LA REGOLA FILOSOFICA DI SUA SANTITÀ LEONE P. P. XIII, PROPOSTA NELLA ENCICLICA AETERNI PATRIS (III) [1]
R.P. Giovanni Cornoldi d.C.d.G.
La Civiltà Cattolica anno XXX, serie X, vol. XII (fasc. 705, 22 ottobre 1879), Firenze 1879 pag. 272-290.
III.
I conseguenti
Mettiamo mano al terzo articolo di quel Commentario che ci siam
proposti di fare sopra la Regola
Filosofica che ci viene data dalla Santità di Papa Leone
XIII nella stupenda sua Enciclica
Aeterni. Patris, e
trattiamo dei conseguenti.
Quali saranno i conseguenti di questa Ordinazione della Sede
Apostolica? Qualche lettore forse farà qui un risolino di
scherno, quasi noi volessimo pigliare un'aria profetica sopra gli
umani eventi futuri; cosa poco filosofica e che di leggieri fa perdere
il credito (e l'abbiam veduto a' nostri dì assai bene) a chi non
ha veramente un lume tutto proprio dall'alto. Ma se a prevedere gli
umani eventi, conoscendoli in sè medesimi o con assoluta
certezza, prima che avvengano, si richiede uno straordinario lume,
nondimeno a prevederli con grande probabilità o con certezza
morale, per cognizione derivata dalle cause fisicamente ed
assolutamente non con loro connesse, assai spesso basta il lume
naturale di ragione. Se tu porgi cibo squisito ad un affamato, non
potrai tu predire ch'ei lo mangerà? Eppure ei farà ciò
con piena libertà, di guisa che potrebbe non farlo. Così
con morale certezza possiamo predire gli atti ove pravi, ove
virtuosi di coloro che sono gagliardamente inclinati dall'abito del
vizio o della virtù. Per[ci]ò quell'adolescens iuxta viam suam etiam cum
senuerit non recedet ab ea, alla filosofica ragione sembra
chiaro, ed esser deve uno stimolo efficace a dare a' giovanetti buona
istruzione ed educazione. [Prov. XXII, 6: «Il giovinetto,
presa che ha la sua strada, non se ne allontanerà nemmeno
quando sarà invecchiato.» Mons. Antonio Martini così
commenta: «Volgasi egli (il
giovinetto) al bene od al male, non saprà più,
nè vorrà cangiar di costume neppur nella età
avanzata. Errano adunque quei genitori, i quali lascian (come suol
dirsi) la briglia sul collo de' giovanetti sperando di correggerli,
quando saran cresciuti d'età: e frattanto fortificandosi ogni
dì la prava consuetudine si riducono ad essere
incorriggibili.» N.d.R.]
Da tutto ciò possiamo inferire che il predire gli atti umani,
considerando l'indole e la disposizione del principio onde derivano,
è faccenda tutt'altro che aliena dal filosofo; anzi a lui
specialmente appartiene, perchè a lui spetta scender dalle cause
agli effetti, dagli antecedenti ai conseguenti. Ma entriamo in
carreggiata. Anzi tutto consideriamo quale dovrà essere
l'atteggiamento dei dotti, degli scienziati, dei filosofi innanzi a
questo documento della Sede Apostolica. Di cotesti parliamo,
perchè il volgo, che agli studii non volge l'animo, o i
letterati, che di belle lettere solo si dilettano, naturalmente non si
daranno gran fatto pensiero della Regola
filosofica del Santo Padre, oppure ripeteranno il giudizio di
quei tra i primi che loro sono maggiormente congiunti col vincolo
dell'amicizia o alla cui autorità sono avvezzi a deferire. Que'
che sopra dicevamo in varie classi debbonsi dividere, e di queste
classi abbiamo noi a ragionare partitamente.
La prima classe è di quelli che diremo eterodossi insolenti.
Questo vocabolo è duro, ma è il più benigno che qui si
possa adoperare. Infatti chi sono costoro? Sono quelli che impugnano
nel Pontefice la suprema autorità di Vicario di Gesù Cristo,
e non hanno che villane formole di dispregio contro le sapientissime
regole, onde governa la Chiesa cattolica. La massima parte degli
scienziati dei nostri giorni, ed una non piccola parte dei professori
delle università e dei licei ammodernati dell'Europa,
appartengono a questa classe. Di Dio non parlano: della religione solo
per combatterla o, meglio, per vilipenderla. Molto eruditi nel campo
delle esperienze e dei fatti, superlativamente ignoranti dei veri
principii razionali, onde
tutte le scienze debbono essere rette, e dei principii della fede
cattolica, si danno ad affermare che tra ragione e fede vi è
necessario dissidio, e che perciò la seconda devesi sacrificare
alla prima. Senza verun giudizio, a
priori tutto condannano ciò che appartiene alla Chiesa,
e per li Papi, per li dottori cattolici, per la dottrina speculativa e
per la morale cattolica manifestano odio, abbominazione, dispregio.
