SE LA PERSONALITÀ ABBIA A TEMER DALLA CHIESA.
R.P. Matteo Liberatore d.C.d.G.
La Civiltà Cattolica anno I, vol. II, Napoli 1850 pag. 509-531.
Che il Cristianesimo abbia affrancato l'umano individuo
dall'oppressivo servaggio onde l'onnipotenza dello Stato schiacciavalo
nel paganesimo, sembrami non potersi recare in dubbio da chiunque con
riposato animo contempli le cose da noi discorse nell'articolo
precedente [1]. Nel duplice
ordine, ideale e reale, la luce sparsa dal Vangelo scoprì un
orizzonte fino ad allora sconosciuto, e manifestò in tutta la sua
serenità e purezza un cielo
nuovo ed una terra nuova [2].
La personalità umana ristorata dall'idea della divina adozione
esultò di novella giovinezza, e della recente sua vita informando
i concetti che ad essa si riferivano rinnovellò ogni cosa [3]. Nè le mancaron presidî concreti ed
operosi, stante l'autorità della Chiesa che venne a costituirsi
in faccia allo Stato, assicurandola praticamente dagli assalti della
potenza del secolo.
Codesti veri si mostrano oggimai siffattamente cospicui, che
niun'ombra di dubbio può infoscarne il chiarore. Contuttociò
uno scrupolo mi sembra che potrebbe venire ad intorbidare il sereno da
essi prodotto, ed è il sospetto d'una novella e più poderosa
invasione che potrebbe sottentrare all'antica in danno della
individualità personale dell'uomo. Imperocchè (così odo
ragionar taluno di corto intelletto, o d'animo mal prevenuto)
non potrebbe egli avvenir che la Chiesa altresì, travalicando i
giusti confini, arroghi a sè quella prevalenza sull'individuo,
che prima esercitava lo Stato, e che tanto nuoce alla dignità
personale dell'uomo? Certamente la Chiesa è essa altresì un
potere, costituisce essa ancora un governo. Or ogni potere,
qualchesisia, tende essenzialmente a dilatarsi, ad invadere, a
signoreggiare il subbietto intorno a cui si travaglia. La legge
intrinseca d'ogni governo è di contraddistinguersi da' governati,
di sollevarsi al di sopra di loro, di sottometterseli, di dominarli, e
pian piano di assorbirli. Un tale effetto tanto è maggiormente a
temere, quanto è più alta l'autorità che ci regge, e
più forte lo scettro che essa stringe.
Oh il bel guadagno che avremmo fatto per verità! Saremmo stati
emancipati dalla spada per diventare gli schiavi del pastorale;
redenti dal despotismo dell'uomo subiremmo quello del prete; sottratti
dall'onnipotenza dello Stato c'incurveremmo sotto l'onnipotenza della
Chiesa; in breve, avremmo schivata Cariddi per cader nelle fauci non
men voraci di Scilla. Nè altri creda esser queste delle
difficoltà ipotetiche ed ideali che mi propongo a studio. Sono
esse appunto le ragioni per le quali i falsi politici di tutti i tempi
e i pazzamente boriosi di libertà si ostinano contro il materno
reggimento della Chiesa, e con ogni malizia s'ingegnano di sminuirne
la potenza.
La confusione e le tenebre che regnano in questo discorso, in
apparenza plausibile e chiaro, mi sforzano a proceder per gradi a fine
di recarvi quell'ordine e quella lucidezza che la rilevanza del
subbietto richiede. E facendomi un passo innanzi, osservo da prima che
il danno e la rovina della personalità umana nel mondo pagano non
procedette dall'intera soggezione a un potere qualunque, ma
dall'intera soggezione a un poter temporale. Quivi si generò il
suo tarlo, quinci uscì la tabe [= la
corruzione N.d.R.] che
l'ammorbò e la spense.
La società civile limitata all'esistenza del tempo, ha il suo
destino sulla terra. Il suo scopo diretto sta negl'interessi della
carriera presente, nella terrestre felicità, nel complesso de'
mezzi che conducono al securo, agiato, prosperoso viver quaggiù.
Il diritto di reggere, la facoltà governatrice che ne germoglia,
vien naturalmente condotta ad aver sempre colà fiso lo sguardo, e
quinci [= di qui N.d.R.] toglier la norma al suo
operare. Nè in ciò vuol più riprendersi che compatirsi,
mentre altro non fa che seguir l'impulso del principio generatore
d'ogni libero movimento, che è appunto il fine proposto
all'operante. La colpa tutta dei mali che ne derivan de[v]e
riputarsi all'errore che si commette nel sottoporre tutto l'uomo a
siffatto ordinatore, il quale e per lo scopo a cui mira e pe' mezzi di
cui dispone non è proporzionevole che al solo elemento perituro e
terreno. Questo è il vizio radicale, l'origin primiera del danno,
il non salvare dall'ordine puramente materiale l'altro elemento
dell'uomo, la parte cioè intellettiva e morale, coll'affidarla
alla direzione d'un ordinatore più alto che lo preservi,
rischiarando della sua luce e temperando colle sue leggi l'altro
inferior movimento.
