mercoledì 21 settembre 2016

SE LA PERSONALITÀ ABBIA A TEMER DALLA CHIESA.

R.P. Matteo Liberatore d.C.d.G.

La Civiltà Cattolica anno I, vol. II, Napoli 1850 pag. 509-531.
Che il Cristianesimo abbia affrancato l'umano individuo dall'oppressivo servaggio onde l'onnipotenza dello Stato schiacciavalo nel paganesimo, sembrami non potersi recare in dubbio da chiunque con riposato animo contempli le cose da noi discorse nell'articolo precedente [1]. Nel duplice ordine, ideale e reale, la luce sparsa dal Vangelo scoprì un orizzonte fino ad allora sconosciuto, e manifestò in tutta la sua serenità e purezza un cielo nuovo ed una terra nuova [2]. La personalità umana ristorata dall'idea della divina adozione esultò di novella giovinezza, e della recente sua vita informando i concetti che ad essa si riferivano rinnovellò ogni cosa [3]. Nè le mancaron presidî concreti ed operosi, stante l'autorità della Chiesa che venne a costituirsi in faccia allo Stato, assicurandola praticamente dagli assalti della potenza del secolo.
Codesti veri si mostrano oggimai siffattamente cospicui, che niun'ombra di dubbio può infoscarne il chiarore. Contuttociò uno scrupolo mi sembra che potrebbe venire ad intorbidare il sereno da essi prodotto, ed è il sospetto d'una novella e più poderosa invasione che potrebbe sottentrare all'antica in danno della individualità personale dell'uomo. Imperocchè (così odo ragionar taluno di corto intelletto,  o d'animo mal prevenuto) non potrebbe egli avvenir che la Chiesa altresì, travalicando i giusti confini, arroghi a sè quella prevalenza sull'individuo, che prima esercitava lo Stato, e che tanto nuoce alla dignità personale dell'uomo? Certamente la Chiesa è essa altresì un potere, costituisce essa ancora un governo. Or ogni potere, qualchesisia, tende essenzialmente a dilatarsi, ad invadere, a signoreggiare il subbietto intorno a cui si travaglia. La legge intrinseca d'ogni governo è di contraddistinguersi da' governati, di sollevarsi al di sopra di loro, di sottometterseli, di dominarli, e pian piano di assorbirli. Un tale effetto tanto è maggiormente a temere, quanto è più alta l'autorità che ci regge, e più forte lo scettro che essa stringe.
Oh il bel guadagno che avremmo fatto per verità! Saremmo stati emancipati dalla spada per diventare gli schiavi del pastorale;  redenti dal despotismo dell'uomo subiremmo quello del prete; sottratti dall'onnipotenza dello Stato c'incurveremmo sotto l'onnipotenza della Chiesa; in breve, avremmo schivata Cariddi per cader nelle fauci non men voraci di Scilla. Nè altri creda esser queste delle difficoltà ipotetiche ed ideali che mi propongo a studio. Sono esse appunto le ragioni per le quali i falsi politici di tutti i tempi e i pazzamente boriosi di libertà si ostinano contro il materno reggimento della Chiesa, e con ogni malizia s'ingegnano di sminuirne la potenza.
La confusione e le tenebre che regnano in questo discorso, in apparenza plausibile e chiaro, mi sforzano a proceder per gradi a fine di recarvi quell'ordine e quella lucidezza che la rilevanza del subbietto richiede. E facendomi un passo innanzi, osservo da prima che il danno e la rovina della personalità umana nel mondo pagano non procedette dall'intera soggezione a un potere qualunque, ma dall'intera soggezione a un poter temporale. Quivi si generò il suo tarlo, quinci uscì la tabe [= la corruzione N.d.R.] che l'ammorbò e la spense.
La società civile limitata all'esistenza del tempo, ha il suo destino sulla terra. Il suo scopo diretto sta negl'interessi della carriera presente, nella terrestre felicità, nel complesso de' mezzi che conducono al securo, agiato, prosperoso viver quaggiù. Il diritto di reggere, la facoltà governatrice che ne germoglia, vien naturalmente condotta ad aver sempre colà fiso lo sguardo, e quinci [= di qui N.d.R.] toglier la norma al suo operare. Nè in ciò vuol più riprendersi che compatirsi, mentre altro non fa che seguir l'impulso del principio generatore d'ogni libero movimento, che è appunto il fine proposto all'operante. La colpa tutta dei mali che ne derivan de[v]e riputarsi all'errore che si commette nel sottoporre tutto l'uomo a siffatto ordinatore, il quale e per lo scopo a cui mira e pe' mezzi di cui dispone non è proporzionevole che al solo elemento perituro e terreno. Questo è il vizio radicale, l'origin primiera del danno, il non salvare dall'ordine puramente materiale l'altro elemento dell'uomo, la parte cioè intellettiva e morale, coll'affidarla alla direzione d'un ordinatore più alto che lo preservi, rischiarando della sua luce e temperando colle sue leggi l'altro inferior movimento.
Dove ciò manchi, egli è prono ed agevole l'annientamento dell'umana personalità; però che fondandosi essa sullo spirito dell'uomo, sulla parte di lui razionale ed eterna, non può certamente sussistere e perdurare, tosto che questi venga assorbito dall'ordine puramente materiale. E di vero, come potrebbe sopravvivere l'idea d'un essere dotato di diritti propri, che sia fine non mezzo nell'universo sensibile, in una parola, che concepir si debba come persona, se non supponendo essere in lui qualche cosa più preziosa e più sublime di tutto l'ordin corporeo, e che perciò non possa rinchiudersi nel giro di questo, nè sacrificarsi al suo incremento? In altra guisa, se tutto l'uomo soggiace al principio che muove l'ordine materiale, e' non potrà venir considerato altrimenti che come un essere organizzato, una materia vivente che compie il suo destino sulla terra, e come tale non potrà ricevere maggiore onore che venir considerato come un frammento del sociale edifizio, come una goccia delle acque di questo oceano. E perciocchè ogni parte debbe cedere al tutto, e la materia non si nudrisce che di materia, chiara cosa è che ogni bene privato svanisca in faccia al pubblico, e l'individuo appetto dello Stato [= di fronte allo Stato N.d.R.] stia in sembianza d'un atomo rimpetto ad una massa vasta e tragrande, dal cui peso resti schiacciato e dalla cui attrazione assorbito.
Il medesimo non può in niuna guisa accadere per rispetto alla società religiosa, nella quale l'uomo sottomettesi ad un potere essenzialmente spirituale. Cosiffatta podestà avendo per natural missione il regolare la vita morale de' suoi soggetti, e per iscopo ultimo il condurli alla felicità sempiterna della vita avvenire, non può, se non uscendo fuori della propria natura ed annientando sè stessa, disconoscer giammai ciò che forma la condizione intrinseca del suo governo, il subbietto indispensabile della sua azione, voglio dire la parte razionale dei governati. Essa di necessità riguarda lo spirito, e per[ci]ò a promuoverne la sanità e gl'incrementi uopo è che rivolga ogni studio e vigilanza. Or essendo lo spirito, come è detto, la radice da cui pullula la personalità, ed il fondamento sopra cui essa si eleva, mentre lo spirito terrassi in piedi, la personalità non può ire in dileguo o menomarsi. Finchè l'idea dell'elemento incorporeo ed immortale vigoreggia nell'uomo, finchè qual astro in ciel sereno scintilla de' suoi raggi luminosi e fecondi, forza è che la materia, il tempo, il diletto sensibile, l'amor delle cose che non durano, stieno nella debita subordinazione ed obbedienza all'anima, alla vita futura, ai godimenti spirituali, ai beni eterni. Ciò vale il medesimo che conservare salda ed illesa la considerazione dell'uomo come esser morale, come scopo non mezzo di tutto l'ordine materiale, in altri termini come persona nel mondo. A conseguir tanto effetto non altro richiedeasi se non che l'umano individuo si esimesse in parte dalla signoria di un potere volto di per sè alla terra, il quale assorbendolo moralmente annullasse in lui la parte razionale, di cui soltanto la dignità personale s'informa. Ciò, come altrove vedemmo, operò la Chiesa dicendo allo Stato: oltre l'ordine materiale, ci ha un ordine spirituale, nel quale tu non hai diritto di comandare. Che poi essa stessa della diritta via smarrita abusi la sua autorità a dominar di troppo l'individuo, questo come appresso dimostreremo ripugna alla sua intima natura, e dove anche si avverasse, non potrebbe cagionare l'annientamento della personalità umana, perchè salva sempre lo spirito, di cui quella è necessario germoglio.

