venerdì 7 ottobre 2016

LA REGOLA FILOSOFICA DI SUA SANTITÀ LEONE P. P. XIII. PROPOSTA NELLA ENCICLICA AETERNI PATRIS (I)

R.P. Giovanni Cornoldi d.C.d.G.

La Civiltà Cattolica anno XXX, serie X, vol. XI (fasc. 702, 9 settembre 1879), Firenze 1879 pag. 657-672.
Al tempo della quarta crociata, gli eserciti latini circondavano Costantinopoli dalla parte di terra; in quella parte che si specchia nel Bosforo combattevala l'armata veneziana. Grande era il valore di quegli eserciti: ma perchè non coordinato sapientemente da un abile duce, si stremava in vani attacchi; schiere d'eroi irrompevano contro le mura della greca città e s'infrangevano come onde frementi contro immobile rupe. La battaglia cangiò d'aspetto quando Enrico Dandolo, pressochè ottuagenario, Doge e condottiero dell'armata navale, montato in poppa della capitana, arringò i suoi e loro intimò la maniera che subito doveano tutti tenere nell'assaltare la città. Alla voce del valoroso vegliardo, tutte le navi veneziane accostaronsi alle mura e in un baleno, per usare la parola dello storico di Innocenzo III, in un baleno sbarcati i prodi conquistarono venticinque torri e sopra piantatavi la veneta bandiera, entrarono vincitori in Costantinopoli. Tant'è! Se la prudente ed opportuna parola di esperto capitano non incentri in unità di azione le forze tutte dei combattenti, queste disperdonsi, la guerra si prolunga, la baldanza dei nemici aumenta, diminuisce la speranza della vittoria, o almeno questa non si può vedere che in lontananza.
Così avviene nel caso nostro. La guerra tra la verità e l'errore e conseguentemente tra il bene ed il male è antichissima quanto la Chiesa che quaggiù è militante di sua natura. Ma questa guerra, dopo la così detta riforma protestantica, diventò più accanita e feroce, e a' nostri giorni si è fatta universalissima e ferocissima. Possiamo ben dire che filosofi e teologi cattolici, i quali sono la eletta milizia della Chiesa Romana, hanno e con la voce e con la penna costantemente combattuto e che valorosamente combattono. Ma quel sapientissimo Pontefice Leone XIII, che, in tempi cotanto agitati, regge con mano fermissima il timone della mistica nave, avvisò che sparpagliavansi alquanto le nostre forze e che perciò, dall'un lato il nostro valore non era coronato sempre di lieto successo, e dall'altro la baldanza dei nemici di Dio e della Chiesa insolentiva così spudoratamente, da cantare vittoria ed affermare che la scienza avea, a dì nostri, demoliti i fondamentali principii della religione rivelata e, nel campo del diritto, ruinata la Chiesa stessa. Egli, con acutissimo sguardo, conobbe ancora che la strategia dei nostri avversarii, al presente, consiste specialmente nel togliere alla società la vera filosofia e nel sostituirvi quale si sia falsa, pur che si opponga alla fede. Per la qual cosa ad incentrare i dotti cattolici in una comune azione e dare con ciò unità ed efficacia maggiore alla lotta che per la verità sostengono, ed insieme a spezzare in mano agli avversarii le armi loro, in una Enciclica diretta a tutti i Patriarchi, Arcivescovi e Vescovi della Chiesa determinò quella che possiam dire Regola Filosofica, da seguirsi nelle scuole cattoliche. Questa Regola Filosofica è della massima importanza: come tale è riconosciuta da tutti; da moltissimi pregiata; da pochissimi contradetta; dai sinceri cattolici e dai veri sapienti venerata ed accolta con vero gaudio. Noi non possiamo dispensarci dal considerarla alquanto, comechè ci confessiamo incapaci di farlo con quella dignità che dall'indole dell'Apostolico dottissimo documento è richiesta. Supplichiamo umilmente il Sommo Pontefice, la cui bontà eguaglia la sapienza, che benignamente voglia perdonarci non solo tutto ciò che nel nostro scritto male risponderà a' suoi desiderii, ma eziandio quello che innanzi all'acuto sguardo della sua mente parrà inesatto.
A rilevare bene la portata di cotesta Regola Filosofica gioverà considerarne in primo luogo gli antecedenti: in secondo esaminarla in sè medesima: in terzo investigarne i conseguenti. In questa maniera ci sembra poter raccogliere, come in un punto di vista, se non tutto, almanco ciò che più monta osservare in tale proposito e negli aggiunti presenti.

I.

Gli antecedenti della Regola Filosofica stabilita dal Sommo Pontefice Leone XIII.

