LA REGOLA FILOSOFICA DI SUA SANTITÀ LEONE P. P. XIII. PROPOSTA NELLA ENCICLICA AETERNI PATRIS (II) [1]
R.P. Giovanni Cornoldi d.C.d.G.
La Civiltà Cattolica anno XXX, serie X, vol. XII (fasc. 704, 9 ottobre 1879), Firenze 1879 pag. 165-183.
II.
La Regola Filosofica considerata in sè stessa
La sentenza del giudice non piace a' colpevoli e la rabbia di questi
contro di quello è in proporzione della loro malizia. Inoltre per
quell'inclinazione ch'è figliuola del primo peccato, per la quale
nitimur in vetitum, [«Nitimur
in vetitum semper cupimusque negata. — Bramiamo sempre
ciò che è vietato, e desideriamo ciò che ci è
negato.» Ovidio, Amores l. III. N.d.R.]
l'uomo, comechè di buona volontà, deve, più o meno,
combattere con sè stesso e vincersi a portare il giogo della
legge che infrena la sua libertà morale, specialmente se avvenga
che gli sia imposto di lasciare un sentiero in cui da prima si
dilettava, e batterne altro che non gli andava a talento. Questa
considerazione ci conduce a distinguere due classi di persone alle
quali ci conviene avere uno speciale riguardo, discorrendo sopra la Enciclica.
La prima è degli avversarii colpevoli e dichiarati della Sede
Apostolica, i quali infuriano contro la Enciclica
e contro Leone, dobbiamo pur dirlo, da dissennati, mostrando di non
intendere ciò che dicono. La seconda è degli uomini dotti,
ossequenti alla Sede Apostolica, cattolici sinceri, eziandio uomini di
Chiesa; la via battuta dai quali nello insegnamento filosofico, non
era propriamente quella che ora ci addita Papa Leone. Quelli
voglionsi, se la cosa è fattibile, tornare in cervello; questi
confortare: e tutto ciò si può ottenere con un mezzo assai
semplice, ch'è considerare la Regola
Filosofica in sè stessa, nella sua portata, senza
svisarla con interpretazioni talvolta inconsulte, talvolta indiscrete
e bistorte, che le si danno da molti, e per le quali appunto essa
viene in dispetto, o sembra inopportuna e soverchiamente gravosa.
Il Papa vuole regolare lo studio della filosofia, e lo vuole regolare
in quella determinata maniera ch'è indicata nella Enciclica
Aeterni Patris
diretta a' Patriarchi, Arcivescovi e Vescovi di tutta la Chiesa. Per
poco prescindiamo da questo secondo punto e discorriamo del primo. Ha
egli il diritto di proporre una regola per lo studio della filosofia
nelle scuole cattoliche e specialmente in quelle che dipendono
immediatamente dai Patriarchi, dagli Arcivescovi, dai Vescovi, come
sono i seminarii ecclesiastici; e in quelle che dipendono da'
superiori degli Ordini religiosi, approvati dalla Sede Apostolica e
che sono soggetti alla sua immediata giurisdizione? Considerata la
natura della filosofia e i suoi rapporti moltiplici con la fede (tale
considerazione l'abbiamo fatta nell'articolo precedente) cotesto
diritto non gli può affatto esser conteso da verun cattolico,
perchè esso è un diritto inerente inseparabilmente alla
autorità di Vicario di Gesù Cristo. Di questo diritto hanno
fatto uso i Papi passati, frequentissimamente, in qualche modo, Pio
IX; pertanto può usarne a bene della Chiesa e del gregge
cattolico eziandio Leone XIII. Sarebbe ereticale temerità
disconoscere nel medesimo cotale diritto, la quale temerità
ritrova la sua condanna nelle decisioni del Concilio Vaticano.
Di qua viene che quei liberali che, per sottrarsi al dovere di
eseguire la volontà del Papa espressa nella Enciclica,
gli negano il diritto di occuparsi dello studio della filosofia,
cadono in manifestissima contraddizione. Di vero, supponendolo Papa,
debbono in lui o esplicitamente o implicitamente riconoscere tutti
que' diritti che sono inerenti al supremo suo magisterio; e
per[ci]ò vengono a presupporre implicitamente in
lui quel diritto di regolare la filosofia nelle scuole cattoliche, il
quale è da loro esplicitamente negato. Questa è
contraddizione. Ad evitarla bisognerebbe che negassero avere lui la
suprema e divina autorità di Vicario di Gesù Cristo. In tale
ipotesi dovrebbonsi confutare in quella guisa, onde vengono confutati
quegli infedeli, quegli eretici, quegli scismatici, che negano o la
verità della cristiana religione, o la suprema e divina
autorità del pontificato Romano.
Anzi neppur tanto basterebbe a francare i liberali dalla
contraddizione che dicevamo. Infatti un liberale, pur prescindendo
dall'autorità che Pietro e i suoi successori ebbero da Cristo,
dovrebbe (discorrendo secondo i suoi stessi principii) riconoscere il
Papa di fatto come capo della cattolica società, rivestito di
que' diritti che di lui afferma e in lui riconosce questa medesima
società. Uno tra principali è quello di conservare nella sua
purità la dottrina speculativa da credersi e morale da
praticarsi, dal quale diritto scende quello di regolare la filosofia.
Si ammette di fatto il
diritto in ogni suprema autorità civile di regolare la dottrina,
sia nelle scuole, sia nella pubblica stampa e poi logicamente lo si
potrà negare al capo della Chiesa cattolica? Diciamo così,
perchè una libertà assoluta
d'insegnamento e di stampa non è stata mai concessa in
veruno Stato da qualsisia Governo, benchè liberale. Il punirsi i reati di stampa, il
prescriversi nelle scuole libri determinati, od anche il solo
sottoporre i giovani ad esami n'è evidentissima prova: che che ne
dicano i propugnatori del libero pensiero, della libera parola e del
libero insegnamento, i quali non si avveggono che alle loro teoriche
sempre si oppongono i fatti da loro medesimi intesi. Di vero, non
è moralmente libero, in faccia ai Governi, ciò che essi
puniscono; e la determinazione della dottrina fatta nei programmi od
anche solo negli esami contraddice apertamente all'assoluta
libertà dello insegnamento. Adunque se quel diritto si concede ad
ogni suprema autorità civile, non si può negare logicamente
alla suprema autorità della Chiesa: ma solo rimarrà a
vagliare l'indole di tale supremazia, per escludere tra le due
autorità una reale discordia, che non può essere intesa
nè dalla natura, nè da Dio.
