venerdì 28 ottobre 2016

LA REGOLA FILOSOFICA DI SUA SANTITÀ LEONE P. P. XIII. PROPOSTA NELLA ENCICLICA AETERNI PATRIS (IV) [1]

R.P. Giovanni Cornoldi d.C.d.G.

La Civiltà Cattolica anno XXX, serie X, vol. XII (fasc. 708, 6 novembre 1879), Firenze 1879 pag. 425-443.

Seguita dei conseguenti

L'uomo non è atto al faticoso travaglio esterno se nel suo interno non sia ben disposto. Il difetto della conveniente armonia nell'umano organismo e il contrasto delle facoltà, onde derivano le operazioni, lo rende malaticcio, debole, incapace di operare con energia e costanza. Così una società, prima di pensare ad esterne conquiste o difese contro assalitori stranieri, debbe studiarsi di avere in sè stessa ordine, unione di cuori, consonanza di principii: altramente, più che gli esterni nemici, potranno stremarla e discioglierla le sue stesse infermità intestine. E poichè è impossibile che ci sia unione sincera e stabile nell'errore, e se la ci fosse sarebbe il massimo danno, mercè che i socii in tal caso camminerebbono nelle tenebre, così la verità deve presiedere quale guida dei socii nel tendere armonicamente al fine comune.
La Chiesa è società ed è società perfetta: per[ci]ò quello che veniamo dicendo si deve alla medesima pure applicare. L'unione di tutti i cattolici tra loro dev'essere un frutto, una naturale conseguenza dell'unione che ciascuno ha col Vicario di Gesù Cristo, e dell'incentrarsi tutti nella medesima verità speculativa e pratica, colla mente e col cuore. A proporzione della perfezione di cotesta unione, di cotesto incentramento, è, in via ordinaria, la energia e la estensione dell'operare, sia rispetto a' membri della Chiesa stessa, sia rispetto a quelli che sono di fuori contro cui vuolsi difendere, o i quali sono da conquistare e da nemici rendere nostri socii e fratelli. Ora, perchè c'entrano le libere volontà dei singoli, la compiuta perfezione quaggiù non può ragionevolmente supporsi; nè fia pertanto meraviglia che tra cattolici vi abbiano molti sinceramente e totalmente stretti con la Sede Apostolica, ma di più non pochi di quelli nei quali sia qualche cosa a desiderare; e non solo tra laici, bensì ancora tra gli ecclesiastici. Per ciò che si attiene ai principii scientifici, ossia alla unione in quella dottrina filosofica che non è inimica alla Chiesa ed è ancella alla fede, Papa Leone si adoperò in maniera opportunissima e sapientissima colla Enciclica Aeterni Patris. Otterrà lo scopo? lo speriamo. Ma noi, discorrendo sopra gli antecedenti e sopra le presenti disposizioni degli animi, come dovemmo indicare l'atteggiamento ostile che naturalmente avrebbono preso contro la Regola filosofica proposta dal S. Padre gli avversarii dichiarati ed insolenti della Sede Apostolica, così dobbiamo indicare un pericolo al quale vanno incontro non pochi dotti cattolici, ed il pericolo è di essere obbedienti a parole, seguitando nell'insegnamento filosofico la falsa via, da essi tenuta sinora. Dobbiamo anzi confessare che v'è qualche cosa di più che un pericolo, perchè a questi giorni alcuni filosofi cattolici si sono dati già a divedere ossequenti sì bene in apparenza, ma non in realtà. Con que', cui dobbiamo supporre in buona fede, ci conviene usare maggiore soavità, che con quelli che tali non sono, e perciò si hanno a dire obbedienti simulati: tuttavia non dobbiamo, tratti da falso amore e perniciosa indulgenza, lasciar d'indicare una piaga che potrebbe ridursi a cancrena.
Obbedienti simulati. Non pochi di quelli che dalla cattedra insegnarono dottrine inconciliabili con la filosofia dell'Aquinate e che lasciaronsi incautamente trascinare all'autorità sola de' moderni scienziati ammettendo ipotesi infondate, false e pericolose, naturalmente debbono essere spinti a interpretare così l'Enciclica, che ne rimangano, per quanto si può fare, non tocche le opinioni da loro carezzate, od anche a non sottomettersi alla medesima, salvo in ciò che è necessario ad evitare grave colpa. Da questo al falsare le intenzioni del Papa e a togliere ogni efficacia alla medesima Enciclica il tragitto è breve. Quindi una obbedienza non leale, ma simulata. Gravissimo il danno: conciossiachè immensamente più nuoce il non obbedire dei soldati al loro duce, che l'opposizione dei nemici. E poichè (dobbiamo con alto dolore pur confessarlo) di obbedienti simulati se ne sono già manifestati alquanti i quali, con certi loro sofismi, hanno preteso di mostrare legittima la loro condotta, è mestieri che noi confutiamo cotesti sofismi, ed eccitiamo quelli a secondare pienamente le mire del sapientissimo Pontefice nella riforma della scienza.
1° All'opposto degli insolenti avversarii della Sede Apostolica, i quali con aperta menzogna vanno dicendo che Leone XIII innalzò alla dignità di dogmi tutti i pronunciati della filosofia di S. Tommaso, quelli di cui discorriamo affermano che il medesimo Papa Leone non definì dogmaticamente alcuna proposizione di quelle tante che, insieme prese, constituiscono la filosofia predetta. Quindi tutte le loro contrarie si possono liberamente insegnare. Ecco la prima ragione onde gli obbedienti simulati studiansi di giustificarsi.
2° In secondo luogo; Leone nulla determina in particolare. Quando egli ci propone a seguire la filosofia dell'Aquinate, quali verità di questa filosofia ha in conto di fondamentali, quali di secondarie? Nulla dice: di che viene essere in arbitrio di ciascheduno attenersi soltanto a quelle dottrine dell'Angelico, le quali a lui talentano; nelle altre non curarlo od ancora combatterlo. La situazione, così dicesi, non è per li scienziati cangiata in virtù dell'Enciclica di Papa Leone. Propugniamo, dicono essi, tutte quelle sentenze professate dal santo Dottore che sono state, quandochessia, definite di fede; e perchè queste sono moltissime, con ragione, per ciò solo, si potrà dire che noi seguiamo la sua filosofia. Così si avrà in necessariis unitas, e rimarrà a ciascheduno in dubiis libertas.
