venerdì 15 luglio 2016

LA PATRIE E LA TOLLERANZA DE' CULTI

R.P. Beniamino Palomba d.C.d.G.

La Civiltà Cattolica anno XIX, serie VII, vol. III (fasc. 439, 26 Giugno 1868), Roma 1868 pag. 52-67.
I nostri lettori ricordano facilmente, che in uno dei passati quaderni noi promettemmo di confutare un madornale errore della Patrie [1]. In questo articolo atteniamo la nostra promessa.
Lo sproposito lanciato da quel giornale è: Che il grande principio della tolleranza civile de' culti e della libertà di coscienza fu insegnato chiaramente da Cristo medesimo; e che spaziando pe' grandi secoli del cristianesimo si possono raccogliere a piene mani, in favore di quel principio, fatti e testimonii di tale autorità e di tale evidenza, che a loro rincontro le vane arguzie di una scuola al tutto recente non compariscono degne di altro, che di commiserazione [2].
Noi ci accingiamo a dimostrare la falsità di queste asserzioni, tanto più volentieri in quanto che vi ha, tra i cattolici e, ciò che è più, tra i laici, alcuni i quali pongono bocca in questi argomenti, senza sapere quello che si dicono. E però essi tengono a un dipresso lo stesso linguaggio della Patrie, che è linguaggio da eretico. Celebrano la tolleranza de' culti, raccomandano la carità, insegnano il rispetto verso le altrui opinioni, giudicano eccessivo e ripugnante al civile progresso lo zelo della cattolica Chiesa nel conservare e nel dilatare sulla terra la vera dottrina rivelata da Dio; e persino condannano come una violazione di un dritto connaturale all'uomo qualsivoglia specie di coazione, che la Chiesa medesima o per sè o per mezzo de' Principi cristiani adopera, acciocchè gli eretici rinsaviscano e si riconducano all'ovile di Cristo. Noi avremo innanzi gli occhi cotesti cattolici, nel rispondere alla Patrie.
A tal uopo non ci contenteremo solo della risposta diretta, la quale consiste in due parti, cioè nell'esaminare direttamente la dottrina di Cristo, e nel dimostrare esser falso che egli insegnò il principio moderno della tolleranza de' culti; e di più nel percorrere i grandi secoli del cristianesimo, e nel provare che essi non somministrano niun fatto e niun testimonio in favore di questa tolleranza. Oltre a questa risposta, vogliamo darne un'altra, la quale se non è così diretta come la prima, non è però meno efficace a ribattere quelle falsità: essa può giovare principalmente a raddirizzare le idee di quei cattolici poco avveduti, i quali, come ora dicevamo, discorrono da eretici, benchè senza pertinacia negli errori, ma soltanto per difetto di scienza. Ci piace di dare il primo luogo, nel presente articolo, a questa seconda risposta; perchè così torna più evidente la verità della prima, della quale tratteremo in un altro quaderno.
Che cosa pretende la Patrie? A quali dottrine dà essa il nome di vane arguzie: les vaines arguties? Quali sono i principii non di altro degni, a suo giudizio, che di sola commiserazione: ne paraissent plus que dignes de pitié? E qual è quella scuola, chiamata da lei al tutto moderna: une école toute moderne, la quale si attiene, come ella dice, a così miserabili principii, e si perde in quelle vane arguzie? La scuola, che essa appella moderna, è la Chiesa cattolica, considerata nel corpo de' Pastori, che oggi la reggono ed ammaestrano, e nella grande moltitudine de' fedeli, che dipendono ed imparano da questi Pastori. La dottrina che essa qualifica per vana e misera, è la dottrina che oggi in questa Chiesa medesima s'insegna e si professa intorno alla tolleranza de' culti. E questa dottrina, essa pretende, che è contraria a quella, la quale fu chiaramente insegnata da Cristo, e professata un tempo ne' grandi secoli della Chiesa.
Ecco ciò che a tutto questo noi rispondiamo. Concediamo che intorno alla tolleranza de' culti, vi è in questi nostri giorni una dottrina, splendidamente proclamata dai Vescovi della cattolica Chiesa, e fedelmente seguita da tutti coloro, che appartengono a questa Chiesa. Di qui argomentiamo, senz'altro, che una tale dottrina non è moderna, e che stoltamente è chiamata scuola moderna la Chiesa che in questi giorni la professa. Argomentiamo per lo contrario, che essa è antica quanto la religione cristiana; e quindi che essa fu tramandata fino alla Chiesa, che vive nel nostro secolo, di mano in mano dalla Chiesa che fiorì ne' secoli decorsi; che fu tenuta in que' secoli che si dicono grandi; che fu predicata dagli Apostoli, ed insegnata da Cristo medesimo. E da tutto ciò conchiudiamo, che deve necessariamente aver gettata via la fede, e colla fede anche il senno, chiunque chiama cavillosa e miserabile questa stessa dottrina, e sostiene che a lei è contraria la dottrina di Cristo e quella del cristianesimo de' primi secoli.   