Con questo nome di antecedenti vogliamo indicare tutto ciò che e remotamente e prossimamente precedette la pubblicazione della Regola Filosofica e che ci rende chiariti avere Papa Leone XIII fatta cosa convenientissima e sapientissima nello stabilirla. I buoni cattolici i quali credono con certezza che Gesù Cristo ha comunicata a Pietro e a suoi successori pienissima autorità nel reggimento della sua Chiesa, e gli ha promessa una continuata assistenza sino al termine dei secoli, senza punto disputare o discorrere, dal fatto inferiscono il diritto. Per la qual cosa sapendo che il Papa non quale privata persona, ma quale Vicario di Gesù Cristo e Vescovo dei Vescovi e di tutta la Chiesa, ha determinato alcuna cosa per lo bene della stessa Chiesa, immediatamente arguiscono il diritto di fare cotesta determinazione, la rispettano, l'accettano, la eseguiscono, non già propter timorem, bensì propter conscientiam; perchè sanno che obbedire al Vicario di Gesù Cristo in ciò che comanda, in quanto tale, è un obbedire al medesimo Gesù Cristo; come fare il contrario sarebbe un disubbidirgli. Nè possono i buoni cattolici essere con ombra di ragione in ciò rimproverati dai politici di qualunque governo, sia assoluto, sia costituzionale, sia repubblicano, mercecchè in ogni società bene ordinata vuolsi riconosciuta la suprema autorità reggitrice in una persona o fisicamente individua, come avviene ne' governi assoluti, o collettiva e morale, come accade negli altri; e si ha in conto di violazione o di insubordinazione alla prefata suprema autorità ogni insubordinazione che si fa contro coloro che ne sono i vicarii ed i ministri, in tutti i gradi della sociale gerarchia.
Se non che alcuni per malignità, molti per manco di riflessione rimproverano i cattolici per quel passaggio che fanno dal fatto al diritto, cui testè accennavamo; affermando che stolta cosa sarebbe fare altrettanto rispetto alle supreme politiche autorità:  quindi beffeggianli quali pecore irragionevoli che, contro ciò che prescrive la dignità dell'umana natura, lasciansi cecamente reggere, approvando senza consiglio tutto ciò che procede dalla Sede Apostolica. Accuse siffatte, a questi giorni, da per tutto ripetonsi dai giornali libertini di tutti i paesi, appunto a proposito della Enciclica Aeterni Patris, nè possono per noi trascorrere inosservate e non redarguite. A farlo quanto basta, si può dimandare a cotesti perpetui detrattori della Sede Apostolica, se possano vantare i principi laici formali concessioni e promesse, rispetto alla loro autorità ed al suo uso, che vadano alla pari con le fatte da Gesù Cristo a Pietro e a' suoi successori. La discrepanza è somma ed evidentissima; laonde spesso la sovrana autorità civile passa i limiti del diritto nel pubblico reggimento, e con tutto ciò voglionsi i sudditi obbedienti per forza, quando non lo sono per vero dovere: e questa forza la si esercita sovente assai più gagliarda ove sono governi liberali, di quello si esercitasse sotto certi passati governi, che ora diconsi tiranni, ed in realtà erano miti e paterni.
Tuttavolta l'accusa che ci si fa di pecore sconsigliate, meriterebbe una risposta acerba, perchè ben assai peggio di pecore sconsigliate sono quasi tutti i pseudofilosofi dei nostri tempi i quali si lasciano turpemente menar pel naso, non già da eccelse autorità, le quali, considerate anco all'umana, sono degne di profondissimo rispetto, ma da ciarlatani camuffati a sembianza di oracoli e di filosofi. È mestieri avere una fronte di bronzo per rinfacciare a noi, nel campo della dottrina, pedissequa servilità ed insieme piegare le ginocchia non solo innanzi ai Kant agli Hegel ed altrettali, la sapienza dei quali è simile a sogni sconnessi e vani, ma ancora ai moderni capiscuola della setta di Epicuro, i quali baloccansi tra gli atomi eterni che di per sè si fanno ogni cosa, persino uomini e Dio, e l'eterna Venere unico o principalissimo oggetto di adorazione e di amore.
Il piegare che noi facciamo la fronte alle ordinazioni del Vicario di Gesù Cristo non va punto disgiunto da una susseguente rigorosa dimostrazione, onde si prova che tale ossequio è ragionevole e debito; dimostrazione che mai non fanno nè possono fare gli increduli quando inconsultamente si strisciano intorno ai loro oracoli a modo più di schiavi che di seguaci. E questa dimostrazione pur la si fa nel caso nostro di questa stupenda Enciclica Papale, la quale ancora sola basterebbe ad immortalare il nome del Pontefice che la dettò, e a rendere glorioso il suo pontificato per tutto il tempo avvenire.
Infatti prendendosi Leone XIII peculiare sollecitudine dello studio della filosofia, che altro fece se non seguitare la tradizione dei padri e dottori della Chiesa che o lo commendarono o lo adoperarono costantemente? Il Santo Padre nella Enciclica, incominciando dai Padri dei tempi apostolici, discorre per tutti i secoli fino a' nostri tempi [1], dimostrando che nella Chiesa fu sempre avuto in altissimo pregio lo studio della filosofia e di questa sempre si fece uso generalissimo. Di che segue che coloro i quali a questi giorni nei loro periodici condannano Papa Leone perchè si occupò di filosofia, vengono insieme a condannare tutta la cattolica tradizione, in ciò seguita dal medesimo Pontefice.