Dove ciò manchi, egli è prono ed agevole l'annientamento
dell'umana personalità; però che fondandosi essa sullo
spirito dell'uomo, sulla parte di lui razionale ed eterna, non
può certamente sussistere e perdurare, tosto che questi venga
assorbito dall'ordine puramente materiale. E di vero, come potrebbe
sopravvivere l'idea d'un essere dotato di diritti propri, che sia fine
non mezzo nell'universo sensibile, in una parola, che concepir si
debba come persona, se non supponendo essere in lui qualche cosa
più preziosa e più sublime di tutto l'ordin corporeo, e che
perciò non possa rinchiudersi nel giro di questo, nè
sacrificarsi al suo incremento? In altra guisa, se tutto l'uomo
soggiace al principio che muove l'ordine materiale, e' non potrà
venir considerato altrimenti che come un essere organizzato, una
materia vivente che compie il suo destino sulla terra, e come tale non
potrà ricevere maggiore onore che venir considerato come un
frammento del sociale edifizio, come una goccia delle acque di questo
oceano. E perciocchè ogni parte debbe cedere al tutto, e la
materia non si nudrisce che di materia, chiara cosa è che ogni
bene privato svanisca in faccia al pubblico, e l'individuo appetto
dello Stato [= di fronte
allo Stato N.d.R.] stia in
sembianza d'un atomo rimpetto ad una massa vasta e tragrande, dal cui
peso resti schiacciato e dalla cui attrazione assorbito.
Il medesimo non può in niuna guisa accadere per rispetto alla
società religiosa, nella quale l'uomo sottomettesi ad un potere
essenzialmente spirituale. Cosiffatta podestà avendo per natural
missione il regolare la vita morale de' suoi soggetti, e per iscopo
ultimo il condurli alla felicità sempiterna della vita avvenire,
non può, se non uscendo fuori della propria natura ed annientando
sè stessa, disconoscer giammai ciò che forma la condizione
intrinseca del suo governo, il subbietto indispensabile della sua
azione, voglio dire la parte razionale dei governati. Essa di
necessità riguarda lo spirito, e per[ci]ò a
promuoverne la sanità e gl'incrementi uopo è che rivolga
ogni studio e vigilanza. Or essendo lo spirito, come è detto, la
radice da cui pullula la personalità, ed il fondamento sopra cui
essa si eleva, mentre lo spirito terrassi in piedi, la
personalità non può ire in dileguo o menomarsi. Finchè
l'idea dell'elemento incorporeo ed immortale vigoreggia nell'uomo,
finchè qual astro in ciel sereno scintilla de' suoi raggi
luminosi e fecondi, forza è che la materia, il tempo, il diletto
sensibile, l'amor delle cose che non durano, stieno nella debita
subordinazione ed obbedienza all'anima, alla vita futura, ai godimenti
spirituali, ai beni eterni. Ciò vale il medesimo che conservare
salda ed illesa la considerazione dell'uomo come esser morale, come
scopo non mezzo di tutto l'ordine materiale, in altri termini come
persona nel mondo. A conseguir tanto effetto non altro richiedeasi se
non che l'umano individuo si esimesse in parte dalla signoria di un
potere volto di per sè alla terra, il quale assorbendolo
moralmente annullasse in lui la parte razionale, di cui soltanto la
dignità personale s'informa. Ciò, come altrove vedemmo,
operò la Chiesa dicendo allo Stato: oltre l'ordine materiale, ci
ha un ordine spirituale, nel quale tu non hai diritto di comandare.
Che poi essa stessa della diritta via smarrita abusi la sua
autorità a dominar di troppo l'individuo, questo come appresso
dimostreremo ripugna alla sua intima natura, e dove anche si
avverasse, non potrebbe cagionare l'annientamento della
personalità umana, perchè salva sempre lo spirito, di cui
quella è necessario germoglio.
II.
Di qua può intendersi agevolmente quanto vada lontano dal vero
il Guizot nel ragionar l'influenza della Chiesa Cattolica
sull'incivilimento Europeo. Egli di buon grado confessa gl'immensi
benefizî apportati da lei negli ordini civili alla parte
intellettuale e morale degl'individui. Afferma volentieri la Chiesa
essersi insinuata in tutti gli elementi della umana coltura, senza
escluderne veruno, ed aver dato loro una estensione, una varietà
non conosciuta nel prisco mondo [= nel mondo antico
N.d.R.]. Letteratura,
scienze, legislazioni, sentimenti, idee, costumi, tutto è stato
da lei purificato, elevato, promosso [4].
Ma nega che sia da dirsi altrettanto dell'ordine
politico propriamente detto, quanto alle relazioni del governo coi
sudditi, del potere colla libertà. Sotto questo riguardo
asserisce l'azion della Chiesa essere stata dannosa, nonchè
inutile agl'interessi sociali. Imperocchè quantunque abbia ella
sovente sostenuti e difesi i diritti e il vantaggio dei popoli contro
la malignità de' governi, nondimeno quando si è trattato di
guarentigie politiche, d'istituzioni permanenti che mettessero la
libertà al sicuro dalle invasioni del potere, la Chiesa
generalmente ha parteggiato pel dispotismo [5].