II.

Di qua può intendersi agevolmente quanto vada lontano dal vero il Guizot nel ragionar l'influenza della Chiesa Cattolica sull'incivilimento Europeo. Egli di buon grado confessa gl'immensi benefizî apportati da lei negli ordini civili alla parte intellettuale e morale degl'individui. Afferma volentieri la Chiesa essersi insinuata in tutti gli elementi della umana coltura, senza escluderne veruno, ed aver dato loro una estensione, una varietà non conosciuta nel prisco mondo [= nel mondo antico N.d.R.]. Letteratura, scienze, legislazioni, sentimenti, idee, costumi, tutto è stato da lei purificato, elevato, promosso [4]. Ma nega che sia da dirsi altrettanto dell'ordine politico propriamente detto, quanto alle relazioni del governo coi sudditi, del potere colla libertà. Sotto questo riguardo asserisce l'azion della Chiesa essere stata dannosa, nonchè inutile agl'interessi sociali. Imperocchè quantunque abbia ella sovente sostenuti e difesi i diritti e il vantaggio dei popoli contro la malignità de' governi, nondimeno quando si è trattato di guarentigie politiche, d'istituzioni permanenti che mettessero la libertà al sicuro dalle invasioni del potere, la Chiesa generalmente ha parteggiato pel dispotismo [5].
L'errore di questo filosofo procede da una confusione di concetti vituperosa molto in chi dall'alto della cattedra professa diritto pubblico, e assai comune oggigiorno che tutti parlano e straparlano di politica. La confusione è questa; nell'ordin politico egli scambia la forma col fondo, le modificazioni colla sostanza. Nel governo delle nazioni può e de[v]e considerarsi un doppio assolutismo: uno appartiene al principio stesso governativo, l'altro alla forma dell'istituzione, nella quale esso s'incarna e sussiste. Il primo dimora nella illimitazione del potere civile, ed è espresso da quella formola virgiliana: così voglio,  così comando, la volontà sta in luogo della ragione; sic volo, sic iubeo, stat pro ratione voluntas. Il secondo consiste nella unità d'un solo subbietto fisico, in cui risieda il supremo potere, senza restrizion pattuita, alla quale vegli una eletta di cittadini.
Ora se vogliam giudicare da uomini e non da pecore matte, dobbiam confessare che quello propriamente, che costituisce il potere despotico ed arbitrario, che rovina la libertà e il pregio personale dell'uomo, è la prima sorta d'assolutismo, non la seconda. L'assolutismo di semplice forma non è più pernicioso di quello che il sia qualunque altro governo poliarchico o misto, dove l'uno e l'altro sia guasto e corrotto nel suo principio. Quando il poter dello Stato si considera come tutto, importa poco ch'esso si eserciti da uno o da molti. I diritti dei singoli saranno sempre in repentaglio, la dignità individuale sarà perduta. Lo Stato non cessa d'essere onnipotente, perchè molti sono che lo compongono.Vuol dire che esso allora non si personifica in un sol uomo, ma in un'assemblea, o, se più vuolsi, nella nazione medesima, resa libera da ogni freno di superior reggimento. L'individuo per altro preso isolatamente sarà sempre schiavo, sempre tenuto a sacrificare anima a corpo al gran tutto sociale.
E di vero, Roma repubblica non disconobbe meno il valore assoluto dell'uomo di quello che facessero poscia i suoi più despotici imperadori. Espulsi i Tarquinî, e passata l'autorità ne' consoli e nel senato, non andò guari che il popolo s'avvide d'esser da' patrizî tenuto in condizion peggiore che non dai re,  senza veruna sicurezza nè di proprietà, nè di vita, nè d'altro diritto cittadino. Laonde abbottinatosi [= ribellatosi N.d.R.] si ritirò sul monte sacro e sul monte Aventino, d'onde impetrò col terror delle armi diverse prerogative e guarentigie, le quali però non mai gli bastarono a tutelarlo stabilmente dalla soperchieria e da soprusi de' patrizî. Lo stesso dicasi delle altre sì famose repubbliche dell'antica Grecia, dove la somma del potere ristretta nelle mani di pochi grandi, tutto il resto della nazione tenuta in conto di plebe vile o di mancipî, veniva crudamente oppresso e straziato.
E venendo ad esempî meno lontani, può concepirsi governo più popolare di quello, che istituissi in Francia al cadere del passato secolo? E nondimeno si può concepire tirannia più spaventevole, più obbrobbriosa, più sozza? Appena i fierissimi tempi di Mario e di Silla, colle loro proscrizioni in massa, colle orrende carnificine, col disprezzo totale d'ogni ragione umana e divina, col calpestamento integro che fecero non pur dell'uomo ma dell'umanità in sè stessa, ti porgono un'immagine, non però adequata, da lumeggiarne l'atroce dipintura. Che se altri ama meglio ricordar qualche cosa veduta da presso o udita da vicino, volga il pensiero alle fresche istituzioni politiche prodotte appo noi dalle ultime rivolture. Ci ha egli per fede vostra in tutta la storia de' governi assoluti alcuna epoca che le somigli quanto ad oppressure, a soprusi, a disprezzo d'ogni ragione? V'era forse chi potea tenersi sicuro un sol giorno dagli attentati alla riputazione, alle sostanze, e talora eziandio alla vita? Ventura pel nostro paese che la sedicente libertà non ebbe propriamente balìa che pochi mesi, quando pure su quegl'inizi simulava moderazione e riserbo! Pur n'avemmo d'avanzo a ritenerne grata memoria per lunghi anni. Ma dove essa potè uscire dalle pastoie dell'affettata modestia, ed operare apertamente, diè prove sì folgoranti dello spregio in che teneva i più sacrosanti diritti dell'uomo, che anche i più accecati e folleggianti per lei ne ebbero rossore e dispetto. Sfrenatezza per alcuni, tirannia crudelissima verso altri; ecco in due parole a che si ridusse la millantata libertà in tutti i paesi d'Italia. D'onde ciò? Dall'assolutismo di forma? Dall'assolutismo di fondo e di principio, riputandosi lo Stato essere ogni cosa, e riproducendosi sotto le antiche formole di ben pubblico, d'interesse generale,  l'arbitrio capriccioso di pochi oppressori.
E perchè non si creda che questo avvenisse solo in quelle oscillazioni violente, che subiscono i popoli nei tempi, come diconli, di transizione, è piaciuto a Dio che nella contrada più grave e posata del bel paese le novelle istituzioni avessero tutto l'agio di consolidarsi, di esplicarsi, di produrre tranquillamente i loro frutti. Quai beni ne son provenuti? Quali incrementi alla verace libertà, ai costumi, alla sicurezza de' proprî diritti, alla prosperità nazionale? Il dirò colle parole d'un giudizioso e temperato periodico che dalla nobile e generosa Savoia alza un grido di dolore e di sdegno. «Quanto al materiale,  un imprestito di centoventi milioni, aumenti di spese ordinarie che aggravano il pubblico bilancio di molti milioni, centinaia di migliaia di franchi presi dalle nostre borse per soldare rivoluzionarî stranieri che ci recano i loro principî e i loro incoraggiamenti. Quanto al morale, una legge che getta la perplessità, l'inquietezza, il timore in quattro milioni di coscienze cattoliche collocandole tra l'obbedienza dovuta alla legge civile, e il rispetto dovuto alla legge divina. La manifestazione delle tendenze del partito rivoluzionario ha gettato lo spavento in tutte le classi della società. In tutti i discorsi di questo partito gli uomini di fede han veduto il subdolo travaglio a cui esso si è dedicato per rovinare le credenze religiose, precipitare il paese in uno scisma, e per ogni sorta di mezzi favorire l'indifferentismo religioso, sì utile ai fautori del disordine. I padri di famiglia hanno intraveduto il disegno che si ha di levar loro l'ultimo diritto della paternità, quello di dirigere l'educazione de' propri nati. I proprietari han sentito i progetti che formansi d'attribuire allo Stato il diritto di rapire e di spogliare [6]
Ecco in che modo parla de' vantaggi recati al Piemonte dallo Statuto costituzionale, chi non solo n'è testimonio, ma parte ancora. Venga ora il Guizot con l'altra turba de' politici cerretani [= ciarlatani, truffatori N.d.R.], e ci ripeta che a rimuovere il despotismo basta una Carta e un'Assemblea;  che la libertà de' popoli si assicura per via d'istituzioni civili limitanti il potere monarchico e dividendolo in molte mani. Se il principio stesso politico non si purifichi, se non rientra ne' suoi giusti limiti, se non si tenga nel solo cerchio delle proprie attribuzioni, se non ismette il reo costume di voler tutto invadere, tutto dominare, non rispettando nè coscienza individuale, nè famiglia, nè doveri più alti di religione; indarno vi lambiccherete il cervello a sognar guarentigie, governi a contrasti, congegni politici a vicenda equilibrantisi. Queste forme son cosa vana, illusoria, beffarda, quando il fondo stesso governativo è guasto, quando l'idea stessa del potere civile disorbita, quando l'errore ha viziato la sostanza stessa del diritto di reggere la società. Il ripartirlo in tal caso, l'accomunarlo, il distenderlo, l'attuarlo in un subbietto più ampio, non serve ad altro che a moltiplicare i tiranni, a renderli più tracotanti per la forza che loro viene dal numero, e meno peritosi per lo scemamento di responsabilità individuale. In somma non altro fa che sostituire al despotismo di un solo il despotismo d'una moltitudine, che è di tutte le tirannie la più cieca, la più inumana, la più divoratrice.