La nostra Chiesa è indefettibile ed infallibile; il che vuol dire, che essa conserva immutabilmente sino alla fine del mondo il deposito della rivelazione, tutto intero e senza niuna mescolanza di errori. E di qui segue di necessità, che se una dottrina fu rivelata da Cristo, essa per conseguenza si è trasmessa prima dagli Apostoli, e quindi per opera de' loro legittimi successori di generazione in generazione è pervenuta insino a noi: e così per converso se una dottrina, appartenente alla fede ed ai costumi, corre oggi nella Chiesa come rivelata da Cristo, è forza dedurre che essa fu veramente rivelata da lui, che fu annunziata dagli Apostoli, e che fu predicata per tutta la serie de' loro successori insino al nostro tempo. Per la qual cosa tutti coloro, i quali mentre riconoscono, che la Chiesa tiene oggi una dottrina come spettante alla fede ed ai costumi e come rivelata da Cristo; pur nondimeno mettono in ridicolo una tale dottrina, ed affermano che essa è contraria a quella di Cristo e degli Apostoli; tutti costoro senz'alcun dubbio non pensano nè parlano da cattolici, ma da eretici e da protestanti. Essi negano il fondamento della Chiesa, che è l'infallibilità del suo magistero; ed a questo stesso magistero si ribellano gli eretici ed i protestanti, i quali promettono di ricondurre la fede alla sua purità; la quale fede, secondo alcuni di loro, venne meno subito dopo il secolo degli Apostoli, secondo altri dopo il secolo di Costantino, e secondo altri in altri secoli, più vicini a noi. Non si accordano quanto al tempo della defezione, ma tutti pertinacemente sostengono questa defezione della Chiesa, non ostante le contrarie promesse di Cristo, e la irrefragabile testimonianza dei fatti.
Generalmente parlando, è vero questo principio che abbiamo stabilito. Applichiamolo ora al caso nostro, cioè alla dottrina della libertà di coscienza e della tolleranza de' culti. E dapprima ascoltiamo come parlano su tale materia gli apertamente increduli, che oggi vivono; i quali o sono come pagani, se non hanno ricevuto il battesimo, o sono peggiori de' pagani, se lo hanno rinnegato coll'apostasia. E parli per tutti uno solo di questi apostati.
Ernesto Renan si esprime in questi termini: «Spesso si domanda alla Chiesa, che voglia essere tollerante, e non si cerca prima di sapere se essa può concedere ciò, che le si domanda. La Chiesa non è stata mai nè mai sarà tollerante; è impossibile che sia tollerante. Essa tiene la sua dottrina per unicamente ed assolutamente vera; ed ogni dottrina assoluta è di sua natura intollerante. L'ortodossia dunque non si ammorbiderà mai colla sublime imparzialità, propria della filosofia [3]. È questa una conseguenza d'una logica inflessibile. E però si fa torto ai cattolici, insistendo su questo punto. Non si richieda loro quello, che essi non possono dare. Tentateli piuttosto che rinunzino alla ortodossia; ma non gli esortate a tollerare l'eterodossia, rimanendo ortodossi. Qui trattasi per loro di essere o di non essere [4].

«L'intolleranza interiore è condizione necessaria della tolleranza esteriore, cioè di quella tolleranza, che rende possibile la benevolenza tra i dissidenti, e che, in politica, concede agli uni ed agli altri uguali dritti. Ora il sentimento più caritatevole, che l'ortodosso può avere verso il miscredente, è quello della compassione [5]. L'ortodossia è obbligata a mostrarsi severa contro tutte le altre credenze, le quali si allontanano dalla sana dottrina teologica. Il rimedio, che la Chiesa cattolica oppone alla libertà del culto ed alla libertà del pensiere, è l'inquisizione [6].  I concilii hanno stabilita ed approvata l'inquisizione, i Padri ed i Vescovi l'hanno consigliata e praticata [7]. L'inquisizione è la conseguenza logica di tutto il sistema ortodosso, è la quintessenza dello spirito della Chiesa [8].

«Ma se è vero che l'inquisizione è nello spirito della Chiesa, io sostengo che è un errore il dire, che essa sia anche nello spirito del Vangelo [9]. A mio avviso il cristianesimo dev'esser libero e individuale, con innumerevoli varietà interne. Tale, anche a mio avviso, egli fu ne' primi tre secoli [10]. Questa libertà de' primi secoli scomparve, sino alle ultime tracce, il giorno in cui Costantino incominciò ad impacciarsi di teologia [11].

