venerdì 21 ottobre 2016

LA REGOLA FILOSOFICA DI SUA SANTITÀ LEONE P. P. XIII, PROPOSTA NELLA ENCICLICA AETERNI PATRIS (III) [1]

R.P. Giovanni Cornoldi d.C.d.G.

La Civiltà Cattolica anno XXX, serie X, vol. XII (fasc. 705, 22 ottobre 1879), Firenze 1879 pag. 272-290.

III.

I conseguenti

Mettiamo mano al terzo articolo di quel Commentario che ci siam proposti di fare sopra la Regola Filosofica che ci viene data dalla Santità di Papa Leone XIII nella stupenda sua Enciclica Aeterni. Patris, e trattiamo dei conseguenti. Quali saranno i conseguenti di questa Ordinazione della Sede Apostolica? Qualche lettore forse farà qui un risolino di scherno, quasi noi volessimo pigliare un'aria profetica sopra gli umani eventi futuri; cosa poco filosofica e che di leggieri fa perdere il credito (e l'abbiam veduto a' nostri dì assai bene) a chi non ha veramente un lume tutto proprio dall'alto. Ma se a prevedere gli umani eventi, conoscendoli in sè medesimi o con assoluta certezza, prima che avvengano, si richiede uno straordinario lume, nondimeno a prevederli con grande probabilità o con certezza morale, per cognizione derivata dalle cause fisicamente ed assolutamente non con loro connesse, assai spesso basta il lume naturale di ragione. Se tu porgi cibo squisito ad un affamato, non potrai tu predire ch'ei lo mangerà? Eppure ei farà ciò con piena libertà, di guisa che potrebbe non farlo. Così con morale certezza possiamo predire gli atti ove pravi, ove virtuosi di coloro che sono gagliardamente inclinati dall'abito del vizio o della virtù. Per[ci]ò quell'adolescens iuxta viam suam etiam cum senuerit non recedet ab ea, alla filosofica ragione sembra chiaro, ed esser deve uno stimolo efficace a dare a' giovanetti buona istruzione ed educazione. [Prov. XXII, 6: «Il giovinetto, presa che ha la sua strada, non se ne allontanerà nemmeno quando sarà invecchiato.» Mons. Antonio Martini così commenta: «Volgasi egli (il giovinetto) al bene od al male, non saprà più, nè vorrà cangiar di costume neppur nella età avanzata. Errano adunque quei genitori, i quali lascian (come suol dirsi) la briglia sul collo de' giovanetti sperando di correggerli, quando saran cresciuti d'età: e frattanto fortificandosi ogni dì la prava consuetudine si riducono ad essere incorriggibili.» N.d.R.] Da tutto ciò possiamo inferire che il predire gli atti umani, considerando l'indole e la disposizione del principio onde derivano, è faccenda tutt'altro che aliena dal filosofo; anzi a lui specialmente appartiene, perchè a lui spetta scender dalle cause agli effetti, dagli antecedenti ai conseguenti. Ma entriamo in carreggiata. Anzi tutto consideriamo quale dovrà essere l'atteggiamento dei dotti, degli scienziati, dei filosofi innanzi a questo documento della Sede Apostolica. Di cotesti parliamo, perchè il volgo, che agli studii non volge l'animo, o i letterati, che di belle lettere solo si dilettano, naturalmente non si daranno gran fatto pensiero della Regola filosofica del Santo Padre, oppure ripeteranno il giudizio di quei tra i primi che loro sono maggiormente congiunti col vincolo dell'amicizia o alla cui autorità sono avvezzi a deferire. Que' che sopra dicevamo in varie classi debbonsi dividere, e di queste classi abbiamo noi a ragionare partitamente.
La prima classe è di quelli che diremo eterodossi insolenti. Questo vocabolo è duro, ma è il più benigno che qui si possa adoperare. Infatti chi sono costoro? Sono quelli che impugnano nel Pontefice la suprema autorità di Vicario di Gesù Cristo, e non hanno che villane formole di dispregio contro le sapientissime regole, onde governa la Chiesa cattolica. La massima parte degli scienziati dei nostri giorni, ed una non piccola parte dei professori delle università e dei licei ammodernati dell'Europa, appartengono a questa classe. Di Dio non parlano: della religione solo per combatterla o, meglio, per vilipenderla. Molto eruditi nel campo delle esperienze e dei fatti, superlativamente ignoranti dei veri principii razionali, onde tutte le scienze debbono essere rette, e dei principii della fede cattolica, si danno ad affermare che tra ragione e fede vi è necessario dissidio, e che perciò la seconda devesi sacrificare alla prima. Senza verun giudizio, a priori tutto condannano ciò che appartiene alla Chiesa, e per li Papi, per li dottori cattolici, per la dottrina speculativa e per la morale cattolica manifestano odio, abbominazione, dispregio. È vero che talvolta la parola loro sembra castigata alquanto; ma la moderazione è qual esca che ricuopre l'amo, per sedurre gl'incauti. A' nostri giorni costoro sono, in generale, epicurei e nella speculazione e nella pratica, e riesce impossibile francarli da ignoranza colpevole e da prava volontà. Come questi accoglieranno la Regola Filosofica di Papa Leone? Il divinarlo è cosa ben facile. Una costante ed universale induzione, riguardo al loro modo di fare, ci rende chiariti che si scaglieranno insolenti contro il Papa, negandogli l'autorità di occuparsi di filosofia, lo diranno calpestatore dei diritti dell'umana ragione, e senza aver letta la sua Enciclica od almeno senza averla considerata, la diranno un monumento di antica barbarie e di tirannico dispotismo; la traviseranno, la falseranno, si studieranno di renderla abbominevole presso le moltitudini. E poi ben si sa che costoro vezzo è avere una tolleranza sconfinata per tutti gli errori e per tutti quelli che li professano; ciò che loro è intollerabile è la verità. Quando la verità, in qualche modo, o direttamente o indirettamente o mediatamente o immediatamente, vuole infrenate le prave tendenze dell'orgoglio e della sensualità, a chi la professa, e propugna e diffonde, muovono guerra a tutta oltranza e continuata e rabbiosa. Di che viene che, sebbene abbiano fatto e