LA REGOLA FILOSOFICA DI SUA SANTITÀ LEONE P. P. XIII. PROPOSTA NELLA ENCICLICA AETERNI PATRIS (IV) [1]
R.P. Giovanni Cornoldi d.C.d.G.
La Civiltà Cattolica anno XXX, serie X, vol. XII (fasc. 708, 6 novembre 1879), Firenze 1879 pag. 425-443.
Seguita dei conseguenti
L'uomo non è atto al faticoso travaglio esterno se nel suo
interno non sia ben disposto. Il difetto della conveniente armonia
nell'umano organismo e il contrasto delle facoltà, onde derivano
le operazioni, lo rende malaticcio, debole, incapace di operare con
energia e costanza. Così una
società, prima di pensare ad esterne conquiste o difese contro
assalitori stranieri, debbe studiarsi di avere in sè stessa
ordine, unione di cuori, consonanza di principii: altramente,
più che gli esterni nemici, potranno stremarla e discioglierla
le sue stesse infermità intestine. E poichè è
impossibile che ci sia unione sincera e stabile nell'errore, e se la
ci fosse sarebbe il massimo danno, mercè che i socii in tal
caso camminerebbono nelle tenebre, così la verità deve
presiedere quale guida dei socii nel tendere armonicamente al fine
comune.
La Chiesa è società ed è società perfetta: per[ci]ò
quello che veniamo dicendo si deve alla medesima pure applicare.
L'unione di tutti i cattolici tra loro dev'essere un frutto, una
naturale conseguenza dell'unione che ciascuno ha col Vicario di
Gesù Cristo, e dell'incentrarsi tutti nella medesima verità
speculativa e pratica, colla mente e col cuore. A proporzione della
perfezione di cotesta unione, di cotesto incentramento, è, in via
ordinaria, la energia e la estensione dell'operare, sia rispetto a'
membri della Chiesa stessa, sia rispetto a quelli che sono di fuori
contro cui vuolsi difendere, o i quali sono da conquistare e da nemici
rendere nostri socii e fratelli. Ora, perchè c'entrano le libere
volontà dei singoli, la compiuta perfezione quaggiù
non può ragionevolmente supporsi; nè fia pertanto
meraviglia che tra cattolici vi abbiano molti sinceramente e
totalmente stretti con la Sede Apostolica, ma di più non pochi di
quelli nei quali sia qualche cosa a desiderare; e non solo tra laici,
bensì ancora tra gli ecclesiastici. Per ciò che si attiene
ai principii scientifici, ossia alla unione in quella dottrina
filosofica che non è inimica alla Chiesa ed è ancella alla
fede, Papa Leone si adoperò in maniera opportunissima e
sapientissima colla Enciclica
Aeterni Patris.
Otterrà lo scopo? lo speriamo. Ma noi, discorrendo sopra gli
antecedenti e sopra le presenti disposizioni degli animi, come dovemmo
indicare l'atteggiamento ostile che naturalmente avrebbono preso
contro la Regola filosofica
proposta dal S. Padre gli avversarii dichiarati ed insolenti della
Sede Apostolica, così dobbiamo indicare un pericolo al quale
vanno incontro non pochi dotti cattolici, ed il pericolo è di
essere obbedienti a parole,
seguitando nell'insegnamento filosofico la falsa via, da essi tenuta
sinora. Dobbiamo anzi confessare che v'è qualche cosa di più
che un pericolo, perchè a questi giorni alcuni filosofi cattolici
si sono dati già a divedere ossequenti sì bene in apparenza,
ma non in realtà. Con que', cui dobbiamo supporre in buona fede,
ci conviene usare maggiore soavità, che con quelli che tali non
sono, e perciò si hanno a dire obbedienti
simulati: tuttavia non dobbiamo, tratti da falso amore e
perniciosa indulgenza, lasciar d'indicare una piaga che potrebbe
ridursi a cancrena.
Obbedienti simulati.
Non pochi di quelli che dalla cattedra insegnarono dottrine
inconciliabili con la filosofia dell'Aquinate e che lasciaronsi
incautamente trascinare all'autorità sola de' moderni scienziati
ammettendo ipotesi infondate, false e pericolose, naturalmente debbono
essere spinti a interpretare così l'Enciclica,
che ne rimangano, per quanto si può fare, non tocche le opinioni
da loro carezzate, od anche a non sottomettersi alla medesima, salvo
in ciò che è necessario ad evitare grave colpa. Da questo al
falsare le intenzioni del Papa e a togliere ogni efficacia alla
medesima Enciclica
il tragitto è breve. Quindi una obbedienza non leale, ma
simulata. Gravissimo il danno: conciossiachè immensamente
più nuoce il non obbedire dei soldati al loro duce, che
l'opposizione dei nemici. E poichè (dobbiamo con alto dolore pur
confessarlo) di obbedienti simulati se ne sono già manifestati
alquanti i quali, con certi loro sofismi, hanno preteso di mostrare
legittima la loro condotta, è mestieri che noi confutiamo cotesti
sofismi, ed eccitiamo quelli a secondare pienamente le mire del
sapientissimo Pontefice nella riforma della scienza.
1° All'opposto degli insolenti avversarii della Sede Apostolica,
i quali con aperta menzogna vanno dicendo che Leone XIII innalzò
alla dignità di dogmi tutti i pronunciati della filosofia di S.
Tommaso, quelli di cui discorriamo affermano che il medesimo Papa
Leone non definì dogmaticamente alcuna proposizione di quelle
tante che, insieme prese, constituiscono la filosofia predetta. Quindi
tutte le loro contrarie si possono liberamente insegnare. Ecco la
prima ragione onde gli obbedienti simulati studiansi di giustificarsi.
2° In secondo luogo; Leone nulla determina in particolare.
Quando egli ci propone a seguire la filosofia dell'Aquinate, quali
verità di questa filosofia ha in conto di fondamentali, quali di
secondarie? Nulla dice: di che viene essere in arbitrio di ciascheduno
attenersi soltanto a quelle dottrine dell'Angelico, le quali a lui
talentano; nelle altre non curarlo od ancora combatterlo. La
situazione, così dicesi, non è per li scienziati cangiata in
virtù dell'Enciclica
di Papa Leone. Propugniamo, dicono essi, tutte quelle sentenze
professate dal santo Dottore che sono state, quandochessia, definite
di fede; e perchè queste sono moltissime, con ragione, per
ciò solo, si potrà dire che noi seguiamo la sua filosofia.
Così si avrà in
necessariis unitas, e rimarrà a ciascheduno in
dubiis libertas.