3° In terzo luogo; il Santo Padre vuole in sostanza una filosofia eclettica, poichè egli c'insegna che dobbiamo abbracciare tutto ciò che sapientemente è stato detto da chicchessia. Per la qual cosa ci è permesso d'incorporare nella filosofia tutto ciò che noi giudichiamo essere stato sapientemente detto non solo dal Cartesio, dal Malebranche, dal Gioberti e dal Rosmini, ma ancora dal Tyndall, dal Du Bois-Raymond e da altrettali.
4° In quarto luogo; Papa Leone apertamente dice ch'ei non intende proporre dell'antica filosofia tutto ciò che è stato riconosciuto falso. Dunque dalla somma delle proposizioni, dalla quale è costituita la filosofia dell'Angelico, debbonsi torre tutte quelle sentenze che vengono reiette, siccome false, dai moderni scienziati, a petto de' quali i vetusti erano fanciulli che ivano nelle scienze barcollando a tentoni.
5° Di più; egli intende di proporre una filosofia cristiana. Per ciò distinguiamo nell'Aquinate il dottore cattolico che compendia la sublime sapienza dei padri della Chiesa, dal pedissequo seguitatore del pagano Aristotele. Tutto ciò che ha di questo non è punto degno di stima: quello che noi dobbiamo nel santo Dottore seguire è la dottrina redata dai Padri della Chiesa, e a questa dottrina dovrà ridursi la sincera filosofia.
6° Inoltre; egli è ben vero che ci viene prescritta la sequela della dottrina filosofica di S. Tommaso, ma egli è altresì vero che non ci viene data dal Santo Padre una determinata interpretazione delle sentenze in cui è espressa, con l'obbligazione di attenerci ad essa, esclusane qualunque altra. Onde di leggieri accettiamo quella dottrina, salva la libertà di dare alle sentenze la interpretazione che più ci talenta. Così, per esempio, se altri si incocci a dire che un punto fondamentale della dottrina dell'Angelico è la teorica della materia prima e della forma sostanziale, noi l'accetteremo di buon grado; ma per materia prima potremo intendere o atomi inerti o punti matematici, e per forma sostanziale il loro numero, la loro locale disposizione, il loro movimento di rotazione e di translazione.
Nè avremo punto difficoltà di affermare che l'anima è forma sostanziale del corpo umano, ma per corpo umano potremo intendere un aggregato di atomi separati, tra loro distanti, tutti eguali, agitati da moto, i quali, considerati in sè medesimi, tali assolutamente sono nel vivente uomo, quali erano prima e quali poscia saranno fuori del medesimo. Quell'essere poi l'anima umana forma sostanziale lo spiegheremo così, che l'anima non cagioni in quegli atomi vero moto, ma solo diriga il moto in essi immagazzinato, che precipuamente deriva dal sole. Nè debbonsi rimproverare quelli che ammettono che l'unione dell'anima col corpo consiste nel sentire che fa l'anima il corpo stesso, purchè dicano con l'Angelico che essa è forma sostanziale. Così qualora noi propugniamo l'esistenza dell'intelletto agente e dell'intelletto possibile, non dobbiamo incorrere veruna taccia se interpretiamo le testimonianze dell'Aquinate di qualità che per intelletto agente s'intenda Dio non considerato absolute ut est in se sed relative ut est idea omnium rerum possibilium. L'intelletto agente è Dio-idea, nè altri da noi più richiegga. Che se anche vogliasi dire punto principale della filosofia del santo dottore la creazione, noi l'accetteremo, riservandoci il diritto di interpretazione; e potremo dire che sebbene si possa e si debba affermare che la cosa viene creata, nessuno sia perciò obbligato a sostenere che l'essere della cosa stessa è tratto dal nulla, mercecchè noi ammettiamo un essere solo e nell'ordine ideale e nell'ordine reale.
7° Finalmente quello che importa si è usare quella forma sillogistica che tanto giova all'insegnamento e con la quale i giovani nella polemica aguzzano la loro mente e si preparano alle grandi lotte scientifiche, cui più tardi andranno incontro. Cotesta forma è sì importante che altri in essa ripone tutta la forza della scolastica filosofia.
Parecchi altri esempii potrebbonsi recare di coloro, i quali da un lato si dichiarano seguaci fedelissimi della filosofia dell'Angelico, dall'altro si riserbano il diritto d'interpretare le sue testimonianze secondo che loro piace.
Prima di rispondere partitamente alle singole difficoltà o ragioni che si recano dagli obbedienti simulati, diamo una risposta generale a tutte quante, prese in globo. Si ammetta per poco tutto ciò che da cotesti si è detto e si dice. A che ridurrebbesi in tale ipotesi l'Enciclica, a che la volontà di Leone, a che le risposte di adesione che si stanno facendo al Santo Padre non solo da dotte persone, ma, ciò che più monta, dall'Episcopato cattolico? Ad un bel nulla. Sinteticamente la Enciclica si potrebbe, in tal caso, ridurre a questa frase: ciascuno insegni quella filosofia che vuole; e i responsi dei saggi e dell'Episcopato cattolico ridurrebbonsi ad una lode fatta al Papa per avere riconosciuta in tutti la libertà di insegnare la filosofia secondo il talento di ciascuno. Di che viene che mentre Leone intese di infrenare la licenza, l'avrebbe confermata e lasciatele le briglie in collo: e mentre volle ridurre la filosofia tra gli insegnanti cattolici all'unità, avrebbe sanzionata una moltitudine di filosofie tra loro cozzanti e discordi dalla verità. Francate altri da ogni regola nell'insegnare fosse anche ciò che non è dogmaticamente definito: rimanga l'obbligazione d'insegnare solo in generale, ed astrattamente presa, la dottrina filosofica dell'Angelico, ma non alcuna proposizione in particolare; siavi licenza di professare una filosofia eclettica, ossia un intruglio di svariate sentenze: togliete dalla filosofia di S. Tommaso tutto ciò che poscia si ebbe (anche senza verace dimostrazione) in conto di falso: ognuno si abbia il diritto d'interpretare l'Aquinate come vuole; il professore di filosofia si appaghi di usare l'atqui e l'ergo senza rispetto ai dottrinali principii, e diteci: a che cosa sarebbe ridotta la solenne Enciclica di Leone? Ripetiamo: ad un bel nulla. S. Tommaso professava una filosofia determinata, la quale era costituita da principii e da illazioni, e Papa Leone vuole che questa determinata filosofia si riprenda ad insegnar nelle scuole; questa inculcò più volte nelle pubbliche udienze, e sebbene nella stessa Roma, in quelle scuole che dipendono dalla ecclesiastica giurisdizione, vi fosse prima rispettata e riconosciuta la libertà di attenersi a dottrina diversa, dichiarò expressis verbis che volea che in avvenire s'insegnasse la dottrina dell'Angelico, e per ciò fe' sì che in quasi tutte quelle scuole si mutassero i professori di filosofia. Dopo tutto ciò ci riesce inesplicabile il leggere in un cattolico periodico scientifico del Belgio che il S. Padre non intenda di mutare in nulla la situazione rispetto all'insegnamento scientifico; nè mostri di favorire più l'una che l'altra opinione filosofica, e che meritino di essere trattati da fanatici ignoranti coloro che vogliono rimettere in onore i fondamentali principii della filosofia dell'Aquinate: questa accusa va a ferire troppo in largo e troppo in alto. Ma entriamo a particolareggiare.
