LA REGOLA FILOSOFICA DI SUA SANTITÀ LEONE P. P. XIII. PROPOSTA NELLA ENCICLICA AETERNI PATRIS (I)
R.P. Giovanni Cornoldi d.C.d.G.
La Civiltà Cattolica anno XXX, serie X, vol. XI (fasc. 702, 9 settembre 1879), Firenze 1879 pag. 657-672.
Al tempo della quarta crociata, gli eserciti latini circondavano
Costantinopoli dalla parte di terra; in quella parte che si specchia
nel Bosforo combattevala l'armata veneziana. Grande era il valore di
quegli eserciti: ma perchè non coordinato sapientemente da un
abile duce, si stremava in vani attacchi; schiere d'eroi irrompevano
contro le mura della greca città e s'infrangevano come onde
frementi contro immobile rupe. La battaglia cangiò d'aspetto
quando Enrico Dandolo, pressochè ottuagenario, Doge e condottiero
dell'armata navale, montato in poppa della capitana, arringò i
suoi e loro intimò la maniera che subito doveano tutti tenere
nell'assaltare la città. Alla voce del valoroso vegliardo, tutte
le navi veneziane accostaronsi alle mura e in un baleno, per usare la
parola dello storico di Innocenzo III, in un baleno sbarcati i prodi
conquistarono venticinque torri e sopra piantatavi la veneta bandiera,
entrarono vincitori in Costantinopoli. Tant'è! Se
la prudente ed opportuna parola di esperto capitano non incentri in
unità di azione le forze tutte dei combattenti, queste
disperdonsi, la guerra si prolunga, la baldanza dei nemici aumenta,
diminuisce la speranza della vittoria, o almeno questa non si
può vedere che in lontananza.
Così avviene nel caso nostro. La guerra tra la verità e
l'errore e conseguentemente tra il bene ed il male è antichissima
quanto la Chiesa che quaggiù è militante di sua natura. Ma
questa guerra, dopo la così detta riforma protestantica,
diventò più accanita e feroce, e a' nostri giorni si è
fatta universalissima e ferocissima. Possiamo ben dire che filosofi e
teologi cattolici, i quali sono la eletta milizia della Chiesa Romana,
hanno e con la voce e con la penna costantemente combattuto e che
valorosamente combattono. Ma quel sapientissimo Pontefice Leone XIII,
che, in tempi cotanto agitati, regge con mano fermissima il timone
della mistica nave, avvisò che sparpagliavansi alquanto le nostre
forze e che perciò, dall'un lato il nostro valore non era
coronato sempre di lieto successo, e dall'altro la baldanza dei nemici
di Dio e della Chiesa insolentiva così spudoratamente, da cantare
vittoria ed affermare che la scienza avea, a dì nostri, demoliti
i fondamentali principii della religione rivelata e, nel campo del
diritto, ruinata la Chiesa stessa. Egli, con acutissimo sguardo,
conobbe ancora che la strategia
dei nostri avversarii, al presente, consiste specialmente nel
togliere alla società la vera filosofia e nel sostituirvi quale
si sia falsa, pur che si opponga alla fede. Per la qual cosa
ad incentrare i dotti cattolici in una comune azione e dare con
ciò unità ed efficacia maggiore alla lotta che per la
verità sostengono, ed insieme a spezzare in mano agli avversarii
le armi loro, in una Enciclica diretta a tutti i Patriarchi,
Arcivescovi e Vescovi della Chiesa determinò quella che possiam
dire Regola Filosofica,
da seguirsi nelle scuole cattoliche. Questa Regola
Filosofica è della massima importanza: come tale è
riconosciuta da tutti; da moltissimi pregiata; da pochissimi
contradetta; dai sinceri cattolici e dai veri sapienti venerata ed
accolta con vero gaudio. Noi non possiamo dispensarci dal considerarla
alquanto, comechè ci confessiamo incapaci di farlo con quella
dignità che dall'indole dell'Apostolico dottissimo documento
è richiesta. Supplichiamo umilmente il Sommo Pontefice, la cui
bontà eguaglia la sapienza, che benignamente voglia perdonarci
non solo tutto ciò che nel nostro scritto male risponderà a'
suoi desiderii, ma eziandio quello che innanzi all'acuto sguardo della
sua mente parrà inesatto.
A rilevare bene la portata di cotesta Regola
Filosofica gioverà considerarne in primo luogo gli
antecedenti: in secondo esaminarla in sè medesima: in terzo
investigarne i conseguenti. In questa maniera ci sembra poter
raccogliere, come in un punto di vista, se non tutto, almanco ciò
che più monta osservare in tale proposito e negli aggiunti
presenti.
I.
Gli antecedenti della Regola Filosofica stabilita dal Sommo Pontefice Leone XIII.