Ma questi non è pago di additare storicamente un tale fatto, dà la ragione di questo fatto, e il fa derivare dall'indole della filosofia e dai suoi rapporti con la fede cattolica e dal diritto e dovere che ha la Chiesa di adoperare quei mezzi che sono utili alla sua esistenza, al suo progressivo esplicamento ed alla sua difesa. Dicevamo utili, perchè [2] non vuol dirsi l'umana filosofia assolutamente necessaria nè allo stabilimento della Chiesa, nè alla sua conservazione. La filosofia è ancella della fede, non ispetta alla essenza di questa, e, come ancella, le presta servigi importantissimi ed opportunissimi.
Primieramente la filosofia predispone [3] altri ad abbracciare la fede cristiana, inducendolo ad ammettere una schiera infinita di proposizioni vuoi speculative vuoi pratiche, ch'egli debbe abbracciare, naturalmente necessitato dal lume di sua ragione. La mercè della filosofia l'umana ragione vede nella fede un'amica che le stende la mano, la solleva, la nobilita e la rafferma nelle sue rette investigazioni, non la contradice, non l'abbassa; perciò quella è soavemente allettata da questa e disposta ad abbracciarla. Che infinita sia la schiera delle proposizioni che dicevamo, la è cosa manifestissima: perchè quelle cognizioni [4] che rettamente trae la filosofia dalla contemplazione della natura ed hanno risguardo a Dio, sono tutte o esplicitamente o implicitamente proposte a credere dalla fede; e la morale cristiana è composta, in buona parte, di principii di morale filosofica: che anzi nella legge naturale ed eterna, secondo i principii di fede, vuolsi fondare ogni legge positiva, comechè rivelata e divina.
In secondo luogo [5] la filosofia dimostra che Dio è Creatore, è sapientissimo, è veracissimo: onde essa trae la illazione che egli ha un dominio totale ed assoluto sopra di noi, e quindi ha pienissimo diritto di proporci a credere quello che supera (sebbene non le contradica) la capacità della nostra mente; che egli non può cader in errore scambiando col falso il vero, nè può trarci menomamente in inganno, obbligandoci ad accettare per vero quello ch'ei sa esser falso. Onde viene che quando l'uomo conosce il fatto della rivelazione: ossia quand'ei apprende che una cosa è rivelata, può essere eccitato dai principii stessi della filosofia ad ammetterla, appoggiandosi alla onniscienza e alla veracità di Dio; e questo predisporsi ad accettare la fede viene coronato dall'opera della grazia, la quale dà all'atto del credere soprannaturale dignità.
In terzo luogo [6] la filosofia c'insegna essere assolutamente impossibile e che vi sia effetto senza cagione, e che questa sia non proporzionata alla produzione di quello. Essa ti dimostra che i miracoli, coi quali fin dal principio del cristianesimo ne fu comprovata la verità e la divinità, sono fatti della esistenza dei quali non può aversi dubbio prudente, ed inoltre sono eglino di tal indole da non potere essere prodotti da veruna cagione creata, per propria naturale virtù. Per la qual cosa la stessa filosofia t'insegna che quei fatti si hanno ad avere in conto di voci dello stesso Dio, che con essi reca infallibile testimonianza della fede rivelata, la quale, per ciò stesso, ha un luminosissimo carattere di verità.
In quarto luogo [7] il vero filosofo appoggiato al naturale principio di causalità, ha per fermo che non la sola propagazione della cristiana fede, ma ancora la sua conservazione supera la portata delle naturali cagioni: imperciocchè quelle cause che naturalmente annientano tutte le società, nulla possono contro la Chiesa, ed anzi la illustrano e ne moltiplicano i fedeli; tanto che passò in principio, fino ab antico, quel detto che i cristiani novelli pullulano dal sangue dei martiri. Laonde per non incorrere nell'assurdo che vi sia effetto senza proporzionata cagione, il filosofo è disposto ad ammettere che e nella propagazione e nella conservazione della fede e della Chiesa cristiana, v'è il braccio della divina onnipotenza. Quindi l'illazione, che quella fede e questa Chiesa sono da Dio.
Filosofando [8] sopra il bell'aspetto che ci dà la Chiesa, o si riguardi la sublimità, la nobiltà, la purezza della sua dottrina; o si consideri la sua operosità per ingenerare in tutti vera, interna e perfetta santità, e la conveniente proporzione dei mezzi che adopera a cotesto altissimo fine; o si rifletta sopra la carità de' suoi, figliuoli, la costanza nelle prove più difficili fino a dare la vita per la fede professata e per non commettere colpa di sorta alcuna, si viene ad inferire ch'essa Chiesa intende ad esprimere negli uomini la imagine delle divine perfezioni e con ciò tende efficacemente alla divina gloria. Laonde essa deve necessariamente essere a Dio cara e diletta: e ogni uomo può tranquillamente stare nel suo seno, certo di fare in ciò la divina volontà.