«L'ideale a cui si deve tendere è il puro regno dello spirito, non già come l'intendono i fanatici ed i settarii, ma come l'intendono i veri liberali, i quali sono persuasi, che una credenza non ha valore, se non quando si è acquistata colla riflessione personale, e che un atto religioso non è meritorio, se non quando è spontaneo. È innegabile, che fra tutte le maniere di culti, il protestantesimo si avvicina più a questo ideale. Nel secolo decimosesto esso usci fuori dal seno medesimo del cristianesimo, e proclamò di volere tornare alla primitiva libertà. Al presente dopo tre secoli di esitazione esso manda ad effetto il suo programma; acquista la libertà de' primi secoli; raccoglie la sua ultima conseguenza, cioè l'ordinamento libero della religione, e l'unione de' cristiani, non già nella lettera morta de' simboli, ma nella pura idea religiosa; idea, che trovasi per la prima volta espressa nel Vangelo [12]
Siccome parla questo apostata, così parlano tutti gl'increduli dei nostri giorni. Si confronti ora il linguaggio del Renan col linguaggio della Patrie; e si vedrà, che nella sostanza l'uno non differisce dall'altro. E però bene a ragione abbiamo affermato di sopra, che le parole di questo giornale suonano, come quelle degli scrittori protestanti ed eretici. Or questa sola considerazione potrebbe ridurre a miglior senno l'abbé V. François, cioè colui il quale sottoscrisse l'articolo della Patrie, ove si contengono gli errori, che andiamo confutando. I buoni giornali d'oltremonte danno a Credere, che quel nome di V. François è una maschera. Se dunque sotto questa maschera si nasconde veramente un ecclesiastico o un drappello di ecclesiastici, ovvero un laico o una brigata di laici; e se quell'uno o quei molti, ecclesiastici o laici, appartengono sinceramente alla Chiesa cattolica, adoprino il linguaggio della Chiesa e non quello de' suoi nemici. A salvarsi non basta credere ciò che la Chiesa crede; è anche necessario usare parole, le quali non contraddicano ma si conformino alla fede interna. Corde creditur ad iustitiam: ore autem confessio fit ad salutem [13]. [Rom. X, 10: «Col cuore si crede a giustizia: e con la bocca si fa confessione a salute.» P. Marco M. Sales O.P. (N.T. vol. II, Torino 1925 pag. 71) così commenta: «Col cuore si crede, ecc. I due atti della fede sono qui ricordati nel loro ordine naturale, cioè prima l'interno e poi l'esterno. All'atto interno della fede, corrisponde la giustificazione (giustizia), colla quale si comincia l'opera della nostra salute. Per ottenerne però il compimento (V, 1, 2; VIII, 24; XIII, 11; I Tess.V, 8; Ebr. IX, 28, ecc.) si deve perseverare nella giustificazione fino alla morte, e quindi si deve professare esternamente colla bocca e colle opere la fede ricevuta. (...)» N.d.R.]
Ma ciò che diciamo s'intenderà vie meglio, contrapponendo alla falsa dottrina degli eretici, la vera dottrina della Chiesa cattolica.
Tra noi cattolici si distinguono due specie di tolleranza religiosa. La prima è quella, per la quale uno tollera le varie religioni in sè medesimo. Una simile tolleranza è assurda ed empia; poichè non differisce dall'indifferentismo religioso, pel quale o tutte le false religioni si approvano al pari di quella sola, che è vera, con somma stolidità; o per lo contrario, con somma empietà, si rifiuta la vera religione collo stesso disprezzo, con cui si rifiutano tutte le false. Vi è l'altra tolleranza, la quale fa sì, che chi ha dentro di sè e professa nell'esterno la vera religione, lascia che altri professino le false. A questa specie si riduce la tolleranza politica, per la quale un Principe cattolico tollera ne' suoi dominii le false religioni, vale a dire qualsivoglia religione, discordante dalla cattolica, che è la sola vera. Di questa tolleranza politica parliamo al presente; e ripetiamo quello che, seguitando gl'insegnamenti di santa Chiesa, già spesse volte abbiamo detto; cioè che essa è sempre illecita, se si attua col dare in qualsiasi modo lavoro ai falsi culti; e che è lecita allor solamente, quando questi culti falsi si sopportano, per necessarie ragioni, al pari di una inevitabile calamità, e s'impedisce nello stesso tempo che l'errore tollerato si propaghi con ingiuria della cattolica religione, e con detrimento de' fedeli che la professano.
Una tale dottrina si fonda su due ragioni. L'una è, che la tolleranza con cui non si sopportano solo, ma si favoriscono i culti falsi, professati da altri, di necessità deve trarre origine da quella specie di tolleranza interna, la quale, come ora dicevamo, è assurda ed empia. Ed in effetto è cosa ordinariamente impossibile, che uno favorisca in altri i detti culti, se non li stima dentro di sè, se non gli approva, se non li mette a pari del culto cattolico. E se ciò è assurdo ed empio in un uomo privato, è maggiormente empio ed assurdo in una persona di governo, pei danni gravissimi, che egli arreca alle cose sacre ed alle civili, mettendo in pratica il suo indifferentismo religioso. La seconda ragione è, che il favorire l'eresia e qualsivoglia errore in materia religiosa, è per sè stesso illecito, per la ingiuria che si fa alla verità; ingiuria tanto più grave, in quanto che la verità, in questo caso, riguarda la cognizione di Dio ed il culto che gli è dovuto. E quindi, dato anche che uno possa favorire in altri i falsi culti, senza che punto li tolleri e gli approvi dentro di sè, nondimeno per quel solo estrinseco favore, egli si rende grandemente colpevole. E tal colpa è somma, se la commette un Principe cattolico; poichè questi, ha ricevuto da Dio la potestà regia non tanto pel governo delle cose temporali , ma più principalmente per guardia e tutela di santa Chiesa.