Se il Papa si desse a regolare la pittura, la musica, la poesia, la
matematica, l'astronomia, la letteratura; que' liberali, che dicevamo,
meriterebbero minore rimprovero, negando al Papa il diritto di farlo,
perchè queste discipline non hanno quello strettissimo rapporto
con la fede e con la morale, che ha la filosofia. Tuttavia
anche in ciò cadrebbono in errore, poichè coteste
discipline possono avere ed hanno in realtà un lato onde
congiungonsi con la morale e con la fede; e perciò il Papa che
è della fede e della morale supremo custode, ha diritto e
dovere d'invigilarle.
Posto in sodo cotesto diritto che ha il Papa di regolare la
filosofia, veniamo a considerare se al tempo presente sia conveniente
tradurlo ad atto. Anche qui prescindiamo dalla maniera onde ciò
fa: prescindiamo cioè dall'indole della dottrina filosofica, cui
Leone XIII intende introdurre nelle scuole cattoliche; e veggiamo se
il volere ora regolare la filosofia in genere, sia cosa opportuna e
commendevole. La risposta affermativa a questo quesito ce la danno gli
antecedenti considerati nell'articolo precedente. Infatti allora
è convenientissima ed opportunissima cosa che il Papa si dia a
regolare la filosofia tra cattolici, quando questa di ancella della
fede si cangia in nemica; oppure a tale stato è ridotta, che i
suoi servigi sono di poco vantaggio alla fede medesima. Ma e che ci
dicono gli antecedenti sopra considerati? Che la filosofia nella
massima parte delle scuole anco in mezzo alle nazioni cattoliche si
è ribellata alla fede; combatte questa come violatrice dei
diritti della ragione; la dispregia come maestra di errori e unica
cagione della ignoranza dei popoli; propugna come suoi fondamentali
principii l'ateismo, il materialismo, il panteismo, coi quali è
impossibile che si accordi la fede stessa; distrugge il vero concetto
della legge, della colpa, del diritto e del dovere; alla fede essa
vuole che sia sostituita la sola ragione
nel reggimento della società civile e dimestica, introducendo un
assoluto divorzio da Dio nello Stato e nella famiglia, per ottenerlo
poscia negli individui.
Dall'altro lato gli antecedenti stessi ci hanno dimostrato che nelle
poche scuole che sono informate da spirito cattolico, quali
specialmente sono le rette dagli ecclesiastici, vi è a desiderare
quella unità, senza la quale le forze dividonsi, pullulano
dimestiche e fraterne lotte, e la filosofia (comechè non inimica
della fede) non può recare alla fede buono e vero servigio di
ancella, e combattere efficacemente quella perversa filosofia che
intende alla sua distruzione. Che anzi in alcune di queste scuole non
si ha quella sollecitudine, che si dovrebbe avere, di ragguagliare
sempre la filosofia alle dottrine che più o meno si connettono
con la fede: cotalchè questa spesso ne ha grave danno. Egli
è ben vero, e già trattando degli antecedenti l'abbiamo
accennato, che la bandiera della riforma filosofica si è
innalzata da parecchi anni con lieti auspicii, e che non pochi la
seguono appigliandosi alla filosofia dell'Aquinate, altre volte
promossa dai Papi e recentemente ancora da Pio IX. Ma questo movimento
trovò gagliardissima opposizione, e qualora non abbia il conforto
della Sede Apostolica, e il Papa stesso in maniera solenne ed
evidentissima non vi si metta a dirigerlo, potrebbe non avere buon
successo; anzi crediamo che non l'avrebbe di fatto, tante e tali sono
le difficoltà dell'impresa in questo secolo e nelle presenti
circostanze. Adunque era convenientissimo ed opportunissimo che il
Papa si desse daddovero a regolare la filosofia tra' cattolici. Altri
dirà che nemmeno l'intervento del Papa è sufficiente a
riformare a' nostri tempi la filosofia; o perch'egli non troverà
infra i buoni quella energica cooperazione che sarebbe necessaria; o
perchè la opposizione che si farà dai tristi, i quali ora
sono in grandissimo numero e da quasi tutti i Governi esclusivamente
protetti, ridurrà al niente ogni fatica dai buoni adoperata
perchè la volontà del Sommo Pontefice abbia il desiderato
successo. Non è questo il luogo di risolvere tale instanza: ne
parleremo trattando dei conseguenti. Ci basti ora notare due sole
cose. La prima, che se la riforma filosofica, ch'è richiesta dal
bene della Chiesa, e della società civile, non si può
ottenere mediante l'autorità del Papa, non si potrà ottenere
con nessun altro mezzo. La seconda che se il Papa si fosse limitato a
spingere i filosofi cattolici in
generale a declinare dalle false filosofie, e ad abbracciarne
una buona, senza indicare quali sieno quelle e quale questa, in tale
ipotesi concediamo che l'intervento del Papa non approderebbe gran
fatto. Ciascun filosofo si millanterebbe creatore della vera
filosofia; e i parti sconci di cervelli balzani si vorrebbono far
passare qual puro fior di sapienza. Quando si concede ad ognuno
l'essere giudice intorno alla bontà della filosofia, così
deve accadere come sempre accadde. Le pazze filosofie che, dal tempo
di Cartesio fino ai dì nostri, folleggiarono in Francia, in
Inghilterra, in Germania, in Italia ebbero principio da questo, diremo
così, individualismo; dall'avere abbandonato un comune filosofico
magistero per appigliarsi ciascuno a quella filosofia ch'ei giudicava
buona bella e vera. Per la qual cosa se il Pontefice avesse
rispettato, con indulgenza prepostera [= indulgenza fuor
di luogo e tempo debito N.d.R.],
questo individualismo,
continuerebbe certo quel disordine, rispetto alla filosofia, che or si
deplora; perchè seguitando ad esistere la causa, giuocoforza
è che ne derivino i suoi effetti. Ma quella sapienza che
suggerì a Papa Leone il metter mano alla riforma della filosofia,
lo illuminò ancora intorno al modo necessario per conseguire la
riforma stessa, cioè lo condusse a stabilire una determinata Regola Filosofica.