In sesto luogo [9], la filosofia è quella che dà alla sacra Teologia la natura di vera scienza. Infatti scienza non è una semplice proposizione di verità rivelate e certe per fede; ma è una cognizione dedotta da principii fermi, immutabili, evidenti. E appunto la filosofia somministra la logica, senza cui non può aversi quella cognizione dedotta. Che se le verità rivelate sopraintelligibili non sono a noi intrinsecamente evidenti, perchè non può la nostra mente vedere l'intitmo nesso che lega il predicato col soggetto di quelle proposizioni onde sono espresse, la filosofia loro dà una evidenza estrinseca che si appoggia a' naturali motivi di credibilità testè indicati. Per questa evidenza estrinseca, che la filosofia dà alle verità rivelate, le quali per sè stesse sono ferme ed immutabili, loro attribuisce il carattere di principii scientifici. Essa raccoglie in un solo sillogismo maggiore e minore rivelate, o ad una proposizione rivelata, congiunge altra proposizione che è certa ed evidente al lume della ragione e ne inferisce scientifiche illazioni. La filosofia ancora applica alla teologia i suoi metodi scientifici ora analitico, ora sintetico, di guisa che la medesima teologia appaia vera scienza e nel suo tutto e nelle sue parti.
E poichè tutte le cose create sono effetti della divina onnipotenza e l'effetto deve sempre in qualche maniera rassomigliare alla causa da cui è prodotto, segue che nelle cose deve sempre risplendere o l'imagine o la similitudine o, per così dire, un qualche vestigio di Dio Uno nella natura e Trino nelle persone. Per la stessa ragione il modo soprannaturale, col quale Dio opera nell'ordine della grazia deve pure essere adombrato dall'operare divino nell'ordine della natura. Perciò spetta alla filosofia fornire al teologo belle ed aggiustate analogie[10], in virtù delle quali, sebbene il mistero, nel campo soprannaturale speculativo e pratico, non sia reso perspicuo ed evidente, tuttavolta divenga più accostevole all'umana ragione: e questa nel contemplarlo esperimenti quel diletto nobilissimo e piacevolissimo che ne proviene.
Finalmente la filosofia meritamente vuolsi dire propugnacolo della fede [11], perchè essa fornisce alla teologia e spada e scudo ad offesa e difesa contro i suoi avversarii. Ciò fa in due maniere. La prima, dando le leggi di una giusta polemica e indicando tutte le forme sofistiche, con le quali l'errore si cela e combatte la verità. La seconda, opponendo agli assalti che si danno alla fede a nome della falsa scienza, le difese che la scienza vera prende della stessa fede. Conciossiachè è da richiamare a memoria che i nemici della fede, hanno cercato di metterla in dispregio presso tutti, studiandosi di farla passare come contraria ai principii inconcussi della ragione. Per la qual cosa egli è necessario mostrare che ciò non è vero: che quei principii tra quali e la fede vi ha reale opposizione, non sono principii di ragione, nè illazioni scientifiche, ma false asserzioni; e che tra i sinceri principii di ragione e la fede o si può chiarire perfetta concordia, od almeno si può dimostrare che reale discordia non v'è.
Il Santo Padre Leone XIII toccò con brevità ed aggiustatissima precisione questi otto punti, dai quali si fa manifesto che il nesso tra la fede e la filosofia è strettissimo: lo diremo simile a quello dell'anima col corpo umano. Il corpo umano presta all'anima immensi servigi, anzi questa ne dipende per esordire la propria esistenza. Egualmente la fede dee risguardare la filosofia come sua fida ancella, onde trae utilità immensa: e comechè la fede sia più nobile della ragione ch'è fonte della filosofia, come l'anima è più nobile del corpo; tuttavia quella non può esistere che in un soggetto ragionevole e quindi associata alla ragione medesima. Dall'utilità che la fede può avere dalla filosofia trasse il Santo Padre la illazione, che dunque i Padri e i Dottori della Chiesa, anzi la stessa Chiesa rappresentata nei Concilii o nei sommi Pontefici Romani, ben fecero prendendosi cura della filosofia; che anzi ne avean diritto e in certo modo dovere. «Nec spernenda nec posthabenda sunt naturalia adiumenta, quae divinae sapientiae beneficio, fortiter suaviterque omnia disponentis, hominum generi suppetunt; quibus in adiumentis rectum philosophiae usum constat esse praecipuum. Non enim frustra rationis lumen humanae menti Deus inseruit; et tantum abest, ut superaddita fidei lux intelligentiae virtutem extinguat aut imminuat, ut potius perficiat, auctisque viribus, habilem ad maiora reddat. Igitur postulat ipsius divinae Providentiae ratio, ut in revocandis ad fidem et ad salutem populis, etiam ab humana scientia praesidium quaeratur; quam industriam, probabilem ac sapientem, in more positam fuisse praeclarissimorum Ecclesiae Patrum, antiquitatis monumenta testantur [12][«Ma non sono da tenersi a vile nè da trascurarsi gli aiuti naturali benignamente somministrati all'uomo dalla divina sapienza, la quale con efficacia e soavità dispone di tutte le cose: tra i quali aiuti è certamente principale il retto uso della filosofia. Imperocchè non indarno Iddio accese nella mente umana il lume della ragione; ed è sì lungi dal vero che la luce della fede aggiunta alla ragione ne spenga la virtù o l'affievolisca, che anzi la perfeziona, ed accresciutane la  vigorìa, la rende adatta a cose più alte. — Adunque l'ordine della stessa Provvidenza divina richiede, che per ricondurre i popoli alla fede ed alla salute, si domandi presidio anche alla scienza umana: la quale industria, prudente e saggia, fu usata frequentemente dai più illustri Padri della Chiesa, siccome lo attestano i monumenti dell'antichità.» Leone XIII, Enciclica «Aeterni Patris» N.d.R.]
