venerdì 14 ottobre 2016

LA REGOLA FILOSOFICA DI SUA SANTITÀ LEONE P. P. XIII. PROPOSTA NELLA ENCICLICA AETERNI PATRIS (II) [1]

R.P. Giovanni Cornoldi d.C.d.G.

La Civiltà Cattolica anno XXX, serie X, vol. XII (fasc. 704, 9 ottobre 1879), Firenze 1879 pag. 165-183.

II.

La Regola Filosofica considerata in sè stessa

La sentenza del giudice non piace a' colpevoli e la rabbia di questi contro di quello è in proporzione della loro malizia. Inoltre per quell'inclinazione ch'è figliuola del primo peccato, per la quale nitimur in vetitum, [«Nitimur in vetitum semper cupimusque negata. — Bramiamo sempre ciò che è vietato, e desideriamo ciò che ci è negato.» Ovidio, Amores l. III. N.d.R.] l'uomo, comechè di buona volontà, deve, più o meno, combattere con sè stesso e vincersi a portare il giogo della legge che infrena la sua libertà morale, specialmente se avvenga che gli sia imposto di lasciare un sentiero in cui da prima si dilettava, e batterne altro che non gli andava a talento. Questa considerazione ci conduce a distinguere due classi di persone alle quali ci conviene avere uno speciale riguardo, discorrendo sopra la Enciclica. La prima è degli avversarii colpevoli e dichiarati della Sede Apostolica, i quali infuriano contro la Enciclica e contro Leone, dobbiamo pur dirlo, da dissennati, mostrando di non intendere ciò che dicono. La seconda è degli uomini dotti, ossequenti alla Sede Apostolica, cattolici sinceri, eziandio uomini di Chiesa; la via battuta dai quali nello insegnamento filosofico, non era propriamente quella che ora ci addita Papa Leone. Quelli voglionsi, se la cosa è fattibile, tornare in cervello; questi confortare: e tutto ciò si può ottenere con un mezzo assai semplice, ch'è considerare la Regola Filosofica in sè stessa, nella sua portata, senza svisarla con interpretazioni talvolta inconsulte, talvolta indiscrete e bistorte, che le si danno da molti, e per le quali appunto essa viene in dispetto, o sembra inopportuna e soverchiamente gravosa.
Il Papa vuole regolare lo studio della filosofia, e lo vuole regolare in quella determinata maniera ch'è indicata nella Enciclica Aeterni Patris diretta a' Patriarchi, Arcivescovi e Vescovi di tutta la Chiesa. Per poco prescindiamo da questo secondo punto e discorriamo del primo. Ha egli il diritto di proporre una regola per lo studio della filosofia nelle scuole cattoliche e specialmente in quelle che dipendono immediatamente dai Patriarchi, dagli Arcivescovi, dai Vescovi, come sono i seminarii ecclesiastici; e in quelle che dipendono da' superiori degli Ordini religiosi, approvati dalla Sede Apostolica e che sono soggetti alla sua immediata giurisdizione? Considerata la natura della filosofia e i suoi rapporti moltiplici con la fede (tale considerazione l'abbiamo fatta nell'articolo precedente) cotesto diritto non gli può affatto esser conteso da verun cattolico, perchè esso è un diritto inerente inseparabilmente alla autorità di Vicario di Gesù Cristo. Di questo diritto hanno fatto uso i Papi passati, frequentissimamente, in qualche modo, Pio IX; pertanto può usarne a bene della Chiesa e del gregge cattolico eziandio Leone XIII. Sarebbe ereticale temerità disconoscere nel medesimo cotale diritto, la quale temerità ritrova la sua condanna nelle decisioni del Concilio Vaticano.
Di qua viene che quei liberali che, per sottrarsi al dovere di eseguire la volontà del Papa espressa nella Enciclica, gli negano il diritto di occuparsi dello studio della filosofia, cadono in manifestissima contraddizione. Di vero, supponendolo Papa, debbono in lui o esplicitamente o implicitamente riconoscere tutti que' diritti che sono inerenti al supremo suo magisterio; e per[ci]ò vengono a presupporre implicitamente in lui quel diritto di regolare la filosofia nelle scuole cattoliche, il quale è da loro esplicitamente negato. Questa è contraddizione. Ad evitarla bisognerebbe che negassero avere lui la suprema e divina autorità di Vicario di Gesù Cristo. In tale ipotesi dovrebbonsi confutare in quella guisa, onde vengono confutati quegli infedeli, quegli eretici, quegli scismatici, che negano o la verità della cristiana religione, o la suprema e divina autorità del pontificato Romano.
Anzi neppur tanto basterebbe a francare i liberali dalla contraddizione che dicevamo. Infatti un liberale, pur prescindendo dall'autorità che Pietro e i suoi successori ebbero da Cristo, dovrebbe (discorrendo secondo i suoi stessi principii) riconoscere il Papa di fatto come capo della cattolica società, rivestito di que' diritti che di lui afferma e in lui riconosce questa medesima società. Uno tra principali è quello di conservare nella sua purità la dottrina speculativa da credersi e morale da praticarsi, dal quale diritto scende quello di regolare la filosofia. Si ammette di fatto il diritto in ogni suprema autorità civile di regolare la dottrina, sia nelle scuole, sia nella pubblica stampa e poi logicamente lo si potrà negare al capo della Chiesa cattolica? Diciamo così, perchè una libertà assoluta d'insegnamento e di stampa non è stata mai concessa in veruno Stato da qualsisia Governo, benchè liberale. Il punirsi i reati di stampa, il prescriversi nelle scuole libri determinati, od anche il solo sottoporre i giovani ad esami n'è evidentissima prova: che che ne dicano i propugnatori del libero pensiero, della libera parola e del libero insegnamento, i quali non si avveggono che alle loro teoriche sempre si oppongono i fatti da loro medesimi intesi. Di vero, non è moralmente libero, in faccia ai Governi, ciò che essi puniscono; e la determinazione della dottrina fatta nei programmi od anche solo negli esami contraddice apertamente all'assoluta libertà dello insegnamento. Adunque se quel diritto si concede ad ogni suprema autorità civile, non si può negare logicamente alla suprema autorità della Chiesa: ma solo rimarrà a vagliare l'indole di tale supremazia, per escludere tra le due autorità una reale discordia, che non può essere intesa nè dalla natura, nè da Dio.