3° In terzo luogo; il Santo Padre vuole in sostanza una
filosofia eclettica, poichè egli c'insegna che dobbiamo
abbracciare tutto ciò che sapientemente è stato detto da
chicchessia. Per la qual cosa ci è permesso d'incorporare nella
filosofia tutto ciò che noi giudichiamo essere stato
sapientemente detto non solo dal Cartesio, dal Malebranche, dal
Gioberti e dal Rosmini,
ma ancora dal Tyndall, dal Du Bois-Raymond e da altrettali.
4° In quarto luogo; Papa Leone apertamente dice ch'ei non
intende proporre dell'antica filosofia tutto ciò che è stato
riconosciuto falso. Dunque dalla somma delle proposizioni, dalla quale
è costituita la filosofia dell'Angelico, debbonsi torre tutte
quelle sentenze che vengono reiette, siccome false, dai moderni
scienziati, a petto de' quali i vetusti erano fanciulli che ivano
nelle scienze barcollando a tentoni.
5° Di più; egli intende di proporre una filosofia
cristiana. Per ciò distinguiamo nell'Aquinate il dottore
cattolico che compendia la sublime sapienza dei padri della Chiesa,
dal pedissequo seguitatore del pagano Aristotele. Tutto ciò che
ha di questo non è punto degno di stima: quello che noi dobbiamo
nel santo Dottore seguire è la dottrina redata dai Padri della
Chiesa, e a questa dottrina dovrà ridursi la sincera filosofia.
6° Inoltre; egli è ben vero che ci viene prescritta la
sequela della dottrina filosofica di S. Tommaso, ma egli è
altresì vero che non ci viene data dal Santo Padre una
determinata interpretazione delle
sentenze in cui è espressa, con l'obbligazione di attenerci ad
essa, esclusane qualunque altra. Onde di leggieri accettiamo quella
dottrina, salva la libertà di dare alle sentenze la
interpretazione che più ci talenta. Così, per esempio, se
altri si incocci a dire che un punto fondamentale della dottrina
dell'Angelico è la teorica della materia prima e della forma
sostanziale, noi l'accetteremo di buon grado; ma per materia prima
potremo intendere o atomi inerti o punti matematici, e per forma
sostanziale il loro numero, la loro locale disposizione, il loro
movimento di rotazione e di translazione.
Nè avremo punto difficoltà di affermare che l'anima è
forma sostanziale del corpo umano, ma per corpo umano potremo
intendere un aggregato di atomi separati, tra loro distanti, tutti
eguali, agitati da moto, i quali, considerati in sè medesimi,
tali assolutamente sono nel vivente uomo, quali erano prima e quali
poscia saranno fuori del medesimo. Quell'essere poi l'anima umana
forma sostanziale lo spiegheremo così, che l'anima non cagioni in
quegli atomi vero moto, ma solo diriga il moto in essi immagazzinato,
che precipuamente deriva dal sole. Nè debbonsi rimproverare
quelli che ammettono che l'unione dell'anima col corpo consiste nel
sentire che fa l'anima il corpo stesso, purchè dicano con
l'Angelico che essa è forma sostanziale. Così qualora noi
propugniamo l'esistenza dell'intelletto agente e dell'intelletto
possibile, non dobbiamo incorrere veruna taccia se interpretiamo le
testimonianze dell'Aquinate di qualità che per intelletto agente
s'intenda Dio non considerato absolute
ut est in se sed relative ut est idea omnium rerum possibilium.
L'intelletto agente è Dio-idea, nè altri da noi più
richiegga. Che se anche vogliasi dire punto principale della filosofia
del santo dottore la creazione,
noi l'accetteremo, riservandoci il diritto di interpretazione; e
potremo dire che sebbene si possa e si debba affermare che la cosa
viene creata, nessuno sia perciò obbligato a sostenere che
l'essere della cosa stessa è tratto dal nulla, mercecchè noi
ammettiamo un essere solo e
nell'ordine ideale e nell'ordine reale.
7° Finalmente quello che importa si è usare quella forma
sillogistica che tanto giova all'insegnamento e con la quale i giovani
nella polemica aguzzano la loro mente e si preparano alle grandi lotte
scientifiche, cui più tardi andranno incontro. Cotesta forma
è sì importante che altri in essa ripone tutta la forza
della scolastica filosofia.
Parecchi altri esempii potrebbonsi recare di coloro, i quali da un
lato si dichiarano seguaci fedelissimi della filosofia dell'Angelico,
dall'altro si riserbano il diritto d'interpretare le sue testimonianze
secondo che loro piace.
Prima di rispondere partitamente alle singole difficoltà o
ragioni che si recano dagli obbedienti simulati, diamo una risposta
generale a tutte quante, prese in globo. Si ammetta per poco tutto
ciò che da cotesti si è detto e si dice. A che ridurrebbesi
in tale ipotesi l'Enciclica,
a che la volontà di Leone, a che le risposte di adesione che si
stanno facendo al Santo Padre non solo da dotte persone, ma, ciò
che più monta, dall'Episcopato cattolico? Ad un bel nulla.
Sinteticamente la Enciclica
si potrebbe, in tal caso, ridurre a questa frase: ciascuno
insegni quella filosofia che vuole; e i responsi dei saggi e
dell'Episcopato cattolico ridurrebbonsi ad una lode fatta al Papa per
avere riconosciuta in tutti la libertà di insegnare la filosofia
secondo il talento di ciascuno. Di che viene che mentre Leone intese
di infrenare la licenza, l'avrebbe confermata e lasciatele le briglie
in collo: e mentre volle ridurre la filosofia tra gli insegnanti
cattolici all'unità, avrebbe sanzionata una moltitudine di
filosofie tra loro cozzanti e discordi dalla verità. Francate
altri da ogni regola nell'insegnare fosse anche ciò che non
è dogmaticamente definito: rimanga l'obbligazione d'insegnare
solo in generale, ed astrattamente presa, la dottrina filosofica
dell'Angelico, ma non alcuna proposizione in particolare; siavi
licenza di professare una filosofia eclettica, ossia un intruglio di
svariate sentenze: togliete dalla filosofia di S. Tommaso tutto
ciò che poscia si ebbe (anche senza verace dimostrazione) in
conto di falso: ognuno si abbia il diritto d'interpretare l'Aquinate
come vuole; il professore di filosofia si appaghi di usare l'atqui
e l'ergo senza
rispetto ai dottrinali principii, e diteci: a che cosa sarebbe ridotta
la solenne Enciclica
di Leone? Ripetiamo: ad un bel nulla. S. Tommaso professava una
filosofia determinata, la
quale era costituita da principii e da illazioni, e Papa Leone vuole
che questa determinata filosofia
si riprenda ad insegnar nelle scuole; questa inculcò più
volte nelle pubbliche udienze,
e sebbene nella stessa Roma, in quelle scuole che dipendono dalla
ecclesiastica giurisdizione, vi fosse prima rispettata e riconosciuta
la libertà di attenersi a dottrina diversa, dichiarò expressis verbis che volea che
in avvenire s'insegnasse la dottrina dell'Angelico, e per ciò fe'
sì che in quasi tutte quelle scuole si mutassero i professori di
filosofia. Dopo tutto ciò ci riesce inesplicabile il leggere in
un cattolico periodico scientifico del Belgio che il S. Padre non
intenda di mutare in nulla la situazione
rispetto all'insegnamento scientifico; nè mostri di
favorire più l'una che l'altra opinione filosofica, e che
meritino di essere trattati da fanatici ignoranti coloro che vogliono
rimettere in onore i fondamentali principii della filosofia
dell'Aquinate: questa accusa va a ferire troppo in largo e troppo in
alto. Ma entriamo a particolareggiare.