Con questo nome di antecedenti vogliamo indicare tutto ciò che e
remotamente e prossimamente precedette la pubblicazione della Regola
Filosofica e che ci rende chiariti avere Papa Leone XIII
fatta cosa convenientissima e sapientissima nello stabilirla. I
buoni cattolici i quali credono con certezza che Gesù Cristo ha
comunicata a Pietro e a suoi successori pienissima autorità nel
reggimento della sua Chiesa, e gli ha promessa una continuata
assistenza sino al termine dei secoli, senza punto disputare o
discorrere, dal fatto inferiscono il diritto. Per la qual cosa
sapendo che il Papa non quale privata persona, ma quale Vicario di
Gesù Cristo e Vescovo dei Vescovi e di tutta la Chiesa, ha
determinato alcuna cosa per lo bene della stessa Chiesa,
immediatamente arguiscono il diritto di fare cotesta determinazione,
la rispettano, l'accettano, la eseguiscono, non già propter
timorem, bensì propter
conscientiam; perchè sanno che obbedire al Vicario di
Gesù Cristo in ciò che comanda, in quanto tale, è un
obbedire al medesimo Gesù Cristo; come fare il contrario
sarebbe un disubbidirgli. Nè possono i buoni cattolici
essere con ombra di ragione in ciò rimproverati dai politici di
qualunque governo, sia assoluto, sia costituzionale, sia repubblicano,
mercecchè in ogni società bene ordinata vuolsi riconosciuta
la suprema autorità reggitrice in una persona o fisicamente
individua, come avviene ne' governi assoluti, o collettiva e morale,
come accade negli altri; e si ha in conto di violazione o di
insubordinazione alla prefata suprema autorità ogni
insubordinazione che si fa contro coloro che ne sono i vicarii ed i
ministri, in tutti i gradi della sociale gerarchia.
Se non che alcuni per malignità, molti per manco di riflessione
rimproverano i cattolici per quel passaggio che fanno dal fatto al
diritto, cui testè accennavamo; affermando che stolta cosa
sarebbe fare altrettanto rispetto alle supreme politiche
autorità: quindi beffeggianli quali pecore irragionevoli
che, contro ciò che prescrive la dignità dell'umana natura,
lasciansi cecamente reggere, approvando senza consiglio tutto ciò
che procede dalla Sede Apostolica. Accuse siffatte, a questi giorni,
da per tutto ripetonsi dai giornali libertini di tutti i paesi,
appunto a proposito della Enciclica
Aeterni Patris,
nè possono per noi trascorrere inosservate e non redarguite. A
farlo quanto basta, si può dimandare a cotesti perpetui
detrattori della Sede Apostolica, se possano vantare i principi laici
formali concessioni e promesse, rispetto alla loro autorità ed al
suo uso, che vadano alla pari con le fatte da Gesù Cristo a
Pietro e a' suoi successori. La discrepanza è somma ed
evidentissima; laonde spesso la sovrana autorità civile passa i
limiti del diritto nel pubblico reggimento, e con tutto ciò
voglionsi i sudditi obbedienti per forza, quando non lo sono per vero
dovere: e questa forza la si esercita sovente assai più gagliarda
ove sono governi liberali, di quello si esercitasse sotto certi
passati governi, che ora diconsi tiranni, ed in realtà erano miti
e paterni.
Tuttavolta l'accusa che ci si fa di pecore sconsigliate, meriterebbe
una risposta acerba, perchè ben assai peggio di pecore
sconsigliate sono quasi tutti i pseudofilosofi dei nostri tempi i
quali si lasciano turpemente menar pel naso, non già da eccelse
autorità, le quali, considerate anco all'umana, sono degne di
profondissimo rispetto, ma da ciarlatani camuffati a sembianza di
oracoli e di filosofi. È mestieri avere una fronte di bronzo per
rinfacciare a noi, nel campo della dottrina, pedissequa servilità
ed insieme piegare le ginocchia non solo innanzi ai Kant agli Hegel ed
altrettali, la sapienza dei quali è simile a sogni sconnessi e
vani, ma ancora ai moderni capiscuola della setta di Epicuro, i quali
baloccansi tra gli atomi eterni che di per sè si fanno ogni cosa,
persino uomini e Dio, e l'eterna Venere unico o principalissimo
oggetto di adorazione e di amore.
Il piegare che noi facciamo la fronte alle ordinazioni del Vicario di
Gesù Cristo non va punto disgiunto da una susseguente rigorosa
dimostrazione, onde si prova che tale ossequio è ragionevole e
debito; dimostrazione che mai non fanno nè possono fare gli
increduli quando inconsultamente si strisciano intorno ai loro oracoli
a modo più di schiavi che di seguaci. E questa dimostrazione pur
la si fa nel caso nostro di questa
stupenda Enciclica Papale, la quale ancora sola basterebbe ad
immortalare il nome del Pontefice che la dettò, e a rendere
glorioso il suo pontificato per tutto il tempo avvenire.