III.

Ondechè la Chiesa riguardo ai civili governi non si curò giammai gran fatto delle forme, indifferenti di lor natura,  variabili, e rispondenti a svariate circostanze di luoghi, di tempi, di diritti prestabiliti. Badò solo a combattere l'eccesso vizioso del principio politico, e ridurlo tra limiti che gli competono. Non voglio dire con questo che la Chiesa non potesse mostrar simpatia per una forma piuttosto di governo che per un'altra, senza però astiare o rimuovere le contrarie, le quali fossero legittime e giuste. Ma questo sarà di altro luogo il cercarne,  scoprendone le cagioni nobilissime ed alte. Per ora una tale inchiesta può trasandarsi, come quella che non è necessaria al presente nostro proposito e troppo a dilungo ci sopratterrebbe. Sia dato e non concesso al Guizot, la Chiesa, ogni qualvolta è nata quistione di forme governative, aver avuto propensione per la monarchia assoluta; il che se e come sia vero dovrà chiarirsi nel proprio luogo. Potrebbe dirsi con tuttociò che essa non abbia apportato verun bene alla società per rispetto all'ordin politico? Nulla di più grossiero e più scempio. Il massimo, il più vitale vantaggio, che possa recarsi a quest'ordine, si è quello di appurare, di determinare, di circoscrivere nel proprio cerchio il principio da cui esso procede, sicchè non invada tutto l'essere de' soggetti, e non assorba nel furibondo suo turbine tutti i diritti dell'uomo. Dove questo si faccia, la libertà umana è salva. Qualunque sia la forma di governo che le dia legge, l'indipendenza personale dell'uomo non può patire oltraggio di sorta, quando si fonda la guarentigia di lei non nella morta scrittura, che sappiam quanto valga, o nella rauca eloquenza d'alcune lingue parlamentarie che sfrinquellano all'impazzata; ma fondasi nel vivo ed operoso elemento dell'idea stessa che informa il governo, e si tramuta in costume, mercè l'assistenza vegliante ed assidua d'un principio più alto che comanda all'intelletto e al cuore. Per contro ogni altro rimedio non sarà che un inutile palliativo, quando l'idea stessa del potere civile è tirannica, quando ne è guasto e viziato il fondo. A questa perversione si oppose sempre la Chiesa, e la combattè negl'imperadori, nei re, nelle aristocrazie, nelle repubbliche, e la combatte eziandio al presente nel moderno liberalismo che sott'ombra di libertà intende a riprodurre l'antico dispotismo pagano.
Sotto quale governo, il più libero che fosse mai, s'intese prima del cristianesimo, farsi non che censura rimproccio alcuno ai supremi reggitori dello Stato d'aver ecceduto nel prender vendetta de' propri ribelli? Il concetto stesso di eccesso mancava, quando il diritto di chi era a capo della nazione estimavasi franco di limiti e scevero di qualunque obbligo di riverenza dovuta al diritto de' suoi soggetti. Quanto diversamente operò la Chiesa anche a rispetto de' più assoluti e possenti monarchi! Ricordi il lettore ciò che incontrò a Teodosio il grande per la connivenza da lui usata in permettere la troppo aspra e feroce punizione di Tessalonica. Comechè signore del mondo, carico di trionfi, e quel che più rileva, chiaro per virtù specchiatissime e per zelo ardente per l'onor della Chiesa, più gloriandosi d'essere figliuolo di lei che non padrone dell'universo; pure tutto ciò non gli valse perchè non venisse dalla podestà Ecclesiastica dichiarato ingiusto, violatore della ragione umana e divina, espulso dal tempio, e come pubblico reo sottoposto a pubblica penitenza. Laonde impietosito si fe' ad intercedere per lui il popolo, il quale, come nota s. Agostino [7], più sentì pietà della tanta umiliazione in che vide la maestà dell'imperio, che non pria avea provato spavento al mirarne lo sdegno: ut imperatoriam celsitudinem pro illo populus orans, magis fleret videndo prostratam, quam peccando timeret iratam. Il magnanimo principe accettò il severo gastigo, apparendo più grande in quell'abbassamento cristiano,  che non nel colmo della sua gloria, fra le sue più strepitose vittorie.
Questo tenore serbò sempre la Chiesa a riguardo de' più possenti imperadori e re, cui riprese, gastigò, esautorò eziandio, a seconda ch'essi scapestrarono e soprusarono il diritto di regnare a danno dei loro popoli.
Togline un altro esempio tra gl'innumerevoli che potrei arrecarne. «Sono vostri i delitti del re, se nol correggete col rigor dell'Apostolo, se tacendo lo esortate a misfare .... Tenete adunque, o miei fratelli, questa parola, la parola che mi detta l'Apostolo; scuotetevi dal profondo letargo, datevi la mano l'un l'altro,  provvedete alla patria, alla fama vostra, alla salute di Filippo e del regno. Parlategli tutti per tutti, ammonitelo dell'eccidio che sovrasta alla Francia, schierategli innanzi i suoi torti, esortatelo a vita cristiana. Restituisca quell'infame bottino ai derubati mercatanti, faccia ammenda dei venduti giudizî, compensi con altrettanto bene le frodi. Ma se egli è indurato nel male, voi, Vicari nostri,  intimategli da parte di Dio che gli pende sovra il capo una spada che trova e quale stipa del campo [= sterpi secchi usati per appiccare il fuoco N.d.R] consuma i felloni: disditegli l'ubbidienza, troncate ogni commercio col reprobo, interdite per tutta la Francia i sacramenti e la sepoltura. Che se un tale gastigo non giova, sappiate che noi, invocata la potenza di Dio, il deporremo dal trono. E se troveremo dubbio o freddezza anche in voi, Vescovi e Prelati francesi, ai quali in tant'uopo sta peggio che a verun altro il mancare, vi terremo per d'accordo con lui e complici de' suoi delitti, vi casseremo dal novero de' Sacerdoti. Attestiamo intanto la nostra coscienza e il Signore, che noi siamo venuti a tal passo non per altrui preghiera, nè per odio o per patto di veruna mercede, ma per dolore di vedere un tanto popolo, un reame sì glorioso, andar perduto per colpa di un solo. Giova a noi, a voi, alla Francia che ciò si sappia [8]
Così scriveva San Gregorio VII agli Arcivescovi di Reims, di Sens, di Bourges e a tutti i Vescovi della Francia, intimando loro di riprendere in suo nome Filippo re potentissimo e costringerlo a rispettare gli altrui diritti e mantener la giustizia. Nè ciò fu proprio solamente di quell'uomo dal petto di bronzo, ma fu comun costume dei romani Pontefici adoperarsi assiduamente con esortazioni, con minacce, con pene, canoniche, e con tutti i mezzi di cui avean balìa, per impedire che i governanti trasmodassero nell'esercizio del potere opprimendo i popoli con inique leggi, con esorbitanti balzelli, o con qualunque altro genere di soprusi. E tal sopravveglianza da loro praticavasi a riguardo di tutti, grandi o piccoli che si fossero, dagli eccelsi Cesari fino all'ultimo Baronetto di campagna, che fiero e securo nel suo turrito castello, solamente sbaldanziva e tremava a uno sgrido che gli venisse dal Vaticano. Questo, affè, ci sembra un soprattieni ed un freno assai più valido per contenere l'autorità nei limiti dell'onesto e del giusto, che non i parlamenti e le assemblee trovate da' nostri sapienti. Le quali se valgono a limitare il subbietto in cui risiede il supremo potere, niente servono a ristringere il potere in sè stesso; e per[ci]ò sono acconce a trasferire non a rimuovere il despotismo.
Che se oggidì la Chiesa non può fare altrettanto, dobbiamo saperne grado alla stoltizia de' nostri filosofi, che paganeggiando a poco a poco i governi e introducendovi la ribellion luterana, li hanno più o meno sottratti dal salutare indirizzo di questa pia madre. Rimossa questa briglia potentissima insieme e soave, han cercato sopperire alla sua mancanza colle macchine morte dei loro governi rappresentativi, modellati più o meno sui principî protestantici e gentileschi del secolo decimottavo. Ma i tempestosi sconquassi,  tra i quali lottarono e lottano tuttavia, e i perniciosi effetti che ne risultarono con quasi niuna sicurezza contro a soprusi della forza, sono una pruova chiara e sfolgorante del niun valore che hanno siffatti mezzi, spogli della vita che loro vien dalla Chiesa.
Le ragioni private e domestiche, i diritti intangibili dei singoli, la dignità personale dell'umano individuo (non potrebbe abbastanza ripetersi) non saranno giammai pienamente assicurati contro le invasioni della forza materiale, se il principio stesso politico non sia ritenuto tra suoi giusti confini, e non riceva la legge da un principio spirituale che ne impedisca gli eccessi. Nè questo potrà mai conseguirsi pel semplice cambiamento di forma governativa, la quale tendendo solo ad allargare la base su cui il potere s'innalza, di per sè non ne riforma nè può moderarne il principio. Anzi stringendolo vie più colla moltitudine, val quanto dir colla forza, gli cresce baldanza, e gli agevola l'effettuazione d'ogni suo più iniquo disegno, dove un vivo sentimento di religione non ritenga gli animi tra i limiti dell'onesto.
Il solo mezzo di contenerlo, si è la coesistenza d'un altro potere ubbidito e venerato, il quale appoggiandosi tutto sulla morale, sia l'espression vivente del diritto, e aggiudicando a sè la direzion degli spiriti in ordine ad un bene soprassensibile, mantenga salda ed incrollabile la personalità umana e le sacre ragioni che ne rampollano. Ciò appunto è proprio della Chiesa, potere di sua natura spirituale, distinto dalla forza, riferentesi alla coscienza dell'uomo, guidante nell'ordin morale al conseguimento d'un bene avvenire ed eterno. Che per[ci]ò dove essa riconosciuta ne' suoi diritti ha libera la sua azione, ogni forma di governo legittimo può esser buona e osservatrice de' diritti e della indipendenza personale de' sudditi;  dove essa è impedita o non curata, ogni forma di governo non può riuscire che oppressiva e tirannica.

IV.