facciano buon viso a tutte le empietà e le balordaggini sciorinate da' ciarlatani oltremontani camuffatisi in aria di filosofi, ed abbiano incensato ed incensino a que' governi che, sbandita dalla scuola la religione e tutte quelle dottrine che ad essa si aggiustano, o che alla medesima dispongono l'animo dei discenti, non potranno non insanire contro il Vicario di Gesù Cristo che, usando della legittima suprema sua autorità, vuole che pure dottrine sieno date a' giovani dalle cattedre delle scuole cattoliche; nè potranno tollerare che a maestro di filosofia venga proposto l'Angelo delle scuole. Se il Papa encomiasse la dottrina di Epicuro, la proponesse allo studio dei dotti; se imponesse a tutte le scuole come maestro universale di filosofia un Cartesio, uno Spinosa, un Loke, un Kant, un Hegel, un Comte, un Hartman, od uno di que' tanti altri barbassori che propugnano a' dì nostri l'abbietto materialismo, l'ateismo, ed ogni bruttura, alti encomii gli si farebbono dal gregge dei moderni epicurei, e verrebbe salutato Leone come il genio del nostro secolo, come quello che, rotte finalmente le catene della intellettuale schiavitù, ridona al pensiero la sua naturale libertà, e con ciò inizia tra cattolici un'êra di vero e di sconfinato progresso. Ma il proporre un Tommaso alle scuole cattoliche, dovrà riuscire intollerabile. Che giova che l'Augusto Pontefice con molti e irrefragabili argomenti [2] dimostri l'alta sapienza dell'Aquinate, la sicurezza e la verità di sua dottrina, l'immensa riputazione ch'ebbe nei secoli passati presso tutti i saggi; che giova che faccia vedere a' ciechi che, posto che convenga proporre una filosofia nelle scuole cattoliche, il migliore partito è proporre quella del dottore medesimo? Tutto ciò naturalmente dovrà tornare inutile per coloro che postergano la ragione al talento: stat pro ratione voluntas: [«la volontà sta in luogo della ragione» N.d.R.] e che al fine stabilito di distruggere la cattolica religione vogliono subordinate quali mezzi la educazione, la istruzione e specialmente il filosofico insegnamento. Il pensare che adesso codesti dotti si contengano in maniera diversa rispetto alla Enciclica di Papa Leone XIII senza che prima si convertano (e per conversione intendiamo mutazione di cuore, assai più che d'intelletto) è contro all'ordinario procedere dell'uomo nelle sue operazioni, ed è simile al supporre che un torrente che va giù diritto e rovinoso, sospenda il suo corso, o lo devii senza un ostacolo efficace ch'esso incontri.
Questo nostro discorso fatto a priori comincia già ad avere la sua giustificazione nel fatto: mercecchè così e non altramente si danno a fare gl'insolenti avversarii della Chiesa e del Papa. Insultano sconsigliatamente, si contradicono, tutto confondono, ma tirano innanzi nel loro costume, come se al mondo non ci fosse anima viva che si accorgesse che il loro parlare è contro logica, contro prudenza, contro civiltà, contro tutto. Abbiamo letto parecchi giornali, nei quali anonimi scrittori hanno, a cagione di questa Enciclica, bistrattata la Sede Apostolica in maniera, direm chiaro, villana; e abbiam persino letto che la Enciclica Aeterni Patris è tale una colpa del Papismo, che ne merita la distruzione. L'Opinione primeggiò nelle insolenze fra molti se non fra tutti, e c'intratterremmo a lungo intorno alla stessa, se già una penna maestra non avesse egregiamente confutate le sue accuse nelle colonne dell'Osservatore Romano: ciò che pur fece la Voce della Verità di Roma, la Scuola Cattolica di Milano e noi pure, non è guari, nella Rivista della stampa. Tuttavia è mestieri che tocchiamo soltanto e di passata la contradizione in cui cade l'Opinione stessa; perchè mentre stabilisce una premessa dalla quale ne deriva nè più nè meno la illazione che egregiamente fece Papa Leone nel proporre l'Angelico quale duce dell'insegnamento filosofico, impudentemente bistratta il Santo Padre perchè lo propone. Rechiamo quella premessa con le sue stesse parole [3].
«Davanti al nome di S. Tommaso noi c'inchiniamo. Egli fu grande. In lui la sapienza cristiana si è sposata colla sapienza pagana e orientale. Tutto il sapere che le meditazioni dei Padri e le loro feconde polemiche avevano per più secoli accumulato; e quello che Platone ed Aristotele, tradotti in latino, avevano apportato in Occidente; non che, in fine, quello che ai due predetti tesori sovrapposero gli arabi e gli ebrei, egli adunò nella sua prodigiosa mente, e se ne valse per illustrare la fede, per confermarla, per assicurarle l'assenso della ragione. Come i vangeli sono il codice dei vulghi della cristianità, così la Somma è il vangelo dei cattolici che pensano e che sanno. San Tommaso è il San Paolo del secolo XIII. Nel suo vasto intelletto vediamo epilogarsi un movimento intellettuale che durava da dodici secoli e del quale forse la storia non vide mai altro più universale, più intenso, più fecondo. Dei tesori di cognizioni varie e sparse, che dodici secoli di meravigliosa attività mentale avevano messi insieme, egli formò un organismo, che non è inferiore ad alcuna delle più possenti sintesi, le quali siano mai state compiute da mente umana. San Tommaso inspira bensì il pensiero di Dante, il più profondamente nazionale dei poeti italiani, ma la sua patria però, è l'orbe cattolico. E in quel modo che egli, incarnazione del cattolicismo, era stato nel medio evo il più valoroso e ostinato difensore dell'essere individuale delle cose e personale dell'uomo, non altrimenti contro di lui si concentrò tutta la reazione del Rinascimento e dell'età moderna, che contrapposero all'autorità della ragion cattolica il libero esame, al concetto dell'individuo e della persona il concetto del tutto, alla varietà sostanziale degli esseri l'unità assoluta dell'essere.