Ma qui dimandiamo: presso a tutti i padri e dottori della Chiesa e poscia presso que' gran maestri dell'umana e della divina scienza quali erano gli scolastici, esistette mai quella sconfinata licenza di filosofare e quell'arbitrio di sposare alla teologia qualunque strana filosofia come da pseudofilosofi dei nostri giorni pur si vorrebbe? Non mai! I padri e i dottori della Chiesa trassero da' vetusti filosofi della Grecia moltissimi filosofici principii, imitando gli ebrei[13] i quali non recarono seco, uscendo dall'Egitto, i vasi di vile creta che appartenevano agli egiziani; ma sì copia grande d'argento e d'oro. Non seguivano le persone dei filosofi greci, ma la verità da loro proposta; e se platoneggiava Agostino, facevalo, come ci avverte l'Aquinate, rendendo il platonismo cristiano. E questo egregiamente si vede nell'Aquinate stesso, il quale si attenne in vero alla filosofia di Aristotele, ma purificolla da' suoi errori, e in essa sinteticamente incentrò la filosofia adoperata dai padri e dottori della Chiesa nei secoli che lo precedettero. Il fare altramente sarebbe stata stoltezza, ed un tradire il deposito della rivelazione. Di vero, la fede essendo verità, essa è per sua natura inconciliabile con l'errore; per[ci]ò stolta cosa sarebbe stata stabilirle siccome ancella una falsa filosofia. L'avrebbe certamente male servita: o, meglio, una falsa filosofia si sarebbe ritrovata in una continua ed evidentissima opposizione alla medesima.
L'Angelico Dottore, cui alcuni degli stessi avversarii dell'Enciclica venerano come il più grande ingegno filosofico d'Italia, ordinatamente fissò quella che vuolsi detta filosofia cristiana. Non tale certamente perchè ne sieno stati definiti dommaticamente tutti i principii, ma perchè si sposò universalmente alla Teologia, e perchè i sommi Pontefici e i Concilii [14] la commendarono, od anche talvolta la prescrissero; e perchè generalmente s'insegnò nelle scuole cattoliche.
La quale approvazione, dalla parte dei Papi, talvolta fu data in generale facendosi allusione alla dottrina di S. Tommaso. Talvolta esplicita di qualche proposizione filosofica di somma importanza, con la quale si connettono moltissimi principii filosofici; com'è, ad esempio, il modo di unione dell'anima col corpo. Talvolta indiretta, presentandosi od inculcandosi la teologia dell'Aquinate: perchè trattandosi di teologia scolastica, che è il connubio della ragione con la fede, la filosofia da essa è affatto inseparabile: perciò lodando quella necessariamente pure questa si loda. E ciò che qui diciamo è tanto vero, che se talentasse ad alcuno torre dalle opere dell'Aquinate tutto quello ch'è filosofico, e vi lasciasse la pura positiva teologia, esse ridurrebbonsi quasi ad un bel nulla. E sopra questo bel nulla cadranno gli encomii, le approvazioni, le prescrizioni?
