venerdì 15 luglio 2016

LA PATRIE E LA TOLLERANZA DE' CULTI[1]

R.P. Beniamino Palomba d.C.d.G.

La Civiltà Cattolica anno XIX, serie VII, vol. III (fasc. 441, 20 Luglio 1868), Roma 1868 pag. 301-315.
L'errore della Patrie, che prendemmo a confutare in un altro quaderno, riguarda la tolleranza de' culti. Cristo medesimo, al dire di cotesto giornale, avrebbe insegnato a chiare note il grande principio della tolleranza civile, che è seguito da una gran parte de' politici di oggi. Questo principio, secondo la stessa Patrie, fu messo in pratica ne' primi e grandi secoli del cristianesimo. Ma da quel tempo in poi fu del tutto dimenticato. Dopo quei secoli la Chiesa incominciò a tenere ed a praticare, intorno a questa materia, una dottrina tutto fondata sopra vane e miserabili arguzie; ed a simili frivolezze si attiene anche la Chiesa, che al presente fiorisce sulla terra.
Qual è l'opposta dottrina, a cui si attengono le società moderne? Essa vien descritta dal Renan con quelle parole, che noi già citammo in un altro articolo: La tolérance extérieure, egli dice, est celle qui rend possible la bienveillance entre les dissidents, et qui, en politique, accorde aux uns et aux autres les mêmes droits [2]. [«La tolleranza esteriore è quella che rende possibile la benevolenza tra i dissidenti, e che, in politica, concede agli uni ed agli altri uguali diritti.» N.d.R.] Adunque, stando alla Patrie, Cristo insegnò: Che si ha da conversare amichevolmente, e convivere in intima intrinsechezza con tutti coloro, che contrastano e si ribellano alla Chiesa, da lui fondata per mezzo degli Apostoli; e che i dissidenti, quali che essi sieno, debbono essere dai principi cristiani favoriti al pari de' cattolici. Questa familiarità e questa uguale distribuzione di favori fu osservata ne' primi secoli del cristianesimo.
Or noi confutammo tali stoltezze con un argomento indiretto. Concedemmo che la dottrina della Chiesa, dopo i primi secoli insino a noi, fu sempre ed è quella stessa, che dice la Patrie; cioè del tutto opposta alle false opinioni de' politici di questi tempi. Dimostrammo, che la Chiesa tenne sempre per l'addietro questa sua dottrina, e la tiene al presente, come una dottrina rivelata da Cristo, e predicata a lei per bocca degli Apostoli. Di qui inferimmo, esser cosa certa e indubitabile, che gli Apostoli riceverono da Cristo la dottrina medesima, e che essi dapprima e poi di mano in mano tutt'i loro successori la trasmisero fino a noi. È questa una immediata e necessaria conseguenza della infallibilità della nostra Chiesa; per la quale prerogativa essa non può mai cadere in inganno ed in errore; vale a dire non può mai perdere la memoria di verun insegnamento di Cristo, suo fondatore, suo capo e suo maestro; e molto meno può professare una dottrina ripugnante alla dottrina di lui. Da chi proviene questa maravigliosa infallibilità e questo inalterabile assenso a tutte le verità, rivelate da Cristo? Da Cristo medesimo, il quale, in chiari termini, ha promesso di starsi colla sua Chiesa, e di assisterla sino alla consummazione de' secoli, senza lasciarla mai in abbandono neppure un giorno solo: Ecce ego vobiscum sum omnibus diebus, usqe que ad consummationem saeculi [3]. [Matth XXVIII, 20: «Ed ecco che Io sono con voi per tutti i giorni sino alla consumazione de' secoli.» N.d.R.]
Svolgendo tali concetti, noi rispondemmo alle false proposizioni della Patrie. E se una tale risposta è indiretta, essa però, come già avvertimmo, è efficace a ritenere tra i confini del vero tutti que' cattolici, specialmente laici, i quali ignorano perfino i principii di quelle stesse cose, di cui vogliono giudicare; e quindi parlano e sentenziano non da cattolici ma da eretici.