«Rapprentante maggiore e più completo di San Tommaso non ha, per vero dire, la filosofia cattolica. La Chiesa lo inscrisse tra i santi, perchè l'onestà della vita non era stata minore della grandezza delle opere. Altri santi, forse, sono stati dalla Chiesa adorati con più abbondanza di amore, con più affezione, ma nessuno con più larghe dimostrazioni di riverenza e di onore, con più umiltà. Della venerazione costante ed incomparabile in cui lo ebbe la cattolicità, il Santo Padre arreca non pochi esempi nella sua finissima e dotta Enciclica. Ma in questo ragguardevole documento della sapienza pontificale ci è parso che la venerazione, alterata dall'entusiasmo, si convertisse pressochè in idolatria. La lettura dell'Enciclica ci ha fatto richiamare alla mente i giudizi portati sopra San Tommaso dal Papa, che lo chiamò a sedere tra i santi, e dall'illustre dottore, che gli era stato principale maestro. Nella cattedrale di Avignone, celebrando Giovanni XXII pontificalmente la messa in onore di S. Tommaso, presenti il re Roberto di Napoli e la regina, dopochè il giorno innanzi (17 luglio 1323) era stato compiuto il processo di santificazione, il Papa mentre faceva l'elogio del novello santo, disse di lui le storiche parole: Quot articulos scripsit, tot miracula fecit. [«Quanti articoli ha scritto, tanti miracoli ha fatto» N.d.R.] Alberto il Grande, stato maestro di San Tommaso, del quale, chiamandolo i condiscepoli il bue muto, aveva detto — ipse talem dabit in doctrina mugitum, quod in toto mundo sonabit —, [«Egli emetterà colla sua dottrina un tal muggito, che ne rimbomberà tutto il mondo» N.d.R.] mutato poscia il suo presentimento in certezza, pronunziò sopra l'Aquinate quel lirico giudizio, che l'altro ieri abbiamo visto ripetuto, con parole alquanto più discrete, nell'Enciclica: Frater Thomas in scripturis suis finem imposuit laborantibus usque ad finem saeculi: et quod omnes deinceps frustra laborarent. [«Fra Tommaso ha posto fine a tutti gli scrittori a venire fino alla fine dei secoli, talchè da lui in poi tutti faticheranno inutilmente.» N.d.R.]
«Un giudizio così assoluto e così straordinario, per il quale l'opera umana è innalzata alla dignità dell'opera divina, non meraviglia alcuno, quando lo si ode dalla bocca di Alberto il Grande, che vedeva la sapienza cristiana, oltre alla quale non gli permetteva il tempo suo di concepirne altra, maturarsi e compiersi nel sovrano intelletto di San Tommaso.»
Quale giusta illazione uom ragionevole dovrebbe dedurre da un così fatto discorso? Che dunque si abbia dai cattolici San Tommaso in qualità di duce dell'insegnamento filosofico, con queste due condizioni. La prima che si aggiunga tutto quello che da chicchessia o prima o dopo di San Tommaso fu sapientemente detto, e che nel medesimo dottore formalmente espresso non si ritrova, sebbene non possa non ritrovarsi virtualmente nei suoi principii. La seconda che si accettino tutti i fatti certi delle fisiche scienze e le illazioni che logicamente scaturiscono da essi fatti; e tutto questo si coordini coi principii razionali, esposti dall'Aquinate, i quali appunto perchè razionali non possono giammai da veri diventare falsi. Ora queste due condizioni sono egregiamente notate dal Santo Padre, mentre propone l'Aquinate a' cattolici qual duce nella filosofia. Dunque lo scrittore avesse voluto attenersi alla logica, avrebbe dovuto conchiudere dalle lodi prodigate all'Angelico, nè più nè meno di quello che ne inferì Papa Leone. Tutt'altro! Insulta al Sommo Pontefice, lo ha in conto di calpestatore dei diritti della ragione, parla in guisa da far credere che egli imponga a fedeli tutte le singole proposizioni della filosofia di San Tommaso quali dogmi, anzi pretenda di tramutare la scienza in fede, ed, esclusa la dimostrazione filosofica, voglia che sopra la sola autorità dell'Aquinate tutta si debba fondare la filosofia. Queste sono vere menzogne e vere calunnie, che al manco totale di logica e di buon senso vengono congiunte dall'Opinione, ma noi qui le trascorriamo.
Se non che non ci conviene passare sotto silenzio un tratto di un Opuscolo testè pubblicato in Bologna con questo titolo: La scienza dell'educazione nelle scuole italiane come antitesi della pedagogia ortodossa: il cui autore è Siciliani Pietro professore di filosofia e di alta pedagogia nell'Università della stessa città. Cotesto libro dal Siciliani è indirizzato al Ministro della pubblica istruzione, affinchè ben conosca che cosa per lui fu fatto nell'ultimo triennio e quali siano i suoi intendimenti sul da farsi. — Questa è per noi una buona ragione per esaminare le idee che vi si contengono; e speriamo che con questo esame venga corretta la inconsulta opinione di que' cattolici (e sono pochissimi) i quali nelle controversie scientifiche, direm così, di primo ordine, vorrebbono fare appello alle sentenze delle moderne università. Ecco come parla il Siciliani.
