LA PATRIE E LA TOLLERANZA DE' CULTI
R.P. Beniamino Palomba d.C.d.G.
La Civiltà Cattolica anno XIX, serie VII, vol. III (fasc. 439, 26 Giugno 1868), Roma 1868 pag. 52-67.
I nostri lettori ricordano facilmente, che in uno dei passati
quaderni noi promettemmo di confutare un madornale errore della Patrie [1].
In questo articolo atteniamo la nostra promessa.
Lo sproposito lanciato da quel giornale è: Che il grande
principio della tolleranza civile de' culti e della libertà di
coscienza fu insegnato chiaramente da Cristo medesimo; e che spaziando
pe' grandi secoli del cristianesimo si possono raccogliere a piene
mani, in favore di quel principio, fatti e testimonii di tale
autorità e di tale evidenza, che a loro rincontro le vane arguzie
di una scuola al tutto recente non compariscono degne di altro, che di
commiserazione [2].
Noi ci accingiamo a dimostrare la falsità di queste asserzioni,
tanto più volentieri in quanto che vi ha, tra i cattolici e,
ciò che è più, tra i laici, alcuni i quali pongono
bocca in questi argomenti, senza sapere quello che si dicono. E
però essi tengono a un dipresso lo stesso linguaggio della Patrie, che è linguaggio da
eretico. Celebrano la tolleranza de' culti, raccomandano la
carità, insegnano il rispetto verso le altrui opinioni, giudicano
eccessivo e ripugnante al civile progresso lo zelo della cattolica
Chiesa nel conservare e nel dilatare sulla terra la vera dottrina
rivelata da Dio; e persino condannano come una violazione di un dritto
connaturale all'uomo qualsivoglia specie di coazione, che la Chiesa
medesima o per sè o per mezzo de' Principi cristiani adopera,
acciocchè gli eretici rinsaviscano e si riconducano all'ovile di
Cristo. Noi avremo innanzi gli occhi cotesti cattolici, nel rispondere
alla Patrie.
A tal uopo non ci contenteremo solo della risposta diretta, la quale
consiste in due parti, cioè nell'esaminare direttamente la
dottrina di Cristo, e nel dimostrare esser falso che egli insegnò
il principio moderno della tolleranza de' culti; e di più nel
percorrere i grandi secoli del cristianesimo, e nel provare che essi
non somministrano niun fatto e niun testimonio in favore di questa
tolleranza. Oltre a questa risposta, vogliamo darne un'altra, la quale
se non è così diretta come la prima, non è però
meno efficace a ribattere quelle falsità: essa può giovare
principalmente a raddirizzare le idee di quei cattolici poco avveduti,
i quali, come ora dicevamo, discorrono da eretici, benchè senza
pertinacia negli errori, ma soltanto per difetto di scienza. Ci piace
di dare il primo luogo, nel presente articolo, a questa seconda
risposta; perchè così torna più evidente la verità
della prima, della quale tratteremo in un altro quaderno.
Che cosa pretende la Patrie?
A quali dottrine dà essa il nome di vane arguzie: les
vaines arguties? Quali sono i principii non di altro degni, a
suo giudizio, che di sola commiserazione: ne
paraissent plus que dignes de pitié? E qual è
quella scuola, chiamata da lei al tutto moderna: une
école toute moderne, la quale si attiene, come ella
dice, a così miserabili principii, e si perde in quelle vane
arguzie? La scuola, che essa appella moderna, è la Chiesa
cattolica, considerata nel corpo de' Pastori, che oggi la reggono ed
ammaestrano, e nella grande moltitudine de' fedeli, che dipendono ed
imparano da questi Pastori. La dottrina che essa qualifica per vana e
misera, è la dottrina che oggi in questa Chiesa medesima
s'insegna e si professa intorno alla tolleranza de' culti. E questa
dottrina, essa pretende, che è contraria a quella, la quale fu
chiaramente insegnata da Cristo, e professata un tempo ne' grandi
secoli della Chiesa.
Ecco ciò che a tutto questo noi rispondiamo. Concediamo che
intorno alla tolleranza de' culti, vi è in questi nostri giorni
una dottrina, splendidamente proclamata dai Vescovi della cattolica
Chiesa, e fedelmente seguita da tutti coloro, che appartengono a
questa Chiesa. Di qui argomentiamo, senz'altro, che una tale dottrina
non è moderna, e che stoltamente è chiamata scuola moderna
la Chiesa che in questi giorni la professa. Argomentiamo per lo
contrario, che essa è antica quanto la religione cristiana; e
quindi che essa fu tramandata fino alla Chiesa, che vive nel nostro
secolo, di mano in mano dalla Chiesa che fiorì ne' secoli
decorsi; che fu tenuta in que' secoli che si dicono grandi; che fu
predicata dagli Apostoli, ed insegnata da Cristo medesimo. E da tutto
ciò conchiudiamo, che deve necessariamente aver gettata via la
fede, e colla fede anche il senno, chiunque chiama cavillosa e
miserabile questa stessa dottrina, e sostiene che a lei è
contraria la dottrina di Cristo e quella del cristianesimo de' primi
secoli.