Veniamo ora, secondo la promessa, a confutare direttamente le stesse falsità; e diciamo, che ove si esamini la dottrina di Cristo, si vedrà questa non prescrivere, come afferma la Patrie, ma riprovare quella tolleranza civile de' culti, che è proclamata dai moderni politici; e che ove si percorrano i grandi secoli del cristianesimo, si raccolgono quivi a piene mani fatti e testimonii, i quali son lungi dal favorire, come dice la stessa Patrie, ma condannano invece una tale tolleranza. Ecco, in effetto ciò che conchiude di necessità, chi attentamente considera ogni accento ed ogni precetto di Cristo, che è autore della Chiesa; e di più indaga diligentemente tutte le parole e tutt'i fatti degli Apostoli, i quali Cristo stesso si scelse come esecutori del proprio disegno; egli deve conchiudere: Che la Chiesa fa immaginata e voluta da Cristo a maniera di una società perfetta, e di un regno ordinato e munito al meglio che è possibile, e che tale di suo comando essa fu edificata dagli Apostoli e propagata su tutta la terra. Questa sola conclusione noi opponiamo alla Patrie e a tutti coloro, che discorrono all'impazzata, come lei; essa sola basta a rintuzzare direttamente la falsità de' loro detti.
Se la Chiesa è costantemente chiamata da Cristo e dagli Apostoli coi nomi di ovile, di corpo, di famiglia, di città, di regno, di esercito; se, in parola, essa è rappresentata, come ora dicevamo, quale società costituita con un ordine perfetto; deriva per necessaria conseguenza, che essa è fondata sopra una gerarchia, cioè sopra un principio sacro di autorità, e che un tale principato è perfetto nel suo genere; poichè la perfezione della società nasce da quella del suo governo, e per[ci]ò se è imperfetto il governo, anche la società dev'essere imperfetta.
Or gli attributi necessarii di qualsivoglia sovranità sono il dettar leggi, l'amministrare i beni comuni, e finalmente il costringere, se è mestieri, anche colla forza all'osservanza degli ordini stabiliti, e vendicare con giuste pene le violazioni di tali ordini. Adunque la gerarchia della Chiesa, perfetta nel suo genere, è investita di questi tre dritti inseparabili da ogni buon governo; cioè del d[i]ritto della legislazione, del d[i]ritto dell'amministrazione e di quello della coazione. Tutti e tre questi d[i]ritti son raccolti in una maniera tutto speciale e tutto propria nel romano Pontefice, il quale, erede e successore di Pietro, è il vertice e l'origine di ogni giurisdizione ecclesiastica.
Questi d[i]ritti non solo si argomentano, per legittimo discorso, dal vero concetto della perfezione della Chiesa; essi sono di più espressamente enunciati nelle sacre Scritture, nelle quali ora si rappresenta Cristo, che li conferisce ai suoi Apostoli, ed ora si rappresentano gli Apostoli medesimi, i quali o affermano di averli ricevuti da Cristo, o li mettono in opera. Ecco, a confermazione di ciò che diciamo, alcuni pochi esempii.
Dapprima Cristo parla in particolare al solo Pietro in questi termini: «Io dico a te che tu sei Pietro, e sopra questa Pietra edificherò la mia Chiesa; e a te io darò le chiavi del regno de' cieli, e qualunque cosa avrai legata sopra la terra, sarà legata anche nei cieli; e qualunque cosa avrai sciolta sopra la terra, sarà sciolta anche ne' cieli: Ego dico tibi, quia tu es Petrus, et super hanc petram aedificabo ecclesiam meam. Et tibi dabo claves regni caelorum. Et quodcumque ligaveris super terram, erit ligatum et in caelis; et quodcumque solveris super terram, erit solutum et in caelis [4]. Pasci i miei agnelli: Pasce agnos meos [5]. Pasci le mie pecorelle: Pasce oves meas [6].» Queste parole dette a Pietro, si riferiscono anche a tutti i successori di lui, cioè a tutti i Vescovi di Roma.