«E a questa maniera dov'è egli pervenuto il Papismo nel 1879?
«Per una parte egli è arrivato all'ultimo degli assurdi; per l'altra, alla più infantile delle illusioni.
«L'assurdo è questo. Rifuggendo al passato e imboscandosi nel più fitto medioevo, il Papismo non solo è giunto all'estrema posizione a cui doveva ineluttabilmente riuscire, ma ciò che più monta, con ardimento novissimo l'ha fin anche sconfinata. Ha insomma oltrepassato il medioevo scolastico, scancellando imprudentemente nella filosofia in generale, e nella filosofia ortodossa in particolare, e a tutto benefizio del dogmatismo teologico, fin quella vecchia ed ingenua distinzione tra le verità d'ordine rivelato, e le verità d'ordine razionale — ciò è a dire fra la soggezione e l'indipendenza del pensiero —, nella quale molto seraficamente si cullavano, e dietro alla quale un po' furbescamente si rimpiattavano pro bono pacis, presso che tutt'i nostri filosofi del Rinascimento.
«L'allucinazione ed illusione infantile, poi, è che la pedagogia ortodossa, con l'Enciclica Aeterni Patris, ha piantato le colonne d'Ercole non pure alla speculazione teologa — già da secoli fatta magra, sterile e intisichita —, ma alle più intime e vitali energie del pensiero in generale: nel che il Papismo ha creduto e ha lasciato credere, illudendo a sè medesimo ed altrui, d'aver recato ad amichevole consentimento la fede e la ragione, e condotto a mirabile conciliazione dialettica l'esperienza e il verbo rivelato, il domma e la verità d'osservazione immediata o mediata che sia.
«Questione adunque — ripetiamolo a sazietà —, di vita o di morte!
«Alla Scolastica che il Papismo con intolleranza fastidiosa vuole imporci novellamente, noi tutti contrapponiamo una modesta filosofia sperimentale: una filosofia che lungi dall'affermar dommatico o dal dommatico negare, si sta contenta nella ricerca indefessa del vero, nella critica severa de' fatti, nel castigato ragionare su le fidate basi delle osservazioni. Talchè, se in mezzo a tanto sfolgorio di scienze rinnovate Papa Leone XIII, in nome della fede, e dopo quattro secoli d'immane travaglio del pensiero umano, vuol rinculare fino all'incancherito Tomismo; noi, in nome dei fatti e della esperienza, riverenti e fiduciosi ritorniamo al martire della scienza, ritorniamo a Galileo Galilei, e alla modesta, ma gloriosa scuola del Cimento.
«Alle vantate, ma incomprensibili esigenze del domma e d'una speciale rivelazione del sovrintelligibile; ad un impensabile soprannaturalismo, rimpetto a cui questo mondo non sarebbe altro che un'ombra fuggevole, ovvero un puro meccanesimo, un cadavero mosso, a così dire, da una forza galvanica estrinseca, attergata, arbitraria; noi opponiamo, dall'una parte, l'esigenza della ragione, e, dall'altra, il gran fatto della natura: della natura attuosa, viva, possente, sempiterna, benchè rivelantesi — direbbe il Bruno — attraverso ad una meravigliosa e profonda magia.
«All'oggetto della credenza dommatica, infatti, cioè al mistero, che necessariamente superiore alla ragione, è per ciò stesso (checchè ne dica la inane sottigliezza della filosofia ortodossa) contrario alla ragione, opponiamo l'inconoscibile, e quell'inconoscibile che, non implicando contraddizione, non è per conseguenza null'affatto contrario alla ragione; e non è contrario alla ragione, stante che può — e nessuno saprà mai dimostrar che e' non possa — da soggetto superiore diventar termine equato alla virtù speculativa via via progredente dell'intelligenza.
«Non è dunque lecito, e non sarà mai lecito rassomigliare in veruna guisa, come d'ordinario si piaccion fare i nostri filosofi teologizzanti, il mistero propriamente dommatico, col mistero o con l'inconoscibile di certi problemi matematici, o di certi fenomeni di natura, de' quali ignoriamo la ragione, ignoriamo le intime cause, benchè ne conosciamo la legge.
«Alla autorità chiesastica che, come instituzione sociale, con sì disinvolta sicurezza, accampa un'origine positiva divina non dimostrata nè dimostrabile, e che ormai si riduce ad un mitologico ciarpame da panche di scuola, opponiamo i diritti dello spirito umano: opponiamo que' diritti, che ci parlano chiaro, che s'affermano legittimi, che s'impongono luminosi alla coscienza individuale e collettiva della società moderna.
«Perciò alla potestà teocratica fondata in un'assurda origine divina, sostenuta da quel filo tradizionale sempre celebrato, sempre gonfiato, sempre più risaldato nella coscienza popolare con l'incalzarsi de' secoli, noi porremo contro la realtà dell'organismo sociale naturale e la dignità dello stato moderno. Porremo contro la ragione, la comun volontà fatta ragione, o, per dirla col padre della critica francese, «la volonté des tous exécuté par un seul ou par plusieurs en vertu des lois que tous ont portées.»