La nostra Chiesa è indefettibile ed infallibile; il che vuol
dire, che essa conserva immutabilmente sino alla fine del mondo il
deposito della rivelazione, tutto intero e senza niuna mescolanza di
errori. E di qui segue di necessità, che se una dottrina fu
rivelata da Cristo, essa per conseguenza si è trasmessa prima
dagli Apostoli, e quindi per opera de' loro legittimi successori di
generazione in generazione è pervenuta insino a noi: e così
per converso se una dottrina, appartenente alla fede ed ai costumi,
corre oggi nella Chiesa come rivelata da Cristo, è forza dedurre
che essa fu veramente rivelata da lui, che fu annunziata dagli
Apostoli, e che fu predicata per tutta la serie de' loro successori
insino al nostro tempo. Per la qual cosa tutti coloro, i quali mentre
riconoscono, che la Chiesa tiene oggi una dottrina come spettante alla
fede ed ai costumi e come rivelata da Cristo; pur nondimeno mettono in
ridicolo una tale dottrina, ed affermano che essa è contraria a
quella di Cristo e degli Apostoli; tutti costoro senz'alcun dubbio non
pensano nè parlano da cattolici, ma da eretici e da protestanti.
Essi negano il fondamento della Chiesa, che è
l'infallibilità del suo magistero; ed a questo stesso magistero
si ribellano gli eretici ed i protestanti, i quali promettono di
ricondurre la fede alla sua purità; la quale fede, secondo alcuni
di loro, venne meno subito dopo il secolo degli Apostoli, secondo
altri dopo il secolo di Costantino, e secondo altri in altri secoli,
più vicini a noi. Non si accordano quanto al tempo della
defezione, ma tutti pertinacemente sostengono questa defezione della
Chiesa, non ostante le contrarie promesse di Cristo, e la
irrefragabile testimonianza dei fatti.
Generalmente parlando, è vero questo principio che abbiamo
stabilito. Applichiamolo ora al caso nostro, cioè alla dottrina
della libertà di coscienza e della tolleranza de' culti. E
dapprima ascoltiamo come parlano su tale materia gli apertamente
increduli, che oggi vivono; i quali o sono come pagani, se non hanno
ricevuto il battesimo, o sono peggiori de' pagani, se lo hanno
rinnegato coll'apostasia. E parli per tutti uno solo di questi
apostati.
Ernesto Renan si esprime in questi termini: «Spesso si
domanda alla Chiesa, che voglia essere tollerante, e non si cerca
prima di sapere se essa può concedere ciò, che le si
domanda. La Chiesa non è stata mai nè mai sarà
tollerante; è impossibile che sia tollerante. Essa tiene la sua
dottrina per unicamente ed assolutamente vera; ed ogni dottrina
assoluta è di sua natura intollerante. L'ortodossia dunque non
si ammorbiderà mai colla sublime imparzialità, propria
della filosofia [3]. È
questa una conseguenza d'una logica inflessibile. E però si fa
torto ai cattolici, insistendo su questo punto. Non si richieda loro
quello, che essi non possono dare. Tentateli piuttosto che rinunzino
alla ortodossia; ma non gli esortate a tollerare l'eterodossia,
rimanendo ortodossi. Qui trattasi per loro di essere o di non essere
[4].
«L'intolleranza interiore è condizione necessaria
della tolleranza esteriore, cioè di quella tolleranza, che
rende possibile la benevolenza tra i dissidenti, e che, in politica,
concede agli uni ed agli altri uguali dritti. Ora il sentimento
più caritatevole, che l'ortodosso può avere verso il
miscredente, è quello della compassione [5].
L'ortodossia è obbligata a mostrarsi severa contro tutte le
altre credenze, le quali si allontanano dalla sana dottrina
teologica. Il rimedio, che la Chiesa cattolica oppone alla
libertà del culto ed alla libertà del pensiere, è
l'inquisizione [6]. I
concilii hanno stabilita ed approvata l'inquisizione, i Padri ed i
Vescovi l'hanno consigliata e praticata [7].
L'inquisizione è la conseguenza logica di tutto il sistema
ortodosso, è la quintessenza dello spirito della Chiesa [8].
«Ma se è vero che l'inquisizione è nello
spirito della Chiesa, io sostengo che è un errore il dire, che
essa sia anche nello spirito del Vangelo [9].
A mio avviso il cristianesimo dev'esser libero e individuale, con
innumerevoli varietà interne. Tale, anche a mio avviso, egli fu
ne' primi tre secoli [10].
Questa libertà de' primi secoli scomparve, sino alle ultime
tracce, il giorno in cui Costantino incominciò ad impacciarsi
di teologia [11].
«L'ideale a cui si deve tendere è il puro regno
dello spirito, non già come l'intendono i fanatici ed i
settarii, ma come l'intendono i veri liberali, i quali sono
persuasi, che una credenza non ha valore, se non quando si è
acquistata colla riflessione personale, e che un atto religioso non
è meritorio, se non quando è spontaneo. È innegabile,
che fra tutte le maniere di culti, il protestantesimo si avvicina
più a questo ideale. Nel secolo decimosesto esso usci fuori dal
seno medesimo del cristianesimo, e proclamò di volere tornare
alla primitiva libertà. Al presente dopo tre secoli di
esitazione esso manda ad effetto il suo programma; acquista la
libertà de' primi secoli; raccoglie la sua ultima conseguenza,
cioè l'ordinamento libero della religione, e l'unione de'
cristiani, non già nella lettera morta de' simboli, ma nella
pura idea religiosa; idea, che trovasi per la prima volta espressa
nel Vangelo [12].»