Oltre a ciò così egli parla in generale a tutti gli Apostoli: «È stata data a me tutta la potestà in cielo e in terra. Andate adunque, istruite tutte le genti, insegnando loro di osservare tutto quello, che io vi ho comandato: Data est mihi omnis potestas in caelo et in terra. Euntes ergo docete omnes gentes; docentes eos servare omnia quaecumque mandavi vobis [7]. Andate per tutto il mondo, predicate il Vangelo a tutti gli uomini. Chi non crederà sarà condannato: Euntes in mundum universum, praedicate Evangelium omni creaturae. Qui non crediderit condemnabitur [8]. Come il Padre mandò me, anche io mando voi: Sicut misit me Pater, et ego mitto vos [9]. Chi ascolta voi, ascolta me; e chi disprezza voi, disprezza me. E chi disprezza me, disprezza colui, che mi ha mandato: Qui vos audit, me audit; et qui vos spernit me spernit. Qui autem me spernit, spernit eum, qui misit me [10]. In verità vi dico: Tutto quello che legherete, sulla terra, sarà legato anche nel cielo; e tutto quello che scioglierete sulla terra, sarà sciolto anche nel cielo: Amen dico vobis, quaecumque alligaveritis super terram, erunt ligata et in caelo; et quaecumque solveritis super terram, erunt soluta et in caelo [11]. Chi non ascolta la Chiesa, si abbia come per gentile e per pubblicano: Si ecclesiam non audierit, sit tibi sicut ethnicus et publicanus [12]
Finalmente san Paolo dice di sè e degli altri Apostoli: Noi dobbiam esser da tutti riguardati come ministri di Cristo e come dispensatori dei misteri di Dio: Sic nos existimet homo ut ministros Christi, et dispensatores mysteriorum Dei [13]. Afferma, che lo Spirito Santo ha costituiti i Vescovi, come re della Chiesa di Dio: Vos Spiritus Sanctus posuit episcopos regere Ecclesiam Dei [14]. Spedisce Timoteo in Tessalonica, acciocchè i Tessalonicesi gli rendano conto della loro fede: Misi Timotheum ad cognoscendam fidem vestram [15]. Riprende acremente i Galati, perchè rinnegavano la dottrina, che egli aveva loro predicata: O insensati Galatae, quis vos fascinavit non obedire veritati? [16] Minaccia i Corinti di volerli giudicare e punire, perchè essi prestavano orecchio ad alcuni falsi apostoli: Veniam ad vos... et cognoscam... Quid vultis? in virga veniam ad vos? [17]
Ma quello che più rileva al nostro proposito si è, che, stando alla dottrina di Cristo e degli Apostoli, l'apostasia dalla fede, l'eresia e lo scisma sono da tenersi come gravi delitti, anzi come i sommi tra quei delitti, che si dicono ecclesiastici; e per conseguenza tocca sommamente all'autorità ed alla giurisdizione della Chiesa il giudicarli ed il punirli. L'eresia si paragona nella Scrittura ad un cancro che rode [18]; e gli eretici sono rassomigliati ora agli assassini, che spogliano i viandanti e li uccidono [19], ed ora ai lupi rapaci che divorano la greggia [20]. San Paolo li chiama uomini pervertiti, e condannati pel loro proprio giudizio [21]. Più al vivo li descrive san Giuda nella sua lettera canonica. Dice, che essi sono uomini intrusi ed empii, che convertono in lussuria la grazia del nostro Dio, negano Gesù Cristo solo Dominatore e Signor nostro, contaminano la carne, disprezzano la dominazione, ingiuriano la maestà, bestemmiano tutto ciò che ignorano, e come muti animali abusano a loro depravazione di tutte quelle cose, che naturalmente conoscono. E per questo li rassomiglia ora alle nuvole senz'acqua, trasportate qua e là dai venti; ora agli alberi di autunno, infruttiferi, morti due volte e degni di essere sradicati; ora ai flutti del mare infierito, che spumano le proprie turpitudini, ed ora alle stelle erranti, alle quali è riserbata in eterno una tenebrosa caligine [22]. Cogli stessi colori li dipinge san Pietro, come può vedersi in tutto il secondo capo della seconda sua lettera.
Da tali sentenze della sacra Scrittura si conchiude, come ora dicevamo, che l'eresia è il massimo tra i delitti ecclesiastici. Essa rapisce ai fedeli la stessa fede, la quale non solo è uno de' beni comuni della Chiesa, ma è il fondamento di tutti gli altri suoi beni. Essa nega all'autorità ecclesiastica il d[i]ritto, che Dio le ha conferito di amministrare un tal bene insieme cogli altri; cioè l'ufficio di custodire intatto e di dispensare a pubblica utilità il deposito della rivelazione. All'infallibile magistero della Chiesa essa sostituisce i capricci dello spirito privato; ed alle verità rivelate da Dio antipone le follie, che si generano negli umani cervelli, trai fumi dell'orgoglio. Per lo che nè Cristo nè gli Apostoli esagerano, descrivendoci colle parole che abbiamo riferite, la malizia di questa colpa; e dall'altro canto legittimamente si deduce dalle medesime parole di Cristo e degli Apostoli, che una tal colpa è meritevole più di ogni altra di esser punita dalla Chiesa; sia perchè essa offende più di ogni altra la Chiesa stessa, attribuendole l'errore e l'inganno; sia perchè più d'ogni altra essa nuoce alle anime, spogliandole del prezioso tesoro della fede, nella quale consiste la radice e la base della vita soprannaturale.