Se il Papa si desse a regolare la pittura, la musica, la poesia, la matematica, l'astronomia, la letteratura; que' liberali, che dicevamo, meriterebbero minore rimprovero, negando al Papa il diritto di farlo, perchè queste discipline non hanno quello strettissimo rapporto con la fede e con la morale, che ha la filosofia. Tuttavia anche in ciò cadrebbono in errore, poichè coteste discipline possono avere ed hanno in realtà un lato onde congiungonsi con la morale e con la fede; e perciò il Papa che è della fede e della morale supremo custode, ha diritto e dovere d'invigilarle.
Posto in sodo cotesto diritto che ha il Papa di regolare la filosofia, veniamo a considerare se al tempo presente sia conveniente tradurlo ad atto. Anche qui prescindiamo dalla maniera onde ciò fa: prescindiamo cioè dall'indole della dottrina filosofica, cui Leone XIII intende introdurre nelle scuole cattoliche; e veggiamo se il volere ora regolare la filosofia in genere, sia cosa opportuna e commendevole. La risposta affermativa a questo quesito ce la danno gli antecedenti considerati nell'articolo precedente. Infatti allora è convenientissima ed opportunissima cosa che il Papa si dia a regolare la filosofia tra cattolici, quando questa di ancella della fede si cangia in nemica; oppure a tale stato è ridotta, che i suoi servigi sono di poco vantaggio alla fede medesima. Ma e che ci dicono gli antecedenti sopra considerati? Che la filosofia nella massima parte delle scuole anco in mezzo alle nazioni cattoliche si è ribellata alla fede; combatte questa come violatrice dei diritti della ragione; la dispregia come maestra di errori e unica cagione della ignoranza dei popoli; propugna come suoi fondamentali principii l'ateismo, il materialismo, il panteismo, coi quali è impossibile che si accordi la fede stessa; distrugge il vero concetto della legge, della colpa, del diritto e del dovere; alla fede essa vuole che sia sostituita la sola ragione nel reggimento della società civile e dimestica, introducendo un assoluto divorzio da Dio nello Stato e nella famiglia, per ottenerlo poscia negli individui.
Dall'altro lato gli antecedenti stessi ci hanno dimostrato che nelle poche scuole che sono informate da spirito cattolico, quali specialmente sono le rette dagli ecclesiastici, vi è a desiderare quella unità, senza la quale le forze dividonsi, pullulano dimestiche e fraterne lotte, e la filosofia (comechè non inimica della fede) non può recare alla fede buono e vero servigio di ancella, e combattere efficacemente quella perversa filosofia che intende alla sua distruzione. Che anzi in alcune di queste scuole non si ha quella sollecitudine, che si dovrebbe avere, di ragguagliare sempre la filosofia alle dottrine che più o meno si connettono con la fede: cotalchè questa spesso ne ha grave danno. Egli è ben vero, e già trattando degli antecedenti l'abbiamo accennato, che la bandiera della riforma filosofica si è innalzata da parecchi anni con lieti auspicii, e che non pochi la seguono appigliandosi alla filosofia dell'Aquinate, altre volte promossa dai Papi e recentemente ancora da Pio IX. Ma questo movimento trovò gagliardissima opposizione, e qualora non abbia il conforto della Sede Apostolica, e il Papa stesso in maniera solenne ed evidentissima non vi si metta a dirigerlo, potrebbe non avere buon successo; anzi crediamo che non l'avrebbe di fatto, tante e tali sono le difficoltà dell'impresa in questo secolo e nelle presenti circostanze. Adunque era convenientissimo ed opportunissimo che il Papa si desse daddovero a regolare la filosofia tra' cattolici. Altri dirà che nemmeno l'intervento del Papa è sufficiente a riformare a' nostri tempi la filosofia; o perch'egli non troverà infra i buoni quella energica cooperazione che sarebbe necessaria; o perchè la opposizione che si farà dai tristi, i quali ora sono in grandissimo numero e da quasi tutti i Governi esclusivamente protetti, ridurrà al niente ogni fatica dai buoni adoperata perchè la volontà del Sommo Pontefice abbia il desiderato successo. Non è questo il luogo di risolvere tale instanza: ne parleremo trattando dei conseguenti. Ci basti ora notare due sole cose. La prima, che se la riforma filosofica, ch'è richiesta dal bene della Chiesa, e della società civile, non si può ottenere mediante l'autorità del Papa, non si potrà ottenere con nessun altro mezzo. La seconda che se il Papa si fosse limitato a spingere i filosofi cattolici in generale a declinare dalle false filosofie, e ad abbracciarne una buona, senza indicare quali sieno quelle e quale questa, in tale ipotesi concediamo che l'intervento del Papa non approderebbe gran fatto. Ciascun filosofo si millanterebbe creatore della vera filosofia; e i parti sconci di cervelli balzani si vorrebbono far passare qual puro fior di sapienza. Quando si concede ad ognuno l'essere giudice intorno alla bontà della filosofia, così deve accadere come sempre accadde. Le pazze filosofie che, dal tempo di Cartesio fino ai dì nostri, folleggiarono in Francia, in Inghilterra, in Germania, in Italia ebbero principio da questo, diremo così, individualismo; dall'avere abbandonato un comune filosofico magistero per appigliarsi ciascuno a quella filosofia ch'ei giudicava buona bella e vera. Per la qual cosa se il Pontefice avesse rispettato, con indulgenza prepostera [= indulgenza fuor di luogo e tempo debito N.d.R.], questo individualismo, continuerebbe certo quel disordine, rispetto alla filosofia, che or si deplora; perchè seguitando ad esistere la causa, giuocoforza è che ne derivino i suoi effetti. Ma quella sapienza che suggerì a Papa Leone il metter mano alla riforma della filosofia, lo illuminò ancora intorno al modo necessario per conseguire la riforma stessa, cioè lo condusse a stabilire una determinata Regola Filosofica. Proponiamola qual è; indi sopra vi discorreremo.