Siccome parla questo apostata, così parlano tutti gl'increduli
dei nostri giorni. Si confronti ora il linguaggio del Renan col
linguaggio della Patrie; e
si vedrà, che nella sostanza l'uno non differisce dall'altro. E
però bene a ragione abbiamo affermato di sopra, che le parole di
questo giornale suonano, come quelle degli scrittori protestanti ed
eretici. Or questa sola considerazione potrebbe ridurre a miglior
senno l'abbé V. François,
cioè colui il quale sottoscrisse l'articolo della Patrie,
ove si contengono gli errori, che andiamo confutando. I buoni giornali
d'oltremonte danno a Credere, che quel nome di V.
François è una maschera. Se dunque sotto questa
maschera si nasconde veramente un ecclesiastico o un drappello di
ecclesiastici, ovvero un laico o una brigata di laici; e se quell'uno
o quei molti, ecclesiastici o laici, appartengono sinceramente alla
Chiesa cattolica, adoprino il linguaggio della Chiesa e non quello de'
suoi nemici. A salvarsi non basta credere ciò che la Chiesa
crede; è anche necessario usare parole, le quali non
contraddicano ma si conformino alla fede interna. Corde
creditur ad iustitiam: ore autem confessio fit ad salutem [13]. [Rom. X, 10:
«Col cuore si crede a giustizia: e con la bocca si fa
confessione a salute.» P. Marco M. Sales O.P. (N.T.
vol. II, Torino 1925 pag. 71) così commenta: «Col
cuore si crede, ecc. I due atti della fede sono qui
ricordati nel loro ordine naturale, cioè prima l'interno e poi
l'esterno. All'atto interno della fede, corrisponde la
giustificazione (giustizia), colla quale si comincia l'opera della
nostra salute. Per ottenerne però il compimento (V, 1, 2; VIII,
24; XIII, 11; I Tess.V, 8; Ebr. IX, 28, ecc.) si deve perseverare
nella giustificazione fino alla morte, e quindi si deve professare
esternamente colla bocca e colle opere la fede ricevuta. (...)»
N.d.R.]
Ma ciò che diciamo s'intenderà vie meglio, contrapponendo
alla falsa dottrina degli eretici, la vera dottrina della Chiesa
cattolica.
Tra noi cattolici si distinguono due specie di tolleranza religiosa.
La prima è quella, per la quale uno tollera le varie religioni in
sè medesimo. Una simile tolleranza è assurda ed empia;
poichè non differisce dall'indifferentismo religioso, pel quale o
tutte le false religioni si approvano al pari di quella sola, che
è vera, con somma stolidità; o per lo contrario, con somma
empietà, si rifiuta la vera religione collo stesso disprezzo, con
cui si rifiutano tutte le false. Vi è l'altra tolleranza, la
quale fa sì, che chi ha dentro di sè e professa nell'esterno
la vera religione, lascia che altri professino le false. A questa
specie si riduce la tolleranza politica, per la quale un Principe
cattolico tollera ne' suoi dominii le false religioni, vale a dire
qualsivoglia religione, discordante dalla cattolica, che è la
sola vera. Di questa tolleranza politica parliamo al presente; e
ripetiamo quello che, seguitando gl'insegnamenti di santa Chiesa,
già spesse volte abbiamo detto; cioè che essa è sempre
illecita, se si attua col dare in qualsiasi modo lavoro ai falsi
culti; e che è lecita allor solamente, quando questi culti falsi
si sopportano, per necessarie ragioni, al pari di una inevitabile
calamità, e s'impedisce nello stesso tempo che l'errore tollerato
si propaghi con ingiuria della cattolica religione, e con detrimento
de' fedeli che la professano.
Una tale dottrina si fonda su due ragioni. L'una è, che la
tolleranza con cui non si sopportano solo, ma si favoriscono i culti
falsi, professati da altri, di necessità deve trarre origine da
quella specie di tolleranza interna, la quale, come ora dicevamo,
è assurda ed empia. Ed in effetto è cosa ordinariamente
impossibile, che uno favorisca in altri i detti culti, se non li stima
dentro di sè, se non gli approva, se non li mette a pari del
culto cattolico. E se ciò è assurdo ed empio in un uomo
privato, è maggiormente empio ed assurdo in una persona di
governo, pei danni gravissimi, che egli arreca alle cose sacre ed alle
civili, mettendo in pratica il suo indifferentismo religioso. La
seconda ragione è, che il favorire l'eresia e qualsivoglia errore
in materia religiosa, è per sè stesso illecito, per la
ingiuria che si fa alla verità; ingiuria tanto più grave, in
quanto che la verità, in questo caso, riguarda la cognizione di
Dio ed il culto che gli è dovuto. E quindi, dato anche che uno
possa favorire in altri i falsi culti, senza che punto li tolleri e
gli approvi dentro di sè, nondimeno per quel solo estrinseco
favore, egli si rende grandemente colpevole. E tal colpa è somma,
se la commette un Principe cattolico; poichè questi, ha ricevuto
da Dio la potestà regia non tanto pel governo delle cose
temporali , ma più principalmente per guardia e tutela di santa
Chiesa.