Proponiamola qual è; indi sopra vi discorreremo.
LA REGOLA FILOSOFICA DI S. S. LEONE PAPA XIII.
«Nos igitur dum edicimus libenti gratoque animo excipiendum esse
quidquid sapienter dictum, quidquid utiliter fuerit a quopiam inventum
atque excogitatum; Vos omnes, Venerabiles fratres, quam enixe
hortamur, ut ad catholicae fidei tutelam et decus, ad societatis
bonum, ad scientiarum omnium incrementum auream sancti Thomae
Sapientiam restituatis, et quam latissime propagetis. Sapientiam
sancti Thomae dicimus; si quid enim est a doctoribus scholasticis vel
nimia subtilitate quaesitum, vel parum considerate traditum, si quid
cum exploratis posterioris aevi doctrinis minus cohaerens, vel denique
quoquo modo non probabile, id nullo pacto in animo est aetati nostrae
ad imitandum proponi. Ceterum doctrinam Thomae Aquinatis studeant
magistri, a Vobis intelligenter lecti, in discipulorum animos
insinuare eiusque prae ceteris soliditatem atque excellentiam in
perspicuo ponant. Eamdem Academiae a Vobis institutae aut instituendae
illustrent ac tueantur, et ad grassantium errorum refutationem
adhibeant. — Ne autem supposita pro vera, neu corrupta pro
sincera bibatur, providete ut sapientia Thomae ex ipsis eius fontibus
hauriatur, aut saltem ex iis rivis, quos ab ipso fonte deductos, adhuc
integros et illimes decurrere certa et concors doctorum hominum
sententia est; sed ab iis, qui exinde fluxisse dicuntur, re autem
alienis et non salubribus aquis creverunt, adolescentium animos
arcendos curate.» [«Noi adunque in quella che
apertamente dichiariamo doversi con volenteroso e grato animo
accogliere tutto ciò che sapientemente fu detto, e quanto da
chicchessia fu utilmente trovato ed escogitato; Voi tutti,
Venerabili Fratelli, vivamente esortiamo a rimettere in uso la sacra
dottrina di S. Tommaso e di propagarla il più largamente che
far si possa, a tutela e ad onore della fede cattolica, a bene della
società, e ad incremento di tutte le scienze. Diciamo la
dottrina di S. Tommaso; imperocchè se alcuna cosa fu dagli
Scolastici cercata con soverchia sottigliezza, o con poca
considerazione insegnata; se ve ne ha alcun'altra che pienamente non
si accordi cogl'insegnamenti certi dei tempi più recenti, o
finalmente se alcuna ve n'ha in qualunque modo non meritevole di
essere accettata; non intendiamo che sia proposta all'età
presente perchè la segua. Del rimanente i maestri eletti da Voi
con saggio discernimento si studino di far penetrare negli animi dei
discepoli la dottrina di S. Tommaso d'Aquino; e mettano in luce la
sodezza e l'eccellenza di essa a preferenza di tutte le altre. Le
Accademie da Voi fondate o che si fonderanno la illustrino e la
difendano, e se ne valgano per confutare gli errori correnti.
— Affinchè poi non si abbia ad attingere la dottrina
supposta invece della genuina, nè la corrotta invece della
sincera, provvedete che la sapienza di S. Tommaso sia cavata dai
propri suoi fonti, o per lo meno da quei rivi, che usciti dallo
stesso fonte scorrono ancora puri e limpidissimi, secondo il sicuro
e concorde giudizio dei dotti. Da quei ruscelli poi che pur si
dicono sgorgati di là, ma di fatto crebbero di acque estranee e
non punto salubri, procurate di tener lontani gli animi dei
giovanetti.» N.d.R.]
Quest'è la Regola
Filosofica, proposta da Papa Leone XIII, e nella esecuzione
della medesima consiste quella riforma scientifica ch'egli con tutta
ragione reputa a' nostri dì non solo utile ma necessaria. Torna
bene distinguerla in parti separate.
1° Ogni filosofo cattolico deve con animo amico e grato
accettare quello che sapientemente fu detto da
chicchessia. Da questo principio segue che ciò che
è evidentemente o certamente vero debbesi abbracciare, sia che
venga detto da un cristiano o da un pagano; da uomini di chiesa o del
laicato; da santo Agostino e da san Tommaso; da Molina, da Suarez, da
Bellarmino, da Scoto, da tutti. Pregiudizii di scuola innanzi al
filosofo cattolico non debbono avere alcuna forza; perciocchè il
filosofo, in quanto tale, non si appoggia all'autorità di
chicchessia, ma alla evidenza o immediata o mediata del vero. Se non
che questa legge è per li filosofi, ossia per uomini versati
nella filosofia, e specialmente per li professori, e non già per
giovani discepoli. Questi per apprendere filosofia non hanno da darsi
alla lezione dei filosofi vetusti e moderni e spigolare da questi e da
quelli ciò che eglino stessi giudichino essere stato sapientemente
detto. Tale metodo eclettico
nell'apprendere la filosofia è sconcio; mercecchè
il discente non si è ancora formato un giusto criterio da
discernere il vero filosofico dal falso, e vi sarebbe inoltre infinita
iattura di tempo, e di più la certezza di un esito pessimo.
Ciò vedesi nella pratica di uomini che, in leggendo filosofi
molti e varii, confidano di diventare pur essi filosofi, senza un
previo sufficiente magistero, e riescono soltanto eruditi ciarlieri,
che spropositano ad ogni tratto nei punti più importanti dello
scibile umano, così speculativo come pratico. Adunque quella
legge non è per li discenti, ma poi filosofi già maturi. Per
quelli è necessario un magistero sicuro; e sarebbe stoltezza
applicare all'apprendimento della filosofia un metodo, che è
giudicato improprio allo studio della retorica, della matematica,
della fisica, della legge, di tutte le scienze e di tutte le
discipline.