Leone XIII che spese gran parte della dottissima sua Enciclica nel discorrere sopra il merito singolarissimo, rispetto alla Chiesa, della filosofia dell'Angelico, non degnò neppure di una parola nè le male supposte condanne fatte da un cotale Vescovo di Parigi, nè il conciliabolo di Oxford. E fece egregiamente:  così chiedeva la sua autorità suprema e l'altissima sua dignità. Noi non gitteremo tempo in istoriche osservazioni per contentare que' giornalisti maliziosi o dappoco, che mettono in non cale o dispregiano le sentenze della Sede Apostolica e dei Concilii, e fingono riverenza (ripetendone come papagalli le supposte condanne) a quella assemblea di Oxford che solo è degna di essere dimenticata e negletta. Cotesti sono simili a coloro, se pure non sono i medesimi, che hanno a vile i più grandi pensatori vetusti e moderni, nè degnansi di ricordarne i nomi, ed esaltano come sommi filosofi certi mercatanti di cianciafruscole, che non capiscono nemmeno i primi ed evidentissimi principii della filosofia, qual è il principio di contradizione e quello di causalità, che turpemente hanno per sinonimi l'essere e il non essere, che l'effetto confondono con la causa, ed affermano che quello non abbisogna di questa. Roba da manicomio, ma che ora si ammira e si venera per amore di progresso, postergato e deriso tutto ciò che in filosofia vi ha di grande, e noi ancora diremo, tutto ciò che vi ha di veramente italiano [15]. [Il 7 marzo 1277 il Vescovo di Parigi Stefano Tempier condannò, assieme a quelle averroistiche, anche talune tesi tomistiche; il 18 marzo tali tesi furono condannate a Oxford anche da Roberto Kilwardby arcivescovo di Canterbury. La Santa Sede intervenne in seguito onde moderare tale eccesso di zelo con l'ordine di soprassedere a simili dispute. Resta il fondato dubbio che si intendesse condannare tali tesi se intese in senso averroista; ma con la canonizzazione di S. Tommaso da parte di Papa Giovanni XXII la questione è infallibilmente chiusa a favore delle tesi tomiste. N.d.R.]
Se non che quando noi diciamo filosofia cristiana de' Padri e dei Dottori scolastici, di quella noi intendiamo parlare che è veramente filosofia, la quale è sapientemente contrapposta dal Santo Padre alla fisica moderna [16]. Quella è essenzialmente razionale, i suoi principii sono evidenti; le sue illazioni vanno soggette a dimostrazione; tutte le sue tesi sono universali. La fisica moderna, di cui parliamo, è l'ordinata collezione dei fatti, conosciuti per lo mezzo della esperienza. Onde viene che se cotesta fisica si può dire scienza, perchè è con ordinato metodo proposta; non si può dire tale in quel senso in cui la parola scienza era adoperata dagli scolastici, presso i quali la scienza dovea appoggiarsi a principii razionali, certi ed evidenti, e non era riputata scienza la proposizione di fatti ammessi per altrui autorità o conosciuti soltanto per propria esperienza.
Di qua primamente viene che la filosofia, di cui parla il Santo Padre, ha per oggetto l'essenze delle cose, e quelle proprietà che scaturiscono dalle essenze stesse. Questo è il vero suo oggetto, sia che tratti di Dio, sia che tratti delle intelligenze separate, dell'uomo, dei bruti, delle piante e degli inorganici. Secondamente si fa manifesta la ignoranza o la malizia di coloro che per vilipendere la filosofia scolastica, le attribuiscono alcune ridevoli sentenze intorno all'alchimia od alla astrologia, che le sono affatto estranee, comechè si accettassero eziandio dai filosofi scolastici nelle opere loro.
La filosofia scolastica dell'Aquinate regnò nelle scuole cattoliche, si può dire solamente ed unicamente, per parecchi secoli: mercecchè le discrepanze che v'erano tra cattolici Dottori o erano fuori del vero campo filosofico, o erano rarissime; o erano in oggetti secondarii. La sedicente riforma, scisso con inique fazioni il gregge di Cristo, volle distrutto il vincolo ond'era divinamente alla teologia sposata la filosofia, e perciò non volle saperne di teologia scolastica. Sventuratamente in ciò a' protestanti si associarono molti filosofi cattolici, abbindolati dalle sofisme o dalla prepotenza di quelli. «Adnitentibus enim novatoribus saeeuli XVI, placuit philosophari citra quempiam ad fidem respectum, petita dataque vicissim potestate quaelibet pro lubito ingenioque excogitandi. Qua ex re pronum fuit, genera philosophiae plus aequo multiplicari, sententiasque diversas et inter se pugnantes oriri, etiam de iis rebus, quae sunt in humanis cognitionibus precipuae. A multitudine sententiarum ad haesitationes dubitationesque persaepe ventum est; a dubitationibus vero in errorem quam facile mentes hominum delabantur, nemo est qui non videat. Hoc novitatis studium, cum homines imitatione trahantur, catholicorum quoque philosophorum animos visum est alicubi pervasisse: qui patrimonio antiquae sapientiae posthabito, nova moliri, quam vetera novis augere et perficere maluerunt, certe minus sapienti consilio et non sine scientiarum detrimento. [17]» [«Imperocchè per gli sforzi dei novatori del secolo XVI piacque di filosofare senza il menomo riguardo alla fede, chiesta e datasi scambievolmente la facoltà di escogitare tutto che piacesse e talentasse. Quindi, com'era ben naturale, le varie maniere di filosofare si moltiplicarono più del dovere e sorsero sentenze diverse e fra sè pugnanti, anche intorno a quelle cose, che sono capitali nelle umane cognizioni. Dalla moltiplicità delle sentenze si passò assai di sovente all'incertezze e ai dubbi: dal dubbio poi quanto sia facile all'uomo precipitar nell'errore, non v'è chi nol vegga. E poichè gli uomini si lasciano portare tratti dall'esempio, anche le menti dei filosofi cattolici sembrarono invase dall'amore della novità: ond'è che, messo in non cale il patrimonio dell'antica sapienza, vollero piuttosto tentare cose nuove che aumentare e perfezionare con le nuove le antiche; e questo certamente con poco savio consiglio e non senza detrimento delle scienze.» Leone XIII, Enciclica «Aeterni Patris» N.d.R.] Il separare la filosofia dalla teologia era logico e necessario a quelli che volevano distruggere la cattolica fede, per due motivi: da prima perchè quella, come ci dimostrò Papa Leone, è vera ancella di questa; ci dimostra i motivi di credibilità; scioglie tutte le difficoltà che contro la fede si fanno a nome della scienza, e rende la fede stessa ai dotti più accostevole e più diletta. In secondo luogo perchè non potendosi avere opposizione vera tra la sincera filosofia e la fede, e pur volendosi dimostrare che tale opposizione v'era, fu d'uopo aprire il varco all'introduzione di false filosofie che necessariamente, perchè tali, alla fede si oppongono.