È vero che talvolta la parola loro sembra castigata alquanto; ma
la moderazione è qual esca che ricuopre l'amo, per sedurre
gl'incauti. A' nostri giorni costoro sono, in generale, epicurei e
nella speculazione e nella pratica, e riesce impossibile francarli da
ignoranza colpevole e da prava volontà. Come questi accoglieranno
la Regola Filosofica
di Papa Leone? Il divinarlo è cosa ben facile. Una costante ed
universale induzione, riguardo al loro modo di fare, ci rende chiariti
che si scaglieranno insolenti contro il Papa, negandogli
l'autorità di occuparsi di filosofia, lo diranno calpestatore dei
diritti dell'umana ragione, e senza aver letta la sua Enciclica
od almeno senza averla considerata, la diranno un monumento di antica
barbarie e di tirannico dispotismo; la traviseranno, la falseranno, si
studieranno di renderla abbominevole presso le moltitudini. E poi ben
si sa che costoro vezzo è
avere una tolleranza sconfinata per tutti gli errori e per tutti
quelli che li professano; ciò che loro è intollerabile
è la verità. Quando la verità, in qualche modo, o
direttamente o indirettamente o mediatamente o immediatamente, vuole
infrenate le prave tendenze dell'orgoglio e della sensualità, a
chi la professa, e propugna e diffonde, muovono guerra a tutta
oltranza e continuata e rabbiosa. Di che viene che, sebbene
abbiano fatto e facciano buon viso a tutte le empietà e le
balordaggini sciorinate da' ciarlatani oltremontani camuffatisi in
aria di filosofi, ed abbiano incensato ed incensino a que' governi
che, sbandita dalla scuola la religione e tutte quelle dottrine che ad
essa si aggiustano, o che alla medesima dispongono l'animo dei
discenti, non potranno non insanire contro il Vicario di Gesù
Cristo che, usando della legittima suprema sua autorità, vuole
che pure dottrine sieno date a' giovani dalle cattedre delle scuole
cattoliche; nè potranno tollerare che a maestro di filosofia
venga proposto l'Angelo delle scuole. Se
il Papa encomiasse la dottrina di Epicuro, la proponesse allo studio
dei dotti; se imponesse a tutte le scuole come maestro universale di
filosofia un Cartesio, uno Spinosa, un Loke, un Kant, un Hegel, un
Comte, un Hartman, od uno di que' tanti altri barbassori che
propugnano a' dì nostri l'abbietto materialismo, l'ateismo, ed
ogni bruttura, alti encomii gli si farebbono dal gregge dei moderni
epicurei, e verrebbe salutato Leone come il genio del nostro
secolo, come quello che, rotte finalmente le catene della
intellettuale schiavitù, ridona al pensiero la sua naturale
libertà, e con ciò inizia tra cattolici un'êra di vero
e di sconfinato progresso. Ma il proporre un Tommaso alle scuole
cattoliche, dovrà riuscire intollerabile. Che giova che l'Augusto
Pontefice con molti e irrefragabili argomenti [2] dimostri l'alta sapienza dell'Aquinate, la
sicurezza e la verità di sua dottrina, l'immensa riputazione
ch'ebbe nei secoli passati presso tutti i saggi; che giova che faccia
vedere a' ciechi che, posto che convenga proporre una filosofia nelle
scuole cattoliche, il migliore partito è proporre quella del
dottore medesimo? Tutto ciò naturalmente dovrà tornare
inutile per coloro che postergano la ragione al talento: stat
pro ratione voluntas: [«la volontà sta in
luogo della ragione» N.d.R.]
e che al fine stabilito di distruggere la cattolica religione vogliono
subordinate quali mezzi la educazione, la istruzione e specialmente il
filosofico insegnamento. Il pensare che adesso codesti dotti si
contengano in maniera diversa rispetto alla Enciclica
di Papa Leone XIII senza che prima si
convertano (e per conversione intendiamo mutazione di cuore,
assai più che d'intelletto) è contro all'ordinario procedere
dell'uomo nelle sue operazioni, ed è simile al supporre che un
torrente che va giù diritto e rovinoso, sospenda il suo corso, o
lo devii senza un ostacolo efficace ch'esso incontri.
Questo nostro discorso fatto a
priori comincia già ad avere la sua giustificazione nel
fatto: mercecchè così e non altramente si danno a fare
gl'insolenti avversarii della Chiesa e del Papa. Insultano
sconsigliatamente, si contradicono, tutto confondono, ma tirano
innanzi nel loro costume, come se al mondo non ci fosse anima viva che
si accorgesse che il loro parlare è contro logica, contro
prudenza, contro civiltà, contro tutto. Abbiamo letto parecchi
giornali, nei quali anonimi scrittori hanno, a cagione di questa Enciclica,
bistrattata la Sede Apostolica in maniera, direm chiaro, villana; e
abbiam persino letto che la Enciclica
Aeterni Patris è tale una colpa del Papismo,
che ne merita la distruzione. L'Opinione
primeggiò nelle insolenze fra molti se non fra tutti, e
c'intratterremmo a lungo intorno alla stessa, se già una penna
maestra non avesse egregiamente confutate le sue accuse nelle colonne
dell'Osservatore Romano:
ciò che pur fece la Voce
della Verità di Roma, la Scuola
Cattolica di Milano e noi pure, non è guari, nella Rivista della stampa. Tuttavia
è mestieri che tocchiamo soltanto e di passata la contradizione
in cui cade l'Opinione stessa;
perchè mentre stabilisce una premessa dalla quale ne deriva
nè più nè meno la illazione che egregiamente fece Papa
Leone nel proporre l'Angelico quale duce dell'insegnamento filosofico,
impudentemente bistratta il Santo Padre perchè lo propone.
Rechiamo quella premessa con le sue stesse parole [3].
«Davanti al nome di S. Tommaso noi c'inchiniamo. Egli fu grande.
In lui la sapienza cristiana si è sposata colla sapienza pagana e
orientale. Tutto il sapere che le meditazioni dei Padri e le loro
feconde polemiche avevano per più secoli accumulato; e quello che
Platone ed Aristotele, tradotti in latino, avevano apportato in
Occidente; non che, in fine, quello che ai due predetti tesori
sovrapposero gli arabi e gli ebrei, egli adunò nella sua
prodigiosa mente, e se ne valse per illustrare la fede, per
confermarla, per assicurarle l'assenso della ragione. Come i vangeli
sono il codice dei vulghi della cristianità, così la Somma è il vangelo dei
cattolici che pensano e che sanno. San Tommaso è il San Paolo del
secolo XIII. Nel suo vasto intelletto vediamo epilogarsi un movimento
intellettuale che durava da dodici secoli e del quale forse la storia
non vide mai altro più universale, più intenso, più
fecondo. Dei tesori di cognizioni varie e sparse, che dodici secoli di
meravigliosa attività mentale avevano messi insieme, egli
formò un organismo, che non è inferiore ad alcuna delle
più possenti sintesi, le quali siano mai state compiute da mente
umana. San Tommaso inspira bensì il pensiero di Dante, il
più profondamente nazionale dei poeti italiani, ma la sua patria
però, è l'orbe cattolico. E in quel modo che egli,
incarnazione del cattolicismo, era stato nel medio evo il più
valoroso e ostinato difensore dell'essere individuale delle cose e
personale dell'uomo, non altrimenti contro di lui si concentrò
tutta la reazione del Rinascimento e dell'età moderna, che
contrapposero all'autorità della ragion cattolica il libero
esame, al concetto dell'individuo e della persona il concetto del
tutto, alla varietà sostanziale degli esseri l'unità
assoluta dell'essere.
