ecclesia
profugi. Nulla societas fidei et perfidiae potest esse. Qui cum
Christo non est, qui adversarius Christi est, qui unitati et paci
eius inimicus est, nobiscum non potest cohaerere. Si cum precibus et
satisfactionibus veniunt, audiantur; si maledicta et minas ingerunt,
respuantur [35].»
Potremmo facilmente proseguire a citare altre autorità ed altri
esempii di tal genere. Ma giudichiamo, che il detto finora basti a
chiarire, quanto è sventato il cervello di coloro, i quali
affermano insieme alla Patrie,
che spaziando pe' grandi secoli del cristianesimo, cioè per tutto
quel tratto, che corse dalla fondazione della Chiesa fino alla
conversione di Costantino, si possono a piene mani raccogliere fatti e
testimonii, con cui si dimostra, essersi la Chiesa cattolica diportata
in tutto quel tempo con ogni benevolenza e con ogni familiarità
verso gli eretici, ed avere tenuto i dissidenti ed i ribelli in un
medesimo conto, che i fedeli docili alle sue voci e sottomessi alle
sue leggi. Se non sono scimuniti quelli che così parlano, noi li
provochiamo, a citare un sol fatto, un testimonio solo, dal quale
venga qualche colore e qualche apparenza di verità alla
mostruosità di questo loro errore.
Ma qualcuno di rimando provocherà noi, acciocchè oltre a
tutto quello che abbiamo dimostrato, dimostriamo ancora, che gli
Apostoli ed i loro successori fino a Papa Silvestro, il quale visse al
tempo di Costantino, brandirono quella verga di ferro, che, come sopra
abbiamo detto, fu lasciata da Cristo alla sua Chiesa; e che quindi
dimostriamo aver la Chiesa in quei primi secoli non solo abborriti gli
eretici, ma averli altresì percossi con quel flagello; cioè
che insieme colla scomunica adoperò anche, per farli ravvedere e
per punirli, le pene afflittive e corporali; e che eresse a questo
effetto fin da quel tempo il tribunale della inquisizione.
La prima risposta che diamo a tutto questo è: che, avendo noi
provato il d[i]ritto, conferito da Cristo agli Apostoli
ed ai loro successori, di punire anche corporalmente gli eretici, non
potrà mai esser negata l'esistenza di un tal d[i]ritto,
ancorchè noi non potessimo per veruna guisa dimostrare, che
questo d[i]ritto medesimo fu esercitato nei primi
secoli della Chiesa. Altra cosa è il d[i]ritto, ed
altra è l'esercizio del d[i]ritto; e spesso accade
che chi ha un d[i]ritto, non lo eserciti, o sia
perchè niun obbligo richiede un tale esercizio, o sia perchè
alcuna ragione lo dissuade, o finalmente perchè qualche ingiusta
forza lo impedisce. Pertanto ancorchè non si potesse da noi
provare, che la Chiesa esercitò nei primi secoli il diritto
coattivo, di cui parliamo, contra gli eretici; anzi ancorchè si
potesse da altri provare, che in quel tempo essa non esercitò mai
un tal diritto; non si potrebbe da tutto questo conchiudere, che lo
stesso diritto non fu conferito alla Chiesa. Una tale conseguenza
peccherebbe contra uno dei primi precetti della logica; sarebbe
più ampia delle premesse.
In secondo luogo diciamo, che questo d[i]ritto
appartiene direttamente alla ecclesiastica potestà, ma che
nell'esercitarlo la Chiesa si vale, di legge ordinaria,
dell'autorità de' Principi secolari, ai quali direttamente
appartiene la spada materiale. Questa spada materiale è in
ciò subordinata alla Chiesa; ed i Principi cristiani la debbono
brandire al comando di lei. L'una la ordina e ne indica l'uso; gli
altri la vibrano e percuotono [36].
E la ragione si è, che la Chiesa è istituita da Cristo,
acciocchè abiliti ed indirizzi tutti gli uomini ad ottenere la
pace eterna; e per[ci]ò tutti gli uomini,
qualunque sia il loro stato e il loro ufficio, per istituzione divina,
sono subordinati alla Chiesa; e debbono sotto la sua guida rivolgere i
fini inferiori delle loro azioni o private o pubbliche al fine
supremo, a cui essa li conduce per ragione del suo ministero. Dal che
segue, che a questo fine supremo della Chiesa, che è, come
abbiamo detto, il conseguimento della pace eterna , deve essere
subordinata la pace temporale, in che è riposto il fine della
società civile. E per questo se i Principi di loro d[i]ritto
hanno la spada materiale, poichè senza essa non si conserva la
pace temporale nella società civile, a cui presiedono; e se nel
medesimo tempo essi appartengono alla Chiesa, e per[ci]ò
dipendono da lei, come ogni altro uomo, anche in quanto al loro
ufficio; è mestieri che con quella stessa spada essi aiutino la
Chiesa, acciocchè questa non sia impedita dal procurare agli
uomini la pace eterna.