Riferiamo adesso, come parlino intorno a questo punto i Maestri e i discepoli della nostra Chiesa, cioè di quella Chiesa, che la Patrie chiama scuola moderna; di quella che non fiorì ne' grandi secoli del cristianesimo, ma dopo la conversione di Costantino.
Si ascolti, com'è conveniente, innanzi a tutti il vivente ed augusto Pontefice Pio IX. Nella enciclica Quanta cura, egli dice: «Si trovano in questo tempo non pochi, i quali applicano al consorzio civile l'empio ed assurdo principio del naturalismo, ed osano insegnare, che — L'ottima ragione della pubblica società e il civile progresso richiedono, che la società umana si costituisca e si governi senza aver niun riguardo alla religione, come se ella non esistesse, o almeno senza fare alcun divario tra la vera e le false religioni. — E, contro la dottrina della sacra Scrittura, della Chiesa o dei santi Padri, non dubitano di asserire: — Ottima essere la condizione della società, nella quale non si riconosce nell'Impero il debito di reprimere con pene stabilite i violatori della cattolica religione, se non in quanto lo dimanda la pubblica pace [14]In queste parole da Maestro della Chiesa universale [cioè pronunciate ex cathedra, dunque infallibili. N.d.R.] egli qualifica le opinioni delle moderne società intorno alla tolleranza de' culti, come opinioni empie, assurde, temerarie e ripugnanti alla sacra Scrittura ed al costante insegnamento della cattolica Chiesa. E con ciò esso dichiara, che la dottrina opposta, accennata di sopra, è una dottrina rivelata da Dio, e trasmessa insino a noi dalla ecclesiastica tradizione.
Insistendo in tali principii, il venerato Pontefice in varie allocuzioni, e specialmente in quella del 29 Ottobre 1866, disse altre parole gravissime, e sono queste: «Non possiamo non caldamente scongiurare nel Signore, secondo il dovere del nostro ufficio, tutti i sommi Principi e gli altri reggitori dei popoli, perchè una volta intendano e attentamente considerino il gravissimo dovere, che gli stringe, di procurare che nei popoli si aumenti il culto e l'amore della religione, e d'impedire con tutte le forze, che in essi si estingua il lume della fede. Guai a quei dominanti, che dimentichi di essere Ministri di Dio pel bene, trascurano di promuoverlo quando il possono e il debbono; ed essi grandemente paventino e tremino, soprattutto allora che colle proprie mani distruggono il preziosissimo tesoro della fede cattolica; senza la quale è impossibile piacere a Dio. Giacchè innanzi al tribunale di Cristo, incontrando durissimo giudizio, vedranno, che orrenda cosa sia il cadere nelle mani del Dio vivente, e sperimentare la sua severissima giustizia [15].» Or dunque, noi domandiamo, che altro fa un Principe, il quale tollera con una tolleranza alla moderna i falsi culti, se non distruggere colle proprie mani, ne' suoi dominii, il preziosissimo tesoro della fede cattolica? Domandiamo, se avendo egli ciò fatto in questa vita, potrà sfuggire nell'altra la sciagura, che qui minaccia il Santo Padre? Risponda a queste domande il sig. V. François, l'Abbé della Patrie.
Siccome l'augusto Pio, che veneriamo in mezzo a noi, minaccia i castighi eterni, così un altro Pio, che veneriamo sugli altari, minacciò i castighi temporali. San Pio V mandò nella Spagna al suo Nunzio una istruzione, nella quale consigliava l'andata del re Filippo in Fiandra, perchè rimettesse colà in buono stato la cattolica religione. Egli deplorò in quella sua scrittura i funesti consigli de' Principi di quel tempo, i quali non reprimevano, quanto era conveniente, la temerità degli eretici; ed affermò, che Dio farebbe loro giustamente perdere i regni , che ingiustamente essi cercavano di conservare senza Dio; e che a ciò si varrebbe degli stessi eretici, divenuti ribelli ai sovrani, da' quali allora erano tollerati e favoriti. «Hanno i Re, così egli soggiunse, voluto mettersi sotto i piedi la religione e la causa di Dio, qui caput est omnis principatus et potestatis; [Col. II,10: «Che è capo di ogni principato e potestà» N.d.R.] e per necessità tutte le cose sono rivolte sottosopra, tanto che, turbato oramai ogni ordine, spento ogni dovere, vanno i Principati miseramente riducendosi a democrazia, o per di meglio ad una orribile anarchia [16].» Questi detti del santo Pontefice furono profetici, come ben lo comprovano i fatti che accaddero da quel tempo in poi, e che accadono anche oggi.