Se noi consideriamo la predetta norma, di leggieri la troveremo
giusta e promotrice del vero progresso scientifico. Infatti ella
vuolsi dire giusta, perchè non lede il diritto che ha la ragione
ad abbracciare la verità,
prescindendo da chi la propone, essendo la verità il naturale
oggetto di quella. Vuolsi dire promotrice del vero progresso
scientifico, perchè in tale maniera gli sparsi tesori dell'umana
sapienza vengono raccolti, onorevolmente conservati, e successivamente
accresciuti.
Leone XIII espresse in questa norma lo spirito sincero della
cristiana filosofia, ond'erano animati i Padri e dottori della Chiesa
e notantemente l'Aquinate, i quali raccolsero negli immortali loro
volumi tutte quelle scientifiche gemme, ch'erano qua e là sparse
nelle opere degli antichi eziandio pagani, come già abbiamo col
medesimo Pontefice considerato nell'articolo precedente. Se non che a
questo spirito sincero della cristiana filosofia non solo talvolta si
oppose lo spirito di fazione di certe scuole cattoliche, ma da tre
secoli si oppose ed ora più che mai gagliardamente si oppone quel
pseudofilosofismo, il quale si vanta di tornare alla ragione suoi
diritti e sua libertà, e che a gonfie gote va menzognero
strombazzando amore a indefinito progresso. Conciossiachè tutte
le scuole filosofiche, che dall'apostasia di Lutero e dall'eresia
protestantica esordirono, ebbero a vile i tesori della sapienza
accumulati dai Padri e dai dottori della.Chiesa; e nelle scuole
ammodernate a tal punto siamo oggimai ridotti che a
priori si giudica falso ciò che siccome vero fu
propugnato da quelli. Qual mai professore delle moderne
università sarebbe a' nostri giorni oso di pur proferire con
onore nella scuola il nome di un Agostino, di un Tommaso d'Aquino, di
un Suarez? L'aureola di santo e il titolo di dottore cattolico in
faccia a' moderni scienziati sono il suggello di una assoluta
imbecillità, come pel fatto solo dell'apostasia uno
stupido pretazzuolo diventa un grand'uomo degno di un posto cospicuo
nel corpo degl'insegnanti. Alla legge adunque filosofica di Leone e
giusta e promotrice del vero progresso scientifico, si oppone la legge
della pseudofilosofia, specialmente della liberalesca dei nostri
giorni, la quale conculca i diritti che ha la ragione alla verità
prescindendo dalla persona di chi la propone; tarpa le ali all'umano
ingegno, il quale appoggiatosi alle conquiste già fatte dalla
sapienza dei maggiori ad alti voli naturalmente si solleverebbe; e
perciò contrasta essenzialmente al progresso scientifico. La
prima legge pertanto della Regola
Filosofica di Leone XIII è progresso:
la prima del pseudofilosofismo moderno liberale ed anticattolico
è regresso.
Ma la legge presente castiga ancora la leggerezza o la pia
dabbenaggine di certi inconsiderati cattolici (a cui si accostano
parecchi non cattolici con intenzione bieca e perciò ben diversa
dalla semplice intenzione di quelli), i quali vorrebbero che la
filosofia tutta e solamente si traesse dai santi Padri e si
dimenticasse una volta il pagano Aristotile ed altri filosofi non
cristiani. Senza addarsene e in tutta buona fede, cotestoro
contrastano ai diritti della ragione e al vero progresso scientifico,
e di più si lasciano cadere di mano un bellissimo argomento, onde
viene confortata la verità di nostra fede. In vero, Aristotele
diè, si può dire, una filosofia (perciò che alla sua
essenza si attiene) compiuta: nè potea conoscere egli la fede
cristiana che incominciò a propagarsi alcuni secoli dopo la sua
morte. Se adunque i fondamentali principii di cotesta filosofia del
Peripato ben si conciliano coi principii di nostra fede, gli increduli
in tale conciliazione debbono avere un argomento della verità
della nostra fede medesima. Non lo avrebbono se, reietta del tutto la
filosofia usata dai sommi filosofi ancorchè pagani, i dottori
cattolici si avessero fabbricata di pianta una novella filosofia: anzi
avrebberci detto che noi, secondo nostro talento e non mossi dalla
verità oggettiva, ci abbiamo creata una filosofia che si
accordasse con la nostra fede, affinchè non si dicesse esservi
opposizione tra questa e i dettati certi dell'umana ragione. Basta
così: il lettore, se ha fiore di senno, deve essere convinto che
le prime parole della Regola
Filosofica di Papa Leone contengono una perfettissima legge,
a cui è giuocoforza che l'umana mente si aggiusti, salvo se non
voglia calpestare turpemente i primi principii onde debbe reggersi nel
suo discorso.
2° Egualmente volentieri e con gratitudine il filosofo cattolico
deve accogliere ogni utile ritrovato
della scienza. Nella prima legge Leone assicurava i diritti della
ragione e il progresso della filosofia: nella seconda vuole che quelli
e questo non punto avversino il materiale progresso, al quale
indefessamente tendono le scienze esperimentali coi loro utili
ritrovati. Così appare manifesta la calunnia di coloro i
quali affermano che lo spirito cristiano muove perpetua guerra alle
scienze utili e che la
filosofia cristiana disconosce i ritrovati delle scienze
esperimentali. Se non che i filosofi cattolici non debbono lasciarsi
abbindolare da un sofisma a nostri dì comunissimo infra i moderni
scienziati. Nelle opere di costoro sono commisti i veri fatti e gli
utili ritrovati della scienza, con ipotesi gratuite o false le quali
spesso, occultamente sì ma certamente, si oppongono agli evidenti
principii della ragione e talvolta ai dettati della fede.