1° Per primo; si dice che Papa Leone non definì quale dogma
di fede veruna di quelle proposizioni che spettano alla filosofia
dell'Aquinate. Ciò è verissimo, ma quid
inde? Quale illazione si vuol da questo antecedente dedurre?
Che dunque c'è libertà di insegnare le proposizioni
contrarie alle predette. Adagio a ma' passi! La illazione non viene, a
tirarla cogli argani. Imperocchè sebbene nessuna delle
proposizioni, nelle quali consiste la filosofia dell'Angelico, abbia
dall'Enciclica
un valore dogmatico, tuttavia alcune di esse lo hanno da
antecedenti definizioni e dei Concilii e della Sede Apostolica. Di
più: altre, perchè sono strettissimamente connesse con le
definite, se non hanno valore dogmatico, sono così degne di
rispetto che temeraria cosa sarebbe l'impugnarle. Inoltre; moltissime
proposizioni sono a tutto rigore di logica dimostrate; e queste, con
quelle che rifulgono per propria immediata evidenza, non si possono
negare da uom ragionevole e molto meno da un vero filosofo. Adunque
l'argomentar così: tali proposizioni non sono dal Sommo Pontefice
definite di fede: dunque impunemente si possono
insegnare le contrarie: è uno stolto argomento.
Così pazzo sarebbe colui che dicesse: non è di fede che tu
non sia un fellone: dunque mi è lecito tenerti per tale.
Testè dicevamo consigliatamente insegnare,
perchè ci pare che il Papa non punto restringa (almeno
direttamente) la libertà degli individui,
filosofi o non filosofi che sieno; ma bene che restringa direttamente
la libertà dei professori che dipendono dalla sua giurisdizione e
che sono ai Vescovi (ai quali è diretta la Enciclica)
sottoposti. Questi professori, se vogliono essere obbedienti sinceri,
debbono insegnare la filosofia dell'Aquinate, comechè molte
proposizioni che spettano alla sua essenza, non siano dogmi di fede,
e, dicasi pur anche questo, non evidentemente connesse coi medesimi.
2° Ed è falsissimo che Papa Leone inculcando di seguire la
filosofia dell'Aquinate nulla abbia determinato in particolare. Se
dicasi che non ha determinato particolari proposizioni esplicitamente,
ciò si può concedere: se dicasi che non ne ha determinate implicitamente, si deve
assolutamente negare. Non ci arroghiamo per certo il diritto di
entrare nelle intenzioni del Santo Padre: ma sembraci che si possa
anche da noi dare una buona ragione del non avere egli determinate le
proposizioni che spettano alla essenza della filosofia di S. Tommaso.
L'Enciclica è
un documento solenne, diretto a tutto l'Episcopato cattolico, che
tratta cosa di somma importanza, qual è lo stabilire un
insegnamento che non si opponga alla fede, e torni a bene della
Chiesa, della Società civile ed alla perfezione dell'uomo. Egli
è però manifesto che Leone non parla in questo documento
quale privato dottore, ma parla quale Vicario di Gesù Cristo,
quale Vescovo dei Vescovi, quale Maestro universale della Chiesa
cattolica. Per la qual cosa, se nella Enciclica
avesse determinate alcune proposizioni, come appartenenti alla
filosofia dell'Aquinate e avesse imposto l'insegnamento di queste, non
sarebbe probabilmente mancato chi sollevasse la questione, se quelle
proposizioni si dovessero avere in conto di dogmatiche definizioni.
Egli è ben vero che sarebbesi potuto dimostrare dagli aggiunti
essere stata sua volontà che s'insegnassero, e non già che
si tenessero per fede da tutti i
cattolici: ma con tutto non si sarebbero evitate questioni,
forse acri, forse dispettose con non lieve perdita, almeno, di tempo e
di quella mutua unione che è tanto necessaria tra cattolici,
specialmente a' tempi presenti. Per lo che sembraci chiaro essere
stato saggio consiglio non aver non espressa veruna particolare
proposizione. Ma perchè niuna proposizione è stata da Papa
Leone esplicitamente determinata, vogliam dire che implicitamente
nulla sia stato da lui inteso? Oh! questo poi no. Nella mente di
Leone, e nella sua Enciclica,
filosofia non è parola
vaga, ma di certa significazione: è un tutto che ha le sue parti.
Discorrendo sopra la filosofia dell'Aquinate così dice.
«Nulla est filosofiae
pars, quam non acute simul et solide pertractarit; de legibus
ratiocinandi, de Deo, de incorporeis substantiis, de homine aliisque
sensibilibus rebus, de humanis actibus eorumque principiis disputavit,
ut in eo neque copiosa quaestionum seges, neque apta partium
dispositio, neque optima procedendi ratio, neque principiorum
firmitas aut argumentorum robur, neque dicendi perspicuitas
aut proprietas, neque abstrusa quaeque esplicandi facilitas
desideretur.» [«Non vi ha parte
della filosofia, cui egli non abbia acutamente e
solidamente trattata: chè delle leggi della dialettica, di Dio
e delle sostanze incorporee, dell'uomo e dell'altre cose sensibili,
degli atti umani e dei loro principii ei disputò per modo, che
non rimane a desiderare nè una copiosa messe di questioni,
nè conveniente ordinamento di parti, nè metodo eccellente
di procedere, nè sodezza
di principii o forza di argomenti, nè limpidezza o
proprietà di dire, nè facilità di spiegare qualunque
più astrusa materia.» N.d.R.]
E più sotto dissertando sopra l'influsso che ha la filosofia
nelle discipline fisiche così parla: «Illarum enim (i.
e. disciplinarum physicarum) fructuosae exercitationi et
incremento non sola satis est consideratio factorum, contemplatioque
naturae; sed, cum facta constiterint, altius assurgendum est, et danda
solerter opera naturis rerum
corporearum agnoscendis, investigandisque legibus, quibus
parent, et principiis unde ordo illarum, et unitas in varietate, et
mutua affinitas in diversitate proficiscantur. Quibus
investigationibus mirum quantam philosophia scholastica vim et lucem,
et opem est allatura, si sapienti ratione tradatur.»