Infatti prendendosi Leone XIII peculiare sollecitudine dello studio
della filosofia, che altro fece se non seguitare la tradizione dei
padri e dottori della Chiesa che o lo commendarono o lo adoperarono
costantemente? Il Santo Padre nella Enciclica, incominciando dai Padri
dei tempi apostolici, discorre per tutti i secoli fino a' nostri tempi
[1], dimostrando
che nella Chiesa fu sempre avuto in altissimo pregio lo studio della
filosofia e di questa sempre si fece uso generalissimo. Di che segue
che coloro i quali a questi giorni nei loro periodici condannano
Papa Leone perchè si occupò di filosofia, vengono insieme
a condannare tutta la cattolica tradizione, in ciò seguita dal
medesimo Pontefice.
Ma questi non è pago di additare storicamente un tale fatto,
dà la ragione di questo fatto, e il fa derivare dall'indole della
filosofia e dai suoi rapporti con la fede cattolica e dal diritto e
dovere che ha la Chiesa di adoperare quei mezzi che sono utili alla
sua esistenza, al suo progressivo esplicamento ed alla sua difesa.
Dicevamo utili, perchè [2]
non vuol dirsi l'umana filosofia assolutamente necessaria nè allo
stabilimento della Chiesa, nè alla sua conservazione. La
filosofia è ancella della fede, non ispetta alla essenza di
questa, e, come ancella, le presta servigi importantissimi ed
opportunissimi.
Primieramente la filosofia predispone [3]
altri ad abbracciare la fede cristiana, inducendolo ad ammettere una
schiera infinita di proposizioni vuoi speculative vuoi pratiche,
ch'egli debbe abbracciare, naturalmente necessitato dal lume di sua
ragione. La mercè della filosofia l'umana ragione vede nella fede
un'amica che le stende la mano, la solleva, la nobilita e la rafferma
nelle sue rette investigazioni, non la contradice, non l'abbassa;
perciò quella è soavemente allettata da questa e disposta ad
abbracciarla. Che infinita sia la schiera delle proposizioni che
dicevamo, la è cosa manifestissima: perchè quelle
cognizioni [4] che rettamente
trae la filosofia dalla contemplazione della natura ed
hanno risguardo a Dio, sono tutte o esplicitamente o implicitamente
proposte a credere dalla fede; e la morale cristiana è
composta, in buona parte, di principii di morale filosofica: che
anzi nella legge naturale ed eterna, secondo i principii di fede,
vuolsi fondare ogni legge positiva, comechè rivelata e divina.
In secondo luogo [5] la
filosofia dimostra che Dio è Creatore, è sapientissimo,
è veracissimo: onde essa trae la illazione che egli ha un
dominio totale ed assoluto sopra di noi, e quindi ha pienissimo
diritto di proporci a credere quello che supera (sebbene non le
contradica) la capacità della nostra mente; che egli non
può cader in errore scambiando col falso il vero, nè
può trarci menomamente in inganno, obbligandoci ad accettare
per vero quello ch'ei sa esser falso. Onde viene che quando l'uomo
conosce il fatto della
rivelazione: ossia quand'ei apprende che una cosa è rivelata,
può essere eccitato dai principii stessi della filosofia ad
ammetterla, appoggiandosi alla onniscienza e alla veracità di
Dio; e questo predisporsi ad accettare la fede viene coronato
dall'opera della grazia, la quale dà all'atto del credere
soprannaturale dignità.
In terzo luogo [6] la
filosofia c'insegna essere assolutamente impossibile e che vi sia
effetto senza cagione, e che questa sia non proporzionata alla
produzione di quello. Essa ti dimostra che i miracoli, coi quali fin
dal principio del cristianesimo ne fu comprovata la verità e la
divinità, sono fatti della esistenza dei quali non può
aversi dubbio prudente, ed inoltre sono eglino di tal indole da non
potere essere prodotti da veruna cagione creata, per propria
naturale virtù. Per la qual cosa la stessa filosofia t'insegna
che quei fatti si hanno ad avere in conto di voci dello stesso Dio,
che con essi reca infallibile testimonianza della fede rivelata, la
quale, per ciò stesso, ha un luminosissimo carattere di
verità.
In quarto luogo [7] il
vero filosofo appoggiato al naturale principio di causalità, ha
per fermo che non la sola propagazione della cristiana fede, ma
ancora la sua conservazione supera la portata delle naturali
cagioni: imperciocchè quelle cause che naturalmente annientano
tutte le società, nulla possono contro la Chiesa, ed anzi la
illustrano e ne moltiplicano i fedeli; tanto che passò in
principio, fino ab antico, quel detto che i cristiani novelli
pullulano dal sangue dei martiri. Laonde per non incorrere
nell'assurdo che vi sia effetto senza proporzionata cagione, il
filosofo è disposto ad ammettere che e nella propagazione e
nella conservazione della fede e della Chiesa cristiana, v'è il
braccio della divina onnipotenza. Quindi l'illazione, che quella
fede e questa Chiesa sono da Dio.