Fatta questa commistione si sono adoperati a tutto potere per far
passare non solo quelli, ma ancora queste loro gratuite e false
ipotesi quali ammaestramenti e quali scoperte della scienza. Non pochi
dozzinali filosofi cattolici ne' quali il cuore è più largo
della mente, non ponendo attenzione a quella distinzione, furono
tratti in inganno. Che se certi filosofi, conosciuto il sofisma, e per[ci]ò,
accettando que' fatti e quelle utili invenzioni, non hanno fatto buon
viso a coteste gratuite e false ipotesi, furono e dai maligni
scienziati ingannatori, e dai dabbene filosofi ingannati,
rimproverati, e messi in mala voce presso alle moltitudini, quasi
fossero nemici della scienza e
de' suoi materiali progressi. Ma il vero filosofo cattolico non
dev'essere una canna da lasciarsi piegare ad ogni aura popolare; egli
deve sempre distinguere scienza da scienziati; abbracciare volentieri
e con animo grato tutti gli utili
ritrovati di quella ed insieme cribrare [= vagliare
N.d.R.] con fine logica
le ipotesi di questi; qualora riconoscale false, senza umano riguardo,
le rigetti: qualora non sia certa la loro falsità, ma insieme non
le vegga confortate dal fatto o dalla ragione, ne sospenda il giudizio
e si astenga dal commendarle.
3° Acciocchè si ottenga quella riforma filosofica che fu
dimostrata utile e necessaria, a procurare la quale il Papa ha diritto
e dovere, come sopra già abbiamo detto, vuolsi avere riguardo a)
ai Vescovi: b) ai Professori: c) alle Accademie: d) ai Corsi o libri
nei quali devesi attignere la dottrina da insegnarsi: e la Regola
Filosofica di Leone XIII a tutto ciò provvede e tutto
determina.
a) I Vescovi. A
questi appartiene l'immediato reggimento dei fedeli delle singole
diocesi: ed essi hanno il diritto ed il dovere di procurare che
l'insegnamento filosofico sia tra cattolici quale debbe essere. Per[ci]ò
ad essi si rivolge direttamente il Pontefice per ottenere col mezzo
loro la desiderata riforma filosofica. Adunque essi primamente debbono
prefiggersi come fine la tutela e l'onore della cattolica fede, il
bene della società, e l'incremento di tutte le scienze.
Secondamente debbono coordinare, quale mezzo al conseguimento del
detto fine, la ristaurazione e la propagazione della sapienza
dell'Angelico dottore san Tommaso d'Aquino. Ma ciò facendo non si
debbe confondere la germana sapienza [= la
vera e fedele, cioè l'autentica
sapienza N.d.R.] dell'Aquinate
con le sofisticherie di alcuni scolastici, con le inconsulte
affermazioni, con le sentenze contrarie a dottrine che già dimostraronsi certe ed
evidenti, con le ipotesi affatto gratuite: conciossiachè non
queste ma quella, è mezzo buono, sufficiente ed efficace al
conseguimento del fine inteso.
b) I Professori. I
professori di filosofia debbono essere dai Vescovi intelligenter
lecti: eletti con vero consiglio. Ciò
importa principalmente che i Vescovi non iscelgano a professori
quelli che sono contrarii ai principii fondamentali, nei quali
s'imperna tutta la filosofia di san Tommaso, e i quali professori,
per ciò stesso, non possono essere internamente e di cuore
inclinati ad attuare quella riforma filosofica che è intesa dal
Vicario di Gesù Cristo. Di certo, la virtù dei
professori può far molto: ma sarà sempre dura
cosa insegnare la dottrina filosofica dell'Aquinate prima di avere
acquistato un vero interno convincimento della verità della
medesima. Altra cosa è fede, altra scienza. Quando la Chiesa
propone a credere un dogma, la volontà impera
al nostro intelletto di piegarsi a credere, indipendentemente
da quelli argomenti di ragione che potrebbero persuaderci della
colleganza che ha il predicato col soggetto di quella proposizione, in
cui è espresso il dogma da credersi. Ma la scienza di una
proposizione non si ha senza l'intuito di quella colleganza, e il
professore di filosofia deve dimostrare,
ossia far sì che gli scolari veggano
coll'occhio della mente loro la colleganza stessa. Per
esempio se il professore vuol dimostrare questa importantissima
proposizione che è un fondamento precipuo della filosofia
dell'Aquinate: l'anima umana
è forma sostanziale unica del corpo umano: deve far
sì che i discenti, conosciuta la significazione del soggetto e
del predicato, veggano,
ossia mentalmente intuiscano la loro colleganza. Come farà
ciò un professore che giudica di vedere egli non colleganza ma
discrepanza, e dicesi di ciò convinto? Al tutto, un siffatto
convincimento non può essere determinato da intellettuale
scientifica cognizione: ma fin che egli si ritrova in tale interna
disposizione non sarà atto a dimostrare certa, chiara ed evidente
quella verità, ch'egli ha in conto di errore. Siano adunque i
professori intelligenter lecti,
perchè come non è buono un martello di creta a ficcare entro
il muro un chiodo di ferro, così non sarà acconcio un
professore intimamente contrario alla dottrina dell'Aquinate, a farne
vedere la verità
all'intelletto de' suoi discepoli.
E qui conviene avvertire che nei seminarii i professori non hanno
nè possono avere quella libertà nell'insegnamento filosofico
che pur altri del laicato possono avere. Imperciocchè quelli non
insegnano nomine proprio,
ma nomine Episcopi vel Ecclesiae;
di che viene che sono obbligati a proporre quella dottrina, che la
Chiesa e il Vescovo vogliono sia data ai discenti; e se a ciò sinceramente non si acconciano,
debbono lasciare l'insegnamento e ritirarsi. E questo con eguale, se
non con più forte ragione, vuolsi dire dei professori che
appartengono alle varie religioni [= Ordini e Congregazioni
religiose N.d.R.] approvate
dalla Sede Apostolica, i quali pure debbono insegnare in quella
maniera che è dalla stessa Apostolica Sede, dal loro istituto e
dai loro superiori prescritta. Se vi ha chi apra scuola di filosofia
di suo proprio talento, non sarà soggetto all'autorità della
Chiesa che in maniera comune, ed i discepoli saranno liberi di recarsi
ad udire sue lezioni ch'ei darà nomine
proprio e non già nomine
Ecclesiae vel Episcopi. Diciamo questo perchè a
professori di filosofia, che sono soggetti nello insegnamento alla
ecclesiastica giurisdizione, non paia irragionevole o soverchia quella
dipendenza dalla Sede Apostolica, da Vescovi e dagli altri
ecclesiastici superiori, rispetto alla dottrina da insegnarsi, la
quale dipendenza è intesa, nè può non intendersi dal
Sommo Pontefice nella Regola
Filosofica.