Emancipata la filosofia dal rispetto alla fede e tolta quindi alla sorveglianza diretta e piena della infallibile autorità della Sede Apostolica, non fu pazza filosofia che non venisse introdotta. Panteismo, materialismo, idealismo, nullismo, positivismo, trasformismo, epicureismo: tali e tante stoltezze formano il tesoro della filosofia emancipatasi dalla fede in questi ultimi tre secoli. E qui considerando gli antecedenti che si attengono alla Regola Filosofica stabilita dal Santo Padre, non possiamo nascondere ciò ch'egli stesso tocca e deplora. Cioè che anche filosofi cattolici abbandonata, con soverchia leggerezza, la filosofia dell'Aquinate si sono perduti, tal fiata, dietro le fantasie dei non cattolici, sebbene non cadessero nelle filosofiche enormezze di costoro; o studiaronsi di fabbricarsi de' nuovi sistemi filosofici senza il fondamento della verità. Onde, come osserva il medesimo Santo Padre [18], da una parte abbiamo una filosofia pazza ed empia che tutto corrompe e dalla distruzione dell'ordine speculativo corre alla distruzione dell'ordine pratico; dall'altra parte abbiamo una continua fluttuazione ed instabilità, per la quale i cattolici, divisi tra loro e dubbiosi, sono poco acconci a debellare l'errore ed impedire mali infiniti che sopravvengono alla Chiesa ed alla civile società.
Intanto i Papi i quali aveano il diritto e il dovere di porre tutta la loro sollecitudine affinchè il deposito della fede non patisse alcuna iattura, e perciò aveano (come sopra dicevamo col Santo Padre) il diritto e il dovere di sorvegliare la filosofia, non mancarono di far udire la propria voce. Condannarono false proposizioni filosofiche ora speculative, ora pratiche; per mezzo delle Romane Congregazioni censurarono moltissime dottrine filosofiche e condannarono infiniti libri, che ex professo trattavano di filosofia, specialmente dei capi scuola. Con tutto ciò non si ebbe un rimedio universale ed efficace. Le nuove sette filosofiche seguitarono a pullulare e durava ancora in molte scuole cattoliche la discrepanza in punti di gran momento e quindi la confusione e la debolezza. Non si può non essere sopraffatti da altissima meraviglia pensando che in questo secolo stesso, nelle scuole rette spesso da uomini di Chiesa, si dava una filosofia sensistica sulle pedate di Locke e di Condillac, e che da questa filosofia sensistica si passò pure, in molte scuole cattoliche, ad insegnare l'ontologismo e una specie di occasionalismo. In moltissimi corsi filosofici di laici e talvolta ancora di ecclesiastici non si avea riguardo a que' punti filosofici che dai Concilii e dalle Congregazioni Romane furono determinati; e l'Angelo delle scuole, il sommo filosofo, da parecchi nemmeno venia nominato di volo, quasi fosse uomo dozzinale: mentre che il titolo onorato di filosofo davasi a uomini di mediocre ingegno, di fantasia disfrenata, e i costoro sogni sconnessi aveansi in conto di speculazioni sublimi, piene di verità.