LA REGOLA FILOSOFICA DI S. S. LEONE PAPA XIII.

«Nos igitur dum edicimus libenti gratoque animo excipiendum esse quidquid sapienter dictum, quidquid utiliter fuerit a quopiam inventum atque excogitatum; Vos omnes, Venerabiles fratres, quam enixe hortamur, ut ad catholicae fidei tutelam et decus, ad societatis bonum, ad scientiarum omnium incrementum auream sancti Thomae Sapientiam restituatis, et quam latissime propagetis. Sapientiam sancti Thomae dicimus; si quid enim est a doctoribus scholasticis vel nimia subtilitate quaesitum, vel parum considerate traditum, si quid cum exploratis posterioris aevi doctrinis minus cohaerens, vel denique quoquo modo non probabile, id nullo pacto in animo est aetati nostrae ad imitandum proponi. Ceterum doctrinam Thomae Aquinatis studeant magistri, a Vobis intelligenter lecti, in discipulorum animos insinuare eiusque prae ceteris soliditatem atque excellentiam in perspicuo ponant. Eamdem Academiae a Vobis institutae aut instituendae illustrent ac tueantur, et ad grassantium errorum refutationem adhibeant. — Ne autem supposita pro vera, neu corrupta pro sincera bibatur, providete ut sapientia Thomae ex ipsis eius fontibus hauriatur, aut saltem ex iis rivis, quos ab ipso fonte deductos, adhuc integros et illimes decurrere certa et concors doctorum hominum sententia est; sed ab iis, qui exinde fluxisse dicuntur, re autem alienis et non salubribus aquis creverunt, adolescentium animos arcendos curate.» [«Noi adunque in quella che apertamente dichiariamo doversi con volenteroso e grato animo accogliere tutto ciò che sapientemente fu detto, e quanto da chicchessia fu utilmente trovato ed escogitato; Voi tutti, Venerabili Fratelli, vivamente esortiamo a rimettere in uso la sacra dottrina di S. Tommaso e di propagarla il più largamente che far si possa, a tutela e ad onore della fede cattolica, a bene della società, e ad incremento di tutte le scienze. Diciamo la dottrina di S. Tommaso; imperocchè se alcuna cosa fu dagli Scolastici cercata con soverchia sottigliezza, o con poca considerazione insegnata; se ve ne ha alcun'altra che pienamente non si accordi cogl'insegnamenti certi dei tempi più recenti, o finalmente se alcuna ve n'ha in qualunque modo non meritevole di essere accettata; non intendiamo che sia proposta all'età presente perchè la segua. Del rimanente i maestri eletti da Voi con saggio discernimento si studino di far penetrare negli animi dei discepoli la dottrina di S. Tommaso d'Aquino; e mettano in luce la sodezza e l'eccellenza di essa a preferenza di tutte le altre. Le Accademie da Voi fondate o che si fonderanno la illustrino e la difendano, e se ne valgano per confutare gli errori correnti. — Affinchè poi non si abbia ad attingere la dottrina supposta invece della genuina, nè la corrotta invece della sincera, provvedete che la sapienza di S. Tommaso sia cavata dai propri suoi fonti, o per lo meno da quei rivi, che usciti dallo stesso fonte scorrono ancora puri e limpidissimi, secondo il sicuro e concorde giudizio dei dotti. Da quei ruscelli poi che pur si dicono sgorgati di là, ma di fatto crebbero di acque estranee e non punto salubri, procurate di tener lontani gli animi dei giovanetti.» N.d.R.]
Quest'è la Regola Filosofica, proposta da Papa Leone XIII, e nella esecuzione della medesima consiste quella riforma scientifica ch'egli con tutta ragione reputa a' nostri dì non solo utile ma necessaria. Torna bene distinguerla in parti separate.
1° Ogni filosofo cattolico deve con animo amico e grato accettare quello che sapientemente fu detto da chicchessia. Da questo principio segue che ciò che è evidentemente o certamente vero debbesi abbracciare, sia che venga detto da un cristiano o da un pagano; da uomini di chiesa o del laicato; da santo Agostino e da san Tommaso; da Molina, da Suarez, da Bellarmino, da Scoto, da tutti. Pregiudizii di scuola innanzi al filosofo cattolico non debbono avere alcuna forza; perciocchè il filosofo, in quanto tale, non si appoggia all'autorità di chicchessia, ma alla evidenza o immediata o mediata del vero. Se non che questa legge è per li filosofi, ossia per uomini versati nella filosofia, e specialmente per li professori, e non già per giovani discepoli. Questi per apprendere filosofia non hanno da darsi alla lezione dei filosofi vetusti e moderni e spigolare da questi e da quelli ciò che eglino stessi giudichino essere stato sapientemente detto. Tale metodo eclettico nell'apprendere la filosofia è sconcio; mercecchè il discente non si è ancora formato un giusto criterio da discernere il vero filosofico dal falso, e vi sarebbe inoltre infinita iattura di tempo, e di più la certezza di un esito pessimo. Ciò vedesi nella pratica di uomini che, in leggendo filosofi molti e varii, confidano di diventare pur essi filosofi, senza un previo sufficiente magistero, e riescono soltanto eruditi ciarlieri, che spropositano ad ogni tratto nei punti più importanti dello scibile umano, così speculativo come pratico. Adunque quella legge non è per li discenti, ma poi filosofi già maturi. Per quelli è necessario un magistero sicuro; e sarebbe stoltezza applicare all'apprendimento della filosofia un metodo, che è giudicato improprio allo studio della retorica, della matematica, della fisica, della legge, di tutte le scienze e di tutte le discipline.