I professori di filosofia che sono eletti dai Vescovi (mossi nella
elezione non da sola bontà di cuore, ma dal consiglio della
ragione intelligenter lecti)
debbono rendere persuasi e convinti i loro discepoli che la dottrina
dell'Angelico dottore è più
solida e più eccellente
di ogni altra (prae
ceteris soliditatem atque excellentiam in perspicuo ponant).
Presto detto; ma a ciò richiedesi nei professori forte ingegno e
studio profondo. Le moderne filosofie sono superficiali e leggere;
sfiorano le questioni, nè punto entrano nella essenza delle cose;
anzi spesso riduconsi a compendii storici difformi dalla realtà
ed indigesti. Per lo che non è meraviglia che a professori di
coteste filosofie eleggansi, assai sovente, uomini di scarso ingegno,
che poco hanno studiato e poco
scientificamente appreso. Ma la filosofia di S. Tommaso non
è pane per tutti i denti e di facile masticazione. La è vera
filosofia cioè cognizione che va al fondo, per quanto l'umana
ragione quaggiù può farlo, alla essenza delle cose. Se
riguardasi la sua comprensione, tutto vuole sviscerare il proprio
oggetto, sia nell'ordine speculativo, sia nel pratico. Se la sua
estensione, abbraccia tutto, Dio e il mondo; il reale e l'ideale;
l'infinito e il finito; l'assoluto e il contingente. Perciò essa
è la determinatrice dei principii essenziali
ed immutabili di tutte le scienze non esclusa la fisica qua late patet, perchè
stabilisce la essenza non
solo dell'uomo, ma del bruto, della pianta e dell'inorganico, e
determina le proprietà che essenzialmente derivano dalla essenza
medesima. Da soli due limiti è ristretta: il primo è la
cognizione esperimentale dei singolari (cui riducesi la fisica
esperimentale), perchè questa non è scientifica. Il secondo
è la cognizione del sopraintelligibile, perchè il lume
naturale della ragione, ossia quella potenza intellettiva che dicesi
intelletto agente, non vale a manifestare evidentemente il nesso che
passa tra il soggetto e il predicato di quelle proposizioni nelle
quali il sopraintelligibile viene significato. Ma Dio mio, tra questi
due limiti, quale distanza! È tanta che lascia aperto un campo a
indefinita speculazione. Adunque a conoscere la filosofia
dell'Aquinate, così da divenirne valente professore, ci vuole e
fine ingegno e lungo studio. Di
più gli è mestieri non solo conoscere la debolezza e la
falsità delle moderne filosofie alle quali devesi anteporre,
secondo la Regola
Filosofica di Leone, la filosofia dell'Aquinate, ma ancora
sapere quel tanto delle fisiche scienze esperimentali che basti a
discernere in esse i fatti certi e le certe illazioni dedotte dai
fatti, dalle ipotesi degli scienziati. Imperocchè per invilire
la filosofia scolastica, a' dì nostri, si mette in opera ogni
astuzia, per far passare il sofisma sopra accennato che confonde
insieme quei fatti e quelle illazioni con queste ipotesi spesso vane
e false, e che perciò si oppongono alla Fisica
razionale dell'Aquinate (diciamo razionale
e non esperimentale), che è parte integrante od anche
diremo essenziale della filosofia. Chiudiamo questo punto
dicendo che qualora i professori saranno
intelligenter lecti si otterrà ogni cosa e le brame del
Sommo Pontefice saranno coronate di lieto successo: altramente nulla
si otterrà, comecchè si moltiplichino le raccomandazioni, le
instanze, i precetti. Volete di belle pitture? date a fornir questo
còmpito ai Rafaelli, ai Tiziani, ai Reni e a que' che sebbene
sono di merito al merito di cotesti inferiore, tuttavia si studiano di
battere lo loro vestigie. Ma se chiamerete a servirvi dozzinali
pittori di facile contentatura che non si sono formati alla scuola dei
veri maestri, avrete pitture simili a que' rozzi ex
voto che pendono ai lati degli altari. Questo era lo studio
dei Rettori delle vetuste università cattoliche della nostra
Europa, trarre a sè valenti professori da qualunque parte
potevangli avere; quindi la gioventù, che volea essere
sapientemente addottrinata, da tutte parti (senza distinzione di
nazionalità) a quelle università accorreva in maggior folla,
nelle quali i professori intelligenter
lecti esercitavano con più splendore e frutto il loro
magisterio.
4° Le Accademie.
Leone ai Vescovi accenna e raccomanda le Accademie già costituite
o che da loro si possono costituire. Se al vero ci apponiamo,
l'allusione si fa o solamente o peculiarmente alle Accademie diocesane
o provinciali. Di
accademie che abbiano una piena universalità, che sieno ad
hoc istituite, perchè la filosofia di San Tommaso si
dimostri in armonia coi fatti
e colle illazioni che
certamente derivano dai fatti stessi, e perchè essa venga
universalmente accetta da tutte
le scuole e finalmente perchè in questa maniera la Scienza
dapertutto si riconcilii con la fede, di queste Accademie, diciamo,
non ne conosciamo che una sola. Quest'è l'Accademia
Filosofico-medica di San Tommaso, la quale già accoglie un
settecento membri, tra quali un ventotto Cardinali, un settanta
Arcivescovi e Vescovi, moltissimi prelati di grado inferiore e il
resto dottori o professori di Teologia, di Filosofia, di Medicina e di
Scienze Naturali. Sappiamo di certo che Papa Leone fu l'anima di
quest'Accademia fin da quando reggeva la Diocesi di Perugia, ed
abbiamo sott'occhio parecchie sue lettere nelle quali, con zelo pari
alla sua sapienza ed alla sua prudenza, confortavala appena nata, e
dimostrava viva brama che venisse creato un periodico, quale poi si
pubblicò col titolo di Scienza
Italiana. Ad accademie direm così cosmopolitiche,
com'è questa, non ci sembra, ripetiamo, che ora intenda od almeno
principalmente intenda il Sommo Pontefice. Ma ben conoscendo il
grandissimo frutto che diè l'Accademia da lui stesso fondata
nella Diocesi di Perugia; ed un'altra simile stabilitasi nella Diocesi
di Napoli, sembraci ch'egli desideri che altre se ne costituiscano in
altre diocesi, i cui membri sieno specialmente ecclesiastici
diocesani.