[«Imperocchè per studiarle con frutto e per accrescerle (cioè le scienze fisiche)
non basta la sola osservazione dei fatti, e la sola considerazione
della natura, ma quando i fatti sieno certi, è d'uopo
sollevarsi più alto e dar opera con solerzia a
conoscere la natura delle cose (corporee),
e ad investigare le leggi, a cui obbediscono, ed i principii, onde
nasce il loro ordine e la unità nella varietà, e la mutua
affinità nella diversità. Alle quali investigazioni è
cosa maravigliosa quanto di forza e di luce sia per apportare la
filosofia scolastica, se saggiamente venga insegnata.» N.d.R.]
Laonde la sentenza del Santo Padre è quella dell'Aquinate il
quale alla filosofia riduce le leggi del ragionamento, la trattazione
di Dio, conosciuto col solo lume della ragione, dell'uomo e quindi
dell'anima che lo informa, degli animali, delle piante e della natura
de' corpi e di que' sovrani principii, ond'è retta la fisica. Ed
appunto alludendo il Santo Padre ai
principii, ossia alle proposizioni fondamentali, sopra le
quali queste parti della filosofia si appoggiano e dalle quali
derivano, apertamente dice che sono principii fermi gli adoperati
dall'Angelico (principiorum
firmitas). Pertanto sebbene esplicitamente non ne indichi
alcuno, inculcando la sequela della filosofia dell'Aquinate,
implicitamente deve inculcare almeno quei principii fondamentali che
costituiscono le parti essenziali della stessa filosofia e senza i
quali questa più non esiste. Quindi è chiarito che se altri
insegni alcune o molte di quelle proposizioni che si ritrovano nelle
trattazioni filosofiche dell'Angelico, le quali sono già definite
quali dogmi di fede e comunemente da tutti i cattolici sostenute, non
si potrà dire ch'egli insegni la filosofia dello stesso dottore
qualora nel suo insegnamento proponga principii diametralmente opposti
a quelli che pur sono i fondamenti delle singole sue parti.
3° È ridevole ciò che in terzo luogo si afferma. Un
cieco vede che il Papa prescrive nell'insegnamento la filosofia di S.
Tommaso e non d'altri. Già l'abbiam detto che l'accogliere verità da altri dette, le
quali non si contengono espressamente
negli scritti dell'Angelico, comechè si contengano virtualmente, non è affatto
cangiare la natura della predetta filosofia, come non è cangiare
la geometria del vetustissimo Euclide postillandola con qualche
aggiunta.
4° Quanto si dice per quarto è cosa, a questi giorni, di
non lieve importanza. È vero: il Santo Padre nel proporre la
sapienza dell'Aquinate alla comune sequela apertamente disse: «Si
quid cum exploratis
posterioris aevi doctrinis minus cohaerens (est) id nullo pacto in
animo est aetati nostrae ad imitandum proponi.» [«se
ve ne ha alcun'altra (cosa)
che pienamente non si accordi cogl'insegnamenti certi
dei tempi più recenti ... non intendiamo che sia proposta
all'età presente perchè la segua.» N.d.R.]
Per certo non può ritrovarsi uomo assennato cui dispiaccia questa
eccezione. E può il Papa proporre all'insegnamento ciò che
è stato dimostrato falso?
No davvero! Dal Vaticano non può venire che l'impulso alla
verità: non mai all'errore. Ma e ci lasceremo noi turpemente
gabbare dall'autorità di scienziati che, dispregiatori di tutta
la sapienza dei nostri maggiori, si avvisano che il fiat
lux si pronunci, per la prima volta, in questo secolo ed esca
dalla loro bocca? Costoro hanno per oracoli tutte le sentenze che
sputano, purchè benevolmente accolte da altri, o pochi o molti
che sieno. Avremo noi per sinonimi exploratae
doctrinae e affirmatae et
non demonstratae doctrinae? [«insegnamenti
certi» ed «insegnamenti affermati e non dimostrati» N.d.R.] In
una parola sarà una stessa cosa scienza che dimostra e
scienziati che spesso affermano solamente? A dì nostri v'è
un abisso di mezzo. Ogni proposizione di quella è nella sua
verità eterna ed immutabile, perchè dev'essere o
immediatamente o mediatamente evidente. Le affermazioni di questi
sono soventi fiate contradittorie; talvolta manifestamente assurde
ed empie; anche ridevoli e pazze. Già l'abbiam detto;
molti scienziati veri banderai della moderna incredulità, i
quali dall'alto della loro superbia hanno pronunciata a nome della
scienza la decadenza della Chiesa, e l'annientamento di Dio,
menarono pel naso moltissimi cattolici assai eruditi, ma deboli in
logica e mancanti di soda filosofia. Ciò fecero confondendo i
veri ritrovati delle scienze fisiche con infondate e false ipotesi
loro, ed intimando a tutti di accettare questo intruglio sotto pena
di essere fatti passare per retrogradi, fanatici, ignoranti, nemici
della scienza, del progresso e finalmente tali, coi quali non si
può entrare in discussione scientifica e di non altro degni che
del disprezzo universale. Rechiamo un fatto. Dimenticati i
principii della vera filosofia di Aristotele e dell'Aquinate, si fe'
ritorno all'incancrenito epicureismo. La teoria degli atomi si ridusse
a questo: che tutte le
cose corporee sono aggregati meri di atomi increati, eterni, tutti di
una sola specie, i quali altro non possono fare che urtare ed essere
vicendevolmente urtati, sempre tra
loro, più o meno, distanti, agitati da moto rotatorio e
traslatorio. Di qua fu tratto il trasformismo, onde fecero
derivare l'uomo dalla scim[m]ia, insultando al buon
senso, alla ragione, al fatto, alla rivelazione: la quale teorica fu
giudicata dall'Haeckel opportunissima a ruinare la Chiesa.
«Nella guerra impresa a nome della verità, la teorica della
evoluzione prende le parti della artiglieria pesante. Ai colpi
raddoppiati di questa artiglieria
monistica (è il sistema meccanico), tutta la baracca dei
sofismi dualistici (cioè
corpo ed anima — materia e forma) precipita; il superbo
edificio della gerarchia e la rocca del dogma dell'infallibilità
crollano e cadono come castellucci di carte da giuoco. Tutte le
biblioteche piene della scienza ecclesiastica e della filosofia
retrograda vanno in fumo [2].»
Appoggiati alla stessa teorica meccanica degli atomi di eguale natura
ed inerti, molti scienziati non si contentano già di dichiarare
non impossibile naturalmente una novella alchimia capace di formar
l'oro, le piante e i bruti, ma un homunculum
come dice il Moleschott. Nè fia maraviglia perchè
l'affare si riduce a mera aggregazione e moto di atomi. Ecco come
parla uno de' più grandi scienziati moderni di tutta Europa e
parla nell'Assemblea di Belfast che accoglie le celebrità
scientifiche (così le dicono) del nostro secolo.