Se noi consideriamo la predetta norma, di leggieri la troveremo giusta e promotrice del vero progresso scientifico. Infatti ella vuolsi dire giusta, perchè non lede il diritto che ha la ragione ad abbracciare la verità, prescindendo da chi la propone, essendo la verità il naturale oggetto di quella. Vuolsi dire promotrice del vero progresso scientifico, perchè in tale maniera gli sparsi tesori dell'umana sapienza vengono raccolti, onorevolmente conservati, e successivamente accresciuti.
Leone XIII espresse in questa norma lo spirito sincero della cristiana filosofia, ond'erano animati i Padri e dottori della Chiesa e notantemente l'Aquinate, i quali raccolsero negli immortali loro volumi tutte quelle scientifiche gemme, ch'erano qua e là sparse nelle opere degli antichi eziandio pagani, come già abbiamo col medesimo Pontefice considerato nell'articolo precedente. Se non che a questo spirito sincero della cristiana filosofia non solo talvolta si oppose lo spirito di fazione di certe scuole cattoliche, ma da tre secoli si oppose ed ora più che mai gagliardamente si oppone quel pseudofilosofismo, il quale si vanta di tornare alla ragione suoi diritti e sua libertà, e che a gonfie gote va menzognero strombazzando amore a indefinito progresso. Conciossiachè tutte le scuole filosofiche, che dall'apostasia di Lutero e dall'eresia protestantica esordirono, ebbero a vile i tesori della sapienza accumulati dai Padri e dai dottori della.Chiesa; e nelle scuole ammodernate a tal punto siamo oggimai ridotti che a priori si giudica falso ciò che siccome vero fu propugnato da quelli. Qual mai professore delle moderne università sarebbe a' nostri giorni oso di pur proferire con onore nella scuola il nome di un Agostino, di un Tommaso d'Aquino, di un Suarez? L'aureola di santo e il titolo di dottore cattolico in faccia a' moderni scienziati sono il suggello di una assoluta imbecillità, come pel fatto solo dell'apostasia uno stupido pretazzuolo diventa un grand'uomo degno di un posto cospicuo nel corpo degl'insegnanti. Alla legge adunque filosofica di Leone e giusta e promotrice del vero progresso scientifico, si oppone la legge della pseudofilosofia, specialmente della liberalesca dei nostri giorni, la quale conculca i diritti che ha la ragione alla verità prescindendo dalla persona di chi la propone; tarpa le ali all'umano ingegno, il quale appoggiatosi alle conquiste già fatte dalla sapienza dei maggiori ad alti voli naturalmente si solleverebbe; e perciò contrasta essenzialmente al progresso scientifico. La prima legge pertanto della Regola Filosofica di Leone XIII è progresso: la prima del pseudofilosofismo moderno liberale ed anticattolico è regresso.
Ma la legge presente castiga ancora la leggerezza o la pia dabbenaggine di certi inconsiderati cattolici (a cui si accostano parecchi non cattolici con intenzione bieca e perciò ben diversa dalla semplice intenzione di quelli), i quali vorrebbero che la filosofia tutta e solamente si traesse dai santi Padri e si dimenticasse una volta il pagano Aristotile ed altri filosofi non cristiani. Senza addarsene e in tutta buona fede, cotestoro contrastano ai diritti della ragione e al vero progresso scientifico, e di più si lasciano cadere di mano un bellissimo argomento, onde viene confortata la verità di nostra fede. In vero, Aristotele diè, si può dire, una filosofia (perciò che alla sua essenza si attiene) compiuta: nè potea conoscere egli la fede cristiana che incominciò a propagarsi alcuni secoli dopo la sua morte. Se adunque i fondamentali principii di cotesta filosofia del Peripato ben si conciliano coi principii di nostra fede, gli increduli in tale conciliazione debbono avere un argomento della verità della nostra fede medesima. Non lo avrebbono se, reietta del tutto la filosofia usata dai sommi filosofi ancorchè pagani, i dottori cattolici si avessero fabbricata di pianta una novella filosofia: anzi avrebberci detto che noi, secondo nostro talento e non mossi dalla verità oggettiva, ci abbiamo creata una filosofia che si accordasse con la nostra fede, affinchè non si dicesse esservi opposizione tra questa e i dettati certi dell'umana ragione. Basta così: il lettore, se ha fiore di senno, deve essere convinto che le prime parole della Regola Filosofica di Papa Leone contengono una perfettissima legge, a cui è giuocoforza che l'umana mente si aggiusti, salvo se non voglia calpestare turpemente i primi principii onde debbe reggersi nel suo discorso.
2° Egualmente volentieri e con gratitudine il filosofo cattolico deve accogliere ogni utile ritrovato della scienza. Nella prima legge Leone assicurava i diritti della ragione e il progresso della filosofia: nella seconda vuole che quelli e questo non punto avversino il materiale progresso, al quale indefessamente tendono le scienze esperimentali coi loro utili ritrovati. Così appare manifesta la calunnia di coloro i quali affermano che lo spirito cristiano muove perpetua guerra alle scienze utili e che la filosofia cristiana disconosce i ritrovati delle scienze esperimentali. Se non che i filosofi cattolici non debbono lasciarsi abbindolare da un sofisma a nostri dì comunissimo infra i moderni scienziati. Nelle opere di costoro sono commisti i veri fatti e gli utili ritrovati della scienza, con ipotesi gratuite o false le quali spesso, occultamente sì ma certamente, si oppongono agli evidenti principii della ragione e talvolta ai dettati della fede. Fatta questa commistione si sono adoperati a tutto potere per far passare non solo quelli, ma ancora queste loro gratuite e false ipotesi quali ammaestramenti e quali scoperte della scienza. Non pochi dozzinali filosofi cattolici ne' quali il cuore è più largo della mente, non ponendo attenzione a quella distinzione, furono tratti in inganno. Che se certi filosofi, conosciuto il sofisma, e per[ci]ò, accettando que' fatti e quelle utili invenzioni, non hanno fatto buon viso a coteste gratuite e false ipotesi, furono e dai maligni scienziati ingannatori, e dai dabbene filosofi ingannati, rimproverati, e messi in mala voce presso alle moltitudini, quasi fossero nemici della scienza e de' suoi materiali progressi. Ma il vero filosofo cattolico non dev'essere una canna da lasciarsi piegare ad ogni aura popolare; egli deve sempre distinguere scienza da scienziati; abbracciare volentieri e con animo grato tutti gli utili ritrovati di quella ed insieme cribrare [= vagliare N.d.R.] con fine logica le ipotesi di questi; qualora riconoscale false, senza umano riguardo, le rigetti: qualora non sia certa la loro falsità, ma insieme non le vegga confortate dal fatto o dalla ragione, ne sospenda il giudizio e si astenga dal commendarle.