«Rapprentante maggiore e più completo di San Tommaso non
ha, per vero dire, la filosofia cattolica. La Chiesa lo inscrisse tra
i santi, perchè l'onestà della vita non era stata minore
della grandezza delle opere. Altri santi, forse, sono stati dalla
Chiesa adorati con più abbondanza di amore, con più
affezione, ma nessuno con più larghe dimostrazioni di riverenza e
di onore, con più umiltà. Della venerazione costante ed
incomparabile in cui lo ebbe la cattolicità, il Santo Padre
arreca non pochi esempi nella sua finissima e dotta Enciclica.
Ma in questo ragguardevole documento della sapienza pontificale ci
è parso che la venerazione, alterata dall'entusiasmo, si
convertisse pressochè in idolatria. La lettura dell'Enciclica
ci ha fatto richiamare alla mente i giudizi portati sopra San Tommaso
dal Papa, che lo chiamò a sedere tra i santi, e dall'illustre
dottore, che gli era stato principale maestro. Nella cattedrale di
Avignone, celebrando Giovanni XXII pontificalmente la messa in onore
di S. Tommaso, presenti il re Roberto di Napoli e la regina,
dopochè il giorno innanzi (17 luglio 1323) era stato compiuto il
processo di santificazione, il Papa mentre faceva l'elogio del novello
santo, disse di lui le storiche parole: Quot
articulos scripsit, tot miracula fecit.
[«Quanti articoli ha scritto, tanti miracoli ha fatto» N.d.R.] Alberto il Grande, stato
maestro di San Tommaso, del quale, chiamandolo i condiscepoli il bue
muto, aveva detto — ipse
talem dabit in doctrina mugitum, quod in toto mundo sonabit
—, [«Egli emetterà colla sua dottrina un tal
muggito, che ne rimbomberà tutto il mondo» N.d.R.]
mutato poscia il suo presentimento in certezza, pronunziò sopra
l'Aquinate quel lirico giudizio, che l'altro ieri abbiamo visto
ripetuto, con parole alquanto più discrete, nell'Enciclica:
Frater Thomas in scripturis suis
finem imposuit laborantibus usque ad finem saeculi: et quod omnes
deinceps frustra laborarent. [«Fra Tommaso ha
posto fine a tutti gli scrittori a venire fino alla fine dei secoli,
talchè da lui in poi tutti faticheranno inutilmente.» N.d.R.]
«Un giudizio così assoluto e così straordinario, per
il quale l'opera umana è innalzata alla dignità dell'opera
divina, non meraviglia alcuno, quando lo si ode dalla bocca di Alberto
il Grande, che vedeva la sapienza cristiana, oltre alla quale non gli
permetteva il tempo suo di concepirne altra, maturarsi e compiersi nel
sovrano intelletto di San Tommaso.»
Quale giusta illazione uom ragionevole dovrebbe dedurre da un
così fatto discorso? Che dunque si abbia dai cattolici San
Tommaso in qualità di duce dell'insegnamento filosofico, con
queste due condizioni. La prima che si aggiunga tutto quello che da
chicchessia o prima o dopo di San Tommaso fu sapientemente detto, e
che nel medesimo dottore formalmente
espresso non si ritrova, sebbene non possa non ritrovarsi virtualmente nei suoi
principii. La seconda che si accettino tutti i fatti
certi delle fisiche scienze e le illazioni che logicamente
scaturiscono da essi fatti; e tutto questo si coordini coi principii
razionali, esposti dall'Aquinate, i quali appunto perchè
razionali non possono giammai da veri diventare falsi. Ora queste due
condizioni sono egregiamente notate dal Santo Padre, mentre propone
l'Aquinate a' cattolici qual duce nella filosofia. Dunque lo scrittore
avesse voluto attenersi alla logica, avrebbe dovuto conchiudere dalle
lodi prodigate all'Angelico, nè più nè meno di quello
che ne inferì Papa Leone. Tutt'altro! Insulta al Sommo Pontefice,
lo ha in conto di calpestatore dei diritti della ragione, parla in
guisa da far credere che egli imponga a fedeli tutte le singole
proposizioni della filosofia di San Tommaso quali dogmi, anzi pretenda
di tramutare la scienza in fede, ed, esclusa la dimostrazione
filosofica, voglia che sopra la sola autorità dell'Aquinate tutta
si debba fondare la filosofia. Queste sono vere menzogne e vere
calunnie, che al manco totale di logica e di buon senso vengono
congiunte dall'Opinione, ma
noi qui le trascorriamo.
Se non che non ci conviene passare sotto silenzio un tratto di un
Opuscolo testè pubblicato in Bologna con questo titolo: La
scienza dell'educazione nelle scuole italiane come antitesi della
pedagogia ortodossa: il cui autore è Siciliani Pietro
professore di filosofia e di alta pedagogia nell'Università della
stessa città. Cotesto libro dal Siciliani è indirizzato al
Ministro della pubblica istruzione, affinchè ben conosca che cosa
per lui fu fatto nell'ultimo triennio e quali siano i suoi
intendimenti sul da farsi. — Questa è per noi una buona
ragione per esaminare le idee che vi si contengono; e speriamo che con
questo esame venga corretta la inconsulta opinione di que' cattolici
(e sono pochissimi) i quali nelle controversie scientifiche, direm
così, di primo ordine, vorrebbono fare appello alle sentenze
delle moderne università. Ecco come parla il Siciliani.