Lo stesso deve dirsi dell'apostasia e dello scisma. Per l'apostasia oltre al rinnegare la fede, come si fa per l'eresia, si rinnega altresì il nome cristiano. Lo scisma poi o non incomincia senza eresia, ovvero non può andare a lungo, senza che si accompagni con essa.
Dirà forse taluno: — Non si legge, che gli eretici sieno stati puniti da Cristo, allorchè visse sulla terra. — Rispondiamo, che la Chiesa, di cui Cristo è autore, incominciò ad esistere di fatto dopo l'ascensione di lui al cielo, vale a dire nel dì della Pentecoste. Da quel giorno principiarono gli Apostoli a promulgare ed a confermare coi prodigi la divinità della missione e della dottrina del loro Maestro; ed insieme incominciarono allora ad intimare agli uomini l'obbligo di ascriversi col battesimo alla Chiesa, di cui essi erano i fondamenti, e di dipendere in fatto di religione dal magistero e dall'autorità, che Cristo aveva conferito a tutti loro, ma in ispecial maniera a Pietro ed ai suoi legittimi successori. Talchè, propriamente parlando, non si potè, se non da quel giorno in poi, cominciare a commettere il peccato di eresia; mentre questo delitto consiste in ciò, che chi è battezzato si attiene, in materia di fede e di culto, ad una dottrina la quale egli pertinacemente reputa migliore e più vera di quella, che è insegnata dal magistero ecclesiastico. Gli eretici dunque non uscirono fuori, se non dopo fondata la Chiesa; cioè quando Cristo non era più sulla terra. Ma però appena che essi apparvero, il che fu nel tempo medesimo in cui vivevano gli Apostoli, Cristo stando in cielo non lasciò, come più innanzi dimostreremo, di punire il loro peccato.
Qui intanto torniamo a ripetere, che Cristo ebbe ogni potestà, ed in particolare quella di punire i malvagi: Data est mihi omuis potestas in coelo et in terra [23]; Ego constitutus sum rex... Dabo tibi gentes haereditatem tuam, et possessionem tuam terminos terrae. Reges eos in virga ferrea; et tamquam vas figuli confringes eos [24]: È stata data a me tutta la potestà in cielo e in terra. Io sono stato costituito re... Io ti darò in retaggio le genti; ti darò in dominio il mondo intero. Percuoterai i tuoi nemici con verga di ferro, e gli stritolerai come un vaso di creta. La qual verga, come spiega san Giovanni [25], è specialmente destinata a flagellare coloro, che si ribellano e contrastano alla verità, rivelata da Cristo medesimo. È poi cosa certa, che Cristo non la ricevè a questo patto; cioè di maneggiarla in maniera visibile egli solo ed immediatamente. Egli non doveva sempre vivere visibilmente sulla terra; laddove la sua Chiesa ha da rimanere quaggiù, fino alla consummazione del mondo, sempre contraddetta e combattuta dagli eretici. Egli dunque ebbe quella verga, e l'ebbe col dritto di adoperarla per mezzo de' suoi vicarii e de' suoi ministri. Egli la consegnò alle loro mani; ed era mestieri che la consegnasse; perchè la mera potestà spirituale, priva di questa forza coattiva, sarebbe riuscita inefficace a ben governare la sua Chiesa e a difenderla contro la temerità degli eretici.
Ma veniamo a cose più particolari e più pratiche. Esaminiamo se veramente gli Apostoli e quelli che dopo loro governarono la Chiesa fino a Costantino, usarono essi ed imposero ai fedeli che usassero dimestichezza e benevolenza verso gli eretici; ciò che affermano coloro che stiamo confutando: ovvero se per lo contrario gli uni e gli altri, sia nella condotta della loro vita, sia nelle leggi che prescrissero, si attennero a quella severità di disciplina, di cui finora abbiamo ragionato. Non possiamo soddisfare a tale questione, se non col riferire qualche altra sentenza, e col raccontare alcune brevi storie.