Riferiamo adesso, come parlino intorno a questo punto i Maestri e i
discepoli della nostra Chiesa, cioè di quella Chiesa, che la Patrie chiama scuola moderna;
di quella che non fiorì ne' grandi secoli del cristianesimo, ma
dopo la conversione di Costantino.
Si ascolti, com'è conveniente, innanzi a tutti il vivente ed
augusto Pontefice Pio IX. Nella enciclica
Quanta cura, egli dice: «Si trovano in questo tempo non
pochi, i quali applicano al consorzio civile l'empio ed assurdo
principio del naturalismo, ed osano insegnare, che — L'ottima
ragione della pubblica società e il civile progresso richiedono,
che la società umana si costituisca e si governi senza aver niun
riguardo alla religione, come se ella non esistesse, o almeno senza
fare alcun divario tra la vera e le false religioni. — E, contro
la dottrina della sacra Scrittura, della Chiesa o dei santi Padri, non
dubitano di asserire: — Ottima essere la condizione della
società, nella quale non si riconosce nell'Impero il debito di
reprimere con pene stabilite i violatori della cattolica religione, se
non in quanto lo dimanda la pubblica pace [14].»
In queste parole da Maestro
della Chiesa universale [cioè pronunciate
ex cathedra, dunque infallibili. N.d.R.]
egli qualifica le opinioni delle moderne società intorno alla
tolleranza de' culti, come opinioni empie, assurde, temerarie e
ripugnanti alla sacra Scrittura ed al costante insegnamento della
cattolica Chiesa. E con ciò esso dichiara, che la dottrina
opposta, accennata di sopra, è una dottrina rivelata da Dio, e
trasmessa insino a noi dalla ecclesiastica tradizione.
Insistendo in tali principii, il venerato Pontefice in varie
allocuzioni, e specialmente in quella del 29 Ottobre 1866, disse altre
parole gravissime, e sono queste: «Non possiamo non caldamente
scongiurare nel Signore, secondo il dovere del nostro ufficio, tutti i
sommi Principi e gli altri reggitori dei popoli, perchè una volta
intendano e attentamente considerino il gravissimo dovere, che gli
stringe, di procurare che nei popoli si aumenti il culto e l'amore
della religione, e d'impedire con tutte le forze, che in essi si
estingua il lume della fede. Guai a quei dominanti, che dimentichi di
essere Ministri di Dio pel bene, trascurano di promuoverlo quando il
possono e il debbono; ed essi grandemente paventino e tremino,
soprattutto allora che colle proprie mani distruggono il preziosissimo
tesoro della fede cattolica; senza la quale è impossibile piacere
a Dio. Giacchè innanzi al tribunale di Cristo, incontrando
durissimo giudizio, vedranno, che orrenda cosa sia il cadere nelle
mani del Dio vivente, e sperimentare la sua severissima giustizia [15].» Or dunque, noi
domandiamo, che altro fa un Principe, il quale tollera con una
tolleranza alla moderna i falsi culti, se non distruggere colle
proprie mani, ne' suoi dominii, il preziosissimo tesoro della fede
cattolica? Domandiamo, se avendo egli ciò fatto in questa vita,
potrà sfuggire nell'altra la sciagura, che qui minaccia il Santo
Padre? Risponda a queste domande il sig. V.
François, l'Abbé
della Patrie.
Siccome l'augusto Pio, che veneriamo in mezzo a noi, minaccia i
castighi eterni, così un altro Pio, che veneriamo sugli altari,
minacciò i castighi temporali. San Pio V mandò nella Spagna
al suo Nunzio una istruzione, nella quale consigliava l'andata del re
Filippo in Fiandra, perchè rimettesse colà in buono stato la
cattolica religione. Egli deplorò in quella sua scrittura i
funesti consigli de' Principi di quel tempo, i quali non reprimevano,
quanto era conveniente, la temerità degli eretici; ed
affermò, che Dio farebbe loro giustamente perdere i regni , che
ingiustamente essi cercavano di conservare senza Dio; e che a ciò
si varrebbe degli stessi eretici, divenuti ribelli ai sovrani, da'
quali allora erano tollerati e favoriti. «Hanno i Re, così
egli soggiunse, voluto mettersi sotto i piedi la religione e la causa
di Dio, qui caput est omnis
principatus et potestatis; [Col.
II,10: «Che è capo di ogni principato e
potestà» N.d.R.] e
per necessità tutte le cose sono rivolte sottosopra, tanto che,
turbato oramai ogni ordine, spento ogni dovere, vanno i Principati
miseramente riducendosi a democrazia, o per di meglio ad una orribile
anarchia [16].» Questi
detti del santo Pontefice furono profetici, come ben lo comprovano i
fatti che accaddero da quel tempo in poi, e che accadono anche oggi.