3° Acciocchè si ottenga quella riforma filosofica che fu dimostrata utile e necessaria, a procurare la quale il Papa ha diritto e dovere, come sopra già abbiamo detto, vuolsi avere riguardo a) ai Vescovi: b) ai Professori: c) alle Accademie: d) ai Corsi o libri nei quali devesi attignere la dottrina da insegnarsi: e la Regola Filosofica di Leone XIII a tutto ciò provvede e tutto determina.
a) I Vescovi. A questi appartiene l'immediato reggimento dei fedeli delle singole diocesi: ed essi hanno il diritto ed il dovere di procurare che l'insegnamento filosofico sia tra cattolici quale debbe essere. Per[ci]ò ad essi si rivolge direttamente il Pontefice per ottenere col mezzo loro la desiderata riforma filosofica. Adunque essi primamente debbono prefiggersi come fine la tutela e l'onore della cattolica fede, il bene della società, e l'incremento di tutte le scienze. Secondamente debbono coordinare, quale mezzo al conseguimento del detto fine, la ristaurazione e la propagazione della sapienza dell'Angelico dottore san Tommaso d'Aquino. Ma ciò facendo non si debbe confondere la germana sapienza [= la vera e fedele, cioè l'autentica sapienza N.d.R.] dell'Aquinate con le sofisticherie di alcuni scolastici, con le inconsulte affermazioni, con le sentenze contrarie a dottrine che già dimostraronsi certe ed evidenti, con le ipotesi affatto gratuite: conciossiachè non queste ma quella, è mezzo buono, sufficiente ed efficace al conseguimento del fine inteso.
b) I Professori. I professori di filosofia debbono essere dai Vescovi intelligenter lecti: eletti con vero consiglio. Ciò importa principalmente che i Vescovi non iscelgano a professori quelli che sono contrarii ai principii fondamentali, nei quali s'imperna tutta la filosofia di san Tommaso, e i quali professori, per ciò stesso, non possono essere internamente e di cuore inclinati ad attuare quella riforma filosofica che è intesa dal Vicario di Gesù Cristo. Di certo, la virtù dei professori può far molto: ma sarà sempre dura cosa insegnare la dottrina filosofica dell'Aquinate prima di avere acquistato un vero interno convincimento della verità della medesima. Altra cosa è fede, altra scienza. Quando la Chiesa propone a credere un dogma, la volontà impera al nostro intelletto di piegarsi a credere, indipendentemente da quelli argomenti di ragione che potrebbero persuaderci della colleganza che ha il predicato col soggetto di quella proposizione, in cui è espresso il dogma da credersi. Ma la scienza di una proposizione non si ha senza l'intuito di quella colleganza, e il professore di filosofia deve dimostrare, ossia far sì che gli scolari veggano coll'occhio della mente loro la colleganza stessa. Per esempio se il professore vuol dimostrare questa importantissima proposizione che è un fondamento precipuo della filosofia dell'Aquinate: l'anima umana è forma sostanziale unica del corpo umano: deve far sì che i discenti, conosciuta la significazione del soggetto e del predicato, veggano, ossia mentalmente intuiscano la loro colleganza. Come farà ciò un professore che giudica di vedere egli non colleganza ma discrepanza, e dicesi di ciò convinto? Al tutto, un siffatto convincimento non può essere determinato da intellettuale scientifica cognizione: ma fin che egli si ritrova in tale interna disposizione non sarà atto a dimostrare certa, chiara ed evidente quella verità, ch'egli ha in conto di errore. Siano adunque i professori intelligenter lecti, perchè come non è buono un martello di creta a ficcare entro il muro un chiodo di ferro, così non sarà acconcio un professore intimamente contrario alla dottrina dell'Aquinate, a farne vedere la verità all'intelletto de' suoi discepoli.
E qui conviene avvertire che nei seminarii i professori non hanno nè possono avere quella libertà nell'insegnamento filosofico che pur altri del laicato possono avere. Imperciocchè quelli non insegnano nomine proprio, ma nomine Episcopi vel Ecclesiae; di che viene che sono obbligati a proporre quella dottrina, che la Chiesa e il Vescovo vogliono sia data ai discenti; e se a ciò sinceramente non si acconciano, debbono lasciare l'insegnamento e ritirarsi. E questo con eguale, se non con più forte ragione, vuolsi dire dei professori che appartengono alle varie religioni [= Ordini e Congregazioni religiose N.d.R.] approvate dalla Sede Apostolica, i quali pure debbono insegnare in quella maniera che è dalla stessa Apostolica Sede, dal loro istituto e dai loro superiori prescritta. Se vi ha chi apra scuola di filosofia di suo proprio talento, non sarà soggetto all'autorità della Chiesa che in maniera comune, ed i discepoli saranno liberi di recarsi ad udire sue lezioni ch'ei darà nomine proprio e non già nomine Ecclesiae vel Episcopi. Diciamo questo perchè a professori di filosofia, che sono soggetti nello insegnamento alla ecclesiastica giurisdizione, non paia irragionevole o soverchia quella dipendenza dalla Sede Apostolica, da Vescovi e dagli altri ecclesiastici superiori, rispetto alla dottrina da insegnarsi, la quale dipendenza è intesa, nè può non intendersi dal Sommo Pontefice nella Regola Filosofica.