Filosofando [8] sopra il
bell'aspetto che ci dà la Chiesa, o si riguardi la
sublimità, la nobiltà, la purezza della sua dottrina; o si
consideri la sua operosità per ingenerare in tutti vera, interna
e perfetta santità, e la conveniente proporzione dei mezzi che
adopera a cotesto altissimo fine; o si rifletta sopra la carità
de' suoi, figliuoli, la costanza nelle prove più difficili fino a dare la vita per la fede
professata e per non commettere colpa di sorta alcuna, si
viene ad inferire ch'essa Chiesa intende ad esprimere negli uomini la
imagine delle divine perfezioni e con ciò tende efficacemente
alla divina gloria. Laonde essa deve necessariamente essere a Dio cara
e diletta: e ogni uomo può tranquillamente stare nel suo seno,
certo di fare in ciò la divina volontà.
In sesto luogo [9], la
filosofia è quella che dà alla sacra Teologia la natura di
vera scienza. Infatti scienza non è una semplice proposizione
di verità rivelate e certe per fede; ma è una cognizione dedotta da principii fermi,
immutabili, evidenti. E appunto la filosofia somministra la logica,
senza cui non può aversi quella cognizione dedotta.
Che se le verità rivelate sopraintelligibili non sono a noi
intrinsecamente evidenti, perchè non può la nostra mente
vedere l'intitmo nesso che lega il predicato col soggetto di quelle
proposizioni onde sono espresse, la filosofia loro dà una
evidenza estrinseca che si appoggia a' naturali motivi di
credibilità testè indicati. Per questa evidenza
estrinseca, che la filosofia dà alle verità rivelate, le
quali per sè stesse sono ferme ed immutabili, loro attribuisce
il carattere di principii scientifici.
Essa raccoglie in un solo sillogismo maggiore e minore rivelate, o
ad una proposizione rivelata, congiunge altra proposizione che
è certa ed evidente al lume della ragione e ne inferisce
scientifiche illazioni. La filosofia ancora applica alla teologia i
suoi metodi scientifici ora analitico, ora sintetico, di guisa che
la medesima teologia appaia vera scienza e nel suo tutto e nelle sue
parti.
E poichè tutte le cose create sono effetti della divina
onnipotenza e l'effetto deve sempre in qualche maniera rassomigliare
alla causa da cui è prodotto, segue che nelle cose deve sempre
risplendere o l'imagine o la similitudine o, per così dire, un
qualche vestigio di Dio Uno nella natura e Trino nelle persone. Per la
stessa ragione il modo soprannaturale, col quale Dio opera nell'ordine
della grazia deve pure essere adombrato dall'operare divino
nell'ordine della natura. Perciò spetta alla filosofia fornire al
teologo belle ed aggiustate analogie[10],
in virtù delle quali, sebbene il mistero, nel campo
soprannaturale speculativo e pratico, non sia reso perspicuo ed
evidente, tuttavolta divenga più accostevole all'umana ragione: e
questa nel contemplarlo esperimenti quel diletto nobilissimo e
piacevolissimo che ne proviene.
Finalmente la filosofia
meritamente vuolsi dire propugnacolo della fede [11], perchè essa fornisce alla teologia e
spada e scudo ad offesa e difesa contro i suoi avversarii. Ciò
fa in due maniere. La prima, dando le leggi di una giusta polemica e
indicando tutte le forme sofistiche, con le quali l'errore si cela e
combatte la verità. La seconda, opponendo agli assalti che si
danno alla fede a nome della falsa scienza, le difese che la scienza
vera prende della stessa fede. Conciossiachè è da
richiamare a memoria che i nemici della fede, hanno cercato di
metterla in dispregio presso tutti, studiandosi di farla passare come
contraria ai principii inconcussi della ragione. Per la qual cosa egli
è necessario mostrare che ciò non è vero: che quei
principii tra quali e la fede vi ha reale opposizione, non sono
principii di ragione, nè illazioni scientifiche, ma false
asserzioni; e che tra i sinceri principii di ragione e la fede o si
può chiarire perfetta concordia, od almeno si può dimostrare
che reale discordia non v'è.