«Immaginiamo che tutti gli atomi che costituivano Cesare in un
determinato istante della sua vita, per esempio al Rubicone, siano con
arte meccanica collocati al loro posto (stia
attento il lettore alla teorica meccanica delle mutazioni
sostanziali) e che loro s'imprima quella velocità, in
quella direzione che avevano nel predetto istante. Secondo noi in
questo modo riapparirebbe Cesare, in corpo ed anima. Il Cesare
artificiale avrebbe, nel primo istante, le stesse sensazioni, i
medesimi desiderii, i medesimi pensieri che avea al Rubicone il suo
modello: la sua memoria sarebbe ripiena delle stesse imagini, egli
avrebbe le stesse facoltà ereditate per generazione od
acquistatesi. Immaginiamo che lo stesso lavoro meccanico si faccia nel
medesimo istante in più luoghi coi medesimi atomi di carbonio, di
idrogeno o simili (noti il lettore
che atomi identici col vario moto e varia aggregazione danno il
carbonio, l'idrogeno ecc. nel sistema meccanico). In che mai
tanti nuovi Cesari si distinguerebbono tra loro, se non fosse a
cagione del luogo ove sono formati o tra loro ragguagliati?»
Nè dobbiamo maravigliarci, perchè, innanzi al tribunale di
questi scienziati, l'anima è il moto e la disposizione degli
atomi; e il pensiero si forma come l'orina. Segue il grand'uomo.
«Richiamisi alla memoria la frase energica di Carlo Vogt che
diede occasione ad una specie di torneo filosofico. Cioè, che
tutte le facoltà intellettuali altro non sono che funzioni del
cervello, o, per esprimere questa verità in una maniera
palpabile, che i pensieri sono rispetto al cervello presso a poco
ciò che la bile è al fegato e l'orina ai reni. Nè si
può riprendere la frase di Vogt, per questo ch'essa prende
l'attività intellettuale come il risultato dei corrispondenti
cangiamenti nella materia del cervello [3].»
Un altro scienziato [4],
parlando del sistema meccanico sopra indicato, così dice:
«Cartesio è andato ancora più in là. Egli ha
detto: datemi tempo, spazio, atomi e moto ed io rifabbricherò il
mondo. In questa audace promessa, sembra che Cartesio abbia presentita
la gran legge novellamente scoperta, la quale si chiama dell'equivalenza
delle forze, e che, in quanto è legge del moto, completa
quella della gravitazione. Questa legge dell'equivalenza delle forze,
dice Beraud (nel suo scritto sopra l'idea di Dio), è la più
atea di tutte le leggi fisiche... Una volta che si dimostri che il
movimento è, rispetto alla sua quantità, sempre lo stesso,
increato, indestruttibile, e conseguentemente eterno, non c'è
nè ci può essere una forza creatrice del movimento, e
perciò nessuna causa intelligente dell'ordine cosmico. In altri
termini, Dio non esiste.» Non citiamo italiani copisti degli
stranieri. A tali errori e a tali follie sono precipitati gli
scienziati moderni quasi da per tutto! Da per tutto dagli scienziati
si stampano libri, anche assai peggiori di quelli onde togliamo
cotesti passi, e l'Epicureismo degli atomi eterni e dell'eterna Venere
(sic) è propugnato
senza pudore. Ma s'ebbe l'astuzia di accomodare quel sistema meccanico
(d'onde furono tratte tante sozzure) alle scienze esperimentali, e si
strombazzò ch'era essenzialmente legato con le medesime. Onde
molti cattolici, in buona fede, accettaronlo, pur opponendosi
all'ateismo, al materialismo, e ad altrettali empietà e follie.
Quindi il dichiarare passim falsi
molti principii fondamentali che spettano alla filosofia
dell'Aquinate, perchè non possibili d'essere conciliati con lo
stesso sistema. Ma a torto: poichè oggimai numerosa schiera di
dotti cattolici ed anche eterodossi professori di chimica e di fisica
dimostrarono che quel sistema non era punto legato essenzialmente con
le predette scienze e che tutti i
fatti e tutte le leggi
certe si possono egregiamente spiegare in altra maniera. E perchè
questo è un punto di alta rilevanza più che altri non crede,
vogliamo qui recare un passo di un famosissimo scienziato certamente
non cattolico e ben lontano dall'essere seguace dell'Aquinate. Questi
è l'Hirn, venerato, per la sua erudizione fisica, quale maestro
da quelli stessi cui egli combatte.
«Un gran numero, egli dice, di opere si sono a' nostri giorni
pubblicate, nelle quali si discorre sopra la materia e la vita. A
queste opere converrebbe un titolo unico: l'Unità
delle forze fisiche; e di fatto alcuni hanno appunto scelto
cotesto titolo che sembra indicare un sublime carattere, cui vuolsi
dare alla sintetica espressione delle idee. Ma per poco che leggansi
un venti pagine di quale si sia di questi trattati, ognuno si
accorgerà che a quel titolo dovrebbesi quest'altro ben diverso
sostituire: La negazione della
forza. Dipartitisi da una supposta teorica della
termodinamica, da una supposta scoperta che il calore altro non sia
che un movimento vibratorio degli atomi della materia, hanno
audacemente estesa la medesima spiegazione imaginaria
ai fenomeni della luce, dell'elettricità e del
magnetismo. Alcuni, e sono i più sinceri e i più logici,
hanno col moto della materia voluto spiegare la gravitazione e
l'attrazione universale ed hanno dichiarata
assurda quale si sia dottrina che si dà a ricercare
nello spazio altra cosa che la materia in moto. Altri più
prudenti, e forse colti da capogirlo [= capogiro
N.d.R.] sull'orlo
dell'abisso che a loro dinanzi si apriva, hanno al moto assegnata per
causa la volontà di Dio, quasi che, discorrendo sotto il punto di
vista in cui si discorre, non fosse effetto di questa volontà il
più piccolo dei fenomeni della natura. Non mi sarebbe difficile
dimostrare che la eloquenza dei fatti basta per confutare la sintesi unitaria, che si pretende
scritta a chiare note nel gran libro della natura. Come fisico e in un
punto di vista oggettivo, io saprei ben provare che nemmeno
uno dei fenomeni, ai quali con ammirabile industria fu
applicata l'analisi e che furono raggruppati in questi ultimi tempi,
legittima quella ipotesi la quale fu proposta a spiegarli, come la
sola veramente richiesta dalla natura delle forze. Come metafisico e
in un punto di vista soggettivo, potrei forse ancor meglio far vedere
lo stretto nesso che passa fra il materialismo puro e questa sintesi
unitaria. Sarei capace di mostrare che materializzando certi fenomeni,
si materializzano conseguentemente ben altri che appaiono disparati: e
che per conservarsi il titolo di spiritualista, e non essere
materialista, non basta di fare professione di fede ortodossa e di
pronunciare ad ogni momento e con compunzione il nome del Creatore e
di tirare una fune di separazione attraverso i fenomeni della natura,
dichiarando che da un lato tutto è materia, dall'altro tutto
è spirito [5].» Laonde
è chiaro che l'affermare che si fa da molti scienziati moderni
che i principii fondamentali della filosofia dell'Aquinate sono falsi,
perchè si oppongono a vagheggiati sistemi oggi correnti, non
è criterio del quale possiamo contentarci. Si richiedono
dimostrazioni e non affermazioni, non ipotesi voltabili che a certe
inconcusse verità si oppongono diametralmente, e non colle
proprie gambe ma con le grucce di altre ed altre ipotesi possono
reggersi e andare innanzi. Con ciò è spuntata la quarta
ragione sopra allegata dagli obbedienti simulati.