Incominciamo dagli Apostoli. San Paolo ordina espressamente e raccomanda sì ai Vescovi, come ai semplici fedeli, che fuggano gli eretici. Sfuggi l'uomo eretico, così egli scrive a Tito: Haereticum hominem devita [26]. Lo stesso egli ripete a Timoteo [27]. E nella lettera ai Romani parla in questi termini: «Io vi prego, o fratelli, che vi guardiate da coloro, che mettono dissensioni e inciampi contro la dottrina, che avete imparata. Ritiratevi da essi. Questi tali non servono a Cristo, ma al proprio ventre; e colle melate parole e colle adulazioni seducono i cuori de' semplici: Rogo autem vos, fratres, ut observetis eos, qui dissensiones et offendicula praeter doctrinam, quam vos didicistis, faciunt, et declinate ab illis. Huiuscemodi enim Christo Domino nostro non serviunt, sed suo ventri: et per dulces sermones et benedictiones, seducunt corda innocentium [28]
San Giovanni comanda ai fedeli, che non solo non accolgano in loro casa qualsiasi eretico, ma che nemmeno lo salutino, se lo incontrino per via: Nolite recipere eum in domum, nec ave ei dixeritis [29]. E porta la ragione, dicendo, che: «Chi saluta un eretico, partecipa delle sue opere malvage: Qui enim dicit illi ave, communicat operibus eius malignis [30].» E questi è quel Giovanni, sì celebre tra tutti gli altri Apostoli, tanto per l'amore che a lui ebbe Cristo, quanto per la carità e per la condiscendenza che egli usò verso il prossimo. Or di quest'Apostolo sant'Ireneo racconta un fatto, che esso udì insieme con altri dalla bocca di san Policarpo, il quale fu discepolo di san Giovanni medesimo, ed era stato da esso ordinato Vescovo. Un tale racconto fa al nostro proposito; ed eccolo colle parole stesse di sant'Ireneo: «Vi sono, egli dice, alcuni, i quali udirono raccontare da Policarpo, come Giovanni, discepolo del Signore, stando in Efeso, andò un giorno alle terme per lavarsi; e che vide là entro l'eretico Cerinto. A quella vista sbalzò subito fuori del bagno, dicendo di temere, che non cadesse tutto l'edificio, perchè vi era dentro Cerinto, il nemico della Verità [31]
Di Policarpo stesso il medesimo Ireneo racconta, com'egli nella sua vecchiezza venne a Roma, ove trovavasi in quel tempo l'eretico Marcione. Questo eretico, egli narra, veduto Policarpo, gli si parò davanti, e gli disse: Non mi conosci tu? Al che il santo Vescovo rispose: Bene ti conosco, primogenito di Satanasso; e senz'altro aggiungere voltò le spalle [32]. Sant'Ireneo conchiude la narrazione di questi fatti, esclamando: In tanto orrore gli Apostoli e i loro discepoli ebbero il comunicare solo a parole con alcuno di quelli, che avevano adulterata la verità della rivelazione! [33]
Citiamo due altri insigni Padri, sant'Ignazio e san Cipriano; il primo de' quali risplende in mezzo a quelli, che immediatamente succederono agli Apostoli, ed il secondo in mezzo a coloro, che precederono di poco tempo la conversione di Costantino.
Sant'Ignazio nella lettera che scrisse agli Smirnei, gli ammonisce, che non solamente non debbono alloggiare gli eretici, ma che, se è possibile, nè anche si debbono imbattere in alcuno di loro. Gli eretici, esso dice, sono belve sotto umane sembianze: Admoneo vos, praemunio vos contra feras humana specie indutas: quas non solum oportet vos non recipere; sed, si possibile est, nec obviam eis fieri [34]. Il glorioso Vescovo e martire, che così parla, fu discepolo degli Apostoli Pietro e Giovanni.
L'altro, illustre Vescovo e martire di Cartagine, in più luoghi delle sue opere prescrive la stessa regola. Riferiamone un solo esempio, tolto da una sua lettera a Papa Cornelio: «Niun commercio, egli dice, si ha da avere cogli eretici; non si hanno da ammetter mai alla nostra mensa o ai nostri colloquii. È forza che noi ci separiamo tanto da loro, quanto essi fuggono dalla Chiesa. Niuna società vi può essere tra la fede e la perfidia. Chi non è con Cristo, chi è avversario di Cristo, chi è nemico della sua unità e della sua pace, non può convivere con noi. Se costoro vengono da noi, porgendo suppliche e dando soddisfazione, si ascoltino; se ci mandano maledizioni e ci fanno minacce, si respingano: Nulla cum talibus commercia copulentur, nulla convivia vel colloquia misceantur; simusque ab eis tam separati quam sunt illi de Ecclesia profugi. Nulla societas fidei et perfidiae potest esse. Qui cum Christo non est, qui adversarius Christi est, qui unitati et paci eius inimicus est, nobiscum non potest cohaerere. Si cum precibus et satisfactionibus veniunt, audiantur; si maledicta et minas ingerunt, respuantur [35]
Potremmo facilmente proseguire a citare altre autorità ed altri esempii di tal genere. Ma giudichiamo, che il detto finora basti a chiarire, quanto è sventato il cervello di coloro, i quali affermano insieme alla Patrie, che spaziando pe' grandi secoli del cristianesimo, cioè per tutto quel tratto, che corse dalla fondazione della Chiesa fino alla conversione di Costantino, si possono a piene mani raccogliere fatti e testimonii, con cui si dimostra, essersi la Chiesa cattolica diportata in tutto quel tempo con ogni benevolenza e con ogni familiarità verso gli eretici, ed avere tenuto i dissidenti ed i ribelli in un medesimo conto, che i fedeli docili alle sue voci e sottomessi alle sue leggi. Se non sono scimuniti quelli che così parlano, noi li provochiamo, a citare un sol fatto, un testimonio solo, dal quale venga qualche colore e qualche apparenza di verità alla mostruosità di questo loro errore.