«E a questa maniera dov'è egli pervenuto il Papismo nel
1879?
«Per una parte egli è arrivato all'ultimo degli assurdi;
per l'altra, alla più infantile delle illusioni.
«L'assurdo è questo. Rifuggendo al passato e imboscandosi
nel più fitto medioevo, il Papismo non solo è giunto
all'estrema posizione a cui doveva ineluttabilmente riuscire, ma
ciò che più monta, con ardimento novissimo l'ha fin anche
sconfinata. Ha insomma oltrepassato il medioevo scolastico,
scancellando imprudentemente nella filosofia in generale, e nella
filosofia ortodossa in particolare, e a tutto benefizio del dogmatismo
teologico, fin quella vecchia ed ingenua distinzione tra le
verità d'ordine rivelato, e le verità d'ordine razionale
— ciò è a dire fra la soggezione e l'indipendenza del
pensiero —, nella quale molto seraficamente si cullavano, e
dietro alla quale un po' furbescamente si rimpiattavano pro
bono pacis, presso che tutt'i nostri filosofi del Rinascimento.
«L'allucinazione ed illusione infantile, poi, è che la
pedagogia ortodossa, con l'Enciclica
Aeterni Patris, ha
piantato le colonne d'Ercole non pure alla speculazione teologa
— già da secoli fatta magra, sterile e intisichita —,
ma alle più intime e vitali energie del pensiero in generale: nel
che il Papismo ha creduto e ha lasciato credere, illudendo a sè
medesimo ed altrui, d'aver recato ad amichevole consentimento la fede
e la ragione, e condotto a mirabile conciliazione dialettica
l'esperienza e il verbo rivelato, il domma e la verità
d'osservazione immediata o mediata che sia.
«Questione adunque — ripetiamolo a sazietà —,
di vita o di morte!
«Alla Scolastica che il Papismo con intolleranza fastidiosa
vuole imporci novellamente, noi tutti contrapponiamo una modesta
filosofia sperimentale: una filosofia che lungi dall'affermar
dommatico o dal dommatico negare, si sta contenta nella ricerca
indefessa del vero, nella critica severa de' fatti, nel castigato
ragionare su le fidate basi delle osservazioni. Talchè, se in
mezzo a tanto sfolgorio di scienze rinnovate Papa Leone XIII, in nome
della fede, e dopo quattro secoli d'immane travaglio del pensiero
umano, vuol rinculare fino all'incancherito Tomismo; noi, in nome dei
fatti e della esperienza, riverenti e fiduciosi ritorniamo al martire
della scienza, ritorniamo a Galileo Galilei, e alla modesta,
ma gloriosa scuola del Cimento.
«Alle vantate, ma incomprensibili esigenze del domma e d'una
speciale rivelazione del sovrintelligibile; ad un impensabile
soprannaturalismo, rimpetto a cui questo mondo non sarebbe altro che
un'ombra fuggevole, ovvero un puro meccanesimo, un cadavero mosso, a
così dire, da una forza galvanica estrinseca, attergata,
arbitraria; noi opponiamo, dall'una parte, l'esigenza della ragione,
e, dall'altra, il gran fatto della natura: della natura attuosa, viva,
possente, sempiterna, benchè rivelantesi — direbbe il Bruno
— attraverso ad una meravigliosa e profonda
magia.
«All'oggetto della credenza dommatica, infatti, cioè al
mistero, che necessariamente
superiore alla ragione, è per ciò stesso
(checchè ne dica la inane sottigliezza della filosofia ortodossa)
contrario alla ragione, opponiamo l'inconoscibile,
e quell'inconoscibile che, non implicando contraddizione, non è
per conseguenza null'affatto contrario alla ragione; e non è
contrario alla ragione, stante che può — e nessuno
saprà mai dimostrar che e' non possa — da soggetto superiore
diventar termine equato
alla virtù speculativa via via progredente dell'intelligenza.
«Non è dunque lecito, e non sarà mai lecito
rassomigliare in veruna guisa, come d'ordinario si piaccion fare i
nostri filosofi teologizzanti, il mistero propriamente dommatico, col
mistero o con l'inconoscibile di certi problemi matematici, o di certi
fenomeni di natura, de' quali ignoriamo la ragione, ignoriamo le
intime cause, benchè ne conosciamo la legge.
«Alla autorità chiesastica che, come instituzione sociale,
con sì disinvolta sicurezza, accampa un'origine positiva divina
non dimostrata nè dimostrabile, e che ormai si riduce ad un
mitologico ciarpame da panche di scuola, opponiamo i diritti dello
spirito umano: opponiamo que' diritti, che ci parlano chiaro, che
s'affermano legittimi, che s'impongono luminosi alla coscienza
individuale e collettiva della società moderna.
«Perciò alla potestà teocratica fondata in un'assurda
origine divina, sostenuta da quel filo tradizionale sempre celebrato,
sempre gonfiato, sempre più risaldato nella coscienza popolare
con l'incalzarsi de' secoli, noi porremo contro la realtà
dell'organismo sociale naturale e
la dignità dello stato moderno. Porremo contro la ragione, la
comun volontà fatta ragione, o, per dirla col padre della critica
francese, «la volonté des tous exécuté par un seul
ou par plusieurs en vertu des lois que tous ont portées.»