Un tale aiuto mancò alla Chiesa in tutti que' primi secoli, di
cui parliamo. Dal che conchiudiamo questa seconda risposta con dire,
che se la Chiesa non punì allora corporalmente niun eretico,
ciò fu non perchè essa non aveva il dritto di punirli con
simili pene; ma perchè non aveva il modo di esercitare il suo d[i]ritto.
Appena poi i Principi secolari si convertirono a Cristo,
incominciarono, secondo la divina ordinazione, a sostenere col loro
braccio l'ecclesiastica disciplina. Al quale proposito ecco come
discorre sant'Agostino.
«Coloro, egli dice, i quali non soffrono, che la loro
empietà sia punita colle giuste leggi, vanno ripetendo, che gli
Apostoli non implorarono queste leggi dai re della terra. Questi tali
non considerano, che allora correvano altri tempi, e che ogni cosa si
fa al suo tempo. Non vi era in quei giorni imperatore alcuno, il quale
credesse in Cristo; e quindi niuno ve n'era, il quale fosse atto a
servire Cristo, decretando leggi che favorissero alla pietà e
reprimessero l'empietà. Andavasi allora compiendo quella
profezia, che dice: — Per qual ragione fremono le genti; e
macchinano i popoli vani disegni? Sono insorti i re della terra, e i
Principi si sono collegati insieme contro il Signore e contro il suo
Cristo. — Non si era ancora incominciata ad effettuare
quell'altra parte della stessa profezia, la quale soggiunge: —
Or dunque imparate, o re; ravvedetevi voi, che siete i giudici della
terra. Servite a Dio nel timore, ed esultate in lui con tremore.
—
«Ma in qual altra guisa i re servono a Dio nel timore, se non
vietando, e punendo con religiosa severità ogni colpa, che si
commette contro i comandamenti di Dio? In altra maniera il re serve al
Signore, come uomo; ed in altra maniera lo serve, come re. In quanto
uomo lo serve, conformando alla fede la propria vita; ma in quanto re
lo deve servire ordinando colle leggi le opere giuste, e proibendo le
ingiuste colla vigorosa sanzione delle pene dovute.
«Poichè dunque nel tempo degli Apostoli i re non servivano
a Dio, ma in quella vece macchinavano, secondo le profezie, vani
disegni contro il Signore e contro il suo Cristo; al certo non si
poteva allora colle loro leggi proibire l'empietà, ma per lo
contrario si promoveva. Per tal modo si svolgeva l'ordine de' tempi: i
giudei uccidevano i predicatori di Cristo, credendo di fare ossequio a
Dio, come Cristo aveva predetto; i gentili fremevano contro i
cristiani; e la pazienza de' martiri si preparava a trionfare dei
giudei e dei gentili. Incominciatasi finalmente ad avverare
quell'altra profezia, in cui si dice: — Adoreranno Cristo tutt'i
re della terra, e lo serviranno tutte le genti; — chi mai, se
pure non è mentecatto, può dire ai re: Non vi curate, che la
Chiesa del vostro Dio sia piuttosto servita, che combattuta ne' vostri
regni? [37]»
Finalmente è degno di notarsi, che se in que' secoli la Chiesa
non ebbe a suo sostegno il braccio de' principi secolari; piacque
però a Cristo, siccome di sopra abbiamo accennato, di stendere
talora a questo effetto il braccio suo. Egli punì in quel tempo
in modo prodigioso e con pene corporali alcuni persecutori del
Vangelo, specialmente se erano di quelli che, dopo, averlo
abbracciato, lo rinnegavano. E nell'infliggere simili pene diede a
vedere manifestamente, che le infliggeva o per soddisfare alle
suppliche, che gliene porgevano i suoi Apostoli, come nella mortale
caduta di Simone apostata e mago; o, che è più, per
confermare e per compiere le minacce, che gli stessi Apostoli facevano
ai colpevoli, come nell'accecamento di Elima, anch'esso apostata e
mago. San Paolo sgridò questo Elima dicendogli: O uomo pieno di
ogni inganno e di ogni falsità, figliuolo del diavolo, nemico
della giustizia; tu non finisci di pervertire le vie rette del
Signore; or dunque ecco la mano del Signore sopra di te, resterai
cieco. E non appena ebbe egli profferite queste parole, che, come dice
il sacro testo, cadde su di Elima una tenebrosa caligine; ed il misero
aggirandosi intorno cercava chi gli desse la mano: Confestim
cecidit in eum caligo, et tenebrae; et circuiens quaerebat qui ei
manum daret [38].