Ma qualcuno di rimando provocherà noi, acciocchè oltre a tutto quello che abbiamo dimostrato, dimostriamo ancora, che gli Apostoli ed i loro successori fino a Papa Silvestro, il quale visse al tempo di Costantino, brandirono quella verga di ferro, che, come sopra abbiamo detto, fu lasciata da Cristo alla sua Chiesa; e che quindi dimostriamo aver la Chiesa in quei primi secoli non solo abborriti gli eretici, ma averli altresì percossi con quel flagello; cioè che insieme colla scomunica adoperò anche, per farli ravvedere e per punirli, le pene afflittive e corporali; e che eresse a questo effetto fin da quel tempo il tribunale della inquisizione.
La prima risposta che diamo a tutto questo è: che, avendo noi provato il d[i]ritto, conferito da Cristo agli Apostoli ed ai loro successori, di punire anche corporalmente gli eretici, non potrà mai esser negata l'esistenza di un tal d[i]ritto, ancorchè noi non potessimo per veruna guisa dimostrare, che questo d[i]ritto medesimo fu esercitato nei primi secoli della Chiesa. Altra cosa è il d[i]ritto, ed altra è l'esercizio del d[i]ritto; e spesso accade che chi ha un d[i]ritto, non lo eserciti, o sia perchè niun obbligo richiede un tale esercizio, o sia perchè alcuna ragione lo dissuade, o finalmente perchè qualche ingiusta forza lo impedisce. Pertanto ancorchè non si potesse da noi provare, che la Chiesa esercitò nei primi secoli il diritto coattivo, di cui parliamo, contra gli eretici; anzi ancorchè si potesse da altri provare, che in quel tempo essa non esercitò mai un tal diritto; non si potrebbe da tutto questo conchiudere, che lo stesso diritto non fu conferito alla Chiesa. Una tale conseguenza peccherebbe contra uno dei primi precetti della logica; sarebbe più ampia delle premesse.
In secondo luogo diciamo, che questo d[i]ritto appartiene direttamente alla ecclesiastica potestà, ma che nell'esercitarlo la Chiesa si vale, di legge ordinaria, dell'autorità de' Principi secolari, ai quali direttamente appartiene la spada materiale. Questa spada materiale è in ciò subordinata alla Chiesa; ed i Principi cristiani la debbono brandire al comando di lei. L'una la ordina e ne indica l'uso; gli altri la vibrano e percuotono [36]. E la ragione si è, che la Chiesa è istituita da Cristo, acciocchè abiliti ed indirizzi tutti gli uomini ad ottenere la pace eterna; e per[ci]ò tutti gli uomini, qualunque sia il loro stato e il loro ufficio, per istituzione divina, sono subordinati alla Chiesa; e debbono sotto la sua guida rivolgere i fini inferiori delle loro azioni o private o pubbliche al fine supremo, a cui essa li conduce per ragione del suo ministero. Dal che segue, che a questo fine supremo della Chiesa, che è, come abbiamo detto, il conseguimento della pace eterna , deve essere subordinata la pace temporale, in che è riposto il fine della società civile. E per questo se i Principi di loro d[i]ritto hanno la spada materiale, poichè senza essa non si conserva la pace temporale nella società civile, a cui presiedono; e se nel medesimo tempo essi appartengono alla Chiesa, e per[ci]ò dipendono da lei, come ogni altro uomo, anche in quanto al loro ufficio; è mestieri che con quella stessa spada essi aiutino la Chiesa, acciocchè questa non sia impedita dal procurare agli uomini la pace eterna.
Un tale aiuto mancò alla Chiesa in tutti que' primi secoli, di cui parliamo. Dal che conchiudiamo questa seconda risposta con dire, che se la Chiesa non punì allora corporalmente niun eretico, ciò fu non perchè essa non aveva il dritto di punirli con simili pene; ma perchè non aveva il modo di esercitare il suo d[i]ritto. Appena poi i Principi secolari si convertirono a Cristo, incominciarono, secondo la divina ordinazione, a sostenere col loro braccio l'ecclesiastica disciplina. Al quale proposito ecco come discorre sant'Agostino.