Citiamo un altro Papa anche santo, cioè Leone Magno, morto da più di mille e quattrocento anni; ma pure, poichè egli resse la Chiesa dopo Costantino, e non appartenne per conseguenza a quei secoli del cristianesimo, che l'abbate François chiama grandi, possiamo nominarlo come uno della scuola, che lo stesso Abbate appella moderna. Or questo illustre Pontefice e Dottore della Chiesa, volendo in un suo sermone esaltare il beneficio, che Roma ebbe per opera di Pietro e Paolo, dice che alla predicazione di questi due Apostoli, ella fu sciolta da Cristo tanto più maravigliosamente, in quanto che trovavasi in quella stessa ora più stretta fra le catene del demonio: Quantum erat per diabolum tenacius illigata, tantum per Christum est mirabilius absoluta. Perchè mai erano più forti i lacci del demonio, che stringevano Roma in quei giorni? Perchè questa Città (ciò che per l'innanzi si era astenuta di fare), non contenta della sola falsa religione che professava, aveva incominciato a dar ricetto alle altre religioni false, professate da tutti i popoli del mondo, dei quali era in quel tempo divenuta Signora; e in tal guisa ella veniva a più disconoscere ed a più offendere il vero Dio, da cui era stata levata a tanta prosperità ed ampiezza d'impero. Ecco le parole di san Leone: Haec civitas ignorans suae provectionis auctorem, cum pene omnibus dominaretur gentibus, omnium gentium serviebat erroribus, et magnam sibi videbatur suscepisse religionem, quia nullam respuerat falsitatem [17]. [«Questa città, che ignorava l'autore della sua potenza, intanto che comandava a quasi tutti i popoli del mondo, si sottometteva agli errori di tutte le nazioni, e credeva di essere assai religiosa perchè non rigettava alcuna menzogna.» N.d.R.]
Ciò che Roma operava era in sostanza mettere in pratica il principio della tolleranza favorevole de' falsi culti: Magnam sibi videbatur suscepisse religionem, quia nullam respuerat falsitatem. [«Credeva di essere assai religiosa perchè non rigettava alcuna menzogna.» N.d.R.] Per questo il santo Dottore la giudicò rea di gravissima apostasia da Dio e di somma empietà contro sè medesima, pel darsi che così essa faceva più perdutamente in vendita, ed in preda al demonio. Eppure quella Città non aveva per l'addietro abbracciata mai la vera religione. Che direbbe egli dunque dell'Europa moderna, la quale fu tutta, per benefizio della cattolica Chiesa, rigenerata alla vita soprannaturale, sottratta dalla barbarie, e fatta maestra di vera civiltà a tutta la terra? Con qual severità le rimprovererebbe l'ingiuria, che essa fa alla Chiesa medesima ed a Cristo fondatore di lei, approvando ed eseguendo quella massima, la quale è al sommo condannevole anche in una nazione pagana? Come deplorerebbe que' Principi cristiani, che a tale empietà danno il nome di grande principio e di sociale progresso, egli che a questi Principi insegnava lo stretto dovere, che ad essi corre, di difendere colla loro autorità la santa Chiesa, contro tutti quelli, i quali violano e perturbano l'ordine stabilito colle sue leggi? Debes incunctanter advertere, regiam potestatem tibi, non ad solum mundi regimen, sed maxime ad Ecclesiae praesidium esse collatam; ut ausus nefarios comprimendo, et quae bene sunt statuta defendas, et veram pacem his quae sunt turbata restituas [18]. [«Devi incessantemente considerare, che la regia potestà ti è stata data non solamente per governare il mondo, ma soprattutto per sostener la Chiesa; affinchè col reprimere i nefandi attentati, difendi i buoni stabilimenti (le leggi e le istituzioni ecclesiastiche), e ridoni la vera pace alle cose che sono scompigliate» N.d.R.]
Risalendo da noi verso Costantino s'incontrano ad ogni tratto Pontefici, Concilii, Padri, Dottori e teologi, i quali proclamano come dottrina spettante alla fede, avere la Chiesa il dritto e l'obbligo di punire anche corporalmente gli eretici, e doverla a questo effetto coadiuvare i Principi secolari. E se per qualche tempo il solo sant'Agostino non si accordò in questo con tutti gli altri, egli però non fu lento a disdirsi apertamente, appena conobbe per dolorosa esperienza a quanta temerità si levano gli eretici, se si lasciano impuniti, e quanto giova a ricondurli a più sani consigli la severità della disciplina [19]. Gli oppugnatori di questa comune dottrina furono sempre trattati o come eretici, o come fautori degli eretici. E da tutto ciò si trae una validissima prova a favore di quello che stiamo dimostrando, vale a dire, che in tutti i secoli da Costantino infino a noi, intorno alla tolleranza de' culti, si è tenuta nella Chiesa cattolica, come rivelata da Dio, una sentenza del tutto opposta a quella delle nazioni moderne. I cattolici professano che i Principi hanno il dritto e il dovere di reprimere gli eretici; dall'altro canto i politici recenti pretendono che gli eretici possono e debbono essere protetti e favoriti dai Principi. La discrepanza e la contraddizione non può essere più manifesta.
Potremmo facilmente accumulare citazioni, per dichiarare il principio, da cui abbiamo argomentato. Ma non giudichiamo necessario questo sfoggio di erudizione; e quindi ci contenteremo, fra tanto numero di testimonii tutti autorevoli, farne comparire, come per saggio, quattro soli. E dapprima udiamo il Bellarmino ed il Suarez; il primo de' quali è il principe della controversia; ed il secondo il lume della teologia.