1° Per primo; si dice che Papa Leone non definì quale dogma di fede veruna di quelle proposizioni che spettano alla filosofia dell'Aquinate. Ciò è verissimo, ma quid inde? Quale illazione si vuol da questo antecedente dedurre? Che dunque c'è libertà di insegnare le proposizioni contrarie alle predette. Adagio a ma' passi! La illazione non viene, a tirarla cogli argani. Imperocchè sebbene nessuna delle proposizioni, nelle quali consiste la filosofia dell'Angelico, abbia dall'Enciclica un valore dogmatico, tuttavia alcune di esse lo hanno da antecedenti definizioni e dei Concilii e della Sede Apostolica. Di più: altre, perchè sono strettissimamente connesse con le definite, se non hanno valore dogmatico, sono così degne di rispetto che temeraria cosa sarebbe l'impugnarle. Inoltre; moltissime proposizioni sono a tutto rigore di logica dimostrate; e queste, con quelle che rifulgono per propria immediata evidenza, non si possono negare da uom ragionevole e molto meno da un vero filosofo. Adunque l'argomentar così: tali proposizioni non sono dal Sommo Pontefice definite di fede: dunque impunemente si possono insegnare le contrarie: è uno stolto argomento. Così pazzo sarebbe colui che dicesse: non è di fede che tu non sia un fellone: dunque mi è lecito tenerti per tale. Testè dicevamo consigliatamente insegnare, perchè ci pare che il Papa non punto restringa (almeno direttamente) la libertà degli individui, filosofi o non filosofi che sieno; ma bene che restringa direttamente la libertà dei professori che dipendono dalla sua giurisdizione e che sono ai Vescovi (ai quali è diretta la Enciclica) sottoposti. Questi professori, se vogliono essere obbedienti sinceri, debbono insegnare la filosofia dell'Aquinate, comechè molte proposizioni che spettano alla sua essenza, non siano dogmi di fede, e, dicasi pur anche questo, non evidentemente connesse coi medesimi.
2° Ed è falsissimo che Papa Leone inculcando di seguire la filosofia dell'Aquinate nulla abbia determinato in particolare. Se dicasi che non ha determinato particolari proposizioni esplicitamente, ciò si può concedere: se dicasi che non ne ha determinate implicitamente, si deve assolutamente negare. Non ci arroghiamo per certo il diritto di entrare nelle intenzioni del Santo Padre: ma sembraci che si possa anche da noi dare una buona ragione del non avere egli determinate le proposizioni che spettano alla essenza della filosofia di S. Tommaso. L'Enciclica è un documento solenne, diretto a tutto l'Episcopato cattolico, che tratta cosa di somma importanza, qual è lo stabilire un insegnamento che non si opponga alla fede, e torni a bene della Chiesa, della Società civile ed alla perfezione dell'uomo. Egli è però manifesto che Leone non parla in questo documento quale privato dottore, ma parla quale Vicario di Gesù Cristo, quale Vescovo dei Vescovi, quale Maestro universale della Chiesa cattolica. Per la qual cosa, se nella Enciclica avesse determinate alcune proposizioni, come appartenenti alla filosofia dell'Aquinate e avesse imposto l'insegnamento di queste, non sarebbe probabilmente mancato chi sollevasse la questione, se quelle proposizioni si dovessero avere in conto di dogmatiche definizioni. Egli è ben vero che sarebbesi potuto dimostrare dagli aggiunti essere stata sua volontà che s'insegnassero, e non già che si tenessero per fede da tutti i cattolici: ma con tutto non si sarebbero evitate questioni, forse acri, forse dispettose con non lieve perdita, almeno, di tempo e di quella mutua unione che è tanto necessaria tra cattolici, specialmente a' tempi presenti. Per lo che sembraci chiaro essere stato saggio consiglio non aver non espressa veruna particolare proposizione. Ma perchè niuna proposizione è stata da Papa Leone esplicitamente determinata, vogliam dire che implicitamente nulla sia stato da lui inteso? Oh! questo poi no. Nella mente di Leone, e nella sua Enciclica, filosofia non è parola vaga, ma di certa significazione: è un tutto che ha le sue parti. Discorrendo sopra la filosofia dell'Aquinate così dice. «Nulla est filosofiae pars, quam non acute simul et solide pertractarit; de legibus ratiocinandi, de Deo, de incorporeis substantiis, de homine aliisque sensibilibus rebus, de humanis actibus eorumque principiis disputavit, ut in eo neque copiosa quaestionum seges, neque apta partium dispositio, neque optima procedendi ratio, neque principiorum firmitas aut argumentorum robur, neque dicendi perspicuitas aut proprietas, neque abstrusa quaeque esplicandi facilitas desideretur.» [«Non vi ha parte della filosofia, cui egli non abbia acutamente e solidamente trattata: chè delle leggi della dialettica, di Dio e delle sostanze incorporee, dell'uomo e dell'altre cose sensibili, degli atti umani e dei loro principii ei disputò per modo, che non rimane a desiderare nè una copiosa messe di questioni, nè conveniente ordinamento di parti, nè metodo eccellente di procedere, nè sodezza di principii o forza di argomenti, nè limpidezza o proprietà di dire, nè facilità di spiegare qualunque più astrusa materia.» N.d.R.] E più sotto dissertando sopra l'influsso che ha la filosofia nelle discipline fisiche così parla: «Illarum enim (i. e. disciplinarum physicarum) fructuosae exercitationi et incremento non sola satis est consideratio factorum, contemplatioque naturae; sed, cum facta constiterint, altius assurgendum est, et danda solerter opera naturis rerum corporearum agnoscendis, investigandisque legibus, quibus parent, et principiis unde ordo illarum, et unitas in varietate, et mutua affinitas in diversitate proficiscantur. Quibus investigationibus mirum quantam philosophia scholastica vim et lucem, et opem est allatura, si sapienti ratione tradatur.» [«Imperocchè per studiarle con frutto e per accrescerle (cioè le scienze fisiche) non basta la sola osservazione dei fatti, e la sola considerazione della natura, ma quando i fatti sieno certi, è d'uopo sollevarsi più alto e dar opera con solerzia a conoscere la natura delle cose (corporee), e ad investigare le leggi, a cui obbediscono, ed i principii, onde nasce il loro ordine e la unità nella varietà, e la mutua affinità nella diversità. Alle quali investigazioni è cosa maravigliosa quanto di forza e di luce sia per apportare la filosofia scolastica, se saggiamente venga insegnata.» N.d.R.] Laonde la sentenza del Santo Padre è quella dell'Aquinate il quale alla filosofia riduce le leggi del ragionamento, la trattazione di Dio, conosciuto col solo lume della ragione, dell'uomo e quindi dell'anima che lo informa, degli animali, delle piante e della natura de' corpi e di que' sovrani principii, ond'è retta la fisica. Ed appunto alludendo il Santo Padre ai principii, ossia alle proposizioni fondamentali, sopra le quali queste parti della filosofia si appoggiano e dalle quali derivano, apertamente dice che sono principii fermi gli adoperati dall'Angelico (principiorum firmitas). Pertanto sebbene esplicitamente non ne indichi alcuno, inculcando la sequela della filosofia dell'Aquinate, implicitamente deve inculcare almeno quei principii fondamentali che costituiscono le parti essenziali della stessa filosofia e senza i quali questa più non esiste. Quindi è chiarito che se altri insegni alcune o molte di quelle proposizioni che si ritrovano nelle trattazioni filosofiche dell'Angelico, le quali sono già definite quali dogmi di fede e comunemente da tutti i cattolici sostenute, non si potrà dire ch'egli insegni la filosofia dello stesso dottore qualora nel suo insegnamento proponga principii diametralmente opposti a quelli che pur sono i fondamenti delle singole sue parti.