I professori di filosofia che sono eletti dai Vescovi (mossi nella elezione non da sola bontà di cuore, ma dal consiglio della ragione intelligenter lecti) debbono rendere persuasi e convinti i loro discepoli che la dottrina dell'Angelico dottore è più solida e più eccellente di ogni altra (prae ceteris soliditatem atque excellentiam in perspicuo ponant). Presto detto; ma a ciò richiedesi nei professori forte ingegno e studio profondo. Le moderne filosofie sono superficiali e leggere; sfiorano le questioni, nè punto entrano nella essenza delle cose; anzi spesso riduconsi a compendii storici difformi dalla realtà ed indigesti. Per lo che non è meraviglia che a professori di coteste filosofie eleggansi, assai sovente, uomini di scarso ingegno, che poco hanno studiato e poco scientificamente appreso. Ma la filosofia di S. Tommaso non è pane per tutti i denti e di facile masticazione. La è vera filosofia cioè cognizione che va al fondo, per quanto l'umana ragione quaggiù può farlo, alla essenza delle cose. Se riguardasi la sua comprensione, tutto vuole sviscerare il proprio oggetto, sia nell'ordine speculativo, sia nel pratico. Se la sua estensione, abbraccia tutto, Dio e il mondo; il reale e l'ideale; l'infinito e il finito; l'assoluto e il contingente. Perciò essa è la determinatrice dei principii essenziali ed immutabili di tutte le scienze non esclusa la fisica qua late patet, perchè stabilisce la essenza non solo dell'uomo, ma del bruto, della pianta e dell'inorganico, e determina le proprietà che essenzialmente derivano dalla essenza medesima. Da soli due limiti è ristretta: il primo è la cognizione esperimentale dei singolari (cui riducesi la fisica esperimentale), perchè questa non è scientifica. Il secondo è la cognizione del sopraintelligibile, perchè il lume naturale della ragione, ossia quella potenza intellettiva che dicesi intelletto agente, non vale a manifestare evidentemente il nesso che passa tra il soggetto e il predicato di quelle proposizioni nelle quali il sopraintelligibile viene significato. Ma Dio mio, tra questi due limiti, quale distanza! È tanta che lascia aperto un campo a indefinita speculazione. Adunque a conoscere la filosofia dell'Aquinate, così da divenirne valente professore, ci vuole e fine ingegno e lungo studio. Di più gli è mestieri non solo conoscere la debolezza e la falsità delle moderne filosofie alle quali devesi anteporre, secondo la Regola Filosofica di Leone, la filosofia dell'Aquinate, ma ancora sapere quel tanto delle fisiche scienze esperimentali che basti a discernere in esse i fatti certi e le certe illazioni dedotte dai fatti, dalle ipotesi degli scienziati. Imperocchè per invilire la filosofia scolastica, a' dì nostri, si mette in opera ogni astuzia, per far passare il sofisma sopra accennato che confonde insieme quei fatti e quelle illazioni con queste ipotesi spesso vane e false, e che perciò si oppongono alla Fisica razionale dell'Aquinate (diciamo razionale e non esperimentale), che è parte integrante od anche diremo essenziale della filosofia. Chiudiamo questo punto dicendo che qualora i professori saranno intelligenter lecti si otterrà ogni cosa e le brame del Sommo Pontefice saranno coronate di lieto successo: altramente nulla si otterrà, comecchè si moltiplichino le raccomandazioni, le instanze, i precetti. Volete di belle pitture? date a fornir questo còmpito ai Rafaelli, ai Tiziani, ai Reni e a que' che sebbene sono di merito al merito di cotesti inferiore, tuttavia si studiano di battere lo loro vestigie. Ma se chiamerete a servirvi dozzinali pittori di facile contentatura che non si sono formati alla scuola dei veri maestri, avrete pitture simili a que' rozzi ex voto che pendono ai lati degli altari. Questo era lo studio dei Rettori delle vetuste università cattoliche della nostra Europa, trarre a sè valenti professori da qualunque parte potevangli avere; quindi la gioventù, che volea essere sapientemente addottrinata, da tutte parti (senza distinzione di nazionalità) a quelle università accorreva in maggior folla, nelle quali i professori intelligenter lecti esercitavano con più splendore e frutto il loro magisterio.
Le Accademie. Leone ai Vescovi accenna e raccomanda le Accademie già costituite o che da loro si possono costituire. Se al vero ci apponiamo, l'allusione si fa o solamente o peculiarmente alle Accademie diocesane o provinciali. Di accademie che abbiano una piena universalità, che sieno ad hoc istituite, perchè la filosofia di San Tommaso si dimostri in armonia coi fatti e colle illazioni che certamente derivano dai fatti stessi, e perchè essa venga universalmente accetta da tutte le scuole e finalmente perchè in questa maniera la Scienza dapertutto si riconcilii con la fede, di queste Accademie, diciamo, non ne conosciamo che una sola. Quest'è l'Accademia Filosofico-medica di San Tommaso, la quale già accoglie un settecento membri, tra quali un ventotto Cardinali, un settanta Arcivescovi e Vescovi, moltissimi prelati di grado inferiore e il resto dottori o professori di Teologia, di Filosofia, di Medicina e di Scienze Naturali. Sappiamo di certo che Papa Leone fu l'anima di quest'Accademia fin da quando reggeva la Diocesi di Perugia, ed abbiamo sott'occhio parecchie sue lettere nelle quali, con zelo pari alla sua sapienza ed alla sua prudenza, confortavala appena nata, e dimostrava viva brama che venisse creato un periodico, quale poi si pubblicò col titolo di Scienza Italiana. Ad accademie direm così cosmopolitiche, com'è questa, non ci sembra, ripetiamo, che ora intenda od almeno principalmente intenda il Sommo Pontefice. Ma ben conoscendo il grandissimo frutto che diè l'Accademia da lui stesso fondata nella Diocesi di Perugia; ed un'altra simile stabilitasi nella Diocesi di Napoli, sembraci ch'egli desideri che altre se ne costituiscano in altre diocesi, i cui membri sieno specialmente ecclesiastici diocesani.