«Coloro, egli dice, i quali non soffrono, che la loro empietà sia punita colle giuste leggi, vanno ripetendo, che gli Apostoli non implorarono queste leggi dai re della terra. Questi tali non considerano, che allora correvano altri tempi, e che ogni cosa si fa al suo tempo. Non vi era in quei giorni imperatore alcuno, il quale credesse in Cristo; e quindi niuno ve n'era, il quale fosse atto a servire Cristo, decretando leggi che favorissero alla pietà e reprimessero l'empietà. Andavasi allora compiendo quella profezia, che dice: — Per qual ragione fremono le genti; e macchinano i popoli vani disegni? Sono insorti i re della terra, e i Principi si sono collegati insieme contro il Signore e contro il suo Cristo. — Non si era ancora incominciata ad effettuare quell'altra parte della stessa profezia, la quale soggiunge: — Or dunque imparate, o re; ravvedetevi voi, che siete i giudici della terra. Servite a Dio nel timore, ed esultate in lui con tremore. —
«Ma in qual altra guisa i re servono a Dio nel timore, se non vietando, e punendo con religiosa severità ogni colpa, che si commette contro i comandamenti di Dio? In altra maniera il re serve al Signore, come uomo; ed in altra maniera lo serve, come re. In quanto uomo lo serve, conformando alla fede la propria vita; ma in quanto re lo deve servire ordinando colle leggi le opere giuste, e proibendo le ingiuste colla vigorosa sanzione delle pene dovute.
«Poichè dunque nel tempo degli Apostoli i re non servivano a Dio, ma in quella vece macchinavano, secondo le profezie, vani disegni contro il Signore e contro il suo Cristo; al certo non si poteva allora colle loro leggi proibire l'empietà, ma per lo contrario si promoveva. Per tal modo si svolgeva l'ordine de' tempi: i giudei uccidevano i predicatori di Cristo, credendo di fare ossequio a Dio, come Cristo aveva predetto; i gentili fremevano contro i cristiani; e la pazienza de' martiri si preparava a trionfare dei giudei e dei gentili. Incominciatasi finalmente ad avverare quell'altra profezia, in cui si dice: — Adoreranno Cristo tutt'i re della terra, e lo serviranno tutte le genti; — chi mai, se pure non è mentecatto, può dire ai re: Non vi curate, che la Chiesa del vostro Dio sia piuttosto servita, che combattuta ne' vostri regni? [37]»
Finalmente è degno di notarsi, che se in que' secoli la Chiesa non ebbe a suo sostegno il braccio de' principi secolari; piacque però a Cristo, siccome di sopra abbiamo accennato, di stendere talora a questo effetto il braccio suo. Egli punì in quel tempo in modo prodigioso e con pene corporali alcuni persecutori del Vangelo, specialmente se erano di quelli che, dopo, averlo abbracciato, lo rinnegavano. E nell'infliggere simili pene diede a vedere manifestamente, che le infliggeva o per soddisfare alle suppliche, che gliene porgevano i suoi Apostoli, come nella mortale caduta di Simone apostata e mago; o, che è più, per confermare e per compiere le minacce, che gli stessi Apostoli facevano ai colpevoli, come nell'accecamento di Elima, anch'esso apostata e mago. San Paolo sgridò questo Elima dicendogli: O uomo pieno di ogni inganno e di ogni falsità, figliuolo del diavolo, nemico della giustizia; tu non finisci di pervertire le vie rette del Signore; or dunque ecco la mano del Signore sopra di te, resterai cieco. E non appena ebbe egli profferite queste parole, che, come dice il sacro testo, cadde su di Elima una tenebrosa caligine; ed il misero aggirandosi intorno cercava chi gli desse la mano: Confestim cecidit in eum caligo, et tenebrae; et circuiens quaerebat qui ei manum daret [38].
E con ciò facciamo fine; perchè non abbiamo inteso di esporre nella sua pienezza la dottrina della Chiesa cattolica intorno alla tolleranza de' culti. Il nostro pensiero è stato di indicare solo una parte di questa dottrina, quanto bastava a confutare le asserzioni false ed ereticali della Patrie, e di illuminare que' semplici cattolici, i quali, parlando di una tale materia senza conoscerne i principii, ripetono quelle stesse falsità ed eresie. Or, se non ci inganniamo, ci sembra di avere sufficientemente raggiunto il nostro scopo, colle cose dette così in questo articolo, come in quell'altro che pubblicammo nel penultimo quaderno.