3° È ridevole ciò che in terzo luogo si afferma. Un cieco vede che il Papa prescrive nell'insegnamento la filosofia di S. Tommaso e non d'altri. Già l'abbiam detto che l'accogliere verità da altri dette, le quali non si contengono espressamente negli scritti dell'Angelico, comechè si contengano virtualmente, non è affatto cangiare la natura della predetta filosofia, come non è cangiare la geometria del vetustissimo Euclide postillandola con qualche aggiunta.
4° Quanto si dice per quarto è cosa, a questi giorni, di non lieve importanza. È vero: il Santo Padre nel proporre la sapienza dell'Aquinate alla comune sequela apertamente disse: «Si quid cum exploratis posterioris aevi doctrinis minus cohaerens (est) id nullo pacto in animo est aetati nostrae ad imitandum proponi.» [«se ve ne ha alcun'altra (cosa) che pienamente non si accordi cogl'insegnamenti certi dei tempi più recenti ... non intendiamo che sia proposta all'età presente perchè la segua.» N.d.R.] Per certo non può ritrovarsi uomo assennato cui dispiaccia questa eccezione. E può il Papa proporre all'insegnamento ciò che è stato dimostrato falso? No davvero! Dal Vaticano non può venire che l'impulso alla verità: non mai all'errore. Ma e ci lasceremo noi turpemente gabbare dall'autorità di scienziati che, dispregiatori di tutta la sapienza dei nostri maggiori, si avvisano che il fiat lux si pronunci, per la prima volta, in questo secolo ed esca dalla loro bocca? Costoro hanno per oracoli tutte le sentenze che sputano, purchè benevolmente accolte da altri, o pochi o molti che sieno. Avremo noi per sinonimi exploratae doctrinae e affirmatae et non demonstratae doctrinae? [«insegnamenti certi» ed «insegnamenti affermati e non dimostrati» N.d.R.] In una parola sarà una stessa cosa scienza che dimostra e scienziati che spesso affermano solamente? A dì nostri v'è un abisso di mezzo. Ogni proposizione di quella è nella sua verità eterna ed immutabile, perchè dev'essere o immediatamente o mediatamente evidente. Le affermazioni di questi sono soventi fiate contradittorie; talvolta manifestamente assurde ed empie; anche ridevoli e pazze. Già l'abbiam detto;  molti scienziati veri banderai della moderna incredulità, i quali dall'alto della loro superbia hanno pronunciata a nome della scienza la decadenza della Chiesa, e l'annientamento di Dio, menarono pel naso moltissimi cattolici assai eruditi, ma deboli in logica e mancanti di soda filosofia. Ciò fecero confondendo i veri ritrovati delle scienze fisiche con infondate e false ipotesi loro, ed intimando a tutti di accettare questo intruglio sotto pena di essere fatti passare per retrogradi, fanatici, ignoranti, nemici della scienza, del progresso e finalmente tali, coi quali non si può entrare in discussione scientifica e di non altro degni che del disprezzo universale. Rechiamo un fatto. Dimenticati i principii della vera filosofia di Aristotele e dell'Aquinate, si fe' ritorno all'incancrenito epicureismo. La teoria degli atomi si ridusse a questo: che tutte le cose corporee sono aggregati meri di atomi increati, eterni, tutti di una sola specie, i quali altro non possono fare che urtare ed essere vicendevolmente urtati, sempre tra loro, più o meno, distanti, agitati da moto rotatorio e traslatorio. Di qua fu tratto il trasformismo, onde fecero derivare l'uomo dalla scim[m]ia, insultando al buon senso, alla ragione, al fatto, alla rivelazione: la quale teorica fu giudicata dall'Haeckel opportunissima a ruinare la Chiesa. «Nella guerra impresa a nome della verità, la teorica della evoluzione prende le parti della artiglieria pesante. Ai colpi raddoppiati di questa artiglieria monistica (è il sistema meccanico), tutta la baracca dei sofismi dualistici (cioè corpo ed anima — materia e forma) precipita; il superbo edificio della gerarchia e la rocca del dogma dell'infallibilità crollano e cadono come castellucci di carte da giuoco. Tutte le biblioteche piene della scienza ecclesiastica e della filosofia retrograda vanno in fumo [2].» Appoggiati alla stessa teorica meccanica degli atomi di eguale natura ed inerti, molti scienziati non si contentano già di dichiarare non impossibile naturalmente una novella alchimia capace di formar l'oro, le piante e i bruti, ma un homunculum come dice il Moleschott. Nè fia maraviglia perchè l'affare si riduce a mera aggregazione e moto di atomi. Ecco come parla uno de' più grandi scienziati moderni di tutta Europa e parla nell'Assemblea di Belfast che accoglie le celebrità scientifiche (così le dicono) del nostro secolo.