Il Bellarmino afferma, che è errore perniciosissimo il dire, che i Principi debbano permettere che ciascuno professi a suo talento qualsivoglia culto, salvo che non perturbi la pace pubblica: Reges debere curare rempublicam suam et pacem publicam; de religione autem non curare, sed permittere singulis, ut sentiant prout voluerint, et vivant ut voluerint, modo non perturbent pacem publicam. Per lo contrario egli insegna, che i Principi cristiani sono obbligati ad impedire la libertà dei culti, ed a procurare che tutti si attengano alla regola della fede, prescritta dal magistero della Chiesa: Sine dubio tenentur Principes christiani non permittere subditis suis libertatem credendi, sed dare operam, ut ea fides servetur, quam Episcopi catholici, et praecipue summus Pontifex docet esse tenendam [20]. Queste due conclusioni son da lui dimostrate coll'autorità della Scrittura e colla costante tradizione della Chiesa.
La dottrina poi del Suarez si epiloga in queste tre conclusioni. La prima è: Doversi tenere con certezza di fede, che la Chiesa è investita da Dio dell'autorità di punire gli eretici sia colle pene spirituali sia anche colle corporali, e di obbligarli con tali pene a deporre i loro errori. In secondo luogo: Che una tal potestà risiede per diritto divino principalmente nei Vescovi e soprattutto nel romano Pontefice. Da ultimo: Che essa appartiene ancora, ma però secondariamente e giusta il modo prescritto dalla Chiesa, ai Principi cattolici, come a quelli che sono protettori e difensori delle cose sacre [21].
Gli altri due nomi, che vogliamo ricordare, anche illustri, benchè per titoli diversi, sono il Vescovo Bossuet ed il padre Lacordaire.
Il primo scrisse per istruzione del Delfino un libro, che intitolò: Politica ricavata dalle parole della sacra Scrittura; ed in questo libro compendiò la dottrina cattolica, di cui parliamo, ne' termini seguenti: «Il Principe è ministro di Dio. Egli non porta inutilmente la spada; e chiunque opera male deve temerlo come vendicatore del suo delitto. Egli è protettore della pace pubblica, la quale si fonda sulla religione; ed è difensore del suo trono, che è similmente fondato sulla religione. Tutti quelli i quali non vogliono soffrire, che il Principe usi rigore in materia di religione, perchè, a loro credere, la religione dev'esser libera, versano in un errore empio. Se così fosse, converrebbe tollerare in tutt'i sudditi e in tutti gli Stati, qualsiasi falsa religione; e converrebbe per conseguenza tollerare i più enormi delitti, come la bestemmia e l'ateismo [22]
L'illustre Vescovo di Meaux ha qui quasi copiato da sant'Agostino, il quale così parla: «Niuno che ha mente sana può dire ai Re, che non si curino, che la Chiesa del loro Dio sia piuttosto servita che combattuta ne' loro Stati, e che non si curino se i loro sudditi siano religiosi o sacrileghi. Ciò sarebbe come dir loro, che non si prendano briga o sia che si coltivi la virtù ne' proprii dominii, o sia che invece trionfi la licenza: Quis mente sobrius regibus dicat: Nolite curare in regno vestro a quo teneatur vel oppugnetur Ecclesia Domini vestri; non ad vos pertineat, in regno vestro quis velit esse sive religiosus sire sacrilegus; quibus dici non potest: Non ad vos pertineat, in regno vestro quis velit pudicus esse, quis impudicus? [23]
Siccome il Bossuet, così sant'Agostino derivano questa dottrina dalle sentenze e dagli esempii della sacra Scrittura; e quindi essi la propongono come una dottrina appartenente alla rivelazione.
Ascoltiamo ora il padre Lacordaire. Nel 1830 egli venne in Roma per dar conto delle sue opinioni, e per sottometterle al giudizio della Santa Sede. Tre capi gli furono proposti; ed intorno a tutti e tre e[gl]i diede risposte, che soddisfecero pienamente. Il primo fu circa il potere coercitivo della Chiesa per rispetto agli atti esteriori; il secondo circa l'origine della Sovranità; il terzo circa il dominio temporale della Santa Sede. Non fa al nostro proposito, se non riferire la sua risposta intorno al primo capo.
Egli dichiarò apertamente e sinceramente di riconoscere nella santa Chiesa il potere, a lei conferito da Gesù Cristo, non solo di avvertire e di correggere i suoi figli colpevoli, colle esortazioni, coi consigli e cogli ammonimenti paterni; ma ancora di gastigarli e di punirli, allorchè sono restii e contumaci, colle censure e colle pene afflittive e corporali, secondo che prescrivono i sacri canoni, le ordinazioni de' concilii e i decreti apostolici. Aggiunse di conformarsi in tutto, su questo punto, al Breve, che Benedetto XIV nel 1755 spedì al Primate, agli Arcivescovi ed ai Vescovi di Polonia, nel quale questo Pontefice dichiarò: Collatam esse a Christo Domino et Salvatore nostro Ecclesiae suae potestatem non solum dirigendi per consilia et suasiones, sed etiam iubendi per leges, ac devios contumacesque exteriore iudicio et salubribus poenis coercendi atque cogendi. [«che Nostro Signore Gesù Cristo ha conferito alla sua Chiesa la potestà non solamente di dirigere con consigli e persuasioni, ma ancora di comandare con leggi, e di reprimere e costringere gli sviati e contumaci con esteriore giudizio, e con pene salubri.» N.d.R.]