Se non che in questi ultimi anni si andò universaleggiando un desiderio di riforma filosofica: la filosofia scolastica si volle rimettere in onore e molti studiaronsi di dimostrare che l'angelico dottore S. Tommaso ci diede nelle sue opere un completo sistema di filosofia, di tutti i proposti in questi ultimi secoli migliore, il quale egregiamente si può e si deve conciliare coi ritrovati certi delle scienze moderne e con le illazioni che, logicamente e secondo verità, deduconsi dai fatti stessi. Parecchi corsi di filosofia scolastica elementare furono stampati secondo la dottrina dell'Aquinate; in molte opere separate si discussero i punti principali del sistema di S. Tommaso, e si dimostrò l'insussistenza reale e la falsità di tutti gli opposti sistemi. Spuntarono qua e là Accademie di S. Tommaso e degna di commemorazione onorevolissima è quella di Perugia fondata dal suo Arcivescovo Cardinale, ora sommo Pontefice, e quella di Napoli sostenuta dall'Arcivescovo Cardinale Riario Sforza. L'Accademia filosofico-medica di S. Tommaso fondata nel 1874 in questi ultimi cinque anni spiegò una peculiarissima ed universale energia ed ottenne successi, avuto riguardo alla condizione dei tempi, insperati. Il periodico La Scienza italiana (venuta come ausiliare del nostro, che da anni molti propugnò la dottrina dell'Aquinate) scritto dai soli socii accademici, si prese a compito di dimostrare che i cardinali principii della filosofia di S. Tommaso (i quali si propongono a seguire nel diploma accademico, e sono commendati nel Breve imperituro di Pio IX, col quale questi encomia ed approva l'Accademia stessa) non si oppongono a ciò che vi è di vero e di certo nella moderna scienza, comechè si oppongano alle infondate ipotesi di molti moderni scienziati. La Sede Apostolica durante il Pontificato di Pio IX applaudì a questo generale movimento di ritorno alla filosofia scolastica: in cento occasioni a quelli che lo eccitavano si dimostrò favorevole: ma non prescrisse la dottrina stessa nelle scuole cattoliche.
A questo movimento opponevansi di fronte i moderni avversarii del cattolicismo, i quali oggimai professano, quasi tutti, la filosofia teoretica e morale di Epicuro. Di più lo stesso movimento fu con grande ardore combattuto da molti filosofi cattolici, i quali temevano che il ritorno alla tanto odiata filosofia scolastica e del Peripato non avesse a recare gravissime conseguenze e scisme specialmente fra dotti laici. Intanto l'ordine sociale andava a soqquadro: la guerra, a nome della scienza contro la Chiesa, si faceva con tale iattanza, da affermarsi in quasi tutte le opere erudite dei moderni pseudofilosofi, che l'antagonismo tra la fede e la scienza era evidentissimamente chiarito e che o dovevasi rinunciare alla scienza e ai diritti della ragione, oppure alla fede cattolica.
Questi sono gli antecedenti che precedettero la Regola Filosofica data da Papa Leone XIII nell'Enciclica Aeterni Patris. Tale essendo lo stato delle cose, contro i detrattori di questo sapientissimo Pontefice dato per divino favore in questi procellosi tempi alla Chiesa, vuolsi dimostrare che convenientissimamente egli si diè a riformare la filosofia, e che prudentissimo, opportunissimo e giustissimo è il modo onde vuole che tale riforma sia fatta. Non facciamo questa dimostrazione, perchè i cattolici sinceri si pieghino all'autorità Pontificia: non ne abbisognano. Il vero cattolico accoglie le istruzioni che il Vicario di Gesù Cristo fa non quale privata persona, ma quale Vescovo di tutta la Chiesa cattolica, con rispetto, con piena sottomissione, esternamente e internamente, proponendosi di attuarle, per quanto sta in suo potere e a lui spettano. Ma come il filosofo contro gli empii o gli stolti si dà, filosofando, a giustificare le opere di Dio e i decreti della divina sua provvidenza, così possiamo noi fare delle ordinazioni anco solenni della Sede Apostolica.
[CONTINUA]

La regola filosofica di Sua Santità Leone P. P. XIII. proposta nella Enciclica «Aeterni Patris»

I. Gli antecedenti della Regola Filosofica stabilita dal Sommo Pontefice Leone XIII.
II. La Regola Filosofica considerata in sè stessa.
III. I conseguenti.
Seguita dei conseguenti.
IV. Seguita dei conseguenti - L'esecuzione della Regola Filosofica

NOTE:

[1] Ad agevolare le citazioni dell'Enciclica diamo ad ogni capoverso un numero progressivo. — Per la presente citazione vedi nn. 4, 10 e segg.
[2] Encicl. n. 2.
[3] Encicl. n. 4.
[4] Encicl. n. 4 cit.
[5] Encicl. n. 5.
[6] Encicl. n. 5 cit.
[7] Encicl. n. 5 cit.
[8] Encicl. n. cit.
[9] Encicl. n. 6.
[10] Encicl. num. cit.
[11] Encicl. n. 7.
[12] Encicl. n. 2.
[13] Encicl. n. 4.
[14] Encicl. n. 11, 12.
[15] Si legga sopra questo punto l'opera del Cornoldi: Prolegomeni della filosofia Italiana ecc.
[16] Encicl. n. 22.
[17] Encicl. n. 19.
[18] Encicl. cit. n. 19.

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