5° Ciò che sotto il quinto numero si dice non regge,
sì perchè Papa Leone ci propose la cristiana filosofia da
seguire non in generale, ma come fu recata a sintesi dall'Aquinate; e
sì perchè la verità è come l'oro che vuolsi
accogliere, come dice il medesimo Santo Padre, con gratitudine,
da chi ce la regala, sia Agostino od Aristotele. Del resto crediamo
che Aristotele in ingegno, in amore della verità, ed anche in
bontà di dottrina di lunga mano vinca la massima parte dei
filosofi eterodossi e antiscolastici moderni.
6° Non è mestieri intrattenerci intorno a ciò che si
dice della libertà d'interpretazione: ne abbiamo parlato nel
secondo articolo di questo Commentario, dove indicammo il
criterio datoci dal Santo Padre per conoscere le germane
dottrine dell'Aquinate e per discernere i rivi impuri dai rivi puri
che a noi conducono la sua sapienza. Ripetiamo che la interpretazione
non ha luogo nei testi chiari ed evidenti, specialmente se molti e se
dimostrano ex professo la
stessa dottrina e non la toccano solo di passata. Gli esempii recati
nel numero sesto (i quali esprimono falsissime dottrine, contrarie
tutte ai fatti certi ed alla sana ragione) ci fanno ridere. Non gli
può addurre come una possibile interpretazione delle sentenze di
san Tommaso se non chi ignora affatto ciò che ripetutamente egli
affermò e dimostrò. Tuttavia vuolsi riflettere che la
varia interpretazione
è il cavallo di battaglia dei dissidenti, e cavalcaronlo tutti
i protestanti rispetto alla Bibbia, i giansenisti riguardo ad
Agostino, ed ora moltissimi fanno lo stesso con l'Aquinate, la cui
dottrina in cuore detestano, ma vogliono, timorosi per la propria
riputazione, comparire suoi seguaci. L'Eminentissimo e
dottissimo Arcivescovo di Bologna, Lucido Maria Parocchi, toccò
questo punto in una lettera che inviò a Sua Santità a nome
suo e de' suoi suffraganei, nella quale protestava di aderire
sinceramente alla Enciclica
Aeterni Patris.
Cotesta lettera singolarmente ci piace perchè particolareggia;
cosa adesso affatto necessaria; e perciò qui ne riportiamo un
tratto. «Sane iamdiu cum lacrymis querebamur, ingentem inter
catholicos circa philosophiam irrepsisse discordiam, in ea videlicet
disciplina quae arctissimis vinculis cum fide continetur, qua
ancipite, theologiam ipsam, utpote scientiam, labare quadantenus
necesse est, quod ea logicam artem, scientiarum omnium moderatricem, e
philosophiae penu, nemine diffitente, depromat. Accedebant piorum
etiam hominum commenta, quae ipsi praepostera
Aquinatis interpretatione suffulti (hunc nimirum in
Aristotelis et veritatis alumnum dispertiri consueverunt, armis secum
congredientem) tamquam germana Viri sanctissimi cogitata obtrudebant.
Animam hominis, autmabant, non ex se atque intrinsecus rationalem
esse, sed ab extrinseco lumine divinitus demisso, quo ens possibile
seu comune, scilicet idealitatem,
quam vocant, Dei, valeat intueri. Porro propositionem eiusmodi hinc
dogmati de anima rationali ex nihilo condita adversari, inde vero ad
ontologismum deflectere, aequissimi iudicii homines pro comperto
habuerunt. Praeterea rationalem animam immediate et per se formam
humani corporis substantialem inficiabantur, absurdis hypothesibus
innixi post Cartesium late insinuatis, de foedere animam inter et
corpus ab origine inito, perinde ac si perfecta utrique inesset
substantia, adeoque non una, sed multiplex hominis natura censenda.