«Immaginiamo che tutti gli atomi che costituivano Cesare in un determinato istante della sua vita, per esempio al Rubicone, siano con arte meccanica collocati al loro posto (stia attento il lettore alla teorica meccanica delle mutazioni sostanziali) e che loro s'imprima quella velocità, in quella direzione che avevano nel predetto istante. Secondo noi in questo modo riapparirebbe Cesare, in corpo ed anima. Il Cesare artificiale avrebbe, nel primo istante, le stesse sensazioni, i medesimi desiderii, i medesimi pensieri che avea al Rubicone il suo modello: la sua memoria sarebbe ripiena delle stesse imagini, egli avrebbe le stesse facoltà ereditate per generazione od acquistatesi. Immaginiamo che lo stesso lavoro meccanico si faccia nel medesimo istante in più luoghi coi medesimi atomi di carbonio, di idrogeno o simili (noti il lettore che atomi identici col vario moto e varia aggregazione danno il carbonio, l'idrogeno ecc. nel sistema meccanico). In che mai tanti nuovi Cesari si distinguerebbono tra loro, se non fosse a cagione del luogo ove sono formati o tra loro ragguagliati?»
Nè dobbiamo maravigliarci, perchè, innanzi al tribunale di questi scienziati, l'anima è il moto e la disposizione degli atomi; e il pensiero si forma come l'orina. Segue il grand'uomo. «Richiamisi alla memoria la frase energica di Carlo Vogt che diede occasione ad una specie di torneo filosofico. Cioè, che tutte le facoltà intellettuali altro non sono che funzioni del cervello, o, per esprimere questa verità in una maniera palpabile, che i pensieri sono rispetto al cervello presso a poco ciò che la bile è al fegato e l'orina ai reni. Nè si può riprendere la frase di Vogt, per questo ch'essa prende l'attività intellettuale come il risultato dei corrispondenti cangiamenti nella materia del cervello [3]
Un altro scienziato [4], parlando del sistema meccanico sopra indicato, così dice: «Cartesio è andato ancora più in là. Egli ha detto: datemi tempo, spazio, atomi e moto ed io rifabbricherò il mondo. In questa audace promessa, sembra che Cartesio abbia presentita la gran legge novellamente scoperta, la quale si chiama dell'equivalenza delle forze, e che, in quanto è legge del moto, completa quella della gravitazione. Questa legge dell'equivalenza delle forze, dice Beraud (nel suo scritto sopra l'idea di Dio), è la più atea di tutte le leggi fisiche... Una volta che si dimostri che il movimento è, rispetto alla sua quantità, sempre lo stesso, increato, indestruttibile, e conseguentemente eterno, non c'è nè ci può essere una forza creatrice del movimento, e perciò nessuna causa intelligente dell'ordine cosmico. In altri termini, Dio non esiste.» Non citiamo italiani copisti degli stranieri. A tali errori e a tali follie sono precipitati gli scienziati moderni quasi da per tutto! Da per tutto dagli scienziati si stampano libri, anche assai peggiori di quelli onde togliamo cotesti passi, e l'Epicureismo degli atomi eterni e dell'eterna Venere (sic) è propugnato senza pudore. Ma s'ebbe l'astuzia di accomodare quel sistema meccanico (d'onde furono tratte tante sozzure) alle scienze esperimentali, e si strombazzò ch'era essenzialmente legato con le medesime. Onde molti cattolici, in buona fede, accettaronlo, pur opponendosi all'ateismo, al materialismo, e ad altrettali empietà e follie. Quindi il dichiarare passim falsi molti principii fondamentali che spettano alla filosofia dell'Aquinate, perchè non possibili d'essere conciliati con lo stesso sistema. Ma a torto: poichè oggimai numerosa schiera di dotti cattolici ed anche eterodossi professori di chimica e di fisica dimostrarono che quel sistema non era punto legato essenzialmente con le predette scienze e che tutti i fatti e tutte le leggi certe si possono egregiamente spiegare in altra maniera. E perchè questo è un punto di alta rilevanza più che altri non crede, vogliamo qui recare un passo di un famosissimo scienziato certamente non cattolico e ben lontano dall'essere seguace dell'Aquinate. Questi è l'Hirn, venerato, per la sua erudizione fisica, quale maestro da quelli stessi cui egli combatte.
«Un gran numero, egli dice, di opere si sono a' nostri giorni pubblicate, nelle quali si discorre sopra la materia e la vita. A queste opere converrebbe un titolo unico: l'Unità delle forze fisiche; e di fatto alcuni hanno appunto scelto cotesto titolo che sembra indicare un sublime carattere, cui vuolsi dare alla sintetica espressione delle idee. Ma per poco che leggansi un venti pagine di quale si sia di questi trattati, ognuno si accorgerà che a quel titolo dovrebbesi quest'altro ben diverso sostituire: La negazione della forza. Dipartitisi da una supposta teorica della termodinamica, da una supposta scoperta che il calore altro non sia che un movimento vibratorio degli atomi della materia, hanno audacemente estesa la medesima spiegazione imaginaria ai fenomeni della luce, dell'elettricità e del magnetismo. Alcuni, e sono i più sinceri e i più logici, hanno col moto della materia voluto spiegare la gravitazione e l'attrazione universale ed hanno dichiarata assurda quale si sia dottrina che si dà a ricercare nello spazio altra cosa che la materia in moto. Altri più prudenti, e forse colti da capogirlo [= capogiro N.d.R.] sull'orlo dell'abisso che a loro dinanzi si apriva, hanno al moto assegnata per causa la volontà di Dio, quasi che, discorrendo sotto il punto di vista in cui si discorre, non fosse effetto di questa volontà il più piccolo dei fenomeni della natura. Non mi sarebbe difficile dimostrare che la eloquenza dei fatti basta per confutare la sintesi unitaria, che si pretende scritta a chiare note nel gran libro della natura. Come fisico e in un punto di vista oggettivo, io saprei ben provare che nemmeno uno dei fenomeni, ai quali con ammirabile industria fu applicata l'analisi e che furono raggruppati in questi ultimi tempi, legittima quella ipotesi la quale fu proposta a spiegarli, come la sola veramente richiesta dalla natura delle forze. Come metafisico e in un punto di vista soggettivo, potrei forse ancor meglio far vedere lo stretto nesso che passa fra il materialismo puro e questa sintesi unitaria. Sarei capace di mostrare che materializzando certi fenomeni, si materializzano conseguentemente ben altri che appaiono disparati: e che per conservarsi il titolo di spiritualista, e non essere materialista, non basta di fare professione di fede ortodossa e di pronunciare ad ogni momento e con compunzione il nome del Creatore e di tirare una fune di separazione attraverso i fenomeni della natura, dichiarando che da un lato tutto è materia, dall'altro tutto è spirito [5].» Laonde è chiaro che l'affermare che si fa da molti scienziati moderni che i principii fondamentali della filosofia dell'Aquinate sono falsi, perchè si oppongono a vagheggiati sistemi oggi correnti, non è criterio del quale possiamo contentarci. Si richiedono dimostrazioni e non affermazioni, non ipotesi voltabili che a certe inconcusse verità si oppongono diametralmente, e non colle proprie gambe ma con le grucce di altre ed altre ipotesi possono reggersi e andare innanzi. Con ciò è spuntata la quarta ragione sopra allegata dagli obbedienti simulati.