«Finalmente — ed ecco la conclusione che più da presso ci tocca —, ad una pedagogia pesante, invischiante, petulante; ad una pedagogia che spaventata dell'inferno e ubbriacata di paradiso, con mistico formalismo porge evidenti segni di volersi riorganizzare sempre più dommaticamente e biecamente; ad una pedagogia che arcigna, riottosa e in none dell'insipiente credo quia absurdum pretende l'asservimento dell'intelligenza, pretende il sacrifizio della volontà, pretende l'abnegazione d'ogni senso proprio e la rinunzia d'ogni giudizio personale; — noi, in nome della scienza indipendente e positiva; in nome dell'originaria inalienabilità de' diritti umani, opponiamo una scienza dell'educazione organizzantesi in maniera tutta naturale, tutta razionale, tutta e schiettamente filosofica.
«Contrapponiamo, in somma, una pedagogia positiva che, da una parte, con Emmanuele Kant, pone a «vero principio dell'educazione la pura idea della legge morale» e dall'altra, col Mill bandisce come «fine supremo dell'arte pedagogica il concetto del carattere etico, e per ciò della libertà morale.»
«Libertà di pensiero e libertà etica da formare, da apparecchiare, anzi da creare nella scuola, e col mezzo principalmente della scuola. Libertà politica, sociale e religiosa da raffermare sempre più, da guarentire rispettare in seno alla società.
«Or d'onde e come dee muovere cotesta opposizione, cotesta opposizione compatta, seria, gagliarda, consapevole? L'abbiamo già detto, e lo ripeteremo anche una volta.
«Deve muovere innanzi tutto dal grande focolare delle Università degli studii. — »
Tutta questa chiaccherata ho dovuto testualmente recare, affinchè si vegga come parlino i professori non solo di filosofia, ma di alta pedagogia che avviano al magistero la gioventù dell'uno e dell'altro sesso, e quali idee manifestino al presente governo perchè la educazione e la istruzione si adergano all'altezza dei tempi moderni. Il lettore tocca con mano che lo sbandire che vuolsi fare dallo insegnamento la religione cattolica o dallo Stato non significa in concreto un solo prescindere dalla medesima, ossia un non parlarne nè in bene nè in male; ma significa muoverle aperta guerra in ogni occasione che si dia, innanzi, ed in ogni modo possibile. Ma entriamo un poco a discorrere del professore Siciliani.
È chiaro che questi ama che si sappia da tutti, ch'ei non è nè cattolico, nè cristiano, mercè che egli non riconosce nessuna autorità divina nel Papa, e giudica non provata ed assurda la rivelazione. Non cale investigare s'egli voglia essere franco da ogni religione, o se taluna in cuor suo ne vagheggi; il dovere c'impone di pensare di lui il meno male che far si possa. Questa pubblica professione di non essere nè cattolico nè cristiano, fatta da un professore di filosofia e di alta pedagogia, e l'aizzare il Ministro dell'Istruzione a valersi efficacemente delle Università per combattere e distruggere il cattolicismo in uno Stato la cui legge fondamentale è che sia Cattolica la sua religione, sembrerebbe strano, se oggimai non si conoscesse la portata di quella legge nell'amministrazione della cosa pubblica. Ma non facciamo preamboli e rechiamo a disamina di quanto abbiamo testualmente riferito ciò che si attiene alla presente questione.
La sua diatriba si divide agevolmente in due parti: la prima consiste nel provare la reità della ortodossa Regola Filosofica di Leone XIII: la seconda nell'esporre il piano di guerra per impedire che la stessa Regola Filosofica si attui, e per far sì che trionfi una Regola eterodossa affatto contraria.
Egli afferma che la Regola Filosofica di Leone XIII è 1° l'ultimo, ossia il massimo assurdo, 2° la più grande infantile illusione. L'unico (si noti che è unico) argomento onde prova la prima affermazione è questo. La Regola Filosofica di Leone nega esservi distinzione tra verità rivelate e verità non rivelate; ed ogni verità riduce a dommatismo teologico. Ma, caro professore, ella ha letto a rovescio l'Enciclica ed ha preso il no in conto di . Infatti apertamente ed espressamente Leone nella Enciclica afferma quella distinzione; e di più non riduce a dommatismo teologico veruna, ben lo intenda, veruna verità filosofica che prima di lui non fosse già stata riconosciuta qual domma. Il Papa usò un suo diritto e compiè un suo dovere regolando la filosofia nelle scuole cattoliche e prescrivendo un duce, al fine di togliere una pericolosissima licenza che reca dissidii e trascina all'errore. Volle che questo duce fosse l'Aquinate, accettando insieme tutte le verità dette da chicchessia, comechè non fossero formalmente espresse nella dottrina del medesimo dottore, e pur accogliendo tutte le utili scoperte delle scienze esperimentali. Ma questo è ben altro che innalzare a dommi le singole proposizioni della filosofia dell'Aquinate; e dopo l'Enciclica di Leone non potrà per certo essere altri tacciato di eretico, quantunque impugni non solo con le labbra, ma ancora con la mente qualunque proposizione filosofica dell'Aquinate, salvo se non sia identica a ciò che per lo innanzi s'ebbe quale domma di fede. Adunque l'unico argomento ch'Ella adopera, signor professore, a provare la sua prima affermazione non regge punto, e farebbe cosa lodevole ritirandola.