Quem errorem necessario inferri ex negatis materiae et formae
principiis in unam rerum materialium essentiam coalescentibus, Te,
Pater Sancte, non fugit, utpote praeter cetera et studiorum eiusmodi
peritissimum. Unitatem insuper atque identitatem τοῦ esse, tum in reali, tum in
ideali ordine positam effinxerunt, ideoque creaturarum esse
ad divinam essentiam, ceu partes ad totum, ceu radios ad
centrum pertinere arbitrati sunt, quod non sine ontologici pantheismi
crimine defendi potest. Quae omnia cum a liquidissimis divi Thomae
testimoniis toto coelo discedant, confidimus fore ut viri ingenua fide
praediti, sanctissimo Parenti, quo auctore, quo duce hactenus immerito
gloriati sunt, ex animo adhaereant, Sanctitatis Tuae paternas quidem
sollicitudines docili obsequio rependentes. Ceterum, Beatissime Pater,
sapientiam Thomae ex eius fontibus potissimum hauriemus; deinde ex iis rivis, quos ab ipso fonte
deductos, adhuc integros et illimes decurrere certa et concors
doctorum hominum sententia est: ab iis vero, qui exinde fluxisse
dicuntur, re autem alienis et non salubribus aquis creverunt
adolescentium animos arcendos omnino curabimus.» [«In
verità già da tempo lamentavamo con dispiacere che si
è insinuata tra i cattolici una notevole discordia riguardo
alla filosofia, riguardo cioè a quella disciplina che ha
strettissimi vincoli con la fede e che, se ambigua, è fatale
che la stessa teologia, cioè la scienza, alquanto vacilli,
chè questa, nessuno lo nega, trae dalla provvista della
filosofia l'arte della logica, regolatrice di tutte le scienze. Si
sono presentati commenti anche da parte di uomini pii che, sostenuti
da una stravolta interpretazione dell'Aquinate, (il quale senza
dubbio sono soliti dividere in alunno di Aristotele e della
verità in combattimento fra loro) si son fatti passare per
originali pensieri di quel santissimo uomo. L'anima umana,
affermavano, non è razionale per sè ed intrinsecamente ma
per il lume estrinseco di origine divina con cui può
essere intuito l'ente possibile ovvero comune cioè l'idealità,
come la chiamano. Per di più persone di equissimo giudizio
ritenevano per certo una tale proposizione essere avversa al dogma
dell'anima razionale creata dal nulla, e di là inclinare
all'ontologismo. Inoltre costoro negavano l'anima razionale
immediatamente e per sè forma sostanziale del corpo umano,
appoggiati su assurde ipotesi largamente insinuate dopo Cartesio del
patto originario tra anima e corpo, come se inerisse una sostanza
perfetta ad entrambi, a tal punto che si dovesse pensare non ad una
singola ma ad una molteplice natura umana. Non Vi sfugge, Santo
Padre, in quanto peritissimo di tali studi più d'ogni
altra cosa, che quest'errore necessariamente s'inferisce dalla
negazione dei principii di materia e forma unentisi in unica essenza
nelle cose materiali. Per di più concepivano l'unità e
l'identità dell'essere sia nell'ordine reale sia in quello
ideale, così che hanno ritenuto l'essere delle creature
appartenere alla divina essenza come parte al tutto e come
raggi al loro centro, cosa che non si può sostenere senza colpa
di panteismo ontologico. Dipartendosi tutto ciò assolutamente
dagli schiettissimi argomenti del divo Tommaso, confidiamo che i
predetti uomini di fede ingenua aderiscano di cuore al santissimo
antenato di cui si gloriano immeritatamente in quanto autore ed in
quanto duce, rispondendo con docile ossequio alle Vostre paterne
sollecitudini. Del resto, Beatissimo Padre, attingiamo la sapienza
di Tommaso principalmente alle sue fonti; e poi da
quei rivi, che usciti dallo stesso fonte scorrono ancora puri e
limpidissimi, secondo il sicuro e concorde giudizio dei dotti. Da
quei ruscelli poi che pur si dicono sgorgati di là, ma di
fatto crebbero di acque estranee e non punto salubri
procuriamo assolutamente di
tener lontani gli animi dei giovanetti.» N.d.R.]
Il dottissimo porporato conoscitore profondo della filosofia di San
Tommaso, da un pezzo e a fronte scoperta strenuamente la difese e
intese a rimetterla in onore, non curando con magnanima nobiltà
di cuore gli insulti che si sogliono fare di sghembo ai veri sapienti,
ed ai sinceri amatori della verità. Così il voto di un tanto
luminare della Chiesa si compisse; e tutti si studiassero di eseguire,
a tutta perfezione, la volontà del Pontefice.
7° Il quale non può già essere contento di ciò
che si dice in settimo luogo, cioè che i professori di filosofia,
nelle scuole cattoliche, che dalla sua giurisdizione dipendono,
adoperino l'atqui e l'ergo [= il sillogismo
N.d.R.] e poi contraddicano, in
realtà, ai principii fondamentali della filosofia dell'Angelico.
Per certo Leone non può non amare il metodo scolastico (e di
questo parleremo appresso); ma la macina non è il frumento: e la
forma scolastica è macina, la dottrina sincera è il
frumento. Taluno passa, presso i non saputi, per iscolastico puro,
solo perchè spesso adopera una stretta forma sillogistica; e, se
questo criterio fosse giusto, dovrebbesi (cosa ridevolissima) avere in
conto di scolastico assai più il Wolfio che l'Aquinate.
Conciossiachè il Wolfio si attiene alla forma sillogistica
continuamente, laddove l'Aquinate generalmente non l'usa nel corpo
dei suoi articoli. Con ragione pertanto il Santo Padre, nella
sua Enciclica, si mostrò sollecito della dottrina, nè
s'intrattenne guari intorno al metodo sillogistico o scolastico che
pur devesi convenientemente usare nella scuola di filosofia.
Con ciò crediamo di avere a sufficienza confutati gli obbedienti
simulati, dimostrando che non reggono quelle ragioni sopra le quali si
appoggiano. Veniamo agli obbedienti sinceri.
Obbedienti sinceri.
— La è certamente cagione di profondo dolore all'animo del
Vicario di Gesù Cristo, il sapere, che non solo gli avversarii
insolenti della Chiesa stoltamente lo insultano, a motivo della Regola Filosofica che, con
sapientissimo consiglio e con somma discrezione diresse all'Episcopato
cattolico, ma che vi sono eziandio tra cattolici di coloro che pur
baciandolo in segno di amore e chiamandolo ancora Maestro universale
della Chiesa Cattolica, si studiano di rendere inefficace e, nella
pratica, affatto nulla la medesima Regola
Filosofica. Tuttavia mentre Egli si conforta con la speranza
che quelli e questi rientrino in sè stessi, si rallegra nel
vedere la massima parte dei dotti cattolici, che, facendo eco alle
voci di tutto il cattolico Episcopato, esultano di vera gioia e
ringraziano di cuore Iddio che, in tempi di quasi universale
corruzione di principii intellettuali, abbia voluto innalzare alla
Sede di Pietro un Papa fornito di gran sapienza ed insieme di grande
fortezza, di animo da conoscere e da curare la radice potissima dei
mali presenti. In questo concerto comune di plaudenti adesioni che
lietamente risuona dall'un capo all'altro del mondo, lo strepito
sconcertato degli oppositori appena si avverte, come appena si sente
il ronzio d'importuno moscone là dove la banda musicale, composta
di numerosi ed eletti sonatori, esegue i tratti più risentiti e
forti del Dies irae del
nostro Verdi.
Non è adunque una speranza solamente che la massima parte dei
dotti cattolici voglia accogliere in quel modo che è necessario
la Regola Filosofica: egli
è un fatto, che subito si manifestò da per tutto. Non sono
inconsulti fanatici (come
altri inconsultamente gli chiama) che aderiscono alla Enciclica,
per averla a scudo delle proprie sentenze antiquate e false e per
opporsi così al progresso delle scienze; ma sono fedeli sudditi
del Papa, i quali non esagerando punto la portata dell'Enciclica
stessa, nè punto diminuendola, l'accettano lealmente.
Imperocchè ben sanno che il Papa ha un diritto reale ed
imrnensamente maggiore di quello che dicesi avere il governo nelle
società civili, di ordinare l'insegnamento tra cattolici, e
specialmente lo studio della filosofia che ha molti punti di
contatto con la teologia, e che se non è amica della fede e sua
ancella, giuocoforza è che le sia nemica. Per la qual cosa,
comechè non definisca dogmaticamente una dottrina, questa si
deve insegnare, quand'ei vuole che la si insegni; nè si
può insegnare la contraria. Hanno in conto di miserabile
sofisma, quello onde schermisconsi certuni, cioè che non
determinando il Papa in particolare veruna proposizione, ma solo in
generale la dottrina dell'Angelico, lascia completa libertà in
tutte quelle particolari sentenze che nella Chiesa Cattolica non
furono quali dogmi definite e proposte alla universale credenza.