Se non che egli vuole che così fatte accademie, o istituite o da
istituirsi dai Vescovi, professino la filosofia di San Tommaso, la
illustrino e la difendano e questa stessa dottrina adoperino per
confutare quegli errori, che sono il cancro delle scienze moderne e
che appestano la società tutta quanta. Sapientissimo consiglio
è questo e degno del Vicario di Gesù Cristo. Oggimai la
massima parte delle accademie scientifiche (diciamo massima
parte e non tutte perchè vi sono alcune eccezioni) non
si incentrano in fondamentali principii determinati,
solidi, sicuri e certi; ma sono banderuole che cangiano con
la voltabile opinione non già della scienza (che è, nella
sua essenza, immutabile sebben progressiva, com'è l'uomo
quantunque sia da prima piccino e a poco a poco cresca in tutte sue
parti), ma degli scienziati, e più servono a recare un pò di
lustro a' socii accademici che al bene della Chiesa e della civile
società. Leone non ama le sole apparenze, il fuco [= il belletto N.d.R.],
il lustro mondano; ama la realtà, il sodo, il vero bene comune; e
perciò insta affinchè le accademie s'incentrino nella
dottrina dell'Aquinate e daddovero si dieno a lottare contro gli
errori che a' nostri giorni imperversano.
5° I Corsi. A
questo titolo rivochiamo ancora que' libri, dai quali i professori
possono attignere la dottrina filosofica dell'Aquinate. Anzi tutto
debbesi avvertire che Papa Leone non fa qui una esortazione ai
filosofi o ai professori di filosofia, ma bensì una
raccomandazione ai Vescovi, ai quali direttamente confida la
ristaurazione filosofica. Sono perciò i Vescovi che debbono
invigilare affinchè la sapienza dell'Angelico si attinga alle sue
pure fonti, cioè dalle sue stesse opere. Che se o per difetto di
tempo o per manco di capacità o per altri motivi ciò non si
potesse fare, si attinga ai rivi; ma non ai rivi nei quali altre acque
di natura diversa si sono commiste, o pel terreno sopra cui scorrono
si sono fatti fangosi, bensì a rivi schietti e puri che da quelle
fonti hanno la vita.
Adunque i professori apprendano la dottrina dell'Angelico nelle sue
opere o in que' libri che fedelmente
la esprimono: e il corso di filosofia da spiegarsi ai giovani
o sia lo stesso S. Tommaso, o di filosofi che ne sono fedeli seguaci.
Ma di ciò non è pago il Santo Padre: ci dà ancora il
criterio per discernere i puri rivi dai rivi non puri. Questo
criterio è l'esservi certa
e concorde sentenza intorno alla spiegazione della dottrina
dell'Angelico. Due cose dobbiamo qui distinguere
nell'Angelico, la dottrina filosofica, e il metodo nell'esporla e
nell'insegnarla a giovani. Del metodo parleremo appresso, per ora ci
basti far osservare che volendo il Santo Padre che si segua la
dottrina filosofica di S. Tommaso, non può non volere che se ne
propugnino i principii
fondamentali. Pertanto non saranno puri que' rivi che
discordano dall'Aquinate nei principii fondamentali;
e a tali rivi non debbono attingere i professori e dai medesimi
debbono i Vescovi rimuovere la gioventù studiosa. Ciò posto
diciamo che da secoli molti fu sentenza certa e concorde (certa
et concors doctorum hominum sententia est) che S. Tommaso
tenesse: 1° che nelle cose corporee v'è un doppio essere,
sostanziale cioè ed accidentale: 2° che vi è vera
mutazione sostanziale ed accidentale: 3° che perciò vuolsi
realmente distinguere la materia prima dalla forma sostanziale;
4° che realmente si distinguono gli accidenti dalla sostanza;
5° che nell'uomo vi è una sola forma sostanziale e questa
è l'anima intellettiva, la quale è pure nell'uomo il
principio della vita sensitiva e vegetativa; 6° che quest'anima
è la sola forma sostanziale sussistente, immateriale,
incorruttibile ed immortale; 7° ch'essa non è un'anima
sensitiva prodotta dalla generazione umana, la quale si tramuti in
intellettiva per lo affacciarsi di Dio-ideale, ossia dell'ente ideale,
ma che la è creata cioè prodotta ex
nihilo sui et subiecti; 8° che la naturale intellettiva
cognizione di quest'anima non si fa per l'immediata intuizione di
Dio-ideale; ma in virtù dello intelletto agente che è una potenza intrinseca all'anima
stessa, una sua virtù, una sua luce immateriale, simile
e non identica alla luce infinita della increata verità;
9° che tutte le specie intelligibili hanno loro genesi per
l'astrazione che fa l'intelletto dai fantasmi; 10° che dallo
stesso Dio viene ragione e fede, e perciò che non vi è
nè può esservi vera contraddizione tra un principio di
ragione ed un principio di fede; 11°
che non vi è unità di essere e nell'ordine ideale e
nell'ordine reale: e che perciò non solo vi è l'essere
increato e l'essere creato, ma ogni cosa ha l'essere suo proprio, il
quale è distinto e separato dall'essere delle altre cose.