Citiamo un altro Papa anche santo, cioè Leone Magno, morto da
più di mille e quattrocento anni; ma pure, poichè egli resse
la Chiesa dopo Costantino, e non appartenne per conseguenza a quei
secoli del cristianesimo, che l'abbate François
chiama grandi, possiamo nominarlo come uno della scuola, che
lo stesso Abbate appella moderna. Or questo illustre Pontefice e
Dottore della Chiesa, volendo in un suo sermone esaltare il beneficio,
che Roma ebbe per opera di Pietro e Paolo, dice che alla predicazione
di questi due Apostoli, ella fu sciolta da Cristo tanto più
maravigliosamente, in quanto che trovavasi in quella stessa ora
più stretta fra le catene del demonio: Quantum
erat per diabolum tenacius illigata, tantum per Christum est
mirabilius absoluta. Perchè mai erano più forti i
lacci del demonio, che stringevano Roma in quei giorni? Perchè
questa Città (ciò che per l'innanzi si era astenuta di
fare), non contenta della sola falsa religione che professava, aveva
incominciato a dar ricetto alle altre religioni false, professate da
tutti i popoli del mondo, dei quali era in quel tempo divenuta
Signora; e in tal guisa ella veniva a più disconoscere ed a
più offendere il vero Dio, da cui era stata levata a tanta
prosperità ed ampiezza d'impero. Ecco le parole di san Leone: Haec civitas ignorans suae provectionis
auctorem, cum pene omnibus dominaretur gentibus, omnium gentium
serviebat erroribus, et magnam sibi videbatur suscepisse religionem,
quia nullam respuerat falsitatem [17].
[«Questa città, che ignorava l'autore della sua
potenza, intanto che comandava a quasi tutti i popoli del mondo, si
sottometteva agli errori di tutte le nazioni, e credeva di essere
assai religiosa perchè non rigettava alcuna menzogna.» N.d.R.]
Ciò che Roma operava era in sostanza mettere in pratica il
principio della tolleranza favorevole de' falsi culti: Magnam
sibi videbatur suscepisse religionem, quia nullam respuerat
falsitatem. [«Credeva di essere assai religiosa
perchè non rigettava alcuna menzogna.» N.d.R.]
Per questo il santo Dottore la giudicò rea di gravissima
apostasia da Dio e di somma empietà contro sè medesima, pel
darsi che così essa faceva più perdutamente in vendita, ed
in preda al demonio. Eppure quella Città non aveva per l'addietro
abbracciata mai la vera religione. Che direbbe egli dunque dell'Europa
moderna, la quale fu tutta, per benefizio della cattolica Chiesa,
rigenerata alla vita soprannaturale, sottratta dalla barbarie, e fatta
maestra di vera civiltà a tutta la terra? Con qual severità
le rimprovererebbe l'ingiuria, che essa fa alla Chiesa medesima ed a
Cristo fondatore di lei, approvando ed eseguendo quella massima, la
quale è al sommo condannevole anche in una nazione pagana? Come
deplorerebbe que' Principi cristiani, che a tale empietà danno il
nome di grande principio e di sociale progresso, egli che a questi
Principi insegnava lo stretto dovere, che ad essi corre, di difendere
colla loro autorità la santa Chiesa, contro tutti quelli, i quali
violano e perturbano l'ordine stabilito colle sue leggi? Debes
incunctanter advertere, regiam potestatem tibi, non ad solum mundi
regimen, sed maxime ad Ecclesiae praesidium esse collatam; ut ausus
nefarios comprimendo, et quae bene sunt statuta defendas, et veram
pacem his quae sunt turbata restituas [18].
[«Devi incessantemente considerare, che la regia
potestà ti è stata data non solamente per governare il
mondo, ma soprattutto per sostener la Chiesa; affinchè col
reprimere i nefandi attentati, difendi i buoni stabilimenti (le
leggi e le istituzioni ecclesiastiche), e ridoni la vera
pace alle cose che sono scompigliate»
N.d.R.]
Risalendo da noi verso Costantino s'incontrano ad ogni tratto
Pontefici, Concilii, Padri, Dottori e teologi, i quali proclamano come
dottrina spettante alla fede, avere la Chiesa il dritto e l'obbligo di
punire anche corporalmente gli eretici, e doverla a questo effetto
coadiuvare i Principi secolari. E se per qualche tempo il solo
sant'Agostino non si accordò in questo con tutti gli altri, egli
però non fu lento a disdirsi apertamente, appena conobbe per
dolorosa esperienza a quanta temerità si levano gli eretici, se
si lasciano impuniti, e quanto giova a ricondurli a più sani
consigli la severità della disciplina [19].
Gli oppugnatori di questa comune dottrina furono sempre trattati o
come eretici, o come fautori degli eretici. E da tutto ciò si
trae una validissima prova a favore di quello che stiamo dimostrando,
vale a dire, che in tutti i secoli da Costantino infino a noi, intorno
alla tolleranza de' culti, si è tenuta nella Chiesa cattolica,
come rivelata da Dio, una sentenza del tutto opposta a quella delle
nazioni moderne. I cattolici professano che i Principi hanno il dritto
e il dovere di reprimere gli eretici; dall'altro canto i politici
recenti pretendono che gli eretici possono e debbono essere protetti e
favoriti dai Principi. La discrepanza e la contraddizione non può
essere più manifesta.