Il Santo Padre Leone XIII toccò con brevità ed
aggiustatissima precisione questi otto punti, dai quali si fa
manifesto che il nesso tra la fede e la filosofia è strettissimo:
lo diremo simile a quello dell'anima col corpo umano. Il corpo umano
presta all'anima immensi servigi, anzi questa ne dipende per esordire
la propria esistenza. Egualmente la fede dee risguardare la filosofia
come sua fida ancella, onde trae utilità immensa: e comechè
la fede sia più nobile della ragione ch'è fonte della
filosofia, come l'anima è più nobile del corpo; tuttavia
quella non può esistere che in un soggetto ragionevole e quindi
associata alla ragione medesima. Dall'utilità
che la fede può avere dalla filosofia trasse il Santo Padre la
illazione, che dunque i Padri e i Dottori della Chiesa, anzi la
stessa Chiesa rappresentata nei Concilii o nei sommi Pontefici
Romani, ben fecero prendendosi cura della filosofia; che anzi ne
avean diritto e in certo modo dovere. «Nec spernenda nec
posthabenda sunt naturalia adiumenta, quae divinae sapientiae
beneficio, fortiter suaviterque omnia disponentis, hominum generi
suppetunt; quibus in adiumentis rectum philosophiae usum constat esse
praecipuum. Non enim frustra rationis lumen humanae menti Deus
inseruit; et tantum abest, ut superaddita fidei lux intelligentiae
virtutem extinguat aut imminuat, ut potius perficiat, auctisque
viribus, habilem ad maiora reddat. Igitur postulat ipsius divinae
Providentiae ratio, ut in revocandis ad fidem et ad salutem populis,
etiam ab humana scientia praesidium quaeratur; quam industriam,
probabilem ac sapientem, in more positam fuisse praeclarissimorum
Ecclesiae Patrum, antiquitatis monumenta testantur [12].» [«Ma non sono da tenersi a
vile nè da trascurarsi gli aiuti naturali benignamente
somministrati all'uomo dalla divina sapienza, la quale con efficacia
e soavità dispone di tutte le cose: tra i quali aiuti è
certamente principale il retto uso della filosofia. Imperocchè
non indarno Iddio accese nella mente umana il lume della ragione; ed
è sì lungi dal vero che la luce della fede aggiunta alla
ragione ne spenga la virtù o l'affievolisca, che anzi la
perfeziona, ed accresciutane la vigorìa, la rende adatta
a cose più alte. — Adunque l'ordine della stessa
Provvidenza divina richiede, che per ricondurre i popoli alla fede
ed alla salute, si domandi presidio anche alla scienza umana: la
quale industria, prudente e saggia, fu usata frequentemente dai
più illustri Padri della Chiesa, siccome lo attestano i
monumenti dell'antichità.» Leone XIII, Enciclica
«Aeterni Patris» N.d.R.]
Ma qui dimandiamo: presso a
tutti i padri e dottori della Chiesa e poscia presso que' gran
maestri dell'umana e della divina scienza quali erano gli
scolastici, esistette mai quella sconfinata licenza di filosofare e
quell'arbitrio di sposare alla teologia qualunque strana filosofia
come da pseudofilosofi dei nostri giorni pur si vorrebbe? Non mai!
I padri e i dottori della Chiesa trassero da' vetusti filosofi della
Grecia moltissimi filosofici principii, imitando gli ebrei[13] i quali non recarono seco, uscendo
dall'Egitto, i vasi di vile creta che appartenevano agli egiziani; ma
sì copia grande d'argento e d'oro. Non seguivano le persone dei
filosofi greci, ma la verità da loro proposta; e se platoneggiava
Agostino, facevalo, come ci avverte l'Aquinate, rendendo il platonismo
cristiano. E questo egregiamente si vede nell'Aquinate stesso, il
quale si attenne in vero alla filosofia di Aristotele, ma purificolla
da' suoi errori, e in essa sinteticamente incentrò la filosofia
adoperata dai padri e dottori della Chiesa nei secoli che lo
precedettero. Il fare altramente sarebbe stata stoltezza, ed un
tradire il deposito della rivelazione. Di vero, la
fede essendo verità, essa è per sua natura inconciliabile
con l'errore; per[ci]ò stolta cosa sarebbe stata
stabilirle siccome ancella una falsa filosofia. L'avrebbe
certamente male servita: o, meglio, una falsa filosofia si sarebbe
ritrovata in una continua ed evidentissima opposizione alla medesima.
L'Angelico Dottore, cui
alcuni degli stessi avversarii dell'Enciclica venerano come il
più grande ingegno filosofico d'Italia, ordinatamente
fissò quella che vuolsi detta filosofia cristiana. Non tale
certamente perchè ne sieno stati definiti dommaticamente tutti
i principii, ma perchè si sposò universalmente alla
Teologia, e perchè i sommi Pontefici e i Concilii [14] la commendarono, od anche talvolta la
prescrissero; e perchè generalmente s'insegnò nelle scuole
cattoliche.
La quale approvazione, dalla parte dei Papi, talvolta fu data in
generale facendosi allusione alla dottrina
di S. Tommaso. Talvolta esplicita di qualche proposizione
filosofica di somma importanza, con la quale si connettono moltissimi
principii filosofici; com'è, ad esempio, il modo di unione
dell'anima col corpo. Talvolta indiretta, presentandosi od
inculcandosi la teologia dell'Aquinate:
perchè trattandosi di teologia scolastica,
che è il connubio della ragione con la fede, la filosofia da essa
è affatto inseparabile: perciò lodando quella
necessariamente pure questa si loda. E ciò che qui diciamo è
tanto vero, che se talentasse ad alcuno torre dalle opere
dell'Aquinate tutto quello ch'è filosofico, e vi lasciasse la
pura positiva teologia, esse ridurrebbonsi quasi ad un bel nulla. E
sopra questo bel nulla cadranno gli encomii, le approvazioni, le
prescrizioni?