L'errore di questo filosofo procede da una confusione di concetti
vituperosa molto in chi dall'alto della cattedra professa diritto
pubblico, e assai comune oggigiorno che tutti parlano e straparlano di
politica. La confusione è questa; nell'ordin politico egli
scambia la forma col fondo,
le modificazioni colla sostanza. Nel
governo delle nazioni può e de[v]e considerarsi
un doppio assolutismo: uno appartiene al principio stesso
governativo, l'altro alla forma dell'istituzione, nella quale esso
s'incarna e sussiste. Il primo dimora nella illimitazione del potere
civile, ed è espresso da quella formola virgiliana: così
voglio, così comando, la volontà sta in luogo della
ragione; sic volo, sic iubeo,
stat pro ratione voluntas. Il secondo consiste nella
unità d'un solo subbietto fisico, in cui risieda il supremo
potere, senza restrizion pattuita, alla quale vegli una eletta di
cittadini.
Ora se vogliam giudicare da
uomini e non da pecore matte, dobbiam confessare che quello
propriamente, che costituisce il potere despotico ed arbitrario, che
rovina la libertà e il pregio personale dell'uomo, è la
prima sorta d'assolutismo, non la seconda. L'assolutismo di semplice
forma non è più pernicioso di quello che il sia qualunque
altro governo poliarchico o misto, dove l'uno e l'altro sia guasto e
corrotto nel suo principio. Quando il poter dello Stato si considera
come tutto, importa poco ch'esso si eserciti da uno o da molti. I
diritti dei singoli saranno sempre in repentaglio, la dignità
individuale sarà perduta. Lo Stato non cessa d'essere
onnipotente, perchè molti sono che lo compongono.Vuol dire che
esso allora non si personifica in un sol uomo, ma in un'assemblea,
o, se più vuolsi, nella nazione medesima, resa libera da ogni
freno di superior reggimento. L'individuo per altro preso
isolatamente sarà sempre schiavo, sempre tenuto a sacrificare
anima a corpo al gran tutto sociale.
E di vero, Roma repubblica non disconobbe meno il valore assoluto
dell'uomo di quello che facessero poscia i suoi più despotici
imperadori. Espulsi i Tarquinî, e passata l'autorità ne'
consoli e nel senato, non andò guari che il
popolo s'avvide d'esser da' patrizî tenuto in condizion
peggiore che non dai re, senza veruna sicurezza nè di
proprietà, nè di vita, nè d'altro diritto cittadino.
Laonde abbottinatosi [= ribellatosi
N.d.R.] si ritirò sul monte
sacro e sul monte Aventino, d'onde impetrò col terror delle armi
diverse prerogative e guarentigie, le quali però non mai gli
bastarono a tutelarlo stabilmente dalla soperchieria e da soprusi de'
patrizî. Lo stesso dicasi delle altre sì famose repubbliche
dell'antica Grecia, dove la somma del potere ristretta nelle mani di
pochi grandi, tutto il resto della nazione tenuta in conto di plebe
vile o di mancipî, veniva crudamente oppresso e straziato.
E venendo ad esempî meno lontani, può concepirsi governo
più popolare di quello, che istituissi in Francia al cadere del
passato secolo? E nondimeno si può concepire tirannia più
spaventevole, più obbrobbriosa, più sozza? Appena i
fierissimi tempi di Mario e di Silla, colle loro proscrizioni in
massa, colle orrende carnificine, col disprezzo totale d'ogni ragione
umana e divina, col calpestamento integro che fecero non pur dell'uomo
ma dell'umanità in sè stessa, ti porgono un'immagine, non
però adequata, da lumeggiarne l'atroce dipintura. Che se altri
ama meglio ricordar qualche cosa veduta da presso o udita da vicino,
volga il pensiero alle fresche istituzioni politiche prodotte appo noi
dalle ultime rivolture. Ci ha egli per fede vostra in tutta la storia
de' governi assoluti alcuna epoca che le somigli quanto ad oppressure,
a soprusi, a disprezzo d'ogni ragione? V'era forse chi potea tenersi
sicuro un sol giorno dagli attentati alla riputazione, alle sostanze,
e talora eziandio alla vita? Ventura pel nostro paese che la sedicente
libertà non ebbe propriamente balìa che pochi mesi, quando
pure su quegl'inizi simulava moderazione e riserbo! Pur n'avemmo
d'avanzo a ritenerne grata memoria per lunghi anni. Ma dove essa
potè uscire dalle pastoie dell'affettata modestia, ed operare
apertamente, diè prove sì folgoranti dello spregio in che
teneva i più sacrosanti diritti dell'uomo, che anche i più
accecati e folleggianti per lei ne ebbero rossore e dispetto. Sfrenatezza per alcuni, tirannia
crudelissima verso altri; ecco in due parole a che si
ridusse la millantata libertà in tutti i paesi d'Italia. D'onde
ciò? Dall'assolutismo di forma? Dall'assolutismo di fondo e di
principio, riputandosi lo Stato essere ogni cosa, e riproducendosi
sotto le antiche formole di ben
pubblico, d'interesse generale, l'arbitrio
capriccioso di pochi oppressori.