Se non che egli vuole che così fatte accademie, o istituite o da istituirsi dai Vescovi, professino la filosofia di San Tommaso, la illustrino e la difendano e questa stessa dottrina adoperino per confutare quegli errori, che sono il cancro delle scienze moderne e che appestano la società tutta quanta. Sapientissimo consiglio è questo e degno del Vicario di Gesù Cristo. Oggimai la massima parte delle accademie scientifiche (diciamo massima parte e non tutte perchè vi sono alcune eccezioni) non si incentrano in fondamentali principii determinati, solidi, sicuri e certi; ma sono banderuole che cangiano con la voltabile opinione non già della scienza (che è, nella sua essenza, immutabile sebben progressiva, com'è l'uomo quantunque sia da prima piccino e a poco a poco cresca in tutte sue parti), ma degli scienziati, e più servono a recare un pò di lustro a' socii accademici che al bene della Chiesa e della civile società. Leone non ama le sole apparenze, il fuco [= il belletto N.d.R.], il lustro mondano; ama la realtà, il sodo, il vero bene comune; e perciò insta affinchè le accademie s'incentrino nella dottrina dell'Aquinate e daddovero si dieno a lottare contro gli errori che a' nostri giorni imperversano.
5° I Corsi. A questo titolo rivochiamo ancora que' libri, dai quali i professori possono attignere la dottrina filosofica dell'Aquinate. Anzi tutto debbesi avvertire che Papa Leone non fa qui una esortazione ai filosofi o ai professori di filosofia, ma bensì una raccomandazione ai Vescovi, ai quali direttamente confida la ristaurazione filosofica. Sono perciò i Vescovi che debbono invigilare affinchè la sapienza dell'Angelico si attinga alle sue pure fonti, cioè dalle sue stesse opere. Che se o per difetto di tempo o per manco di capacità o per altri motivi ciò non si potesse fare, si attinga ai rivi; ma non ai rivi nei quali altre acque di natura diversa si sono commiste, o pel terreno sopra cui scorrono si sono fatti fangosi, bensì a rivi schietti e puri che da quelle fonti hanno la vita.
Adunque i professori apprendano la dottrina dell'Angelico nelle sue opere o in que' libri che fedelmente la esprimono: e il corso di filosofia da spiegarsi ai giovani o sia lo stesso S. Tommaso, o di filosofi che ne sono fedeli seguaci. Ma di ciò non è pago il Santo Padre: ci dà ancora il criterio per discernere i puri rivi dai rivi non puri. Questo criterio è l'esservi certa e concorde sentenza intorno alla spiegazione della dottrina dell'Angelico. Due cose dobbiamo qui distinguere nell'Angelico, la dottrina filosofica, e il metodo nell'esporla e nell'insegnarla a giovani. Del metodo parleremo appresso, per ora ci basti far osservare che volendo il Santo Padre che si segua la dottrina filosofica di S. Tommaso, non può non volere che se ne propugnino i principii fondamentali. Pertanto non saranno puri que' rivi che discordano dall'Aquinate nei principii fondamentali; e a tali rivi non debbono attingere i professori e dai medesimi debbono i Vescovi rimuovere la gioventù studiosa. Ciò posto diciamo che da secoli molti fu sentenza certa e concorde (certa et concors doctorum hominum sententia est) che S. Tommaso tenesse: 1° che nelle cose corporee v'è un doppio essere, sostanziale cioè ed accidentale: 2° che vi è vera mutazione sostanziale ed accidentale: 3° che perciò vuolsi realmente distinguere la materia prima dalla forma sostanziale; 4° che realmente si distinguono gli accidenti dalla sostanza; 5° che nell'uomo vi è una sola forma sostanziale e questa è l'anima intellettiva, la quale è pure nell'uomo il principio della vita sensitiva e vegetativa; 6° che quest'anima è la sola forma sostanziale sussistente, immateriale, incorruttibile ed immortale; 7° ch'essa non è un'anima sensitiva prodotta dalla generazione umana, la quale si tramuti in intellettiva per lo affacciarsi di Dio-ideale, ossia dell'ente ideale, ma che la è creata cioè prodotta ex nihilo sui et subiecti; 8° che la naturale intellettiva cognizione di quest'anima non si fa per l'immediata intuizione di Dio-ideale; ma in virtù dello intelletto agente che è una potenza intrinseca all'anima stessa, una sua virtù, una sua luce immateriale, simile e non identica alla luce infinita della increata verità; 9° che tutte le specie intelligibili hanno loro genesi per l'astrazione che fa l'intelletto dai fantasmi; 10° che dallo stesso Dio viene ragione e fede, e perciò che non vi è nè può esservi vera contraddizione tra un principio di ragione ed un principio di fede; 11° che non vi è unità di essere e nell'ordine ideale e nell'ordine reale: e che perciò non solo vi è l'essere increato e l'essere creato, ma ogni cosa ha l'essere suo proprio, il quale è distinto e separato dall'essere delle altre cose. Laonde, come Iddio trasse dal nulla (ex nihilo sui et subiecti) l'essere delle cose, così (de potentia absoluta) potrebbe tornarlo al nulla. Questi sono alcuni dei principii fondamentali della filosofia dell'Aquinate, e per secoli i dottori cattolici non sospettarono che egli non gli tenesse, ma piuttosto professasse principii contradittorii ai medesimi. Al generale consentimento dei vetusti dottori scolastici debbesi qui aggiugnere il consentimento dei moderni che vogliono attenersi alla dottrina dell'Aquinate, ed hanno composti corsi filosofici ed altre opere intorno a tutti od alcuni dei punti medesimi. Qui restringendoci ai soli italiani rammemoreremo