Eppure dovrebbe Ella ritirare ancor l'altra. Di vero come la prova? Con due ragioni: la prima perchè l'Enciclica pretese di aver piantato le colonne d'Ercole all'energie del pensiero: la seconda perchè il Papa si persuade di avere recato ad amichevole concordia ragione e fede: entrambe infantili illusioni. Vana è la prima ragione. Imperocchè in due maniere si può intendere quel freno posto all'energie del pensiero: o impedendo che il pensiero vada all'errore; o impedendo che il pensiero vada alla conquista di verità non prima conosciute. Ma vi è nell'Enciclica una parola che disveli nel Papa la credenza che gli uomini non ammetteranno mai più l'errore nei loro pensieri? E vi è parola, che indichi in lui la persuasione che più non si possa discoprire una non prima conosciuta verità? Nulla di ciò. Egli è ben vero che come i principii di contradizione e di causalità sono i semi che virtualmente contengono tutte le scienze, perchè in tutte le proposizioni scientifiche analitiche si fa l'applicazione di quello, e in tutte le sintetiche si fa l'applicazione di questo, così si può e si deve dire che la somma dei principii razionali, nei quali sinteticamente si racchiude tutta la filosofia dell'Aquinate, contiene virtualmente tutte le verità scientifiche e di conseguenza pure virtualmente contiene la confutazione di tutti gli errori a coteste verità contrarie. Ma nemmeno un imberbe trilustre trarrebbe da ciò l'illazione che Tommaso abbia conosciuti tutti i conoscibili fenomeni della natura, abbia inventato tutto ciò che è utile all'uomo e all'umana società, e determinate tutte quelle innumerabili verità che nei principii da lui formalmente ed espressamente proposti e dimostrati si contengono. I principii, chiarissimo professore, non sono le illazioni, e dove quelli son pochi, queste sono indefinite: nemmeno i fatti sono i principii, i quali fontalmente derivano dai fatti e ai fatti si possono indefinitamente applicare. Non confondiamo la bilancia col caffè cui pesa; nè abbiamo per una stessa cosa il metro e il panno ch'è misurato dal metro stesso. Tale confusione ci renderebbe immeritevoli del nome di uomini assennati, nonchè di filosofi.
Quello che in secondo luogo adduce il Siciliani per dimostrare la infantile illusione di Papa Leone XIII è affatto fuor di proposito. Conciossiachè in quel credere che la fede siasi conciliata con la ragione e colle scienze esperimentali, debbesi fare una distinzione; nè al chiaro professore incresca il distinguere, perchè chi non distingue confonde.
Vi è una conciliazione che si può affermare a priori, ed in universale: ve n'è altra che si può dire a posteriori e in particolare. Faccia attenzione e gli sarà chiarita ogni cosa. Prendiamo ad esempio questo principio: non ci è effetto senza sua cagione: ossia ciò che non era e ch'è richiede una causa che dal non esistere lo rechi alla esistenza. Essendo noi certi della verità di cotesto principio, ed egualmente certi che una verità non può essere distrutta da nessun'altra verità, nè da nessun fatto particolare, possiamo senza temenza di errare affermare a priori ed in universale che il medesimo principio si concilia con tutte le scienze e con tutti i fatti della natura. Ma troppo ci vorrebbe a misurare tale principio con tutte le singole verità scientifiche; ed impossibile cosa a noi è applicarlo a tutti i singoli fatti della natura: imperocchè non solo innumerevoli che esistettero sono a noi ignoti, ma in numero indefinito sono ancora in potenza ad esistere. Perciò la conciliazione qui non si può considerare come fatta a posteriori ed in particolare. È vero, è giusto questo discorso o non l'è? Lo è per certo e il professore con noi non può non convenire. Ora veniamo al caso nostro.
Leone XIII è certissimo che Dio non può nè errare nè mentire, e perciò è certissimo che è infallibilmente vera ogni proposizione rivelata. Ma alla verità non può contradire altra verità od alcun fatto; dunque egli deve essere pure certissimo che ogni verità scientifica che ogni fatto scoperto o da scoprirsi deve conciliarsi con la fede. Ma egli non ha comparate le proposizioni rivelate con tutte le singole proposizioni scientifiche e coi singoli fatti che hanno esistito e che esisteranno. Dunque ha tutto il diritto di affermare la conciliazione della fede colla ragione e colla esperienza a priori ed in universale, comechè non la affermi a posteriori e in particolare. Ma v'è di più.
La fede è verità: dunque è impossibile che si concilii con l'errore. Di qua viene che la fede può e deve dirsi conciliata con quella filosofia ch'è vera; può e deve dirsi inconciliabile colle filosofie false. False sono tutte quelle filosofie che violano i primi principii di ragione, quali sono per esempio: che una cosa non può essere e non essere nel medesimo tempo sotto lo stesso rispetto: che nulla v'è senza ragione sufficiente: che non può esservi effetto senza cagione a sè proporzionata. Ora le filosofie materialiste, ateiste, panteiste, idealiste, e quindi tutte quelle che per eccellenza diconsi moderne, violano que' principii: dunque esse sono inconciliabili con la fede. La filosofia sola dell'Aquinate, battuta al martello della critica per molti secoli ed anco a dì nostri, non s'è trovata violatrice dei sopradetti principii; anzi si è trovato ch'essa sempre gli esprime: perciò si ha da dire che può e deve essere la medesima in perfetta armonia con la fede. Quando diciamo che non si è trovata violatrice di que' principii non intendiamo già far punto allusione a que' molti giudici senza giudizio e senza cognizione di causa, i quali hanno confuso la filosofia dell'Aquinate con la fisica esperimentale dei vetusti alchimisti o con l'astrologia dei vetusti astrologi, od hanno proferito contro essa l'anatema senza conoscerla affatto, abbindolati (cosa poco filosofica) dall'autorità di certuni più ciarlatani che filosofi. Parliamo di quei filosofi che bene la conobbero, e la sottoposero a vero esame, secondo le regole logiche. Ora, Papa Leone da un lato sa che da per tutto si grida trovarsi la fede in opposizione con la scienza; dall'altro lato sa pure che questa scienza che si adduce come contraria alla fede è una scienza violatrice degli immutabili principii della ragione. Adunque deve conseguentemente giudicare che ove si adotti la vera filosofia (e questa non può essere che una ed è quella dell'Aquinate) la strombazzata opposizione va in dileguo, e per converso la conciliazione si fa manifesta. Che resta adunque delle ragioni onde il chiaro professore si confida di dimostrare la sua seconda affermazione? Nulla ci resta. Di che viene che a torto proferì quelle due affermazioni. «Per una parte il Papismo egli è arrivato all'ultimo degli assurdi:  per l'altra, alla più infantile delle illusioni.»