E perchè non si creda che questo avvenisse solo in quelle
oscillazioni violente, che subiscono i popoli nei tempi, come diconli,
di transizione, è
piaciuto a Dio che nella contrada più grave e posata del bel
paese le novelle istituzioni avessero tutto l'agio di consolidarsi, di
esplicarsi, di produrre tranquillamente i loro frutti. Quai beni ne
son provenuti? Quali incrementi alla verace libertà, ai costumi,
alla sicurezza de' proprî diritti, alla prosperità
nazionale? Il dirò colle parole d'un giudizioso e temperato
periodico che dalla nobile e generosa Savoia alza un grido di dolore e
di sdegno. «Quanto
al materiale, un imprestito di centoventi milioni, aumenti di
spese ordinarie che aggravano il pubblico bilancio di molti milioni,
centinaia di migliaia di franchi presi dalle nostre borse per
soldare rivoluzionarî stranieri che ci recano i loro
principî e i loro incoraggiamenti. Quanto al morale, una legge
che getta la perplessità, l'inquietezza, il timore in quattro
milioni di coscienze cattoliche collocandole tra l'obbedienza dovuta
alla legge civile, e il rispetto dovuto alla legge divina. La
manifestazione delle tendenze del partito rivoluzionario ha gettato
lo spavento in tutte le classi della società. In tutti i
discorsi di questo partito gli uomini di fede han veduto il subdolo
travaglio a cui esso si è dedicato per rovinare le credenze
religiose, precipitare il paese in uno scisma, e per ogni sorta di
mezzi favorire l'indifferentismo religioso, sì utile ai fautori
del disordine. I padri di famiglia hanno intraveduto il disegno che
si ha di levar loro l'ultimo diritto della paternità, quello di
dirigere l'educazione de' propri nati. I proprietari han sentito i
progetti che formansi d'attribuire allo Stato il diritto di rapire e
di spogliare [6].»
Ecco
in che modo parla de' vantaggi recati al Piemonte dallo Statuto
costituzionale, chi non solo n'è testimonio, ma parte ancora.
Venga ora il Guizot con l'altra turba de' politici cerretani [= ciarlatani,
truffatori N.d.R.], e ci
ripeta che a rimuovere il despotismo basta una Carta e
un'Assemblea; che la libertà de' popoli si assicura per
via d'istituzioni civili limitanti il potere monarchico e
dividendolo in molte mani. Se il principio stesso politico non si
purifichi, se non rientra ne' suoi giusti limiti, se non si tenga
nel solo cerchio delle proprie attribuzioni, se non ismette il reo
costume di voler tutto invadere, tutto dominare, non rispettando
nè coscienza individuale, nè famiglia, nè doveri
più alti di religione; indarno vi lambiccherete il cervello a
sognar guarentigie, governi a contrasti, congegni politici a vicenda
equilibrantisi. Queste forme son cosa vana, illusoria, beffarda,
quando il fondo stesso governativo è guasto, quando l'idea
stessa del potere civile disorbita, quando l'errore ha viziato la
sostanza stessa del diritto di reggere la società. Il
ripartirlo in tal caso, l'accomunarlo, il distenderlo, l'attuarlo in
un subbietto più ampio, non serve ad altro che a moltiplicare i
tiranni, a renderli più tracotanti per la forza che loro viene
dal numero, e meno peritosi per lo scemamento di responsabilità
individuale. In somma non altro fa che sostituire al despotismo di
un solo il despotismo d'una moltitudine, che è di tutte le
tirannie la più cieca, la più inumana, la più
divoratrice.
III.
Ondechè la Chiesa riguardo ai civili governi non si curò
giammai gran fatto delle forme, indifferenti di lor natura,
variabili, e rispondenti a svariate circostanze di luoghi, di tempi,
di diritti prestabiliti. Badò solo a combattere l'eccesso vizioso
del principio politico, e ridurlo tra limiti che gli competono. Non
voglio dire con questo che la Chiesa non potesse mostrar simpatia per
una forma piuttosto di governo che per un'altra, senza però
astiare o rimuovere le contrarie, le quali fossero legittime e giuste.
Ma questo sarà di altro luogo il cercarne, scoprendone le
cagioni nobilissime ed alte. Per ora una tale inchiesta può
trasandarsi, come quella che non è necessaria al presente nostro
proposito e troppo a dilungo ci sopratterrebbe. Sia dato e non
concesso al Guizot, la Chiesa, ogni qualvolta è nata quistione di
forme governative, aver avuto propensione per la monarchia assoluta;
il che se e come sia vero dovrà chiarirsi nel proprio luogo.
Potrebbe dirsi con tuttociò che essa non abbia apportato verun
bene alla società per rispetto all'ordin politico? Nulla di
più grossiero e più scempio. Il massimo, il più vitale
vantaggio, che possa recarsi a quest'ordine, si è quello di
appurare, di determinare, di circoscrivere nel proprio cerchio il
principio da cui esso procede, sicchè non invada tutto l'essere
de' soggetti, e non assorba nel furibondo suo turbine tutti i diritti
dell'uomo. Dove questo si faccia, la libertà umana è salva.