l'Em. Zigliara, Liberatore, Sanseverino, Cornoldi, Prisco, Talamo, Borgognoni, Valdameri, Tamba, Rastero, Rossignoli, Venturoli, Liverani, Santi, Zanon ed altrettali dell'Accademia filosofico-medica di San Tommaso. Questi per contumelia furono chiamati neo-peripatetici, neo-tomisti, neo-scolastici dai seguaci di Hegel, di Cartesio, ed eziandio da quelli di Gioberti e di Rosmini; i quali ultimi pur mostrandosi prodighi di incenso per l'Angelo delle scuole, s'impuntano a volere interpretare in maniera diversa la mente dell'Aquinate. Ma l'interpretazione varia non può farsi che nelle dubbie sentenze od oscure; dove la sentenza è chiara, certa, evidente, ed è sentenza in egual modo ripetuta e dimostrata in più luoghi delle opere del santo Dottore, e così intesa da' suoi più insigni espositori, la varia interpretazione non può aver luogo: ed è non segno di acuto ingegno, bensì di grossiero o di non retta volontà il fare altramente. Per la qual cosa avendosi certa et concors sententia dei vetusti e dei moderni scolastici intorno alla dottrina dell'Aquinate, per ciò che riguarda i principii fondamentali della filosofia, nè lecita essendo, perchè irragionevole, una interpretazione contraria al comun sentire degli scolastici stessi, è manifesto quali debbansi avere in conto di puri rivi, quali di impuri. Non è questo il luogo da particolareggiare sopra i singoli rivi impuri, ma possiamo, stando sulle generali, affermare che assolutamente sono rivi impuri quelli, che attribuiscono all'Aquinate dottrine opposte agli indicati principii. Il Papa vuole che la filosofia si ristauri coi principii della dottrina dell'Angelico; afferma che vi sono dei rivi che l'hanno pura e dei rivi che tale non l'hanno; eccita i Vescovi a tener lontani i giovani da questi ultimi: dà un criterio per discernere gli uni dagli altri; basta così, e solo da noi richiedesi buona volontà e conseguentemente docilità. Non altri obbietti, che uomini dotti e pii interpretano quei punti fondamentali in maniera diversa da quella adoperata dagli scolastici antichi e moderni, perchè non furono i soli tristi ma ancora, e forse specialmente quelli che ebbero o che hanno fama di dotti e di pii, che produssero tra noi cattolici scissure lagrimevolissime in fatto di filosofia. Anzi le false dottrine degli increduli non fanno tra filosofi cattolici grave danno, se tra noi stessi non vi abbia chi loro faccia buon viso e alla scoperta o celatamente in tutto o in parte non le propugni. Non potè sfuggire questa verità di fatto l'acuta mente di Leone XIII; laonde l'affermò esplicitamente in una sua lettera apostolica data testè (11 settembre 1879) al Vescovo di Vigevano in risposta ad una schiera eletta di sacerdoti che uscendo dal ritiro degli esercizii spirituali gli avevano inviata una formale dichiarazione di aderire alla Regola Filosofica stabilita nell'Enciclica Aeterni Patris. Troppo importa che un tratto di cotesta lettera sia messa sott'occhio a' nostri lettori. Eccolo: «Hanc vero iucunditatem cumulavit omnino proclivitas illa animorum, qua ipsi plauserunt nuperis encyclicis litteris Nostris de instauranda christiana philosophia, iuxta sancti Thomae doctrinam. Cum enim inter eosdem non desiderentur viri docti suisque noti lucubrationibus; merito confidimus, ipsos documentis Nostris inhaerentes, auream propugnaturos esse Doctoris Angelici sapientiam, adversus recentiorum etiam piorum systemata (si noti questa parola systemata), quae iamdiu scindunt scholas catholicas, et eorum, qui unanimes sanam solidamque doctrinam tradere deberent, sententias viresque inter se committunt, non sine mediocri veritatis et scientiae detrimento.» [«Ha colmato del tutto tale (Nostra) gioia quell'inclinazione degli animi, colla quale essi (i componenti del Clero di Vigevano) hanno plaudito alla Nostra recente Lettera Enciclica sul ripristino della filosofia cristiana secondo la dottrina di San Tommaso. Poichè tra loro non mancano uomini dotti e noti per i loro lavori, meritamente confidiamo che essi, aderendo  al Nostro documento, siano propugnatori della sapienza del Dottore angelico contro i recenti sistemi (si noti questa parola sistemi) anche di pii autori, che già da tempo scindono la concordia tra cattolici, e di coloro i quali, mentre dovrebbero tramandare unanimemente la sana e solida dottrina, mettono invece in opposizione tra di loro i pareri e le forze, con non lieve iattura della verità e della scienzaLitterae SS. D. N. Leonis XIII. ad Episcopum Viglebani in commendationem doctrinae s. Thomae Aquinatis, 11 settembre 1879. N.d.R.] Non cale gran fatto che qui indichiamo i pii filosofi e quei loro sistemi, coi quali scindono la concordia tra cattolici, con non lieve iattura della verità e della scienza. Basta dire che que' filosofi pii, che sono rimproverati da Papa Leone, certamente non sono i sinceri seguaci dell'Aquinate; e che questi riprovati sistemi sono gli opposti a quella dottrina, che con sentenza concorde e costante attribuirono ed attribuiscono gli Scolastici al Santo Dottore.
[CONTINUA]

La regola filosofica di Sua Santità Leone P. P. XIII. proposta nella Enciclica «Aeterni Patris»

I. Gli antecedenti della Regola Filosofica stabilita dal Sommo Pontefice Leone XIII.
II. La Regola Filosofica considerata in sè stessa.
III. I conseguenti.
Seguita dei conseguenti.
IV. Seguita dei conseguenti - L'esecuzione della Regola Filosofica

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