Giudicano che allorquando si dice filosofia
dell'Aquinate, implicitamente sì, ma necessariamente,
s'intendono quei principii che costituiscono la essenza della stessa
filosofia. La rettitudine di questo giudizio salta agli occhi di
ognuno perchè evidentissima; e non solamente è giustificata
dalle parole della Enciclica
sopra recate, ma ancora è confermata da quella opportunissima
Ordinazione data dal Santo Padre a Sua Eminenza il Cardinale De Luca
nella lettera inviatagli ai 15 del passato ottobre, affinchè la Regola Filosofica tosto e
pienamente si attuasse in Roma. Se non che questa lettera la quale,
mentre scriviamo queste parole, ci viene alle mani, mette in maggiore
luce l'errore di quelli che affermano ancora adesso esservi intorno
all'insegnamento dottrinale quella libertà che vi era prima dell'Enciclica.
Or ci conviene parlar chiaro perchè i fatti sono pubblici e
manifesti. Che dice Papa Leone in questa lettera diretta al Cardinale
De Luca? Dopo di avere ripetuto ciò che avea detto nell'Enciclica:
non potersi cioè riformare la società altramente quam
rectis sciendi agendique principiis
per philosophicas disciplinas ubilibet
restitutis, [che
colla restaurazione ovunque
dei retti principî
del sapere e dell'agire per mezzo degli studî filosofici N.d.R.]
afferma di avere sollecitati i Vescovi «ut collatis Nobiscum
viribus, excitare aggrediantur motam
gradu et prope collapsam philosophiam illam veterem,
scholisque catholicis
redonatam, in sede honoris pristini collocare.» [«affinchè
uniscano i loro sforzi ai Nostri per accingersi a risvegliare tale
antica filosofia, decaduta
dal suo rango e prossima a cadere, e rimetterla al suo
antico posto d'onore restituendola alle scuole
cattoliche» N.d.R.] Fa
particolare allusione a Roma e, dopo avere detto stargli sommamente a
cuore che «S. Thomae doctrina reviviscat... maxime in hac Urbe
principe catholici nominis» [la dottrina di S. Tommaso riviva ...
in particolare in questa Capitale del nome cattolico N.d.R.]
(e le ragioni che adduce sono verissime e sapientissime), continua
così: «Sic igitur primo loco curavimus, ut in Seminario
Romano, in Lyceo Gregoriano, in Urbaniano aliisque Collegiis, Nostrae
adhuc auctoritati obnoxiis, philosophicae disciplinae secundum
mentem et secundum principia Doctoris Angelici, enucleate,
dilucide, copiose tradantur atque excolantur.» [«Così
dunque in primo luogo abbiamo curato che al Seminario Romano, al
Liceo Gregoriano, al Collegio Urbaniano e negli altri Collegi ancora
sottomessi alla Nostra autorità le scienze filosofiche siano
semplicemente, chiaramente e largamente insegnate e coltivate secondo la mente e secondo i
principî del Dottore Angelico.» N.d.R.]
Se il Papa vuole introdotta una riforma,
è chiaro che prima non si insegnava quella dottrina che ora vuole
che venga insegnata non solo altrove, ma anche in Roma. Che se prima
non si insegnava, diremo che anche prima v'era obbligazione
stretta d'insegnarla? Nol diremo già noi, contenti di
ripetere ciò che disse Leone nell'Enciclica iudicamus
tenere esse commissum, ut eidem suus honos non semper, neque ubique
permanserit: [giudichiamo
essersi sconsigliatamente commesso che non sempre nè ovunque
fosse al medesimo conservato l'onore dovuto N.d.R.]
e che perciò «optimo consilio cultores disciplinarum
philosophicarum non pauci, cum ad instaurandam utiliter philosophiam novissime animum adiecerint,
praeclaram Thomae Aquinatis doctrinam restituere, atque in pristinum
decus vindicare studuerunt et student.» [«con ottimo
consiglio non pochi cultori delle scienze filosofiche, avendo recentemente applicato
l'animo a ristorare con profitto la filosofia, attesero ed attendono
a far rivivere e ritornare nel primitivo splendore la dottrina di S.
Tommaso di Aquino.» N.d.R.]
Si conceda che prima dell'Enciclica
vi sia stata una tal quale libertà d'insegnamento rispetto alla
filosofia dell'Aquinate: ma insieme si dovrà ammettere che ora il
Papa non lascia la medesima libertà che prima vi era:
altrimenti sarebbe inesplicabile ciò ch'egli ordinò e
ciò che fece.
E qui debbono guardarsi da un altro sofisma quei sinceri obbedienti
che vogliono secondare le mire del Vicario di Gesù Cristo.
Eccolo: Il Papa vuole riformare la filosofia e non già le scienze
fisiche: dunque i cultori di queste possono senza scrupolo tirare
innanzi siccome prima. Si concede pure che l'Enciclica
non tratta ex professo
delle scienze fisiche: ma e i supremi principii di queste non
ispettano alla filosofia e a quella metafisica d'onde derivano i
principii di tutte le scienze?
E il Papa stesso non lo accennò là dove parlò
dell'influsso della filosofia nelle fisiche discipline? Per certo, e
sopra lo abbiamo notato. E chi
non sa che oggimai la supposta sconfitta della fede è
pronunciata a nome delle scienze fisiche, appunto perchè, dalla
maggior parte dei dotti, in esse co' veri fatti e con le vere
esperienze si confondono false ed assurde ipotesi? Per la qual cosa
certi essendo che ciò che si oppone alla verità, non
può essere altro che dannabile errore, debbonsi tenere in conto
di erronee quelle fisiche ipotesi che si oppongono ai fondamentali
principii veri ed evidenti della filosofia dell'Aquinate. In
tale maniera i veri saggi andranno per la via sicura, e potranno
egualmente essere obbedienti sinceri e veri filosofi.
[CONTINUA]
La regola filosofica di Sua Santità Leone P. P. XIII. proposta nella Enciclica «Aeterni Patris» |
I. Gli antecedenti della Regola Filosofica stabilita dal Sommo Pontefice Leone XIII. |
II. La Regola Filosofica considerata in sè stessa. |
III. I conseguenti. |
Seguita dei conseguenti. |
IV. Seguita dei conseguenti - L'esecuzione della Regola Filosofica |
NOTE:
[3] Les
Bornes de la Philosophie naturelle par M. Du
Bois Raymond. Discours
prononcé au sein de l'Association des Naturalistes.
Paris 1875.
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