Lascio ora questa utilissima digressione, e torno a quelli che, ripigliando il filo dei primo nostro discorso, mi si facessero incontro così dicendo. L'argomento da noi recato di sopra dimostrar solamente che la Chiesa salverà la parte spirituale dell'individuo, cui essa come potere essenzialmente spirituale non può giammai perder di vista, nè lasciare che s'invada da inferiori elementi. Contuttociò la personalità individuale non sembrar tutelata bastevolmente. Imperocchè chi vieta che l'individuo umano, salvato per l'azion della Chiesa dall'assorbimento politico e materiale, non soggiaccia poi nel suo essere spirituale medesimo all'assorbimento religioso, e venga eziandio in qualità di spirito, come a dir, divorato dal gran tutto spirituale di questa nuova associazione?
Chi esprime da senno un tal timore, mostra di non aver niuna conoscenza del divario che corre dalla società civile alla società religiosa, dai beni materiali agli spirituali, dal regno della terra al regno dei cieli. La Chiesa a differenza del potere civile mira direttamente agl'individui, non alle masse; la società per essa è mezzo, non fine; presidio delle persone che la compongono, non idolo che dimanda assidui sacrifizî per tenersi in piedi e regnare. Comechè dotata d'un essere collettivo e di massimo ordine ed unità tra le membra ond'è formata, nondimeno la sua azione va ultimamente a colpire nel ben essere stesso privato dei singoli, niuno de' quali essa pone in non cale, ma con pari amore e sollecitudine provvede a ciascuno dal più sublime monarca al più abbietto ed oscuro contadinello. Laonde noi la veggiamo nella distribuzion medesima dei sommi onori consociare ai Saverii, conquistatori di nuovi mondi, gl'Isidori semplici agricoltori, ed ai Claver, che consumarono la loro vita in apostoliche imprese, l'umile pastorella Cusin, che nel solitario bosco pasturando le agnelle, alla vista dell'azzurro cielo, delle fiorite valli, dei mormoranti ruscelli, d'amorosi pensieri verso Dio ingombrava la virginale sua mente.
Nella società civile il ben comune, la felicità generale,  risulta dall'aggregato di materiali vantaggi, che sono di per sè fuori dell'individuo, crescono o scemano per l'addizione o sottrazione delle singole parti, nella sola unione di un gran numero presentano un tutto capace di effetti duraturi e magnifici. Il perchè l'asseguimento del suo scopo suole aver per ragguaglio il bene della maggioranza, a cui sovente si sacrifica una minorità sciagurata; la quale nella concorrenza non ha altro demerito di soccombere, da quello infuori d'esser men forte. La maestà e potenza dello Stato fiorisce eziandiochè molti individui marciscano nella miseria e nella abbiezione, come scorgesi in Inghilterra; anzi a dir vero essa non può sussistere, senza l'incessante olocausto di non pochi privati, offerto sull'altare dell'interesse sociale. La ragione intima si è, perchè tutto quello che alla materia e alla sua durata si attiene segue necessariamente le condizioni di quella; e per[ci]ò, al par di lei si divide, si sparpaglia, si disperge in varie parti, nè indivisibilmente può trovarsi intero nei singoli elementi e nell'integro corpo che da essi risulta.
Il contrario avvien della Chiesa. Essa, quanto ha d'efficacia e di valore, tutta travagliasi in mantenere ed ampliar sulla terra il regno di Dio. Or questo regno non è fuori ma è dentro di noi: regnum caelorum intra vos est [9]. Non altronde proviene che dalla carità divina diffusa nei nostri cuori per lo Spirito Santo in essi albergante [10]. Il fine per cui ella aggrega a sè gl'individui, gli governa colle sue leggi, li sottomette alla sua guida materna, si è per produrre in essi la santità e manodurli alla beatitudine della vita perenne. Habetis fructum vestrum in sanctificationem, finem vero vitam aeternam [11]. [Rom. VI, 22: «Avete per vostro frutto la santificazione: per fine poi la vita eterna.» N.d.R.] Or la santità, la vita eterna, son beni affatto individuali e personali. Non sussistono fuori di noi, non si formano per aggregamento di molte parti, non riseggono nella sola maggioranza, non richiedono l'esclusione o il sacrificio di chi si sia; ma essenzialmente han rapporto con ciascheduno, corrispondono a tutti, perfezionano tutti, e con la medesima integrità e pienezza informano ed attuano non meno la somma collettiva che le singole parti ond'essa è composta.
Tutto il corpo della Chiesa, cioè l'insieme di tutti fedeli congiunti tra loro co' legami di verace carità, professanti la stessa fede, partecipi dei medesimi sacramenti, sotto il reggimento de' medesimi pastori, forma l'ovile di Cristo, il gran tempio dell'Altissimo, il tabernacolo eterno del Signore de' cieli, la città santa, la purissima sposa del Dio degli Dei [12]. Ma ogni agnella di questo ovile gli è cara ugualmente, e per una sola, che si disvii, egli non dubita di lasciar tutte le altre in sicurezza nel chiuso, e correre appresso alla smarrita fino a raggiugnerla e rimenarla festante tra le compagne. Ogni pietra di questo edificio ha per lui il medesimo pregio, perchè lavorata dal medesimo artefice, ed insignita del pari d'un valore infinito. Ogni anima in particolare è chiesta ed ammessa ai casti abbracciamenti dello sposo divino, il cui amore immutabile e senza fine così arde per tutte, come per ciascuna. Gli altari di questo tempio non sono che i singoli cuori de' fedeli, in ognuno de' quali Dio è placato dal medesimo, eterno ed unico Sacerdote, e nel fuoco d'un'identica carità infusa dal cielo a lui si brucia un medesimo timiama [= incenso profumato N.d.R.] di fervidi affetti, di sante opere.
Così adorna di celeste stola, sfolgorante di stupenda bellezza, sorretta dal braccio stesso di Dio, questa santa società della Chiesa incede maestosa e piena di fervido desìo verso quella patria dolcissima, dove alberga il Padre dell'universo, e con lui la pienezza de' beni. Quivi giunti presso la sorgente d'ogni felicità, ed il fine di tutti i nostri desiderî, è dato a ciascheduno d'inebriarsi a quel torrente di dolcezza, e fruire della pienezza d'ogni perfezione, senza punto nuocersi l'un l'altro, quanto al più o meno parteciparne. Imperocchè essi si accostarono alla fontana verace della beatitudine, le cui vive acque, per attignerne che si faccia, non si esauriscon giammai; essi si riposano nel possedimento e nell'intima visione di quel Dio immortale, che tutto può conseguirsi da tutti, senza veruna alterazione o scemamento dell'infinito suo essere.
Ecco il bene a cui aspiriamo nell'unirci alla Chiesa, e a cui essa ci conduce con quanto ha di mezzi e di valore. Ed ecco come nella Chiesa a differenza della società civile, l'assorbimento dell'individuo nel bene del tutto involge contraddizione e ripugnanza di concetti; essendo l'individuo medesimo il fine di questo gran tutto, o per dir meglio, essendo il bene stesso del tutto immedesimato colla perfezione dell'individuo.

V.