Potremmo facilmente accumulare citazioni, per dichiarare il
principio, da cui abbiamo argomentato. Ma non giudichiamo necessario
questo sfoggio di erudizione; e quindi ci contenteremo, fra tanto
numero di testimonii tutti autorevoli, farne comparire, come per
saggio, quattro soli. E dapprima udiamo il Bellarmino ed il Suarez; il
primo de' quali è il principe della controversia; ed il secondo
il lume della teologia.
Il Bellarmino afferma, che è errore perniciosissimo il dire, che
i Principi debbano permettere che ciascuno professi a suo talento
qualsivoglia culto, salvo che non perturbi la pace pubblica: Reges
debere curare rempublicam suam et pacem publicam; de religione autem
non curare, sed permittere singulis, ut sentiant prout voluerint, et
vivant ut voluerint, modo non perturbent pacem publicam. Per
lo contrario egli insegna, che i Principi cristiani sono obbligati ad
impedire la libertà dei culti, ed a procurare che tutti si
attengano alla regola della fede, prescritta dal magistero della
Chiesa: Sine dubio tenentur
Principes christiani non permittere subditis suis libertatem
credendi, sed dare operam, ut ea fides servetur, quam Episcopi
catholici, et praecipue summus Pontifex docet esse tenendam [20]. Queste due conclusioni son
da lui dimostrate coll'autorità della Scrittura e colla costante
tradizione della Chiesa.
La dottrina poi del Suarez si epiloga in queste tre conclusioni. La
prima è: Doversi tenere con certezza di fede, che la Chiesa
è investita da Dio dell'autorità di punire gli eretici sia
colle pene spirituali sia anche colle corporali, e di obbligarli con
tali pene a deporre i loro errori. In secondo luogo: Che una tal
potestà risiede per diritto divino principalmente nei Vescovi e
soprattutto nel romano Pontefice. Da ultimo: Che essa appartiene
ancora, ma però secondariamente e giusta il modo prescritto dalla
Chiesa, ai Principi cattolici, come a quelli che sono protettori e
difensori delle cose sacre [21].
Gli altri due nomi, che vogliamo ricordare, anche illustri,
benchè per titoli diversi, sono il Vescovo Bossuet ed il padre
Lacordaire.
Il primo scrisse per istruzione del Delfino un libro, che
intitolò: Politica ricavata
dalle parole della sacra Scrittura; ed in questo libro
compendiò la dottrina cattolica, di cui parliamo, ne' termini
seguenti: «Il Principe è ministro di Dio. Egli non porta
inutilmente la spada; e chiunque opera male deve temerlo come
vendicatore del suo delitto. Egli è protettore della pace
pubblica, la quale si fonda sulla religione; ed è difensore del
suo trono, che è similmente fondato sulla religione. Tutti quelli
i quali non vogliono soffrire, che il Principe usi rigore in materia
di religione, perchè, a loro credere, la religione dev'esser
libera, versano in un errore empio. Se così fosse, converrebbe
tollerare in tutt'i sudditi e in tutti gli Stati, qualsiasi falsa
religione; e converrebbe per conseguenza tollerare i più enormi
delitti, come la bestemmia e l'ateismo [22].»
L'illustre Vescovo di Meaux ha qui quasi copiato da sant'Agostino, il
quale così parla: «Niuno che ha mente sana può dire ai
Re, che non si curino, che la Chiesa del loro Dio sia piuttosto
servita che combattuta ne' loro Stati, e che non si curino se i loro
sudditi siano religiosi o sacrileghi. Ciò sarebbe come dir loro,
che non si prendano briga o sia che si coltivi la virtù ne'
proprii dominii, o sia che invece trionfi la licenza: Quis
mente sobrius regibus dicat: Nolite curare in regno vestro a quo
teneatur vel oppugnetur Ecclesia Domini vestri; non ad vos
pertineat, in regno vestro quis velit esse sive religiosus sire
sacrilegus; quibus dici non potest: Non ad vos pertineat, in regno
vestro quis velit pudicus esse, quis impudicus? [23]
Siccome il Bossuet, così sant'Agostino derivano questa dottrina
dalle sentenze e dagli esempii della sacra Scrittura; e quindi essi la
propongono come una dottrina appartenente alla rivelazione.
Ascoltiamo ora il padre Lacordaire. Nel 1830 egli venne in Roma per
dar conto delle sue opinioni, e per sottometterle al giudizio della
Santa Sede. Tre capi gli furono proposti; ed intorno a tutti e tre e[gl]i
diede risposte, che soddisfecero pienamente. Il primo fu circa il
potere coercitivo della Chiesa per rispetto agli atti esteriori; il
secondo circa l'origine della Sovranità; il terzo circa il
dominio temporale della Santa Sede. Non fa al nostro proposito, se non
riferire la sua risposta intorno al primo capo.
Egli dichiarò apertamente e sinceramente di riconoscere nella
santa Chiesa il potere, a lei conferito da Gesù Cristo, non solo
di avvertire e di correggere i suoi figli colpevoli, colle
esortazioni, coi consigli e cogli ammonimenti paterni; ma ancora di
gastigarli e di punirli, allorchè sono restii e contumaci, colle
censure e colle pene afflittive e corporali, secondo che prescrivono i
sacri canoni, le ordinazioni de' concilii e i decreti apostolici.