5° Ciò che sotto il quinto numero si dice non regge, sì perchè Papa Leone ci propose la cristiana filosofia da seguire non in generale, ma come fu recata a sintesi dall'Aquinate; e sì perchè la verità è come l'oro che vuolsi accogliere, come dice il medesimo Santo Padre, con gratitudine, da chi ce la regala, sia Agostino od Aristotele. Del resto crediamo che Aristotele in ingegno, in amore della verità, ed anche in bontà di dottrina di lunga mano vinca la massima parte dei filosofi eterodossi e antiscolastici moderni.
6° Non è mestieri intrattenerci intorno a ciò che si dice della libertà d'interpretazione: ne abbiamo parlato nel secondo articolo di questo Commentario, dove indicammo il criterio datoci dal Santo Padre per conoscere le germane dottrine dell'Aquinate e per discernere i rivi impuri dai rivi puri che a noi conducono la sua sapienza. Ripetiamo che la interpretazione non ha luogo nei testi chiari ed evidenti, specialmente se molti e se dimostrano ex professo la stessa dottrina e non la toccano solo di passata. Gli esempii recati nel numero sesto (i quali esprimono falsissime dottrine, contrarie tutte ai fatti certi ed alla sana ragione) ci fanno ridere. Non gli può addurre come una possibile interpretazione delle sentenze di san Tommaso se non chi ignora affatto ciò che ripetutamente egli affermò e dimostrò. Tuttavia vuolsi riflettere che la varia interpretazione è il cavallo di battaglia dei dissidenti, e cavalcaronlo tutti i protestanti rispetto alla Bibbia, i giansenisti riguardo ad Agostino, ed ora moltissimi fanno lo stesso con l'Aquinate, la cui dottrina in cuore detestano, ma vogliono, timorosi per la propria riputazione, comparire suoi seguaci. L'Eminentissimo e dottissimo Arcivescovo di Bologna, Lucido Maria Parocchi, toccò questo punto in una lettera che inviò a Sua Santità a nome suo e de' suoi suffraganei, nella quale protestava di aderire sinceramente alla Enciclica Aeterni Patris. Cotesta lettera singolarmente ci piace perchè particolareggia; cosa adesso affatto necessaria; e perciò qui ne riportiamo un tratto. «Sane iamdiu cum lacrymis querebamur, ingentem inter catholicos circa philosophiam irrepsisse discordiam, in ea videlicet disciplina quae arctissimis vinculis cum fide continetur, qua ancipite, theologiam ipsam, utpote scientiam, labare quadantenus necesse est, quod ea logicam artem, scientiarum omnium moderatricem, e philosophiae penu, nemine diffitente, depromat. Accedebant piorum etiam hominum commenta, quae ipsi praepostera Aquinatis interpretatione suffulti (hunc nimirum in Aristotelis et veritatis alumnum dispertiri consueverunt, armis secum congredientem) tamquam germana Viri sanctissimi cogitata obtrudebant. Animam hominis, autmabant, non ex se atque intrinsecus rationalem esse, sed ab extrinseco lumine divinitus demisso, quo ens possibile seu comune, scilicet idealitatem, quam vocant, Dei, valeat intueri. Porro propositionem eiusmodi hinc dogmati de anima rationali ex nihilo condita adversari, inde vero ad ontologismum deflectere, aequissimi iudicii homines pro comperto habuerunt. Praeterea rationalem animam immediate et per se formam humani corporis substantialem inficiabantur, absurdis hypothesibus innixi post Cartesium late insinuatis, de foedere animam inter et corpus ab origine inito, perinde ac si perfecta utrique inesset substantia, adeoque non una, sed multiplex hominis natura censenda. Quem errorem necessario inferri ex negatis materiae et formae principiis in unam rerum materialium essentiam coalescentibus, Te, Pater Sancte, non fugit, utpote praeter cetera et studiorum eiusmodi peritissimum. Unitatem insuper atque identitatem τοῦ esse, tum in reali, tum in ideali ordine positam effinxerunt, ideoque creaturarum esse ad divinam essentiam, ceu partes ad totum, ceu radios ad centrum pertinere arbitrati sunt, quod non sine ontologici pantheismi crimine defendi potest. Quae omnia cum a liquidissimis divi Thomae testimoniis toto coelo discedant, confidimus fore ut viri ingenua fide praediti, sanctissimo Parenti, quo auctore, quo duce hactenus immerito gloriati sunt, ex animo adhaereant, Sanctitatis Tuae paternas quidem sollicitudines docili obsequio rependentes. Ceterum, Beatissime Pater, sapientiam Thomae ex eius fontibus potissimum hauriemus; deinde ex iis rivis, quos ab ipso fonte deductos, adhuc integros et illimes decurrere certa et concors doctorum hominum sententia est: ab iis vero, qui exinde fluxisse dicuntur, re autem alienis et non salubribus aquis creverunt adolescentium animos arcendos omnino curabimus.» [«In verità già da tempo lamentavamo con dispiacere che si è insinuata tra i cattolici una notevole discordia riguardo alla filosofia, riguardo cioè a quella disciplina che ha strettissimi vincoli con la fede e che, se ambigua, è fatale che la stessa teologia, cioè la scienza, alquanto vacilli, chè questa, nessuno lo nega, trae dalla provvista della filosofia l'arte della logica, regolatrice di tutte le scienze. Si sono presentati commenti anche da parte di uomini pii che, sostenuti da una stravolta interpretazione dell'Aquinate, (il quale senza dubbio sono soliti dividere in alunno di Aristotele e della verità in combattimento fra loro) si son fatti passare per originali pensieri di quel santissimo uomo. L'anima umana, affermavano, non è razionale per sè ed intrinsecamente ma per il lume estrinseco di origine divina con cui  può essere intuito l'ente possibile ovvero comune cioè l'idealità, come la chiamano. Per di più persone di equissimo giudizio ritenevano per certo una tale proposizione essere avversa al dogma dell'anima razionale creata dal nulla, e di là inclinare all'ontologismo. Inoltre costoro negavano l'anima razionale immediatamente e per sè forma sostanziale del corpo umano, appoggiati su assurde ipotesi largamente insinuate dopo Cartesio del patto originario tra anima e corpo, come se inerisse una sostanza perfetta ad entrambi, a tal punto che si dovesse pensare non ad una singola ma ad una molteplice natura umana. Non Vi sfugge, Santo Padre, in quanto peritissimo di tali studi  più d'ogni altra cosa, che quest'errore necessariamente s'inferisce dalla negazione dei principii di materia e forma unentisi in unica essenza nelle cose materiali. Per di più concepivano l'unità e l'identità dell'essere sia nell'ordine reale sia in quello ideale, così che hanno