Qualunque sia la forma di governo che le dia legge, l'indipendenza
personale dell'uomo non può patire oltraggio di sorta, quando si
fonda la guarentigia di lei non nella morta scrittura, che sappiam
quanto valga, o nella rauca eloquenza d'alcune lingue parlamentarie
che sfrinquellano all'impazzata; ma fondasi nel vivo ed operoso
elemento dell'idea stessa che informa il governo, e si tramuta in
costume, mercè l'assistenza vegliante ed assidua d'un principio
più alto che comanda all'intelletto e al cuore. Per
contro ogni altro rimedio non sarà che un inutile palliativo,
quando l'idea stessa del potere civile è tirannica, quando ne
è guasto e viziato il fondo. A questa perversione si oppose
sempre la Chiesa, e la combattè negl'imperadori, nei re, nelle
aristocrazie, nelle repubbliche, e la combatte eziandio al presente
nel moderno liberalismo che sott'ombra di libertà intende a
riprodurre l'antico dispotismo pagano.
Sotto quale governo, il più libero che fosse mai, s'intese prima
del cristianesimo, farsi non che censura rimproccio alcuno ai supremi
reggitori dello Stato d'aver ecceduto nel prender vendetta de' propri
ribelli? Il concetto stesso di eccesso mancava, quando il diritto di
chi era a capo della nazione estimavasi franco di limiti e scevero di
qualunque obbligo di riverenza dovuta al diritto de' suoi soggetti.
Quanto diversamente operò la Chiesa anche a rispetto de' più
assoluti e possenti monarchi! Ricordi il lettore ciò che
incontrò a Teodosio il grande per la connivenza da lui usata in
permettere la troppo aspra e feroce punizione di Tessalonica.
Comechè signore del mondo, carico di trionfi, e quel che più
rileva, chiaro per virtù specchiatissime e per zelo ardente per
l'onor della Chiesa, più gloriandosi d'essere figliuolo di lei
che non padrone dell'universo; pure tutto ciò non gli valse
perchè non venisse dalla podestà Ecclesiastica dichiarato
ingiusto, violatore della ragione umana e divina, espulso dal tempio,
e come pubblico reo sottoposto a pubblica penitenza. Laonde
impietosito si fe' ad intercedere per lui il popolo, il quale, come
nota s. Agostino [7], più
sentì pietà della tanta umiliazione in che vide la
maestà dell'imperio, che non pria avea provato spavento al
mirarne lo sdegno: ut imperatoriam
celsitudinem pro illo populus orans, magis fleret videndo
prostratam, quam peccando timeret iratam. Il magnanimo
principe accettò il severo gastigo, apparendo più grande in
quell'abbassamento cristiano, che non nel colmo della sua
gloria, fra le sue più strepitose vittorie.
Questo tenore serbò sempre la Chiesa a riguardo de' più
possenti imperadori e re, cui riprese, gastigò, esautorò
eziandio, a seconda ch'essi scapestrarono e soprusarono il diritto di
regnare a danno dei loro popoli.
Togline un altro esempio tra gl'innumerevoli che potrei arrecarne. «Sono vostri i delitti del re, se
nol correggete col rigor dell'Apostolo, se tacendo lo esortate a
misfare .... Tenete adunque, o miei fratelli, questa parola, la
parola che mi detta l'Apostolo; scuotetevi dal profondo letargo,
datevi la mano l'un l'altro, provvedete alla patria, alla fama
vostra, alla salute di Filippo e del regno. Parlategli tutti per
tutti, ammonitelo dell'eccidio che sovrasta alla Francia,
schierategli innanzi i suoi torti, esortatelo a vita cristiana.
Restituisca quell'infame bottino ai derubati mercatanti, faccia
ammenda dei venduti giudizî, compensi con altrettanto bene le
frodi. Ma se egli è indurato nel male, voi, Vicari
nostri, intimategli da parte di Dio che gli pende sovra il
capo una spada che trova e quale stipa del campo [=
sterpi secchi usati per appiccare il fuoco N.d.R] consuma i felloni: disditegli
l'ubbidienza, troncate ogni commercio col reprobo, interdite per
tutta la Francia i sacramenti e la sepoltura. Che se un tale gastigo
non giova, sappiate che noi, invocata la potenza di Dio, il
deporremo dal trono. E se troveremo dubbio o freddezza anche in voi,
Vescovi e Prelati francesi, ai quali in tant'uopo sta peggio che a
verun altro il mancare, vi terremo per d'accordo con lui e complici
de' suoi delitti, vi casseremo dal novero de' Sacerdoti. Attestiamo
intanto la nostra coscienza e il Signore, che noi siamo venuti a tal
passo non per altrui preghiera, nè per odio o per patto di
veruna mercede, ma per dolore di vedere un tanto popolo, un reame
sì glorioso, andar perduto per colpa di un solo. Giova a noi, a
voi, alla Francia che ciò si sappia [8].»