Aggiunse di conformarsi in tutto, su questo punto, al Breve, che
Benedetto XIV nel 1755 spedì al Primate, agli Arcivescovi ed ai
Vescovi di Polonia, nel quale questo Pontefice dichiarò: Collatam
esse a Christo Domino et Salvatore nostro Ecclesiae suae potestatem
non solum dirigendi per consilia et suasiones, sed etiam iubendi per
leges, ac devios contumacesque exteriore iudicio et salubribus
poenis coercendi atque cogendi. [«che Nostro
Signore Gesù Cristo ha conferito alla sua Chiesa la
potestà non solamente di dirigere con consigli e persuasioni,
ma ancora di comandare con leggi, e di reprimere e costringere gli
sviati e contumaci con esteriore giudizio, e con pene salubri.»
N.d.R.]
Vi è di più. Egli riprovò e condannò puramente e
semplicemente la quarta proposizione del sinodo di Pistoia, nella
quale si diceva: Abusum fore
auctoritatis Ecclesiae transferendo illam ultra limites doctrinae et
morum, et eam extendendo ad res exteriores, et per vim exigendo id,
quod pendet a corde et persuasione; tum etiam multo minus ad eam
pertinere exigere per vim exteriorem subiectionem suis decretis.
[«Sarebbe un abuso dell'autorità della Chiesa il
trasportarla oltre i confini della dottrina, e della morale, ed
estenderla a cose esteriori, ed esigere con forza ciò che
dipende dalla persuasione, e dal cuore, e inoltre molto meno le
appartiene esigere con la forza esteriore soggezione ai suoi
decreti.» N.d.R.] Or Pio
VI nella sua Bolla dommatica proscrisse e qualificò questa
proposizione come inducente eresia, inducens
in systema alias damnatum ut haereticum; [«inducente
in sistema altre volte condannato come eretico. N.d.R.]
in quanto essa negava la dottrina, che ora abbiamo riferita, del Breve
di Benedetto XIV: Quatenus
intendit Ecclesiam non habere collatam sibi a Deo potestatem non
solum dirigendi per consilia et suasiones, sed etiam iubendi per
leges, ac devios contumacesque exteriore iudicio ac salubribus
poenis coercendi alque cogendi. [«In quanto
intenda che la Chiesa non abbia la potestà conferitale da Dio
non solamente di dirigere con consigli e persuasioni, ma ancora di
comandare con leggi, e di reprimere e costringere gli sviati e
contumaci con esteriore giudizio, e con pene salubri.» N.d.R.]
Ed io ancora, disse il padre Lacordaire, condanno sinceramente come
eretica quella proposizione del sinodo di Pistoia, intesa in questo
senso.
Una tal risposta, insieme con quelle che egli diede agli altri due
punti, è stata recentemente inserita nel Catholique
di Brusselle [24]. Il
Rm̃o P. Jandel, Maestro generale dell'Ordine de' Predicatori, fu
quegli, che sapientemente volle mettere alla luce tutta intera la
dichiarazione del padre Lacordaire, perchè, come egli disse
scrivendo al Catholique,
ella venge sa mémoire de tout
soupçon de complicité avec certaines opinions, que
quelques catholiques voudraient bien abriter sous l'autorité de
son nom. [«riscatta la sua memoria da qualsiasi
sospetto di complicità con talune opinioni che qualche
cattolico vorrebbe che difendesse col suo autorevole nome» N.d.R.]
Domanderà qualcuno: Chi sieno questi uomini, meritevoli di esser
repressi e puniti o dal romano Pontefice che è il capo Supremo
della Chiesa, o, a richiesta di lui, dai Principi cristiani, i quali
sono i difensori della Chiesa medesima? Rispondiamo, che non sono
quelli, a cui dalla legittima autorità è concesso, per
necessarie cagioni, di professare un falso culto; ed essi lo
professano pacificamente e senza ingiuria della cattolica Chiesa; ma
sì bene quelli, i quali mentre professano un culto falso, nel
tempo stesso violano i diritti della vera religione, che è la
cattolica; impediscono che la Chiesa eserciti liberamente gli ufficii
conferitile da Dio, ed in ispecie quello di predicare il Vangelo su
tutta la terra; ritraggono i fedeli dalla comunione e dalla dottrina
della Chiesa medesima, e con arti inique li pervertono coi loro
errori. O sieno questi uomini battezzati o no, la Chiesa per dritto
divino e naturale può rintuzzare colla forza i loro attentati, e
si può servire a questo effetto dell'autorità e del braccio
de' Principi secolari.
Qualche altro dirà: Non
essere cosa opportuna e nè anche possibile, che un tale
principio si applichi ne' giorni che ora corrono. Al che si
risponde, che noi qui trattiamo della verità del principio, il
quale, se per vizio dei tempi, è divenuto impossibile ad
applicarsi, non per questo si è convertito di vero in falso. E
per una tale ragione non possiamo convenire nella sentenza di
coloro, i quali, mentre si ha a deplorare, che la verità è
soperchiata dalla forza, sostengono che essa ha fatto già il
suo corso, e che in cambio di lei dev'essere innalzata alla
dignità di principio e che dev'esser praticata la falsità
opposta. Chi discorre così reputa che l'ottima condizione della
società può provenire da quella medesima sorgente, a cui
si debbono ascrivere le calamità, nelle quali al presente la
vediamo caduta; ed è simile in ciò a quel naufrago, il
quale sentenziasse, che la navigazione riesce prospera per le sirti
[= per le secche, N.d.R.]
che inchiodano la nave, per gli scogli che la rompono e pei flutti
che la sommergono. Questo naufrago, insieme colla nave, avrebbe
miserabilmente perduto anche l'intelletto.