ritenuto l'essere delle creature appartenere alla divina essenza come parte al tutto e come  raggi al loro centro, cosa che non si può sostenere senza colpa di panteismo ontologico. Dipartendosi tutto ciò assolutamente dagli schiettissimi argomenti del divo Tommaso, confidiamo che i predetti uomini di fede ingenua aderiscano di cuore al santissimo antenato di cui si gloriano immeritatamente in quanto autore ed in quanto duce, rispondendo con docile ossequio alle Vostre paterne sollecitudini. Del resto, Beatissimo Padre, attingiamo la sapienza di Tommaso principalmente alle sue fonti; e poi da quei rivi, che usciti dallo stesso fonte scorrono ancora puri e limpidissimi, secondo il sicuro e concorde giudizio dei dotti. Da quei ruscelli poi che pur si dicono sgorgati di là, ma di fatto crebbero di acque estranee e non punto salubri procuriamo assolutamente di tener lontani gli animi dei giovanettiN.d.R.] Il dottissimo porporato conoscitore profondo della filosofia di San Tommaso, da un pezzo e a fronte scoperta strenuamente la difese e intese a rimetterla in onore, non curando con magnanima nobiltà di cuore gli insulti che si sogliono fare di sghembo ai veri sapienti, ed ai sinceri amatori della verità. Così il voto di un tanto luminare della Chiesa si compisse; e tutti si studiassero di eseguire, a tutta perfezione, la volontà del Pontefice.
7° Il quale non può già essere contento di ciò che si dice in settimo luogo, cioè che i professori di filosofia, nelle scuole cattoliche, che dalla sua giurisdizione dipendono, adoperino l'atqui e l'ergo [= il sillogismo N.d.R.] e poi contraddicano, in realtà, ai principii fondamentali della filosofia dell'Angelico. Per certo Leone non può non amare il metodo scolastico (e di questo parleremo appresso); ma la macina non è il frumento: e la forma scolastica è macina, la dottrina sincera è il frumento. Taluno passa, presso i non saputi, per iscolastico puro, solo perchè spesso adopera una stretta forma sillogistica; e, se questo criterio fosse giusto, dovrebbesi (cosa ridevolissima) avere in conto di scolastico assai più il Wolfio che l'Aquinate. Conciossiachè il Wolfio si attiene alla forma sillogistica continuamente, laddove l'Aquinate generalmente non l'usa nel corpo dei suoi articoli. Con ragione pertanto il Santo Padre, nella sua Enciclica, si mostrò sollecito della dottrina, nè s'intrattenne guari intorno al metodo sillogistico o scolastico che pur devesi convenientemente usare nella scuola di filosofia.
Con ciò crediamo di avere a sufficienza confutati gli obbedienti simulati, dimostrando che non reggono quelle ragioni sopra le quali si appoggiano. Veniamo agli obbedienti sinceri.
Obbedienti sinceri. — La è certamente cagione di profondo dolore all'animo del Vicario di Gesù Cristo, il sapere, che non solo gli avversarii insolenti della Chiesa stoltamente lo insultano, a motivo della Regola Filosofica che, con sapientissimo consiglio e con somma discrezione diresse all'Episcopato cattolico, ma che vi sono eziandio tra cattolici di coloro che pur baciandolo in segno di amore e chiamandolo ancora Maestro universale della Chiesa Cattolica, si studiano di rendere inefficace e, nella pratica, affatto nulla la medesima Regola Filosofica. Tuttavia mentre Egli si conforta con la speranza che quelli e questi rientrino in sè stessi, si rallegra nel vedere la massima parte dei dotti cattolici, che, facendo eco alle voci di tutto il cattolico Episcopato, esultano di vera gioia e ringraziano di cuore Iddio che, in tempi di quasi universale corruzione di principii intellettuali, abbia voluto innalzare alla Sede di Pietro un Papa fornito di gran sapienza ed insieme di grande fortezza, di animo da conoscere e da curare la radice potissima dei mali presenti. In questo concerto comune di plaudenti adesioni che lietamente risuona dall'un capo all'altro del mondo, lo strepito sconcertato degli oppositori appena si avverte, come appena si sente il ronzio d'importuno moscone là dove la banda musicale, composta di numerosi ed eletti sonatori, esegue i tratti più risentiti e forti del Dies irae del nostro Verdi.
Non è adunque una speranza solamente che la massima parte dei dotti cattolici voglia accogliere in quel modo che è necessario la Regola Filosofica: egli è un fatto, che subito si manifestò da per tutto. Non sono inconsulti fanatici (come altri inconsultamente gli chiama) che aderiscono alla Enciclica, per averla a scudo delle proprie sentenze antiquate e false e per opporsi così al progresso delle scienze; ma sono fedeli sudditi del Papa, i quali non esagerando punto la portata dell'Enciclica stessa, nè punto diminuendola, l'accettano lealmente. Imperocchè ben sanno che il Papa ha un diritto reale ed imrnensamente maggiore di quello che dicesi avere il governo nelle società civili, di ordinare l'insegnamento tra cattolici, e specialmente lo studio della filosofia che ha molti punti di contatto con la teologia, e che se non è amica della fede e sua ancella, giuocoforza è che le sia nemica. Per la qual cosa, comechè non definisca dogmaticamente una dottrina, questa si deve insegnare, quand'ei vuole che la si insegni; nè si può insegnare la contraria. Hanno in conto di miserabile sofisma, quello onde schermisconsi certuni, cioè che non determinando il Papa in particolare veruna proposizione, ma solo in generale la dottrina dell'Angelico, lascia completa libertà in tutte quelle particolari sentenze che nella Chiesa Cattolica non furono quali dogmi definite e proposte alla universale credenza. Giudicano che allorquando si dice filosofia dell'Aquinate, implicitamente sì, ma necessariamente, s'intendono quei principii che costituiscono la essenza della stessa filosofia. La rettitudine di questo giudizio salta agli occhi di ognuno perchè evidentissima; e non solamente è giustificata dalle parole della Enciclica sopra recate, ma ancora è confermata da quella opportunissima Ordinazione data dal Santo Padre a Sua Eminenza il Cardinale De Luca nella lettera inviatagli ai 15 del passato ottobre, affinchè la Regola Filosofica tosto e pienamente si attuasse in Roma. Se non che questa lettera la quale, mentre scriviamo queste parole, ci viene alle mani, mette in maggiore luce l'errore di quelli che affermano ancora adesso esservi intorno all'insegnamento dottrinale quella libertà che vi era prima dell'Enciclica.