Così scriveva San Gregorio VII agli Arcivescovi di Reims, di
Sens, di Bourges e a tutti i Vescovi della Francia, intimando loro di
riprendere in suo nome Filippo re potentissimo e costringerlo a
rispettare gli altrui diritti e mantener la giustizia. Nè
ciò fu proprio solamente di quell'uomo dal petto di bronzo, ma fu
comun costume dei romani Pontefici adoperarsi assiduamente con
esortazioni, con minacce, con pene, canoniche, e con tutti i mezzi di
cui avean balìa, per impedire che i governanti trasmodassero
nell'esercizio del potere opprimendo i popoli con inique leggi, con
esorbitanti balzelli, o con qualunque altro genere di soprusi. E tal
sopravveglianza da loro praticavasi a riguardo di tutti, grandi o
piccoli che si fossero, dagli eccelsi Cesari fino all'ultimo Baronetto
di campagna, che fiero e securo nel suo turrito castello, solamente
sbaldanziva e tremava a uno sgrido che gli venisse dal Vaticano.
Questo, affè, ci sembra un soprattieni ed un freno assai più
valido per contenere l'autorità nei limiti dell'onesto e del
giusto, che non i parlamenti e le assemblee trovate da' nostri
sapienti. Le quali se valgono a limitare il subbietto in cui risiede
il supremo potere, niente servono a ristringere il potere in sè
stesso; e per[ci]ò sono acconce a trasferire non a
rimuovere il despotismo.
Che se oggidì la Chiesa non può fare altrettanto, dobbiamo
saperne grado alla stoltizia de' nostri filosofi, che paganeggiando a
poco a poco i governi e introducendovi la ribellion luterana, li hanno
più o meno sottratti dal salutare indirizzo di questa pia madre.
Rimossa questa briglia potentissima insieme e soave, han cercato
sopperire alla sua mancanza colle macchine morte dei loro governi
rappresentativi, modellati più o meno sui principî
protestantici e gentileschi del secolo decimottavo. Ma i tempestosi
sconquassi, tra i quali lottarono e lottano tuttavia, e i
perniciosi effetti che ne risultarono con quasi niuna sicurezza contro
a soprusi della forza, sono una pruova chiara e sfolgorante del niun
valore che hanno siffatti mezzi, spogli della vita che loro vien dalla
Chiesa.
Le ragioni private e domestiche, i diritti intangibili dei singoli,
la dignità personale dell'umano individuo (non potrebbe
abbastanza ripetersi) non saranno giammai pienamente assicurati contro
le invasioni della forza materiale, se il principio stesso politico
non sia ritenuto tra suoi giusti confini, e non riceva la legge da un
principio spirituale che ne impedisca gli eccessi. Nè questo
potrà mai conseguirsi pel semplice cambiamento di forma
governativa, la quale tendendo solo ad allargare la base su cui il
potere s'innalza, di per sè non ne riforma nè può
moderarne il principio. Anzi stringendolo vie più colla
moltitudine, val quanto dir colla forza, gli cresce baldanza, e gli
agevola l'effettuazione d'ogni suo più iniquo disegno, dove un
vivo sentimento di religione non ritenga gli animi tra i limiti
dell'onesto.
Il solo mezzo di contenerlo, si è la coesistenza d'un altro
potere ubbidito e venerato, il quale appoggiandosi tutto sulla morale,
sia l'espression vivente del diritto, e aggiudicando a sè la
direzion degli spiriti in ordine ad un bene soprassensibile, mantenga
salda ed incrollabile la personalità umana e le sacre ragioni che
ne rampollano. Ciò appunto è proprio della Chiesa, potere di
sua natura spirituale, distinto dalla forza, riferentesi alla
coscienza dell'uomo, guidante nell'ordin morale al conseguimento d'un
bene avvenire ed eterno. Che per[ci]ò dove essa
riconosciuta ne' suoi diritti ha libera la sua azione, ogni forma di
governo legittimo può esser buona e osservatrice de' diritti e
della indipendenza personale de' sudditi; dove essa è
impedita o non curata, ogni forma di governo non può riuscire che
oppressiva e tirannica.
IV.
Lascio ora questa utilissima digressione, e torno a quelli che,
ripigliando il filo dei primo nostro discorso, mi si facessero
incontro così dicendo. L'argomento da noi recato di sopra
dimostrar solamente che la Chiesa salverà la parte spirituale
dell'individuo, cui essa come potere essenzialmente spirituale non
può giammai perder di vista, nè lasciare che s'invada da
inferiori elementi. Contuttociò la personalità individuale
non sembrar tutelata bastevolmente. Imperocchè chi vieta che
l'individuo umano, salvato per l'azion della Chiesa dall'assorbimento
politico e materiale, non soggiaccia poi nel suo essere spirituale
medesimo all'assorbimento religioso, e venga eziandio in qualità
di spirito, come a dir, divorato dal gran tutto spirituale di questa
nuova associazione?