Vi è di più. Egli riprovò e condannò puramente e semplicemente la quarta proposizione del sinodo di Pistoia, nella quale si diceva: Abusum fore auctoritatis Ecclesiae transferendo illam ultra limites doctrinae et morum, et eam extendendo ad res exteriores, et per vim exigendo id, quod pendet a corde et persuasione; tum etiam multo minus ad eam pertinere exigere per vim exteriorem subiectionem suis decretis. [«Sarebbe un abuso dell'autorità della Chiesa il trasportarla oltre i confini della dottrina, e della morale, ed estenderla a cose esteriori, ed esigere con forza ciò che dipende dalla persuasione, e dal cuore, e inoltre molto meno le appartiene esigere con la forza esteriore soggezione ai suoi decreti.» N.d.R.] Or Pio VI nella sua Bolla dommatica proscrisse e qualificò questa proposizione come inducente eresia, inducens in systema alias damnatum ut haereticum; [«inducente in sistema altre volte condannato come eretico. N.d.R.] in quanto essa negava la dottrina, che ora abbiamo riferita, del Breve di Benedetto XIV: Quatenus intendit Ecclesiam non habere collatam sibi a Deo potestatem non solum dirigendi per consilia et suasiones, sed etiam iubendi per leges, ac devios contumacesque exteriore iudicio ac salubribus poenis coercendi alque cogendi. [«In quanto intenda che la Chiesa non abbia la potestà conferitale da Dio non solamente di dirigere con consigli e persuasioni, ma ancora di comandare con leggi, e di reprimere e costringere gli sviati e contumaci con esteriore giudizio, e con pene salubri.» N.d.R.] Ed io ancora, disse il padre Lacordaire, condanno sinceramente come eretica quella proposizione del sinodo di Pistoia, intesa in questo senso.
Una tal risposta, insieme con quelle che egli diede agli altri due punti, è stata recentemente inserita nel Catholique di Brusselle [24]. Il Rm̃o P. Jandel, Maestro generale dell'Ordine de' Predicatori, fu quegli, che sapientemente volle mettere alla luce tutta intera la dichiarazione del padre Lacordaire, perchè, come egli disse scrivendo al Catholique, ella venge sa mémoire de tout soupçon de complicité avec certaines opinions, que quelques catholiques voudraient bien abriter sous l'autorité de son nom. [«riscatta la sua memoria da qualsiasi sospetto di complicità con talune opinioni che qualche cattolico vorrebbe che difendesse col suo autorevole nome» N.d.R.]
Domanderà qualcuno: Chi sieno questi uomini, meritevoli di esser repressi e puniti o dal romano Pontefice che è il capo Supremo della Chiesa, o, a richiesta di lui, dai Principi cristiani, i quali sono i difensori della Chiesa medesima? Rispondiamo, che non sono quelli, a cui dalla legittima autorità è concesso, per necessarie cagioni, di professare un falso culto; ed essi lo professano pacificamente e senza ingiuria della cattolica Chiesa; ma sì bene quelli, i quali mentre professano un culto falso, nel tempo stesso violano i diritti della vera religione, che è la cattolica; impediscono che la Chiesa eserciti liberamente gli ufficii conferitile da Dio, ed in ispecie quello di predicare il Vangelo su tutta la terra; ritraggono i fedeli dalla comunione e dalla dottrina della Chiesa medesima, e con arti inique li pervertono coi loro errori. O sieno questi uomini battezzati o no, la Chiesa per dritto divino e naturale può rintuzzare colla forza i loro attentati, e si può servire a questo effetto dell'autorità e del braccio de' Principi secolari.
Qualche altro dirà: Non essere cosa opportuna e nè anche possibile, che un tale principio si applichi ne' giorni che ora corrono. Al che si risponde, che noi qui trattiamo della verità del principio, il quale, se per vizio dei tempi, è divenuto impossibile ad applicarsi, non per questo si è convertito di vero in falso. E per una tale ragione non possiamo convenire nella sentenza di coloro, i quali, mentre si ha a deplorare, che la verità è soperchiata dalla forza, sostengono che essa ha fatto già il suo corso, e che in cambio di lei dev'essere innalzata alla dignità di principio e che dev'esser praticata la falsità opposta. Chi discorre così reputa che l'ottima condizione della società può provenire da quella medesima sorgente, a cui si debbono ascrivere le calamità, nelle quali al presente la vediamo caduta; ed è simile in ciò a quel naufrago, il quale sentenziasse, che la navigazione riesce prospera per le sirti [= per le secche, N.d.R.] che inchiodano la nave, per gli scogli che la rompono e pei flutti che la sommergono. Questo naufrago, insieme colla nave, avrebbe miserabilmente perduto anche l'intelletto.