E con ciò facciamo fine; perchè non abbiamo inteso di
esporre nella sua pienezza la dottrina della Chiesa cattolica intorno
alla tolleranza de' culti. Il nostro pensiero è stato di indicare
solo una parte di questa dottrina, quanto bastava a confutare le
asserzioni false ed ereticali della Patrie,
e di illuminare que' semplici cattolici, i quali, parlando di una tale
materia senza conoscerne i principii, ripetono quelle stesse
falsità ed eresie. Or, se non ci inganniamo, ci sembra di avere
sufficientemente raggiunto il nostro scopo, colle cose dette così
in questo articolo, come in quell'altro che pubblicammo nel penultimo
quaderno.
NOTE:
[6] Ivi, 17.
[12] Ivi, 16.
[13] Prima ai Corinti, IV, 1.
[15] Prima ai Tessalonicesi,
III, 5.
[16] Ai Galati, III, 1.
[17] Prima ai Corinti, IV, 19,
21.
[18] Seconda a Timoteo, II, 17.
[21] A Tito, III, 11.
[26] A Tito, III, 10.
[27] Seconda a Timoteo, III, 5;
e IV, 15.
[28] Ai Romani, XVI, 17, 18.
[29] Seconda epistola, 10.
[30] Ivi, 11.
[33] Ivi.
[34] Lettera agli Smirnei, cap.
IV.
[35] Lettera a Cornelio intorno
a Fortunato ed a Felicissimo, intitolata: Contra
Haereticos, cap. XXI.
[36] Princeps
temporalis directe habet materialem gladium et usum eius; ecclesia
vero solum indirecte et quasi eminenter, ratione cuius eminentiae
etiam materialem gladium principis habet sibi subordinatum. Suarez, de
Fide, disput. XX, sect. III, num. 27.
Haec potestas in principe
temporali est tamquam in exequente et moto ab alio; in Pontifice
vero est tamquam in imperante et movente. Ivi, disput. XXIII,
sect. I, num. 7.
[37] Quod
dicunt qui contra suas impietates leges iustas institui nolunt, non
petiisse a regibus terrae Apostolos talia, non considerant aliud
fuisse tunc tempus, et omnia suis temporibus agi. Quis enim tunc in
Christum crediderat imperator, qui ei pro pietate contra impietatem
leges ferendo serviret, quando adhuc illud propheticum complebatur:
Quare fremuerunt gentes et populi meditati sunt inania? Astiterunt
reges terrae, et principes convenerunt in unum adversus Dominum, et
adversus Christum eius: nondum
autem agebatur, quod paulo post in eodem psalmo dicitur: Et
nunc reges intelligite; erudimini qui iudicatis terram. Servite Domino
in timore, et exultate ei cum tremore (Psalm. II, 1, 2, 10, 11). Quomodo ergo reges Domino serviunt in
timore, nisi ea quae contra iussa Domini fiunt, religiosa severitate
prohibendo atque plectendo? Aliter enim servit, quia homo est;
aliter quia etiam rex est: quia homo est, ei servit vivendo
fideliter; quia vero etiam rex est, servit leges iusta praecipientes
et contraria prohibentes convenienti vigore sanciendo... Cum itaque
nondum reges Domino servirent temporibus Apostolorum, sed adhuc
meditarentur inania adversus Dominum et adversus Christum eius, ut
Prophetarum praedicta omnia complerentur, non utique tunc possent
impietates legibus prohiberi, sed potius exerceri. Sic enim ordo
temporum volvebatur, ut et Iudaei occiderent praedicatores Christi,
putantes se officium Deo facere, sicut praedixerat Christus (Ioann.
XVI, 2), et Gentes fremerent adversus Christianos, et omnes
patientia martyrum vinceret. Postea vero quam coepit impleri quod
scriptum est: Et adorabunt eum omnes reges terrae; omnes
gentes servient illi (Psalm. LXXI, 11); quis
mente sobrius regibus dicat: Nolite curare in regno vestro a quo
teneatur vel oppugnetur Ecclesia Domini vestri? Epistola ad
Bonifacium, de correctione Donatistarum, cap. V.
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