Chi esprime da senno un tal timore, mostra di non aver niuna
conoscenza del divario che corre dalla società civile alla
società religiosa, dai beni materiali agli spirituali, dal regno
della terra al regno dei cieli. La Chiesa a differenza del potere
civile mira direttamente agl'individui, non alle masse; la
società per essa è mezzo, non fine; presidio delle persone
che la compongono, non idolo che dimanda assidui sacrifizî per
tenersi in piedi e regnare. Comechè dotata d'un essere collettivo
e di massimo ordine ed unità tra le membra ond'è formata,
nondimeno la sua azione va ultimamente a colpire nel ben essere stesso
privato dei singoli, niuno de' quali essa pone in non cale, ma con
pari amore e sollecitudine provvede a ciascuno dal più sublime
monarca al più abbietto ed oscuro contadinello. Laonde noi la
veggiamo nella distribuzion medesima dei sommi onori consociare ai
Saverii, conquistatori di nuovi mondi, gl'Isidori semplici
agricoltori, ed ai Claver, che consumarono la loro vita in apostoliche
imprese, l'umile pastorella Cusin, che nel solitario bosco pasturando
le agnelle, alla vista dell'azzurro cielo, delle fiorite valli, dei
mormoranti ruscelli, d'amorosi pensieri verso Dio ingombrava la
virginale sua mente.
Nella società civile il ben comune, la felicità
generale, risulta dall'aggregato di materiali vantaggi, che sono
di per sè fuori dell'individuo, crescono o scemano per
l'addizione o sottrazione delle singole parti, nella sola unione di un
gran numero presentano un tutto capace di effetti duraturi e
magnifici. Il perchè l'asseguimento del suo scopo suole aver per
ragguaglio il bene della maggioranza, a cui sovente si sacrifica una
minorità sciagurata; la quale nella concorrenza non ha altro
demerito di soccombere, da quello infuori d'esser men forte. La
maestà e potenza dello Stato fiorisce eziandiochè molti
individui marciscano nella miseria e nella abbiezione, come scorgesi
in Inghilterra; anzi a dir vero essa non può sussistere, senza
l'incessante olocausto di non pochi privati, offerto sull'altare
dell'interesse sociale. La ragione intima si è, perchè tutto
quello che alla materia e alla sua durata si attiene segue
necessariamente le condizioni di quella; e per[ci]ò,
al par di lei si divide, si sparpaglia, si disperge in varie parti,
nè indivisibilmente può trovarsi intero nei singoli elementi
e nell'integro corpo che da essi risulta.
Il contrario avvien della Chiesa. Essa, quanto ha d'efficacia e di
valore, tutta travagliasi in mantenere ed ampliar sulla terra il regno
di Dio. Or questo regno non
è fuori ma è dentro di
noi: regnum caelorum intra vos est [9].
Non altronde proviene che dalla carità
divina diffusa nei nostri cuori per lo Spirito Santo in essi
albergante [10]. Il
fine per cui ella aggrega a sè gl'individui, gli governa colle
sue leggi, li sottomette alla sua guida materna, si è per
produrre in essi la santità e manodurli alla beatitudine della
vita perenne. Habetis fructum
vestrum in sanctificationem, finem vero vitam aeternam [11]. [Rom. VI, 22: «Avete per vostro
frutto la santificazione: per fine poi la vita eterna.» N.d.R.]
Or la santità, la vita eterna, son beni affatto individuali e
personali. Non sussistono fuori di noi, non si formano per
aggregamento di molte parti, non riseggono nella sola maggioranza, non
richiedono l'esclusione o il sacrificio di chi si sia; ma
essenzialmente han rapporto con ciascheduno, corrispondono a tutti,
perfezionano tutti, e con la medesima integrità e pienezza
informano ed attuano non meno la somma collettiva che le singole parti
ond'essa è composta.
Tutto il corpo della Chiesa,
cioè l'insieme di tutti fedeli congiunti tra loro co' legami di
verace carità, professanti la stessa fede, partecipi dei
medesimi sacramenti, sotto il reggimento de' medesimi pastori, forma
l'ovile di Cristo, il gran tempio dell'Altissimo, il tabernacolo
eterno del Signore de' cieli, la città santa, la purissima
sposa del Dio degli Dei [12].
Ma ogni agnella di questo ovile gli è cara ugualmente, e per una
sola, che si disvii, egli non dubita di lasciar tutte le altre in
sicurezza nel chiuso, e correre appresso alla smarrita fino a
raggiugnerla e rimenarla festante tra le compagne. Ogni pietra di
questo edificio ha per lui il medesimo pregio, perchè lavorata
dal medesimo artefice, ed insignita del pari d'un valore infinito.
Ogni anima in particolare è chiesta ed ammessa ai casti
abbracciamenti dello sposo divino, il cui amore immutabile e senza
fine così arde per tutte, come per ciascuna. Gli altari di questo
tempio non sono che i singoli cuori de' fedeli, in ognuno de' quali
Dio è placato dal medesimo, eterno ed unico Sacerdote, e nel
fuoco d'un'identica carità infusa dal cielo a lui si brucia un
medesimo timiama [= incenso
profumato N.d.R.] di
fervidi affetti, di sante opere.