Di che segue un corollario, quanto vero, altrettanto meraviglioso, ed è che nella Chiesa quanto più l'individuo si lascia rapire dall'azione di lei, lungi dallo scemare nella propria personalità, tanto vie maggiormente se ne vantaggia, e cresce nella sua individuale perfezione. Imperocchè quanto egli più si rilega e serve a Dio per l'esercizio della religione, tanto più si stringe col fonte d'ogni libertà e d'ogni eccellenza, dal quale unicamente la verace indipendenza, la perfezione, la felicità si deriva. Onde l'assoggettarsi a lui è un vero regnare: servire Deo regnare est; perchè così l'uomo sollevasi verso il principio e la cagione d'ogni grandezza, magnificando sempre più il suo spirito colla nobiltà che quinci rampolla; e purificandolo dalle macchie delle perverse inclinazioni che costituiscono il vero servaggio.
Dio non ha bisogno de' nostri beni, nè trae verun vantaggio dalla nostra pietà e giustizia. Tutto l'utile che nasce dal culto legittimo che l'uomo gli presta, non ridonda che nell'uomo stesso, accadendo in tal proposito quel che accade alla fonte rispetto a colui che venga a dissetarvisi, o alla luce riguardo all'occhio che ne è ristorato. Direste forse che una sorgente d'acqua riceva vantaggio perchè altri ne beve, o il lume accrescimento, perchè la vista ne accoglie i raggi? Laonde tutto che faccia l'uomo per piacere ed unirsi a Dio il più strettamente che sappia, è un benefizio che egli reca a sè stesso. Talmente che la dedicazione e consecrazione medesima che fa a Dio l'uom religioso, affin di morire al mondo per non vivere che a Dio, nel mentre che è un vero sacrifzio offerto al Signore sull'ara della carità, è alsì un atto di misericordia e di benevolenza che l'uomo esercita verso di sè medesimo. Il che, come osserva s. Agostino [13] ha dato luogo a quelle parole della Scrittura: abbiate pietà della vostr'anima rendendovi accetti al Signore: miserere animae tuae placens Deo.
Ora puoi intendere un altro errore in che cade il Guizot,  allorchè pone la Chiesa a paraggio della prisca società pagana [= allorchè equipara la Chiesa all'antica società pagana N.d.R.] quanto all'annientamento della personalità individuale. «Quando voi trovate (egli dice [14]), nelle culture antiche la libertà, essa è la libertà politica, la libertà del cittadino; non è già la sua libertà personale di cui l'uomo è preoccupato; è solo la sua libertà come cittadino. Egli appartiene a una associazione, egli è dedicato a una associazione, egli è pronto a sacrificarsi per la medesima. Lo stesso accadeva nella Chiesa cristiana. Vi regnava un sentimento di grande attaccamento alla corporazion cristiana, di dedicazione alle sue leggi, un vivo bisogno d'amplificarne l'impero» etc.
Fa pietà il vedere in uno scrittore sì acuto ed elegante tanta ignoranza del subbietto intorno al quale discorre. E non vede egli l'immenso divario che corre tra il cittadino romano o greco rapportato alla patria, e il fedele di Cristo riferito alla Chiesa? L'uno e l'altro, è verissimo, ripeteva tutto il suo essere dall'associazione a cui apparteneva. Ma il primo si fermava alla patria, senza poterla riferire ad un fine più alto che con lui novellamente si rannodasse; il secondo non si ferma alla Chiesa, ma in essa riguarda un bene più sublime a cui essa stessa è ordinata e che con lui si lega intimamente. Pel cittadino romano o greco la patria era tutto; ella sussisteva per sé medesima; era spirito e corpo ad un tempo; gl'interessi di lei, la floridezza, la gloria avevano a suoi occhi un valore assoluto; per lei propriamente egli operava, viveva, moriva, contento che delle proprie ceneri si alimentasse il gran colosso. Per contrario il fedele ama teneramente la Chiesa, per lei incessantemente si adopera, è pronto a sacrificarsi per essa; non guarda però ultimamente in essa, ma in essa guarda il suo Dio. Egli la mira, sempre sotto un aspetto relativo, come l'eredità del Signore, come il regno di Dio,  come il corpo mistico di Gesù Cristo. Imperocchè la Chiesa non è altro, secondo l'espressione di Bossuet [15], che Cristo stesso sparso e comunicato per la carità e la fede nell'insieme dei figli di Dio. Ovvero, secondo l'alta idea di s. Agostino [16], essa non è altro che un perpetuo ed universal sacrifizio, offerto a Dio dal gran Sacerdote; il quale offrì sè stesso al Padre nella sua passione, acciocchè noi fossimo membri di questo corpo augusto, che egli informa della sua vita, e in cui rende continuata ed eterna la sua unica obblazione.
Se il cuore d'ogni fedele allorchè si solleva a Dio, diviene suo altare, ed ogni cosa quivi offerta nel fuoco dell'amore è ostia grata ed accettevole a quell'alta maesta; che dovrem dire di tutta insieme la città redenta, dell'intera congregazione e compagnia de' Santi, cioè degli uomini a Dio dedicati e consegrati, vale a dir di tutta quanta la Chiesa? Essa non può considerarsi altrimenti che come un vivo tabernacolo eretto a Dio e un grande altare, sopra del quale s'immolano del continuo a lui vittime spirituali e sacrifici di lode, cioè tutto quello che fanno i fedeli per purificare il loro spirito e congiungersi a quel sommo bene con unione intima e santa. E queste obblazioni ricevendo ogni valore da quella, che offerì Cristo sulla Croce e che rinnovasi in modo incruento giornalmente tra noi dal Sacerdozio, formano così un solo e gran sacrifizio, gratissimo a Dio, di pregio infinito, e che solo è acconcio a rendere l'onore e la gloria dovuta a sì sublime altezza.
Laonde il fedele amando ed ampliando la Chiesa, propriamente ama ed amplifica la gloria di Dio, e sacrificandosi per essa si sacrifica per Dio; cioè non per un bene estrinseco e straniero all'operante, ma per un bene massimamente proprio di lui, e che solo può costituirlo veracemente beato.Egli adunque in ciò fare non abbandona sè stesso, non annienta la propria personalità; ma la perfeziona e la sublima, facendola degna del possesso di Dio, suo ultimo ed incommutabile fine, principio e termine da cui procedono e a cui metton capo tutti quanti i suoi beni. Ecco qual è in sostanza la tendenza de' fedeli nella Chiesa, e a che mena l'azione del governo di lei.

VI.