Leone XIII che spese gran parte della dottissima sua Enciclica nel
discorrere sopra il merito singolarissimo, rispetto alla Chiesa, della
filosofia dell'Angelico, non degnò neppure di una parola nè
le male supposte condanne
fatte da un cotale Vescovo di Parigi, nè il conciliabolo di
Oxford. E fece egregiamente: così chiedeva la sua
autorità suprema e l'altissima sua dignità. Noi non
gitteremo tempo in istoriche osservazioni per contentare que'
giornalisti maliziosi o dappoco, che mettono in non cale o dispregiano
le sentenze della Sede Apostolica e dei Concilii, e fingono riverenza
(ripetendone come papagalli le supposte condanne) a quella assemblea
di Oxford che solo è degna di essere dimenticata e negletta.
Cotesti sono simili a coloro, se pure non sono i medesimi, che hanno a
vile i più grandi pensatori vetusti e moderni, nè degnansi
di ricordarne i nomi, ed esaltano come sommi filosofi certi mercatanti
di cianciafruscole, che non capiscono nemmeno i primi ed evidentissimi
principii della filosofia, qual è il principio di contradizione e
quello di causalità, che turpemente hanno per sinonimi l'essere e
il non essere, che l'effetto confondono con la causa, ed affermano che
quello non abbisogna di questa. Roba da manicomio, ma che ora si
ammira e si venera per amore di progresso, postergato e deriso tutto
ciò che in filosofia vi ha di grande, e noi ancora diremo, tutto
ciò che vi ha di veramente italiano [15].
[Il 7 marzo 1277 il Vescovo di Parigi Stefano Tempier
condannò, assieme a quelle averroistiche, anche talune tesi
tomistiche; il 18 marzo tali tesi furono condannate a Oxford anche
da Roberto Kilwardby arcivescovo di Canterbury. La Santa Sede
intervenne in seguito onde moderare tale eccesso di zelo con
l'ordine di soprassedere a simili dispute. Resta il fondato dubbio
che si intendesse condannare tali tesi se intese in senso
averroista; ma con la canonizzazione di S. Tommaso da parte di Papa
Giovanni XXII la questione è infallibilmente chiusa a favore
delle tesi tomiste. N.d.R.]
Se non che quando noi diciamo filosofia
cristiana de' Padri e dei Dottori scolastici, di quella noi
intendiamo parlare che è veramente filosofia, la quale è
sapientemente contrapposta dal Santo Padre alla fisica moderna [16]. Quella è essenzialmente razionale,
i suoi principii sono evidenti; le sue illazioni vanno soggette a
dimostrazione; tutte le sue tesi sono universali.
La fisica moderna, di cui parliamo, è l'ordinata collezione dei
fatti, conosciuti per lo mezzo della esperienza.
Onde viene che se cotesta fisica si può dire scienza, perchè
è con ordinato metodo proposta; non si può dire tale in quel
senso in cui la parola scienza era adoperata dagli scolastici, presso
i quali la scienza dovea appoggiarsi a principii razionali, certi ed
evidenti, e non era riputata scienza la proposizione di fatti ammessi
per altrui autorità o conosciuti soltanto per propria esperienza.
Di qua primamente viene che la filosofia, di cui parla il Santo
Padre, ha per oggetto l'essenze delle cose, e quelle proprietà
che scaturiscono dalle essenze stesse. Questo è il vero suo
oggetto, sia che tratti di Dio, sia che tratti delle intelligenze
separate, dell'uomo, dei bruti, delle piante e degli inorganici.
Secondamente si fa manifesta la ignoranza o la malizia di coloro che
per vilipendere la filosofia scolastica, le attribuiscono alcune
ridevoli sentenze intorno all'alchimia od alla astrologia, che le sono
affatto estranee, comechè si accettassero eziandio dai filosofi
scolastici nelle opere loro.
La filosofia scolastica dell'Aquinate regnò nelle scuole
cattoliche, si può dire solamente ed unicamente, per parecchi
secoli: mercecchè le discrepanze che v'erano tra cattolici
Dottori o erano fuori del vero campo filosofico, o erano rarissime; o
erano in oggetti secondarii. La
sedicente riforma, scisso con inique fazioni il gregge di Cristo,
volle distrutto il vincolo ond'era divinamente alla teologia sposata
la filosofia, e perciò non volle saperne di teologia
scolastica. Sventuratamente in ciò a' protestanti si
associarono molti filosofi cattolici, abbindolati dalle sofisme o
dalla prepotenza di quelli. «Adnitentibus enim
novatoribus saeeuli XVI, placuit philosophari citra quempiam ad fidem
respectum, petita dataque vicissim potestate quaelibet pro lubito
ingenioque excogitandi. Qua ex re pronum fuit, genera philosophiae
plus aequo multiplicari, sententiasque diversas et inter se pugnantes
oriri, etiam de iis rebus, quae sunt in humanis cognitionibus
precipuae. A multitudine sententiarum ad haesitationes dubitationesque
persaepe ventum est; a dubitationibus vero in errorem quam facile
mentes hominum delabantur, nemo est qui non videat. Hoc novitatis
studium, cum homines imitatione trahantur, catholicorum quoque
philosophorum animos visum est alicubi pervasisse: qui patrimonio
antiquae sapientiae posthabito, nova moliri, quam vetera novis augere
et perficere maluerunt, certe minus sapienti consilio et non sine
scientiarum detrimento. [17]»
[«Imperocchè per gli sforzi dei novatori del secolo
XVI piacque di filosofare senza il menomo riguardo alla fede,
chiesta e datasi scambievolmente la facoltà di escogitare tutto
che piacesse e talentasse. Quindi, com'era ben naturale, le varie
maniere di filosofare si moltiplicarono più del dovere e
sorsero sentenze diverse e fra sè pugnanti, anche intorno a
quelle cose, che sono capitali nelle umane cognizioni. Dalla
moltiplicità delle sentenze si passò assai di sovente
all'incertezze e ai dubbi: dal dubbio poi quanto sia facile all'uomo
precipitar nell'errore, non v'è chi nol vegga. E poichè
gli uomini si lasciano portare tratti dall'esempio, anche le menti
dei filosofi cattolici sembrarono invase dall'amore della
novità: ond'è che, messo in non cale il patrimonio
dell'antica sapienza, vollero piuttosto tentare cose nuove che
aumentare e perfezionare con le nuove le antiche; e questo
certamente con poco savio consiglio e non senza detrimento delle
scienze.» Leone XIII, Enciclica
«Aeterni Patris» N.d.R.]