«Finalmente — ed ecco la conclusione che più da
presso ci tocca —, ad una pedagogia pesante, invischiante,
petulante; ad una pedagogia che spaventata dell'inferno e ubbriacata
di paradiso, con mistico formalismo porge evidenti segni di volersi
riorganizzare sempre più dommaticamente e biecamente; ad una
pedagogia che arcigna, riottosa e in none dell'insipiente credo
quia absurdum pretende l'asservimento dell'intelligenza,
pretende il sacrifizio della volontà, pretende l'abnegazione
d'ogni senso proprio e la rinunzia d'ogni giudizio personale; —
noi, in nome della scienza indipendente e positiva; in nome
dell'originaria inalienabilità de' diritti umani, opponiamo una scienza dell'educazione
organizzantesi in maniera tutta naturale, tutta razionale, tutta e
schiettamente filosofica.
«Contrapponiamo, in somma, una pedagogia positiva che, da una
parte, con Emmanuele Kant, pone a «vero principio dell'educazione
la pura idea della legge morale» e dall'altra, col Mill bandisce
come «fine supremo dell'arte pedagogica il concetto del carattere
etico, e per ciò della libertà morale.»
«Libertà di pensiero e libertà etica da formare, da
apparecchiare, anzi da creare nella scuola, e col mezzo principalmente
della scuola. Libertà politica, sociale e religiosa da raffermare
sempre più, da guarentire rispettare in seno alla società.
«Or d'onde e come dee muovere cotesta opposizione, cotesta
opposizione compatta, seria, gagliarda, consapevole? L'abbiamo
già detto, e lo ripeteremo anche una volta.
«Deve muovere innanzi tutto dal grande focolare delle Università
degli studii. — »
Tutta questa chiaccherata ho dovuto testualmente recare,
affinchè si vegga come parlino i professori non solo di
filosofia, ma di alta pedagogia che avviano al magistero la
gioventù dell'uno e dell'altro sesso, e quali idee manifestino al
presente governo perchè la educazione e la istruzione si adergano
all'altezza dei tempi moderni. Il lettore tocca con mano che lo
sbandire che vuolsi fare dallo insegnamento la religione cattolica o
dallo Stato non significa in concreto un
solo prescindere dalla medesima, ossia un non parlarne
nè in bene nè in male; ma significa muoverle aperta guerra
in ogni occasione che si dia, innanzi, ed in ogni modo possibile. Ma
entriamo un poco a discorrere del professore Siciliani.
È chiaro che questi ama che si sappia da tutti, ch'ei non è
nè cattolico, nè cristiano, mercè che egli non
riconosce nessuna autorità divina nel Papa, e giudica non provata
ed assurda la rivelazione. Non cale investigare s'egli voglia essere
franco da ogni religione, o se taluna in cuor suo ne vagheggi; il
dovere c'impone di pensare di lui il meno male che far si possa.
Questa pubblica professione di non essere nè cattolico nè
cristiano, fatta da un professore di filosofia e di alta pedagogia, e
l'aizzare il Ministro dell'Istruzione a valersi efficacemente delle
Università per combattere e distruggere il cattolicismo in uno
Stato la cui legge fondamentale è che sia Cattolica
la sua religione, sembrerebbe strano, se oggimai non si
conoscesse la portata di quella legge nell'amministrazione della cosa
pubblica. Ma non facciamo preamboli e rechiamo a disamina di quanto
abbiamo testualmente riferito ciò che si attiene alla presente
questione.
La sua diatriba si divide agevolmente in due parti: la prima consiste
nel provare la reità della ortodossa Regola
Filosofica di Leone XIII: la seconda nell'esporre il piano di
guerra per impedire che la stessa Regola
Filosofica si attui, e per far sì che trionfi una Regola
eterodossa affatto contraria.
Egli afferma che la Regola
Filosofica di Leone XIII è 1° l'ultimo, ossia il
massimo assurdo, 2° la più grande infantile illusione.
L'unico (si noti che è unico)
argomento onde prova la prima affermazione è questo. La Regola
Filosofica di Leone nega esservi distinzione tra verità
rivelate e verità non rivelate; ed ogni verità riduce a dommatismo teologico. Ma, caro
professore, ella ha letto a rovescio l'Enciclica
ed ha preso il no in
conto di sì. Infatti
apertamente ed espressamente Leone nella Enciclica
afferma quella distinzione; e di più non riduce a dommatismo
teologico veruna, ben
lo intenda, veruna verità
filosofica che prima di lui non fosse già stata riconosciuta qual
domma. Il Papa usò un suo diritto e compiè un suo dovere
regolando la filosofia nelle scuole cattoliche e prescrivendo un duce,
al fine di togliere una pericolosissima licenza che reca dissidii e
trascina all'errore. Volle che questo duce fosse l'Aquinate,
accettando insieme tutte le verità dette da chicchessia,
comechè non fossero formalmente espresse nella dottrina del
medesimo dottore, e pur accogliendo tutte le utili scoperte delle
scienze esperimentali. Ma questo è ben altro che innalzare a dommi le singole proposizioni
della filosofia dell'Aquinate; e dopo l'Enciclica
di Leone non potrà per certo essere altri tacciato di
eretico, quantunque impugni non solo con le labbra, ma ancora con la
mente qualunque proposizione filosofica dell'Aquinate, salvo se non
sia identica a ciò che per lo innanzi s'ebbe quale domma di fede.
Adunque l'unico argomento ch'Ella adopera, signor professore, a
provare la sua prima affermazione non regge punto, e farebbe cosa
lodevole ritirandola.
Eppure dovrebbe Ella ritirare ancor l'altra. Di vero come la prova?
Con due ragioni: la prima perchè l'Enciclica
pretese di aver piantato le colonne d'Ercole all'energie
del pensiero: la seconda perchè il Papa si persuade di
avere recato ad amichevole concordia ragione e fede: entrambe
infantili illusioni. Vana è la prima ragione.