Il discorso che abbiamo fatto dimostra a sufficienza, che intorno alla tolleranza de' culti, si professa dalla Chiesa nel nostro tempo una dottrina affatto contraria a quella, che professano i moderni politici; e che una dottrina medesima fu tenuta da lei, in tutt'i secoli precedenti insino a Costantino, cioè in tutti gli anni decorsi dopo i grandi secoli del cristianesimo sino ai giorni nostri; e finalmente che questa dottrina si è sempre riguardata come una parte del deposito della rivelazione, e per questo la dottrina opposta dei recenti Governi fu per lo addietro, com'è presentemente, giudicata meritevole di gravissime censure. E di qui noi argomentiamo la falsità delle asserzioni della Patrie, cioè che intorno a questo punto, Cristo insegnò non già la dottrina che la Chiesa tiene al presente, e che tenne dopo i primi secoli; ma per lo contrario quella dottrina stessa, che oggi proclamano i governanti moderni. La stoltezza e la falsità di questa proposizione è manifesta; poichè è cosa impossibile che Cristo abbia predicato una dottrina, e che in cambio di essa la Chiesa in qualsivoglia tempo ne professi e ne insegni un'altra; ed è ciò impossibile per ragione della prerogativa d'infallibilità, che Cristo medesimo ha conferito alla Chiesa, fondata da lui.
E con ciò noi abbiamo confutata indirettamente la falsità di quella proposizione della Patrie; in un altro articolo prenderemo a confutarla in una maniera diretta.
torna __________________________________

NOTE:

[2] Notre regret c'est, que le conférencier... n'ait pas fait une excursion dans les grandes siècles du christianisme. C'est là qu'il aurait pu puiser à pleines mains, en faveur du grande principe de la tolérance civile et de la liberté de conscience si clairement enseigné par Jésus—Christ lui même, des faits et des témoignages d'une telle autorité et d'une telle évidence, qu'à côté d'eux les vaines arguties d'une école toute moderne, qu'il n'est pas besoin de désigner autrement, ne paraissent plus que dignes de pitié.
[3] Questions contemporaines. Du Libératisme clerical, pag. 440, 441.
[4] Ivi, pag. 442, 443.
[5] Ivi, pag. 441.
[6] Ivi, pag. 446.
[7] Ivi, pag. 449.
[8] Ivi, pag. 448.
[9] Ivi, pag. 448.
[10] L'avenir religieux des sociétés modernes, pag. 403.
[11] Ivi, pag. 375.
[12] Ivi, pag. 374, 375; e pag. 406.
[13] Ai Romani, X, 10.
[14] Probe noscitis, venerabiles Fratres, hoc tempore non paucos reperiri, qui civili consortio impium absurdumque naturalismi, uti vocant, principium applicantes, audent docere: — Optimam societatis publicae rationem civilemque progressum omnino requirere, ut humana societas constituatur et gubernetur, nullo habito ad religionem respectu, ac si ea non existeret, vel saltem nullo facto veram inter falsasque religiones discrimine. — Atque contra sacrarum litterarum, Ecclesiae sanctorumque Patrum doctrinam, asserere non dubítant: — Optimam esse conditionem societatis, in qua Imperio non agnoscitur officium coercendi sancitis poenis violatores catholicae religionis, nisi quatenus pax publica postulet.
[15] Haud possumus, quin pro Nostri muneris ratione omnes summos Principes, aliosyue populorum Moderatores vehementer in Domino obtestemur, ut aliquando intelligant, ac sedulo considerent gravissimum, quo tenentur, officium curandi, ut in populis religionis amor cultusque augeatur, ac totis viribus impediendi, quominus in eisdem populis fidei lumen extinguatur. Vae autem illis dominantibus, qui obliviscentes se esse Ministros Dei in bonum, praestare id neglexerint, cum possint ac debeant: et ipsi vehementer paveant et contremiscant, quando sua praesertim opera pretiosissimum destruunt thesaurum catholicae fidei, sine qua impossibile est placere Deo. Namque ante tribunal Christi durissimum subeuntes iudicium videbunt quam horrendum sit incidere in manus Dei viventis, ac severissimam eius experiri iustitiam.
[16] Tutta questa istruzione è nell'Appendice all'Opera di Monsignor Graziani, intitolata De scriptis invita Minerva, edizione di Firenze del 1746.
[17] In natali Apostolorum Petri et Pauli, sermo 1us.
[18] Epistola IIIa ad Leonem Augustum.
[19] Dixi non mihi placere ullius saecularis potestatis impetu schismaticos ad communionem violenter arctari. Et vere tunc mihi non placebat; quoniam nondum expertus eram vel quantum mali eorum auderet impunitas, vel quantum eis in melius mutandis conferre posset diligentia disciplinae. Retractat. lib. 2, c. 5.
[20] De membris Ecclesiae militantis, lib. III, cap. XVIII.
[21] De fide theologica, disput. XX, sect. III, et disput. XXIII, sect. I.
[22] Lib. VII, art. III, prop. X.
[23] Epistola ad Bonifacium, de correctione Donatistarum, cap. V.
[24] Numero 79 del 7 Marzo del corrente anno. [1868. N.d.R.]

Nessun commento:

Posta un commento

La moderazione dei commenti è attiva.