Il separare la filosofia dalla
teologia era logico e necessario a quelli che volevano distruggere
la cattolica fede, per due motivi: da prima perchè quella, come
ci dimostrò Papa Leone, è vera ancella di questa; ci
dimostra i motivi di credibilità; scioglie tutte le
difficoltà che contro la fede si fanno a nome della scienza, e
rende la fede stessa ai dotti più accostevole e più
diletta. In secondo luogo perchè non potendosi avere
opposizione vera tra la sincera filosofia e la fede, e pur volendosi
dimostrare che tale opposizione v'era, fu d'uopo aprire il varco
all'introduzione di false filosofie che necessariamente, perchè
tali, alla fede si oppongono.
Emancipata la filosofia dal rispetto alla fede e tolta quindi alla
sorveglianza diretta e piena della infallibile autorità della
Sede Apostolica, non fu pazza filosofia che non venisse introdotta.
Panteismo, materialismo, idealismo, nullismo, positivismo,
trasformismo, epicureismo: tali e tante stoltezze formano il tesoro
della filosofia emancipatasi dalla fede in questi ultimi tre secoli. E
qui considerando gli antecedenti che si attengono alla Regola
Filosofica stabilita dal Santo Padre, non possiamo nascondere
ciò ch'egli stesso tocca e deplora. Cioè che anche
filosofi cattolici abbandonata, con soverchia leggerezza, la
filosofia dell'Aquinate si sono perduti, tal fiata, dietro le
fantasie dei non cattolici, sebbene non cadessero nelle filosofiche
enormezze di costoro; o studiaronsi di fabbricarsi de' nuovi sistemi
filosofici senza il fondamento della verità. Onde, come osserva
il medesimo Santo Padre [18],
da una parte abbiamo una filosofia pazza ed empia che tutto corrompe
e dalla distruzione dell'ordine speculativo corre alla distruzione
dell'ordine pratico; dall'altra parte abbiamo una continua
fluttuazione ed instabilità, per la quale i cattolici, divisi
tra loro e dubbiosi, sono poco acconci a debellare l'errore ed
impedire mali infiniti che sopravvengono alla Chiesa ed alla civile
società.
Intanto i Papi i quali aveano il diritto e il dovere di porre tutta
la loro sollecitudine affinchè il deposito della fede non patisse
alcuna iattura, e perciò aveano (come sopra dicevamo col Santo
Padre) il diritto e il dovere di sorvegliare la filosofia, non
mancarono di far udire la propria voce. Condannarono false
proposizioni filosofiche ora speculative, ora pratiche; per mezzo
delle Romane Congregazioni censurarono moltissime dottrine filosofiche
e condannarono infiniti libri, che ex professo trattavano di
filosofia, specialmente dei capi scuola. Con tutto ciò non si
ebbe un rimedio universale ed efficace. Le nuove sette filosofiche
seguitarono a pullulare e durava ancora in molte scuole cattoliche la
discrepanza in punti di gran momento e quindi la confusione e la
debolezza. Non si può non essere sopraffatti da altissima
meraviglia pensando che in questo secolo stesso, nelle scuole rette
spesso da uomini di Chiesa, si dava una filosofia sensistica sulle
pedate di Locke e di Condillac, e che da questa filosofia sensistica
si passò pure, in molte scuole cattoliche, ad insegnare
l'ontologismo e una specie di occasionalismo. In moltissimi corsi
filosofici di laici e talvolta ancora di ecclesiastici non si avea
riguardo a que' punti filosofici che dai Concilii e dalle
Congregazioni Romane furono determinati; e l'Angelo delle scuole, il
sommo filosofo, da parecchi nemmeno venia nominato di volo, quasi
fosse uomo dozzinale: mentre che il titolo onorato di filosofo davasi
a uomini di mediocre ingegno, di fantasia disfrenata, e i costoro
sogni sconnessi aveansi in conto di speculazioni sublimi, piene di
verità.