Imperocchè in due maniere si può intendere quel freno posto
all'energie del pensiero: o
impedendo che il pensiero vada all'errore; o impedendo che il pensiero
vada alla conquista di verità non prima conosciute. Ma vi è
nell'Enciclica
una parola che disveli nel Papa la credenza che gli uomini non
ammetteranno mai più l'errore nei loro pensieri? E vi è
parola, che indichi in lui la persuasione che più non si possa
discoprire una non prima conosciuta verità? Nulla di ciò. Egli è ben vero che come i
principii di contradizione e di causalità sono i semi che
virtualmente contengono tutte le scienze, perchè in tutte le
proposizioni scientifiche analitiche si fa l'applicazione di quello,
e in tutte le sintetiche si fa l'applicazione di questo, così
si può e si deve dire che la somma dei principii razionali, nei
quali sinteticamente si racchiude tutta la filosofia dell'Aquinate,
contiene virtualmente tutte le verità scientifiche e di
conseguenza pure virtualmente contiene la confutazione di tutti gli
errori a coteste verità contrarie. Ma nemmeno un imberbe
trilustre trarrebbe da ciò l'illazione che Tommaso abbia
conosciuti tutti i conoscibili fenomeni della natura, abbia inventato
tutto ciò che è utile all'uomo e all'umana società, e
determinate tutte quelle
innumerabili verità che nei principii da lui formalmente ed
espressamente proposti e dimostrati si contengono. I principii,
chiarissimo professore, non sono le illazioni, e dove quelli son
pochi, queste sono indefinite: nemmeno i fatti sono i principii, i
quali fontalmente derivano dai fatti e ai fatti si possono
indefinitamente applicare. Non confondiamo la bilancia col caffè
cui pesa; nè abbiamo per una stessa cosa il metro e il panno
ch'è misurato dal metro stesso. Tale confusione ci renderebbe
immeritevoli del nome di uomini assennati, nonchè di filosofi.
Quello che in secondo luogo adduce il Siciliani per dimostrare la
infantile illusione di Papa Leone XIII è affatto fuor di
proposito. Conciossiachè in quel credere che la fede siasi
conciliata con la ragione e colle scienze esperimentali, debbesi fare
una distinzione; nè al chiaro professore incresca il distinguere,
perchè chi non distingue confonde.
Vi è una conciliazione che si può affermare a
priori, ed in universale:
ve n'è altra che si può dire a
posteriori e in particolare.
Faccia attenzione e gli sarà chiarita ogni cosa. Prendiamo
ad esempio questo principio: non
ci è effetto senza sua cagione: ossia ciò che non
era e ch'è richiede una causa che dal non esistere lo rechi
alla esistenza. Essendo noi certi della verità di cotesto
principio, ed egualmente certi che una verità non può
essere distrutta da nessun'altra verità, nè da nessun
fatto particolare, possiamo senza temenza di errare affermare a priori ed in universale
che il medesimo principio si concilia con tutte le scienze
e con tutti i fatti della natura. Ma troppo ci vorrebbe a
misurare tale principio con tutte le singole verità scientifiche;
ed impossibile cosa a noi è applicarlo a tutti i singoli fatti
della natura: imperocchè non solo innumerevoli che esistettero
sono a noi ignoti, ma in numero indefinito sono ancora in potenza ad
esistere. Perciò la conciliazione qui non si può considerare
come fatta a posteriori ed
in particolare. È
vero, è giusto questo discorso o non l'è? Lo è per
certo e il professore con noi non può non convenire. Ora veniamo
al caso nostro.
Leone XIII è certissimo
che Dio non può nè errare nè mentire, e perciò
è certissimo che è infallibilmente vera ogni proposizione
rivelata. Ma alla verità non può contradire altra
verità od alcun fatto; dunque egli deve essere pure certissimo
che ogni verità scientifica che ogni fatto scoperto o da
scoprirsi deve conciliarsi con la fede. Ma egli non ha
comparate le proposizioni rivelate con tutte le singole proposizioni
scientifiche e coi singoli fatti che hanno esistito e che esisteranno.
Dunque ha tutto il diritto di affermare la conciliazione della fede
colla ragione e colla esperienza a
priori ed in universale, comechè non la affermi a
posteriori e in particolare. Ma v'è di più.
La fede è verità:
dunque è impossibile che si concilii con l'errore. Di qua viene
che la fede può e deve dirsi conciliata con quella filosofia
ch'è vera; può
e deve dirsi inconciliabile colle filosofie false. False sono tutte
quelle filosofie che violano i primi principii di ragione, quali
sono per esempio: che una cosa non può essere e non essere nel
medesimo tempo sotto lo stesso rispetto: che nulla v'è senza
ragione sufficiente: che non può esservi effetto senza cagione
a sè proporzionata. Ora le filosofie materialiste,
ateiste, panteiste, idealiste, e quindi tutte quelle che per
eccellenza diconsi moderne, violano que' principii: dunque esse sono
inconciliabili con la fede. La filosofia sola dell'Aquinate, battuta
al martello della critica per molti secoli ed anco a dì nostri,
non s'è trovata violatrice dei sopradetti principii; anzi si
è trovato ch'essa sempre gli esprime: perciò si ha da dire
che può e deve essere la medesima in perfetta armonia con la
fede. Quando diciamo che non si
è trovata violatrice di que' principii non intendiamo
già far punto allusione a que' molti giudici senza giudizio e
senza cognizione di causa, i quali hanno confuso la
filosofia dell'Aquinate con la fisica esperimentale dei
vetusti alchimisti o con l'astrologia dei vetusti astrologi, od hanno
proferito contro essa l'anatema senza conoscerla affatto, abbindolati
(cosa poco filosofica) dall'autorità di certuni più
ciarlatani che filosofi. Parliamo di quei filosofi che bene la
conobbero, e la sottoposero a vero esame, secondo le regole logiche.
Ora, Papa Leone da un lato sa che da per tutto si grida trovarsi la
fede in opposizione con la scienza; dall'altro lato sa pure che questa
scienza che si adduce come contraria alla fede è una scienza
violatrice degli immutabili principii della ragione. Adunque deve
conseguentemente giudicare che ove si adotti la vera
filosofia (e questa non può essere che una ed è
quella dell'Aquinate) la strombazzata opposizione va in dileguo, e per
converso la conciliazione si fa manifesta. Che resta adunque delle
ragioni onde il chiaro professore si confida di dimostrare la
sua seconda affermazione? Nulla ci resta. Di che viene che a
torto proferì quelle due affermazioni. «Per una parte il
Papismo egli è arrivato all'ultimo degli assurdi: per
l'altra, alla più infantile delle illusioni.»