Ma alla nostra volta gli mandiamo di rimbalzo le due affermazioni medesime dicendo. «Dov'è pervenuta la filosofia eterodossa del 1879? Per una parte la è arrivata all'ultimo degli assurdi; per l'altra alla più infantile delle illusioni.» È arrivata all'ultimo degli assurdi, perchè nega il vero Dio che è il fondamento di ogni fatto e di ogni verità: perchè in realtà viola il principio di contraddizione, di ragione sufficiente e di causalità, mettendo tra suoi fondamentali principii che il mondo non è contingente e non è effetto di una causa necessaria e perfettissima; affermando che v'è nell'uomo la vita intellettiva ma non il principio di essa cioè un'anima immateriale, incorruttibile ed immortale; che la scienza veri nominis, [= la scienza di vero nome, cioè la scienza vera. N.d.R.] la quale consiste in proposizioni certe ed immediatamente o mediatamente evidenti, sia mutabile; ed in fine che vi possa essere verace opposizione tra fede e scienza. La somma di questi assurdi e di altri assai è il massimo assurdo e in questo cadde la filosofia eterodossa.
Di più è arrivata alla più infantile delle illusioni. Infantile illusione è la libertà di pensiero e di parola. Che direbbe il signor professore, se altri sostenesse in faccia a lui che egli è libero di pensare e di dire che egli è un ignorante, un fellone, un vile? A tutta ragione, gli negherebbe cotesta libertà: l'avrebbe in conto o di un tristo o di un fanciullo. Vi è libertà fisica di pensare, di non pensare e di pensare secondo il proprio talento: questa libertà è ammessa dalla filosofia ortodossa. Ma libertà morale di non conformarsi, nel giudicare, all'oggetto dei nostri pensieri: questa nè v'è nè potrà giammai esservi. Dobbiam giudicare delle cose come sono in realtà e non altrimenti. Non abbiamo libertà morale di dir vero ciò ch'è falso: di dire onesto ciò ch'è disonesto. Questa libertà non si può concedere che ai fanciulli, i quali all'aurora della vita hanno in molte cose vera libertà fisica; ed hanno (in qualche senso) libertà morale per difetto di cognizione intellettiva dei primi principii della moralità, e perciò non possono andare soggetti alla colpa. Concederla agli adulti è infantile illusione.
La filosofia eterodossa è arrivata ancora alla più infantile illusione, perchè crede che l'epicureismo nel quale miseramente essa si è imboscata, sia l'apice del progresso intellettuale e morale, e perchè si persuade che l'epicureismo sia bello e conciliato colla scienza e coi fatti della natura. Ma i fanciulli vanno soggetti ad un'altra illusione, la quale è di credere che gli uomini adulti prestino fede alle loro fiabe fanciullesche. E a questa illusione pur arrivarono i filosofi eterodossi, perchè giudicano che tutti gli uomini presto o tardi debbano accogliere come purissima filosofia i loro errori, le loro follie.
Rimandate di rimbalzo contro la filosofia eterodossa le accuse che furono scagliate contro il Papa e la sua Regola Filosofica, entriamo a vedere brevemente il piano di battaglia ordito contro la medesima Regola. Il pericolo in cui si trova la filosofia eterodossa  è grave. Il Siciliani ci dice: «questione adunque, ripetiamolo a sazietà, di vita o di morte!» All'armi adunque contro la filosofia ortodossa proposta dal Sommo Pontefice.
Alla scolastica che vuole che rinculiamo all'incancherito Tomismo si opponga un castigato ragionare e una critica severa dei fatti. Diciamo al Siciliani che la ortodossa filosofia accetta la disfida: non teme quest'armi perchè sono le sue proprie. Alla filosofia eterodossa che vuole che rinculiamo all'incadaverito epicureismo non opporremo dommatiche affermazioni (queste non fanno nel puro campo della scienza) non l'autorità sola di questo o di quello, non il dispregio, non la menzogna, non l'onta, non la calunnia (sono armi queste de' nostri avversarii): ma ragioni e fatti, severa logica, sincera e non mentita esperienza, castigato ragionare e critica severa.
Al soprannaturale, dice il Siciliani, nel quale vuolsi comprendere anche la esistenza di Dio, opponiamo la natura, ed a ciò ch'è superiore alla ragione e perciò l'è contrario, opponiamo l'inconoscibile. Il professore qui esce dal seminato. Imperocchè va ad attaccare direttamente la fede, dimenticandosi che qui si tratta di filosofia. Tuttavolta avvertiamo soltanto che cade in contraddizione chi afferma che il soprannaturale è distrutto dalla natura: come cadrebbe in contraddizione chi dicesse che la sopravvesta non ci può essere se vi è la vesta. Il sopra e il sotto sono termini relativi e il soprannaturale essenzialmente suppone il naturale e la natura. Sappia eziandio che appunto il mistero dicesi superiore alla ragione umana, perchè è inconoscibile ad essa, considerata quella virtù che ora ha. Se Dio oltre il lume naturale che le ha dato, le desse un lume superiore, allora potrebbe vedere ciò che presentemente soltanto crede. Inoltre, il mistero non può dirsi nè superiore alla ragione assolutamente, nè assolutamente inconoscibile, sì piuttosto superiore alla ragione umana o alla ragione creata ed a questa solo naturalmente inconoscibile. Innanzi alla divina ragione nulla è inconoscibile, nulla ad essa superiore. Vi sono degli animali che non hanno il senso della vista o dell'udito: e che forse, perciò solo avremo il diritto di dire che gli oggetti della vista o dell'udito sono superiori al senso in generale; od anche che sono opposti al senso di quelli animali che non possono percepirli? Nullameno! Quelli che sono misteri alla nostra non sono misteri alla ragione in universale: e perchè di essi qui non possiamo avere evidenza, non abbiamo il diritto di dirli contrarii a quelle verità che a noi sono evidenti. Chi è filosofo non può parlare altrimenti.