Bene sta, dirà taluno da ultimo, il poter della Chiesa è tale di sua natura da non assorbire la personalità degl'individui, ma da ampliarla piuttosto e sublimarla. Pure ciò avrà luogo soltanto quando essa opera secondo lo spirito della sua istituzione divina, non già quando abusi il celeste suo ministero. Il Sacerdozio non è esercitato da Angeli, ma sì veramente da uomini; e l'uomo può fuorviare e corrompersi. Qual sicurezza avrà dunque il valor personale degl'individui contro la invasione del potere Ecclesiastico, qualora divenisse usurpatore e dispotico?
Rispondo, un tal sopruso nella Chiesa essere impossibile, sì grandi sono le sicuranze, e come diconle, le guarentigie che nell'economia intrinseca della Chiesa stessa racchiudonsi. Da prima le leggi fondamentali, sopra le quali, tutto quanto è, si appoggia l'Ecclesiastico ministerio, non sono dipendenti dall'arbitrio di veruno, ma immutabilmente sussistono siccome stabilite da Cristo stesso. Determinati sono i precetti che regolano la morale, determinati i dogmi che fondano le credenze, determinati i sacramenti che ci comunicano la grazia, determinata la forma del pubblico reggimento e il còmpito di ciascuna funzione. Il sacerdote non si presenta che come rappresentante di Dio, da cui riceve la legge e i limiti del suo potere e dalle cui prescrizioni non può lontanarsi. L'uomo non ci stimi altrimenti che come ministri di Cristo e dispensatori de' divini misteri: sic nos existimet homo ut ministros Christi et dispensatores mysteriorum Dei [17]. Veniamo a voi come legati di Cristo, ad annunziarvi quel tanto che Dio stesso c'impone: pro Christo legatione fungimur, tanquam Deo exhortante per nos [18]. Ecco l'idea che ci porge l'Apostolo del ministero ecclesiastico; idea che informa e vivifica i sacri ministri, se non vogliamo creder vana la parola di Cristo colla quale promette perenne e continuata assistenza alla sua Chiesa [19]. Ciò posto, il Sacerdozio non può produrre servitù nei fedeli, perciocchè esso non impone loro la sua volontà e la sua ragione, ma la volontà e la ragione di Dio; non crea i fondamenti e le leggi dell'ordine in cui esso opera, ma ricevendole da Cristo le applica solamente alla direzion delle anime, le svolge a seconda delle occorrenze che sorgono, e crea gl'istrumenti che debbono cooperarvi.
Questa è la prima malleveria a noi data di libertà nella Chiesa, la preesistenza ed immutabilità delle leggi fondamentali, secondo la determinazione fattane da Cristo stesso. La seconda è la pubblicità della dottrina che insegnasi. Ciò che io vi ho detto nel segreto della notte, voi manifestate nella luce del giorno, e ciò che avete ascoltato nell'orecchio predicate da sopra i tetti [20]. Costume innato della Chiesa di Cristo si è di promuovere l'istruzion religiosa, di spezzare a tutti il pane della divina parola, di travagliarsi incessantemente ad illustrare gli spiriti colla luce della verità evangelica. Quindi è che gl'immutabili insegnamenti lasciati da Cristo e dagli Apostoli, e tramandati di generazione in generazione in questa santa società, son patrimonio di tutti; e avvegnachè il deposito e la tutela di essi sia affidato a Pastori, che deggiono colla lor vigilanza custodirli illibati, col lor magistero insegnarne i fedeli, colla loro autorità fulminare e rimuovere i contrari errori; tuttavia la sostanza ne è palese e conta ad ognuno; tutti sono istruiti di questa sapienza celeste, tutti per conseguente son discepoli del maestro divino [21]. La più umile vecchierella appo noi tanto sol che conosca il catechismo, sa la somma dei veri che compongono la credenza cattolica, il codice delle leggi che le conviene osservare, l'organamento totale del governo della Chiesa. Ond'essa è bastevolmente premunita contro ogni abuso che procedesse dalla malizia di alcun degenere ministro, che disgiuntosi dalla colleganza di tutto il corpo de' Sacerdoti insolentisse nella casa del Signore, crudamente bistrattandone i componenti, e rapace lupo sotto spoglie di agnello facesse scempio dell'ovile cristiano.
Finalmente la più preziosa guarentigia è riposta nell'ammirabile gerarchia e subordinazion graduale de' singoli preposti,  la quale mette capo da ultimo in un Pastore supremo ed infallibile. Non ostante la immutabilità delle leggi fondamentali, la determinazione del ministero, lo spirito del sacerdozio, la notorietà della dottrina e de' precetti evangelici, il tempo stesso potrebbe insensibilmente venire scancellando o adombrando questa vera immagine di Dio, e la nativa fralezza dell'uomo potrebbe indebolire a poco a poco fino a viziar del tutto la virtù che l'informa. Gravissimi dubbi potrebbon nascere intorno a nuove quistioni collegantisi co' dogmi, co' costumi cristiani, coi diritti della giurisdizione ecclesiastica, trascinandosi dietro l'error delle menti, la divisione dei cuori. Ma è pronto il rimedio nella guida de' supremi Pastori, e nel ricorso da ultimo al Maestro universale e indefettibile de' credenti. Egli, che innalzato da Cristo al colmo della dignità apostolica ha ricevuto da lui il carico di pascere l'intera greggia e confermar nella fede i vacillanti fratelli, possiede la virtù di dissipare ogni nebbia, di comporre senza ombra di errore ogni litigio, di mantenere nella sua integrità le credenze, il costume, la giustizia tra i popoli a lui soggetti. La supremazia della cattedra romana, l'infallibile oracolo del suo Pontefice è per la Chiesa universale il più sicuro schermo contro ogni generazione di abusi. Ondechè non è a meravigliare se il Concilio Cartaginese nella sua epistola a Damaso lo appella il Prefetto della casa di Dio, il custode e guardiano della vigna del Signore; e il Concilio Romano sotto Gelasio il chiama porto sicurissimo di tutta la Comunione Cattolica.