Laonde, come Iddio trasse dal nulla (ex
nihilo sui et subiecti) l'essere delle cose, così (de potentia absoluta)
potrebbe tornarlo al nulla. Questi sono alcuni dei principii
fondamentali della
filosofia dell'Aquinate, e per secoli i dottori cattolici non
sospettarono che egli non gli tenesse, ma piuttosto professasse
principii contradittorii ai medesimi. Al generale consentimento dei
vetusti dottori scolastici debbesi qui aggiugnere il consentimento dei
moderni che vogliono attenersi alla dottrina dell'Aquinate, ed hanno
composti corsi filosofici ed altre opere intorno a tutti od alcuni dei
punti medesimi. Qui restringendoci ai soli italiani rammemoreremo
l'Em. Zigliara, Liberatore, Sanseverino, Cornoldi, Prisco, Talamo,
Borgognoni, Valdameri, Tamba, Rastero, Rossignoli, Venturoli,
Liverani, Santi, Zanon ed altrettali dell'Accademia filosofico-medica
di San Tommaso. Questi per contumelia furono chiamati
neo-peripatetici, neo-tomisti, neo-scolastici dai seguaci di Hegel, di
Cartesio, ed eziandio da quelli di Gioberti e
di Rosmini;
i quali ultimi pur mostrandosi prodighi di incenso per l'Angelo
delle scuole, s'impuntano a volere interpretare
in maniera diversa la mente dell'Aquinate. Ma
l'interpretazione varia non può farsi che nelle dubbie sentenze
od oscure; dove la sentenza è chiara, certa, evidente, ed è
sentenza in egual modo ripetuta e dimostrata in più luoghi delle
opere del santo Dottore, e così intesa da' suoi più insigni
espositori, la varia interpretazione non può aver luogo: ed
è non segno di acuto ingegno, bensì di grossiero o di non
retta volontà il fare altramente. Per la qual cosa avendosi certa et concors sententia dei
vetusti e dei moderni scolastici intorno alla dottrina dell'Aquinate,
per ciò che riguarda i principii fondamentali
della filosofia, nè lecita essendo, perchè
irragionevole, una interpretazione contraria al comun sentire degli
scolastici stessi, è manifesto quali debbansi avere in conto di puri rivi, quali di
impuri. Non è questo il luogo da particolareggiare sopra
i singoli rivi impuri, ma
possiamo, stando sulle generali, affermare che assolutamente sono rivi
impuri quelli, che attribuiscono all'Aquinate dottrine opposte agli
indicati principii. Il Papa vuole che la filosofia si ristauri coi
principii della dottrina dell'Angelico; afferma che vi sono dei rivi
che l'hanno pura e dei rivi che tale non l'hanno; eccita i Vescovi a
tener lontani i giovani da questi ultimi: dà un criterio per
discernere gli uni dagli altri; basta così, e solo da noi
richiedesi buona volontà e conseguentemente docilità.
Non altri obbietti, che uomini dotti e pii interpretano quei punti fondamentali in maniera diversa
da quella adoperata dagli scolastici antichi e moderni, perchè non furono i soli tristi ma ancora,
e forse specialmente quelli che ebbero o che hanno fama di dotti e
di pii, che produssero tra noi
cattolici scissure lagrimevolissime in fatto di filosofia.
Anzi le false dottrine degli increduli non fanno tra filosofi
cattolici grave danno, se tra noi stessi non vi abbia chi loro faccia
buon viso e alla scoperta o celatamente in tutto o in parte non le
propugni. Non potè sfuggire questa verità di fatto l'acuta
mente di Leone XIII; laonde l'affermò esplicitamente in una sua
lettera apostolica data testè (11 settembre 1879) al Vescovo di
Vigevano in risposta ad una schiera eletta di sacerdoti che uscendo
dal ritiro degli esercizii spirituali gli avevano inviata una formale
dichiarazione di aderire alla Regola
Filosofica stabilita nell'Enciclica
Aeterni Patris. Troppo
importa che un tratto di cotesta lettera sia messa sott'occhio a'
nostri lettori. Eccolo: «Hanc vero iucunditatem cumulavit omnino
proclivitas illa animorum, qua ipsi plauserunt nuperis encyclicis
litteris Nostris de instauranda christiana philosophia, iuxta
sancti Thomae doctrinam. Cum enim inter eosdem non desiderentur viri
docti suisque noti lucubrationibus; merito confidimus, ipsos
documentis Nostris inhaerentes, auream propugnaturos esse Doctoris
Angelici sapientiam, adversus recentiorum etiam piorum
systemata (si noti questa parola
systemata), quae iamdiu
scindunt scholas catholicas, et eorum, qui unanimes sanam
solidamque doctrinam tradere deberent, sententias viresque inter se
committunt, non sine mediocri veritatis et scientiae detrimento.»
[«Ha colmato del tutto tale (Nostra)
gioia quell'inclinazione degli animi, colla quale essi (i
componenti del Clero di Vigevano) hanno plaudito alla Nostra
recente Lettera Enciclica sul ripristino della filosofia
cristiana secondo la dottrina di San Tommaso. Poichè
tra loro non mancano uomini dotti e noti per i loro
lavori, meritamente confidiamo che essi, aderendo al Nostro
documento, siano propugnatori della sapienza del Dottore angelico contro i recenti sistemi (si
noti questa parola sistemi)
anche di pii autori, che
già da tempo scindono la concordia tra cattolici, e
di coloro i quali, mentre dovrebbero tramandare unanimemente la
sana e solida dottrina, mettono invece in opposizione tra di loro
i pareri e le forze, con non lieve iattura della verità e
della scienza.» Litterae
SS. D. N. Leonis XIII. ad Episcopum Viglebani in commendationem
doctrinae s. Thomae Aquinatis, 11 settembre 1879. N.d.R.]
Non cale gran fatto che qui indichiamo i
pii filosofi e quei loro sistemi, coi quali scindono la concordia
tra cattolici, con non lieve iattura della verità e della
scienza. Basta dire che que' filosofi pii, che sono rimproverati da
Papa Leone, certamente non sono i sinceri seguaci dell'Aquinate; e che
questi riprovati sistemi sono gli opposti a quella dottrina, che con
sentenza concorde e costante attribuirono ed
attribuiscono gli Scolastici al Santo Dottore.
[CONTINUA]
La regola filosofica di Sua Santità Leone P. P. XIII. proposta nella Enciclica «Aeterni Patris» |
I. Gli antecedenti della Regola Filosofica stabilita dal Sommo Pontefice Leone XIII. |
II. La Regola Filosofica considerata in sè stessa. |
III. I conseguenti. |
Seguita dei conseguenti. |
IV. Seguita dei conseguenti - L'esecuzione della Regola Filosofica |
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