Il discorso che abbiamo fatto dimostra a sufficienza, che intorno
alla tolleranza de' culti, si professa dalla Chiesa nel nostro tempo
una dottrina affatto contraria a quella, che professano i moderni
politici; e che una dottrina medesima fu tenuta da lei, in tutt'i
secoli precedenti insino a Costantino, cioè in tutti gli anni
decorsi dopo i grandi secoli del cristianesimo sino ai giorni nostri;
e finalmente che questa dottrina si è sempre riguardata come una
parte del deposito della rivelazione, e per questo la dottrina opposta
dei recenti Governi fu per lo addietro, com'è presentemente,
giudicata meritevole di gravissime censure. E di qui noi argomentiamo
la falsità delle asserzioni della Patrie,
cioè che intorno a questo punto, Cristo insegnò non già
la dottrina che la Chiesa tiene al presente, e che tenne dopo i primi
secoli; ma per lo contrario quella dottrina stessa, che oggi
proclamano i governanti moderni. La stoltezza e la falsità di
questa proposizione è manifesta; poichè è cosa
impossibile che Cristo abbia predicato una dottrina, e che in cambio
di essa la Chiesa in qualsivoglia tempo ne professi e ne insegni
un'altra; ed è ciò impossibile per ragione della prerogativa
d'infallibilità, che Cristo medesimo ha conferito alla Chiesa,
fondata da lui.
E con ciò noi abbiamo confutata indirettamente la falsità
di quella proposizione della Patrie; in un altro articolo prenderemo a
confutarla in una maniera diretta.
NOTE:
[2] Notre
regret c'est, que le conférencier... n'ait pas fait une
excursion dans les grandes siècles du christianisme. C'est
là qu'il aurait pu puiser à pleines mains, en faveur du
grande principe de la tolérance civile et de la liberté de
conscience si clairement enseigné par Jésus—Christ
lui même, des faits et des témoignages d'une telle
autorité et d'une telle évidence, qu'à côté
d'eux les vaines arguties d'une école toute moderne, qu'il
n'est pas besoin de désigner autrement, ne paraissent plus que
dignes de pitié.
[4] Ivi, pag. 442, 443.
[5] Ivi, pag. 441.
[6] Ivi, pag. 446.
[7] Ivi, pag. 449.
[8] Ivi, pag. 448.
[9] Ivi, pag. 448.
[11] Ivi, pag. 375.
[12] Ivi, pag. 374, 375; e pag.
406.
[13] Ai Romani, X, 10.
[14] Probe
noscitis, venerabiles Fratres, hoc tempore non paucos reperiri, qui
civili consortio impium absurdumque naturalismi,
uti vocant, principium applicantes, audent docere: — Optimam
societatis publicae rationem civilemque progressum omnino requirere,
ut humana societas constituatur et gubernetur, nullo habito ad
religionem respectu, ac si ea non existeret, vel saltem nullo facto
veram inter falsasque religiones discrimine. — Atque contra
sacrarum litterarum, Ecclesiae sanctorumque Patrum doctrinam,
asserere non dubítant: — Optimam esse conditionem
societatis, in qua Imperio non agnoscitur officium coercendi
sancitis poenis violatores catholicae religionis, nisi quatenus pax
publica postulet. —
[15] Haud
possumus, quin pro Nostri muneris ratione omnes summos Principes,
aliosyue populorum Moderatores vehementer in Domino obtestemur, ut
aliquando intelligant, ac sedulo considerent gravissimum, quo
tenentur, officium curandi, ut in populis religionis amor cultusque
augeatur, ac totis viribus impediendi, quominus in eisdem populis
fidei lumen extinguatur. Vae autem illis dominantibus, qui
obliviscentes se esse Ministros Dei in bonum, praestare id
neglexerint, cum possint ac debeant: et ipsi vehementer paveant et
contremiscant, quando sua praesertim opera pretiosissimum destruunt
thesaurum catholicae fidei, sine qua impossibile est placere Deo.
Namque ante tribunal Christi durissimum subeuntes iudicium videbunt
quam horrendum sit incidere in manus Dei viventis, ac severissimam
eius experiri iustitiam.
[16] Tutta questa istruzione
è nell'Appendice all'Opera di Monsignor Graziani, intitolata De scriptis invita Minerva,
edizione di Firenze del 1746.
[19] Dixi
non mihi placere ullius saecularis potestatis impetu schismaticos ad
communionem violenter arctari. Et vere tunc mihi non placebat;
quoniam nondum expertus eram vel quantum mali eorum auderet
impunitas, vel quantum eis in melius mutandis conferre posset
diligentia disciplinae. Retractat. lib. 2, c. 5.
[22] Lib. VII, art. III, prop.
X.
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