A mirar sottilmente, le due prime da noi assegnate, e qualunque altra cautela o assicuranza che volesse pensarsi, tornerebbero vane senza questa terza, che sola le fa certe ed efficaci. Ogni cosa nella Chiesa avrebbe un'esistenza precaria e vacillante, se non la rendesse salda ed eterna la fermezza di quella inamovibile pietra, sulla quale essa s'innalza. Imperò giustamente di lei sta scritto essere il fondamento in cui tutto l'edifizio s'appoggia, nè questo per urto o tempesta potrà crollare giammai, finchè si terrà congiunto con quella. Di che derivo un'altra conseguenza, colla quale pongo termine al mio discorso. Essa è che se la vera salvaguardia dell'umana personalità non si trova che nella Chiesa, e la Chiesa non è assicurata della perennità del suo spirito se non in forza del romano Pontefice, suo capo e maestro, egli è ad inferire che dunque esso romano Pontefice sia la tutela, il pegno, e dirò così il palladio della dignità personale dell'uomo. E per[ci]ò i veri sapienti, i sinceri promotori dell'incivilimento, i genuini filantropi, nonchè astiarne la potenza, difficultarne l'azione, sminuirne nella estimazione il pregio, dovrebbono in quella vece diligerne con ogni amore il benessere, crescerne con ogni lode la stima, promuoverne con ogni studio la libera influenza.
Intendano bene sì importante verità quegl'illusi politici,  i quali nè mossi dalla ragione, nè ammaestrati dall'esperienza,  neppure ora vogliono indursi a dismettere l'antico vezzo di contrastare la franca e libera azione del supremo Pastore in tutto il corpo della Chiesa, e con ogni arte si studiano di conservare per lui, se non tutti, almeno il più che sappiano gli antichi ceppi. Essi tradiscono senza volerlo la causa del loro principe e quella dei popoli. Tradiscono il principe, perchè cooperano a mantener la cagione onde procedette lo sbrigliamento dei popoli e lo spregio in che cadde l'autorità; tradiscono i popoli, perchè tolgono ad essi l'unica sicurtà che valevolmente li accerti e li tuteli contro la violazione de' loro individuali diritti. Così rompendo i veraci vincoli della sociale giustizia concorrono a perpetuare la diffidenza e la guerra tra sudditi e governanti.
Mi volgo da ultimo al moderno liberalismo, e l'invito a riconoscere alla fine la vera causa del contrasto che trova negli uomini di Chiesa, e dell'avversione che gli porta ogni animo sinceramente cattolico. La causa è perchè il sedicente spirito di libertà d'oggigiorno non è più quello che manifestossi al medio evo, consistente in un legittimo amore d'assicurare i propri diritti contro le invasioni della forza e dell'arbitrio. Che esso allor fosse tale e non altro, ben lo mostrava il suo infinito amore verso la Chiesa, e l'illimitata riverenza e soggezione in che tenevasi verso il visibil capo di quella. Ma il liberalismo odierno è evidentemente figlio del protestantesimo, politicamente formolato da sofisti del passato secolo, spinto all'atto (tranne i pochi illusi) dalla tenebrosa azion delle sette, o, che peggio è, dalla manìa d'uomini vagheggianti una religion da romanzo. È questo un vero oggimai sì manifesto, che la sola stupidità o mala fede può spargervi sopra alcun dubbio. Nè la famosa distinzione tra i liberali di setta e i liberali di scuola, tra gli esaltati e i temperanti, riesce più di verun pro, sendosi troppo apertamente chiarito la tendenza degli uni e degli altri esser la stessa. Gli ultimi fatti di Piemonte hanno squarciato il velo infino all'ultimo lembo che ne restava. Quivi la cosa pubblica cadde in mano al fiore de' moderati, uomini che fecero le più alte proteste di non appartenere a veruna setta, d'aver nell'animo sensi cattolici, di non altro pretendere che conciliazione, armonia, svolgimento pacifico della libertà, sotto le ispirazioni della Fede. Eppure la persecuzion religiosa colà cominciata sì di buon ora e che va di giorno in giorno più ringrandendosi, lo scherno e l'onta d'ogni cosa più sacrosanta [22], gl'insulti e le beffe ai sacri ministri, i soprusi e le minacce fatte all'intero ordine sacerdotale, le violenze, gli esiti, gl'imprigionamenti de' più venerandi Pastori [23], il dispregio della voce, degli ammonimenti, delle querele del Vicario di Cristo, e il timor d'imminenti danni ancor più gravi, mostrano tale un odio verso la Cattolica Chiesa, che per verità ha pochi esempi nella storia dei popoli.
L'incivilimento dunque a che tendono i così detti liberali de' giorni nostri è evidentemente protestantico e per conseguenza pagano.
Ora io ho dimostrato cento volte nel corso di questi articoli l'incivilimento pagano essere un regresso per l'umanità, la sua libertà racchiudere la più vergognosa schiavitudine coll'annientamento dell'umana personalità assorbita dalla onnipotenza del Dio Stato. Adunque, senza che io il dica, ognun vede da sè medesimo che il liberalismo moderno sotto tinte di promuovere la libertà tende a distruggerla, e sott'ombra di volere il progresso, vuol la barbarie. Laonde la Chiesa osteggiandolo e combattendolo si mostra anche per questa parte scudo e difesa della libertà e del progresso dei popoli, e giungendo in fine a trionfarne sarà una terza volta la salvatrice della civiltà d'Europa e conseguentemente del mondo.
Sì, giova ripeterlo perchè ogni animo retto o capace di riacquistare la rettitudine, profondamente il comprenda. Non è l'avversione alla libertà, le simpatie pel dispotismo che inducon la Chiesa a contrastare gl'iniqui loro conati, come essi calunniosamente vanno spacciando per crear odio a quest'unica celeste guida dell'uomo e così prendere, come suol dirsi, a una fava due colombi. Se questo fosse, bisognerebbe annullare la storia di tutti i tempi, e sconvolgere tutte le idee riguardanti la Chiesa. Ma è sibbene l'amore che essa porta alla verace libertà, la nativa ripugnanza ad ogni genere di despotismo, la missione che ha da Dio di salvar l'indipendenza personale dell'uomo, che le ispira siffatti sensi, la sospinge a siffatto contrasto. È in nome della libertà, del verace progresso, dell'incivilimento cristiano,  ch'essa scende in codesta arena, e ogni petto, che sia caldo d'amore per la società e per l'uomo, dovrebbe serbarne un'eterna riconoscenza. Se talun cel disdice, distrugga egli con salde ragioni quanto dal primo di questa serie di articoli infino al presente è dimostro [= è dimostrato N.d.R.].