Prosegue il Siciliani dicendo che all'autorità chiesastica che ormai si riduce ad un mitologico ciarpame da panche da scuola ed alla potestà teocratica fondata in un'assurda origine divina, voglionsi opporre i diritti dell'uomo e la dignità dello Stato moderno: e ad una pedagogia spaventata dell'inferno che impone il credo quia absurdum devesi obbiettare una scienza dell'educazione naturale, razionale, filosofica. Qui pure eccita a combattere direttamente la religione cattolica, anzichè la filosofia ortodossa e la Regola Filosofica di Papa Leone. Però ci contenteremo di dire al Siciliani che s'inganna a partito e si contraddice, quando riduce a ciarpame da panche di scuola l'autorità chiesastica. Questa da circa diciannove secoli resistette a tutte le opposizioni e le vinse, ed ha ancora tutta la vigoria dell'età giovanile. E perchè ella dice la presente questione suscitata dalla Regola filosofica di Leone, questione di vita o di morte? Il filosofo che accetta il principio che la causa deve essere proporzionata all'effetto, dee pur confessare che di tanta sua paura vi deve essere causa sufficiente. Un mitologico ciarpame da panche di scuole non può produrre cotanto effetto.
Le fo ancora notare, egregio professore, che nessun cattolico allorchè fa un atto di fede può dire (se non è un pazzo, e in tale ipotesi il suo non è atto di fede) credo quia absurdum: ma deve dire credo ciò perchè da Dio è rivelato; e Dio non può nè errare nè mentire dandomi a credere il falso. Non vede che invece di essere un atto di fede sarebbe un atto blasfemo? Verrebbesi a dire che Dio propone a credere come vero ciò ch'è falso, o perchè egli s'inganna, o perchè ci vuole ingannare. Così dobbiam dire se la parola absurdum indica ciò ch'è assolutamente falso, come volgarmente s'intende, e qui pure da lei devesi intendere.
All'opporsi che si fa la dignità, o per parlare più disvelatamente la forza dello Stato alla Chiesa, nulla diremo. Speriamo soltanto che il Siciliani il quale mette in sulla fronte di Galileo l'aureola di martire, perchè fu dall'Inquisizione confinato per poco in un palagio nobilissimo, ove stava a tutto suo agio, non vorrà essere avaro nel dare una simile aureola di martire a que' tanti ecclesiastici che furono espulsi dalle loro abitazioni, proscritti dalla propria patria, spogliati dei loro possedimenti, impediti con leggi eccezionali (quali già votaronsi dalla camera dei deputati in Francia) dall'insegnare, solo perchè le dottrine loro non si accordano con gli inquisitori ministeriali.
Finalmente il Siciliani eccita alla pugna nel campo della scienza le Università. Ma egli ben sa che in questo campo i filosofi cattolici sono più forti dei seguaci della filosofia eterodossa; e sa inoltre che «le cattedre in generale e quella di filosofia in particolare non di rado fanno addormentare beatamente tanto colui che parla, quanto, e più, coloro che ascoltano, e che tutti da quindici o vent'anni (guarda! proprio dall'anno 1859: che singolare coincidenza!) a questa parte siamo abituati a ripetere che le lezioni cattedratiche sono, massime trattandosi di certe materie, un dei malanni più gravi del nostro insegnamento superiore e soprattutto dell'insegnamento secondario (che è l'universitario); poichè per brillanti ch'elle sieno o che sembrino, altro non sono che polvere negli occhi; e per[ci]ò, non altrimenti che la nebbia, lasciano il tempo che trovano [4].» Adunque ad altro mezzo si appiglia. E questo è concedere al Governo piena autorità d'imporre un programma a tutte quante le scuole e, ciò che più monta, torre il diritto agli ecclesiastici di avere scuole [5]. Certamente, il mezzo più sicuro per non rimaner vinto nella tenzone, è di far sì che sieno legate le mani al proprio competitore. Il monopolio è più utile che la concorrenza.
Basta così. Era necessario che il lettore rimanesse convinto di quanto abbiamo detto al principio intorno all'atteggiamento che gli avversarii della Chiesa avrebbero preso contro la Regola Filosofica di Papa Leone XIII. L'esempio recato è opportuno, perchè non è un quale si sia anonimo che parla o scrive nei giornali: gli è un professore di filosofia e di alta pedagogia in una illustre università e che così parla al Ministro della pubblica istruzione. Per questo motivo, specialmente, ci siam preso il compito di confutarlo, a preferenza di altri, un po' alla distesa. Or veniamo a parlare delle altre classi dei dotti e dei filosofi.
[CONTINUA]

La regola filosofica di Sua Santità Leone P. P. XIII. proposta nella Enciclica «Aeterni Patris»

I. Gli antecedenti della Regola Filosofica stabilita dal Sommo Pontefice Leone XIII.
II. La Regola Filosofica considerata in sè stessa.
III. I conseguenti.
Seguita dei conseguenti.
IV. Seguita dei conseguenti - L'esecuzione della Regola Filosofica

NOTE:

[3] N. 224, 17 agosto 1879.
[4] Capitolo IV, pagg. 124.
[5] Capitolo III, pagg. 106.

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