Or ci conviene parlar chiaro perchè i fatti sono pubblici e manifesti. Che dice Papa Leone in questa lettera diretta al Cardinale De Luca? Dopo di avere ripetuto ciò che avea detto nell'Enciclica: non potersi cioè riformare la società altramente quam rectis sciendi agendique principiis per philosophicas disciplinas ubilibet restitutis, [che colla restaurazione ovunque dei retti principî del sapere e dell'agire per mezzo degli studî filosofici N.d.R.] afferma di avere sollecitati i Vescovi «ut collatis Nobiscum viribus, excitare aggrediantur motam gradu et prope collapsam philosophiam illam veterem, scholisque catholicis redonatam, in sede honoris pristini collocare.» [«affinchè uniscano i loro sforzi ai Nostri per accingersi a risvegliare tale antica filosofia, decaduta dal suo rango e prossima a cadere, e rimetterla al suo antico posto d'onore  restituendola alle scuole cattoliche» N.d.R.] Fa particolare allusione a Roma e, dopo avere detto stargli sommamente a cuore che «S. Thomae doctrina reviviscat... maxime in hac Urbe principe catholici nominis» [la dottrina di S. Tommaso riviva ... in particolare in questa Capitale del nome cattolico N.d.R.] (e le ragioni che adduce sono verissime e sapientissime), continua così: «Sic igitur primo loco curavimus, ut in Seminario Romano, in Lyceo Gregoriano, in Urbaniano aliisque Collegiis, Nostrae adhuc auctoritati obnoxiis, philosophicae disciplinae secundum mentem et secundum principia Doctoris Angelici, enucleate, dilucide, copiose tradantur atque excolantur.» [«Così dunque in primo luogo abbiamo curato che al Seminario Romano, al Liceo Gregoriano, al Collegio Urbaniano e negli altri Collegi ancora sottomessi alla Nostra autorità le scienze filosofiche siano semplicemente, chiaramente e largamente insegnate e coltivate secondo la mente e secondo i principî del Dottore Angelico.» N.d.R.] Se il Papa vuole introdotta una riforma, è chiaro che prima non si insegnava quella dottrina che ora vuole che venga insegnata non solo altrove, ma anche in Roma. Che se prima non si insegnava, diremo che anche prima v'era obbligazione stretta d'insegnarla? Nol diremo già noi, contenti di ripetere ciò che disse Leone nell'Enciclica iudicamus tenere esse commissum, ut eidem suus honos non semper, neque ubique permanserit: [giudichiamo essersi sconsigliatamente commesso che non sempre nè ovunque fosse al medesimo conservato l'onore dovuto N.d.R.] e che perciò «optimo consilio cultores disciplinarum philosophicarum non pauci, cum ad instaurandam utiliter philosophiam novissime animum adiecerint, praeclaram Thomae Aquinatis doctrinam restituere, atque in pristinum decus vindicare studuerunt et student.» [«con ottimo consiglio non pochi cultori delle scienze filosofiche, avendo recentemente applicato l'animo a ristorare con profitto la filosofia, attesero ed attendono a far rivivere e ritornare nel primitivo splendore la dottrina di S. Tommaso di Aquino.» N.d.R.] Si conceda che prima dell'Enciclica vi sia stata una tal quale libertà d'insegnamento rispetto alla filosofia dell'Aquinate: ma insieme si dovrà ammettere che ora il Papa non lascia la medesima libertà che prima vi era:  altrimenti sarebbe inesplicabile ciò ch'egli ordinò e ciò che fece.
E qui debbono guardarsi da un altro sofisma quei sinceri obbedienti che vogliono secondare le mire del Vicario di Gesù Cristo. Eccolo: Il Papa vuole riformare la filosofia e non già le scienze fisiche: dunque i cultori di queste possono senza scrupolo tirare innanzi siccome prima. Si concede pure che l'Enciclica non tratta ex professo delle scienze fisiche: ma e i supremi principii di queste non ispettano alla filosofia e a quella metafisica d'onde derivano i principii di tutte le scienze? E il Papa stesso non lo accennò là dove parlò dell'influsso della filosofia nelle fisiche discipline? Per certo, e sopra lo abbiamo notato. E chi non sa che oggimai la supposta sconfitta della fede è pronunciata a nome delle scienze fisiche, appunto perchè, dalla maggior parte dei dotti, in esse co' veri fatti e con le vere esperienze si confondono false ed assurde ipotesi? Per la qual cosa certi essendo che ciò che si oppone alla verità, non può essere altro che dannabile errore, debbonsi tenere in conto di erronee quelle fisiche ipotesi che si oppongono ai fondamentali principii veri ed evidenti della filosofia dell'Aquinate. In tale maniera i veri saggi andranno per la via sicura, e potranno egualmente essere obbedienti sinceri e veri filosofi.
[CONTINUA]

La regola filosofica di Sua Santità Leone P. P. XIII. proposta nella Enciclica «Aeterni Patris»

I. Gli antecedenti della Regola Filosofica stabilita dal Sommo Pontefice Leone XIII.
II. La Regola Filosofica considerata in sè stessa.
III. I conseguenti.
Seguita dei conseguenti.
IV. Seguita dei conseguenti - L'esecuzione della Regola Filosofica

NOTE:

[2] Haeckel, Anthropogénie, Préface. Paris 1877.
[3] Les Bornes de la Philosophie naturelle par M. Du Bois Raymond. Discours prononcé au sein de l'Association des Naturalistes. Paris 1875.
[4] Libre Examen par Louis Viardot, Paris 1877.
[5] Analisi elementare dell'Universo, Prefazione.

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