Ma alla nostra volta gli mandiamo di rimbalzo le due affermazioni
medesime dicendo. «Dov'è pervenuta la filosofia eterodossa
del 1879? Per una parte la è arrivata all'ultimo degli assurdi;
per l'altra alla più infantile delle illusioni.» È
arrivata all'ultimo degli assurdi, perchè nega il vero Dio che
è il fondamento di ogni fatto e di ogni verità: perchè
in realtà viola il
principio di contraddizione, di ragione sufficiente e di
causalità, mettendo tra suoi fondamentali principii che il mondo
non è contingente e non è effetto di una causa necessaria e
perfettissima; affermando che v'è nell'uomo la vita intellettiva
ma non il principio di essa cioè un'anima immateriale,
incorruttibile ed immortale; che la scienza veri
nominis, [= la scienza di
vero nome, cioè la scienza vera. N.d.R.]
la quale consiste in proposizioni certe ed immediatamente o
mediatamente evidenti, sia mutabile; ed in fine che vi possa essere
verace opposizione tra fede e scienza. La somma di questi assurdi e di
altri assai è il massimo assurdo e in questo cadde la filosofia
eterodossa.
Di più è arrivata alla più infantile delle illusioni.
Infantile illusione è la libertà di pensiero e di parola.
Che direbbe il signor professore, se altri sostenesse in faccia a lui
che egli è libero di pensare e di dire che egli è un
ignorante, un fellone, un vile? A tutta ragione, gli negherebbe
cotesta libertà: l'avrebbe in conto o di un tristo o di un
fanciullo. Vi è libertà fisica
di pensare, di non pensare e di pensare secondo il proprio
talento: questa libertà è ammessa dalla filosofia ortodossa.
Ma libertà morale di non conformarsi, nel giudicare, all'oggetto
dei nostri pensieri: questa nè v'è nè potrà
giammai esservi. Dobbiam giudicare delle cose come sono in realtà
e non altrimenti. Non abbiamo libertà morale di dir vero ciò
ch'è falso: di dire onesto ciò ch'è disonesto. Questa
libertà non si può concedere che ai fanciulli, i quali
all'aurora della vita hanno in molte cose vera libertà fisica; ed
hanno (in qualche senso) libertà morale per difetto di cognizione
intellettiva dei primi principii della moralità, e perciò
non possono andare soggetti alla colpa. Concederla agli adulti è
infantile illusione.
La filosofia eterodossa è arrivata ancora alla
più infantile illusione, perchè crede che
l'epicureismo nel quale miseramente essa si è imboscata,
sia l'apice del progresso intellettuale e morale, e perchè si
persuade che l'epicureismo sia bello e conciliato colla scienza e coi
fatti della natura. Ma i fanciulli vanno soggetti ad un'altra
illusione, la quale è di credere che gli uomini adulti prestino
fede alle loro fiabe fanciullesche. E a questa illusione pur
arrivarono i filosofi eterodossi, perchè giudicano che tutti gli
uomini presto o tardi debbano accogliere come purissima filosofia i
loro errori, le loro follie.
Rimandate di rimbalzo contro la filosofia eterodossa le accuse che
furono scagliate contro il Papa e la sua Regola
Filosofica, entriamo a vedere brevemente il piano di
battaglia ordito contro la medesima Regola.
Il pericolo in cui si trova la filosofia eterodossa è
grave. Il Siciliani ci dice: «questione adunque, ripetiamolo a
sazietà, di vita o di morte!»
All'armi adunque contro la filosofia ortodossa proposta dal Sommo
Pontefice.
Alla scolastica che vuole che
rinculiamo all'incancherito Tomismo si opponga un castigato
ragionare e una critica
severa dei fatti. Diciamo al Siciliani che la ortodossa
filosofia accetta la disfida: non teme quest'armi perchè sono le
sue proprie. Alla filosofia
eterodossa che vuole che rinculiamo
all'incadaverito epicureismo non opporremo dommatiche
affermazioni (queste non fanno nel puro campo della scienza) non
l'autorità sola di questo o di quello, non il dispregio, non la
menzogna, non l'onta, non la calunnia (sono armi queste de' nostri
avversarii): ma ragioni e
fatti, severa logica,
sincera e non mentita esperienza, castigato
ragionare e critica severa.
Al soprannaturale, dice il Siciliani, nel quale vuolsi comprendere
anche la esistenza di Dio, opponiamo la natura, ed a ciò
ch'è superiore alla ragione
e perciò l'è contrario, opponiamo l'inconoscibile.
Il professore qui esce dal seminato. Imperocchè va ad attaccare
direttamente la fede, dimenticandosi che qui si tratta di filosofia.
Tuttavolta avvertiamo soltanto che cade in contraddizione chi afferma
che il soprannaturale è distrutto dalla natura: come cadrebbe in
contraddizione chi dicesse che la sopravvesta non ci può essere
se vi è la vesta. Il sopra e il sotto sono termini relativi e il
soprannaturale essenzialmente suppone
il naturale e la natura. Sappia eziandio che appunto il mistero dicesi superiore alla ragione umana,
perchè è inconoscibile ad
essa, considerata quella virtù che ora
ha. Se Dio oltre il lume naturale che le ha dato, le desse un
lume superiore, allora potrebbe vedere
ciò che presentemente soltanto
crede. Inoltre, il mistero non può dirsi nè
superiore alla ragione assolutamente, nè assolutamente inconoscibile,
sì piuttosto superiore alla ragione umana
o alla ragione creata ed a questa solo naturalmente inconoscibile.