NOTE:

[2] Video coelum novum et terram novam. Apocal. 21.
[3] Ecce fatta sunt omnia nova. 2. Ad Cor. 5.
[4] Histoire de la Civilisation en Europe. Leçon VI.
[5] Ecco le sue parole: Sous le point de vue politique, c'est autre chose. Nul doute qu'en adoucissant les sentiments et les mœurs, en décriant, en expulsant un grand nombre de pratiques barbares, l'Église n'ait puissamment contribué à l'amélioration de l'état social; mais dans l'ordre politique proprement dit quand aux relations du gouvernement avec les sujets du pouvoir avec la liberté, je ne crois pas qu'à tout prendre son influence ait été bonne ... Sans doute l'Église a souvent invoqué les droits des peuples contre le mauvais gouvernement; souvent même elle a approuvé et provoqué l'insurrection. Souvent aussi elle a soutenu auprès des souverains les droits et les intérêts des peuples. Mais quand la question des garanties politiques s'est posée entre le pouvoir et la liberté, quand il s'est agi d'établir un système d'institutions permanentes, qui missent véritablement la liberté à l'abri des invasions du pouvoir, en général l'Église s'est rangée du coté du despotisme. Leç. VI.
[6] L’Écho du Mont-Blanc, 18 juillet 1850.
[7] De Civit. Dei, l. V. c. 23.
[8] Vedi Voigt Storia di Papa Gregorio VII e de' suoi contemporanei, capit. sesto.
[9] Luc. XVII 21.
[10] Charitas Dei diffusa est in cordibus nostris per Spiritum Sanctum qui datus est nobis. Ad Rom. V.
[11] Ad Rom. VI. 22.
[12] Deus Deorum Dominus. Ps. XLIX.
[13] De civit. Dei, l. 10. c. 6.
[14] Hist. de la civilis. en Europe, leçon II.
[15] Pensée chrétiennes et morales, t. 15.
[16] De civit. Dei, l. IX, c. 6.
[17] 1. Ad Cor. IV. 1.
[18] 2. Ad Cor. V. 20.
[19] Ecce ego vobiscum sum omnibus diebus usque ad consummationem saeculi. Matth. c. XXVIII.
[20] Matth. c. X.
[21] Erunt omnes docibiles Dei. Io. VI. [Joann. VI, 45: «Saranno tutti ammaestrati da Dio.» N.d.R.]
[22] Si ricordino lo calunniose, villane, sozzissime dicerie dell'Opinione, della Gazzetta del Popolo, della Strega, e d'altri giornalacci di simil lordura, tollerati o anche protetti dal governo con grandissimo vituperio della moralità e dell'onor nazionale.
[23] Si ricordino gli atti e le parole del Ministero.

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