Se non che in questi ultimi anni si andò universaleggiando un
desiderio di riforma filosofica: la filosofia scolastica si volle
rimettere in onore e molti studiaronsi di dimostrare che l'angelico
dottore S. Tommaso ci diede nelle sue opere un completo sistema di
filosofia, di tutti i proposti in questi ultimi secoli migliore, il
quale egregiamente si può e si deve conciliare coi ritrovati certi delle scienze moderne e
con le illazioni che, logicamente
e secondo verità, deduconsi dai fatti stessi. Parecchi corsi di
filosofia scolastica elementare furono stampati secondo la dottrina
dell'Aquinate; in molte opere separate si discussero i punti
principali del sistema di S. Tommaso, e si dimostrò
l'insussistenza reale e la falsità di tutti
gli opposti sistemi. Spuntarono qua e là Accademie di S.
Tommaso e degna di commemorazione onorevolissima è quella di
Perugia fondata dal suo Arcivescovo Cardinale, ora sommo Pontefice, e
quella di Napoli sostenuta dall'Arcivescovo Cardinale Riario Sforza.
L'Accademia filosofico-medica di S. Tommaso fondata nel 1874 in questi
ultimi cinque anni spiegò una peculiarissima ed universale
energia ed ottenne successi, avuto riguardo alla condizione dei tempi,
insperati. Il periodico La Scienza
italiana (venuta come ausiliare del nostro, che da anni molti
propugnò la dottrina dell'Aquinate) scritto dai soli socii
accademici, si prese a compito di dimostrare che i cardinali principii
della filosofia di S. Tommaso (i quali si propongono a seguire nel
diploma accademico, e sono commendati nel Breve imperituro di Pio IX,
col quale questi encomia ed approva l'Accademia stessa) non si
oppongono a ciò che vi è di vero e di certo nella moderna
scienza, comechè si oppongano alle infondate ipotesi di molti
moderni scienziati. La Sede Apostolica durante il Pontificato di Pio
IX applaudì a questo generale movimento di ritorno alla filosofia
scolastica: in cento occasioni a quelli che lo eccitavano si
dimostrò favorevole: ma non
prescrisse la dottrina stessa nelle scuole cattoliche.
A questo movimento opponevansi di fronte i moderni avversarii del
cattolicismo, i quali oggimai professano, quasi tutti, la filosofia
teoretica e morale di Epicuro. Di più lo stesso movimento fu con
grande ardore combattuto da molti filosofi cattolici, i quali temevano
che il ritorno alla tanto odiata filosofia scolastica e del Peripato
non avesse a recare gravissime conseguenze e scisme specialmente fra
dotti laici. Intanto l'ordine sociale andava a soqquadro: la guerra, a
nome della scienza contro la Chiesa, si faceva con tale iattanza, da
affermarsi in quasi tutte le opere erudite dei moderni pseudofilosofi,
che l'antagonismo tra la fede e la scienza era evidentissimamente
chiarito e che o dovevasi rinunciare alla scienza e ai diritti della
ragione, oppure alla fede cattolica.
Questi sono gli antecedenti che precedettero la Regola
Filosofica data da Papa Leone XIII nell'Enciclica
Aeterni Patris. Tale
essendo lo stato delle cose, contro i detrattori di questo
sapientissimo Pontefice dato per divino favore in questi procellosi
tempi alla Chiesa, vuolsi dimostrare che convenientissimamente egli si
diè a riformare la filosofia, e che prudentissimo, opportunissimo
e giustissimo è il modo onde vuole che tale riforma sia fatta.
Non facciamo questa dimostrazione, perchè i cattolici sinceri si
pieghino all'autorità Pontificia: non ne abbisognano. Il vero
cattolico accoglie le istruzioni che il Vicario di Gesù Cristo fa
non quale privata persona, ma quale Vescovo di tutta la Chiesa
cattolica, con rispetto, con piena sottomissione, esternamente e
internamente, proponendosi di attuarle, per quanto sta in suo potere e
a lui spettano. Ma come il filosofo contro gli empii o gli stolti si
dà, filosofando, a giustificare le opere di Dio e i decreti della
divina sua provvidenza, così possiamo noi fare delle ordinazioni
anco solenni della Sede Apostolica.
[CONTINUA]
La regola filosofica di Sua Santità Leone P. P. XIII. proposta nella Enciclica «Aeterni Patris» |
I. Gli antecedenti della Regola Filosofica stabilita dal Sommo Pontefice Leone XIII. |
II. La Regola Filosofica considerata in sè stessa. |
III. I conseguenti. |
Seguita dei conseguenti. |
IV. Seguita dei conseguenti - L'esecuzione della Regola Filosofica |
NOTE:
[1] Ad agevolare le citazioni
dell'Enciclica diamo ad ogni capoverso
un numero progressivo. — Per la presente citazione vedi
nn. 4, 10 e segg.
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