Innanzi alla divina ragione nulla è inconoscibile, nulla ad essa
superiore. Vi sono degli animali che non hanno il senso della vista o
dell'udito: e che forse, perciò solo avremo il diritto di dire
che gli oggetti della vista o dell'udito sono superiori al senso in
generale; od anche che sono opposti
al senso di quelli animali che non possono percepirli?
Nullameno! Quelli che sono misteri alla nostra non sono misteri alla ragione in universale: e
perchè di essi qui non possiamo avere evidenza, non abbiamo il
diritto di dirli contrarii a quelle verità che a noi sono
evidenti. Chi è filosofo non può parlare altrimenti.
Prosegue il Siciliani dicendo che all'autorità
chiesastica che ormai si riduce ad un mitologico ciarpame da panche
da scuola ed alla potestà teocratica fondata in un'assurda
origine divina, voglionsi opporre i diritti dell'uomo e la
dignità dello Stato moderno: e
ad una pedagogia spaventata dell'inferno che impone il credo quia absurdum devesi
obbiettare una scienza
dell'educazione naturale, razionale, filosofica. Qui pure
eccita a combattere direttamente la religione cattolica, anzichè
la filosofia ortodossa e la Regola
Filosofica di Papa Leone. Però ci contenteremo di dire
al Siciliani che s'inganna a partito e si contraddice, quando riduce a
ciarpame da panche di scuola
l'autorità chiesastica. Questa da circa diciannove secoli
resistette a tutte le opposizioni e le vinse, ed ha ancora tutta la
vigoria dell'età giovanile. E perchè ella dice la presente
questione suscitata dalla Regola filosofica di Leone, questione di
vita o di morte? Il filosofo che accetta il principio che la causa
deve essere proporzionata all'effetto, dee pur confessare che di tanta
sua paura vi deve essere causa sufficiente. Un mitologico
ciarpame da panche di scuole non può produrre cotanto
effetto.
Le fo ancora notare, egregio
professore, che nessun cattolico allorchè fa un atto di fede
può dire (se non è un pazzo, e in tale ipotesi il suo non
è atto di fede) credo quia
absurdum: ma deve dire credo ciò perchè da Dio
è rivelato; e Dio non può nè errare nè mentire
dandomi a credere il falso. Non vede che invece di essere un atto di
fede sarebbe un atto blasfemo? Verrebbesi a dire che Dio propone a
credere come vero ciò ch'è falso, o perchè egli
s'inganna, o perchè ci vuole ingannare. Così dobbiam dire
se la parola absurdum indica
ciò ch'è assolutamente falso, come volgarmente s'intende,
e qui pure da lei devesi intendere.
All'opporsi che si fa la
dignità, o per parlare più disvelatamente la
forza dello Stato alla Chiesa, nulla diremo. Speriamo
soltanto che il Siciliani il quale mette in sulla fronte di Galileo
l'aureola di martire, perchè fu dall'Inquisizione confinato per
poco in un palagio nobilissimo, ove stava a tutto suo agio, non
vorrà essere avaro nel dare una simile aureola di martire a que'
tanti ecclesiastici che furono espulsi dalle loro abitazioni,
proscritti dalla propria patria, spogliati dei loro possedimenti,
impediti con leggi eccezionali (quali
già votaronsi dalla camera dei deputati in Francia)
dall'insegnare, solo perchè le dottrine loro non si accordano con
gli inquisitori ministeriali.
Finalmente il Siciliani eccita alla pugna nel
campo della scienza le Università. Ma egli ben sa che in
questo campo i filosofi cattolici sono più forti dei seguaci
della filosofia eterodossa; e sa inoltre che «le
cattedre in generale e quella di filosofia in particolare non di
rado fanno addormentare beatamente tanto colui che parla, quanto, e
più, coloro che ascoltano, e che tutti da quindici o
vent'anni (guarda! proprio
dall'anno 1859: che singolare coincidenza!) a questa parte
siamo abituati a ripetere che le lezioni cattedratiche sono, massime
trattandosi di certe materie, un dei malanni più gravi del nostro
insegnamento superiore e soprattutto dell'insegnamento secondario (che è l'universitario);
poichè per brillanti ch'elle sieno o che sembrino, altro non sono
che polvere negli occhi; e per[ci]ò, non
altrimenti che la nebbia, lasciano il tempo che trovano [4].»
Adunque ad altro mezzo si appiglia. E questo è concedere al
Governo piena autorità d'imporre un programma a tutte quante le
scuole e, ciò che più monta, torre il diritto agli
ecclesiastici di avere scuole [5].
Certamente, il mezzo più sicuro per non rimaner vinto nella
tenzone, è di far sì che sieno legate le mani al proprio
competitore. Il monopolio è più utile che la concorrenza.
Basta così. Era necessario che il lettore rimanesse convinto di
quanto abbiamo detto al principio intorno all'atteggiamento che gli
avversarii della Chiesa avrebbero preso contro la Regola
Filosofica di Papa Leone XIII. L'esempio recato è
opportuno, perchè non è un quale si sia anonimo che parla o
scrive nei giornali: gli è un professore di filosofia e di alta
pedagogia in una illustre università e che così parla al
Ministro della pubblica istruzione. Per questo motivo, specialmente,
ci siam preso il compito di confutarlo, a preferenza di altri, un po'
alla distesa. Or veniamo a parlare delle altre classi dei dotti e dei
filosofi.
[CONTINUA]
La regola filosofica di Sua Santità Leone P. P. XIII. proposta nella Enciclica «Aeterni Patris» |
I. Gli antecedenti della Regola Filosofica stabilita dal Sommo Pontefice Leone XIII. |
II. La Regola Filosofica considerata in sè stessa. |
III. I conseguenti. |
Seguita dei conseguenti. |
IV. Seguita dei conseguenti - L'esecuzione della Regola Filosofica |
NOTE:
[3] N. 224, 17 agosto 1879.
[4] Capitolo IV, pagg. 124.
[5] Capitolo III, pagg. 106.
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