NOTE:

[2] Questions contemporaines. Du libéralisme clérical, pag. 441.
[3] S. Matteo, XXVIII, 20.
[4] S. Matteo, XVI, 18, 19.
[5] S. Giovanni, XXI, 15, 16.
[6] Ivi, 17.
[7] S. Matteo, XXVIII, 18, 19, 20.
[8] S. Marco, XVI, 15, 16.
[9] S. Giovanni, XX, 21.
[10] S. Luca, X, 16.
[11] S. Matteo, XVIII, 18.
[12] Ivi, 16.
[13] Prima ai Corinti, IV, 1.
[14] Atti degli Apostoli, XX, 28.
[15] Prima ai Tessalonicesi, III, 5.
[16] Ai Galati, III, 1.
[17] Prima ai Corinti, IV, 19, 21.
[18] Seconda a Timoteo, II, 17.
[19] S. Giovanni, X, 8.
[20] S. Matteo, VII, 15; S. Giovanni, X, 12; Atti degli Apostoli, XX, 29.
[21] A Tito, III, 11.
[22] Lettera cattolica di S. Giuda.
[23] S. Matteo, XXVIII, 18.
[24] Salmo II, 6, 8, 9.
[25] Apocalissi, II.
[26] A Tito, III, 10.
[27] Seconda a Timoteo, III, 5; e IV, 15.
[28] Ai Romani, XVI, 17, 18.
[29] Seconda epistola, 10.
[30] Ivi, 11.
[31] Contra haereses, lib. III, cap. 3.
[32] Contra haereses, lib. III, cap. 3.
[33] Ivi.
[34] Lettera agli Smirnei, cap. IV.
[35] Lettera a Cornelio intorno a Fortunato ed a Felicissimo, intitolata: Contra Haereticos, cap. XXI.
[36] Princeps temporalis directe habet materialem gladium et usum eius; ecclesia vero solum indirecte et quasi eminenter, ratione cuius eminentiae etiam materialem gladium principis habet sibi subordinatum. Suarez, de Fide, disput. XX, sect. III, num. 27.
Haec potestas in principe temporali est tamquam in exequente et moto ab alio; in Pontifice vero est tamquam in imperante et movente. Ivi, disput. XXIII, sect. I, num. 7.
[37] Quod dicunt qui contra suas impietates leges iustas institui nolunt, non petiisse a regibus terrae Apostolos talia, non considerant aliud fuisse tunc tempus, et omnia suis temporibus agi. Quis enim tunc in Christum crediderat imperator, qui ei pro pietate contra impietatem leges ferendo serviret, quando adhuc illud propheticum complebatur: Quare fremuerunt gentes et populi meditati sunt inania? Astiterunt reges terrae, et principes convenerunt in unum adversus Dominum, et adversus Christum eius: nondum autem agebatur, quod paulo post in eodem psalmo dicitur: Et nunc reges intelligite; erudimini qui iudicatis terram. Servite Domino in timore, et exultate ei cum tremore (Psalm. II, 1, 2, 10, 11). Quomodo ergo reges Domino serviunt in timore, nisi ea quae contra iussa Domini fiunt, religiosa severitate prohibendo atque plectendo? Aliter enim servit, quia homo est; aliter quia etiam rex est: quia homo est, ei servit vivendo fideliter; quia vero etiam rex est, servit leges iusta praecipientes et contraria prohibentes convenienti vigore sanciendo... Cum itaque nondum reges Domino servirent temporibus Apostolorum, sed adhuc meditarentur inania adversus Dominum et adversus Christum eius, ut Prophetarum praedicta omnia complerentur, non utique tunc possent impietates legibus prohiberi, sed potius exerceri. Sic enim ordo temporum volvebatur, ut et Iudaei occiderent praedicatores Christi, putantes se officium Deo facere, sicut praedixerat Christus (Ioann. XVI, 2), et Gentes fremerent adversus Christianos, et omnes patientia martyrum vinceret. Postea vero quam coepit impleri quod scriptum est: Et adorabunt eum omnes reges terrae; omnes gentes servient illi (Psalm. LXXI, 11); quis mente sobrius regibus dicat: Nolite curare in regno vestro a quo teneatur vel oppugnetur Ecclesia Domini vestri? Epistola ad Bonifacium, de correctione Donatistarum, cap. V.
[38] Atti degli Apostoli, XIII, 11.

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