Così adorna di celeste stola, sfolgorante di stupenda bellezza,
sorretta dal braccio stesso di Dio, questa santa società della
Chiesa incede maestosa e piena di fervido desìo verso quella
patria dolcissima, dove alberga il Padre dell'universo, e con lui la
pienezza de' beni. Quivi giunti presso la sorgente d'ogni
felicità, ed il fine di tutti i nostri desiderî, è dato
a ciascheduno d'inebriarsi a quel torrente di dolcezza, e fruire della
pienezza d'ogni perfezione, senza punto nuocersi l'un l'altro, quanto
al più o meno parteciparne. Imperocchè essi si accostarono
alla fontana verace della beatitudine, le cui vive acque, per
attignerne che si faccia, non si esauriscon giammai; essi si riposano
nel possedimento e nell'intima visione di quel Dio immortale, che tutto può conseguirsi da tutti, senza veruna alterazione
o scemamento dell'infinito suo essere.
Ecco il bene a cui aspiriamo nell'unirci alla Chiesa, e a cui essa ci
conduce con quanto ha di mezzi e di valore. Ed ecco come nella Chiesa
a differenza della società civile, l'assorbimento dell'individuo
nel bene del tutto involge contraddizione e ripugnanza di concetti;
essendo l'individuo medesimo il fine di questo gran tutto, o per dir
meglio, essendo il bene stesso del tutto immedesimato colla perfezione
dell'individuo.
V.
Di che segue un corollario, quanto vero, altrettanto meraviglioso, ed
è che nella Chiesa quanto più l'individuo si lascia rapire
dall'azione di lei, lungi dallo scemare nella propria
personalità, tanto vie maggiormente se ne vantaggia, e cresce
nella sua individuale perfezione. Imperocchè quanto egli più
si rilega e serve a Dio per l'esercizio della religione, tanto
più si stringe col fonte d'ogni libertà e d'ogni eccellenza,
dal quale unicamente la verace indipendenza, la perfezione, la
felicità si deriva. Onde l'assoggettarsi
a lui è un vero regnare: servire Deo regnare est;
perchè così l'uomo sollevasi verso il principio e la cagione
d'ogni grandezza, magnificando sempre più il suo spirito colla
nobiltà che quinci rampolla; e purificandolo dalle macchie delle
perverse inclinazioni che costituiscono il vero servaggio.
Dio non ha bisogno de' nostri beni, nè trae verun vantaggio
dalla nostra pietà e giustizia. Tutto l'utile che nasce dal culto
legittimo che l'uomo gli presta, non ridonda che nell'uomo stesso,
accadendo in tal proposito quel che accade alla fonte rispetto a colui
che venga a dissetarvisi, o alla luce riguardo all'occhio che ne
è ristorato. Direste forse che una sorgente d'acqua riceva
vantaggio perchè altri ne beve, o il lume accrescimento,
perchè la vista ne accoglie i raggi? Laonde tutto che faccia
l'uomo per piacere ed unirsi a Dio il più strettamente che
sappia, è un benefizio che egli reca a sè stesso. Talmente
che la dedicazione e consecrazione medesima che fa a Dio l'uom
religioso, affin di morire al mondo per non vivere che a Dio, nel
mentre che è un vero sacrifzio offerto al Signore sull'ara della
carità, è alsì un atto di misericordia e di benevolenza
che l'uomo esercita verso di sè medesimo. Il che, come osserva s.
Agostino [13] ha dato luogo a
quelle parole della Scrittura: abbiate
pietà della vostr'anima rendendovi accetti al Signore: miserere
animae tuae placens Deo.
Ora puoi intendere un altro errore in che cade il Guizot,
allorchè pone la Chiesa a paraggio della prisca società
pagana [= allorchè equipara
la Chiesa all'antica società pagana N.d.R.]
quanto all'annientamento della personalità individuale.
«Quando voi trovate (egli dice [14]), nelle culture antiche la
libertà, essa è la libertà politica, la libertà
del cittadino; non è già la sua libertà personale di
cui l'uomo è preoccupato; è solo la sua libertà come
cittadino. Egli appartiene a una associazione, egli è dedicato
a una associazione, egli è pronto a sacrificarsi per la
medesima. Lo stesso accadeva nella Chiesa cristiana. Vi regnava un
sentimento di grande attaccamento alla corporazion cristiana, di
dedicazione alle sue leggi, un vivo bisogno d'amplificarne
l'impero» etc.
Fa pietà il vedere in uno scrittore sì acuto ed elegante
tanta ignoranza del subbietto intorno al quale discorre. E non vede
egli l'immenso divario che corre tra il cittadino romano o greco
rapportato alla patria, e il fedele di Cristo riferito alla Chiesa?
L'uno e l'altro, è verissimo, ripeteva tutto il suo essere
dall'associazione a cui apparteneva. Ma il primo si fermava alla
patria, senza poterla riferire ad un fine più alto che con lui
novellamente si rannodasse; il secondo non si ferma alla Chiesa, ma in
essa riguarda un bene più sublime a cui essa stessa è
ordinata e che con lui si lega intimamente. Pel cittadino romano o
greco la patria era tutto; ella sussisteva per sé medesima; era
spirito e corpo ad un tempo; gl'interessi di lei, la floridezza, la
gloria avevano a suoi occhi un valore assoluto; per lei propriamente
egli operava, viveva, moriva, contento che delle proprie ceneri si
alimentasse il gran colosso. Per contrario il fedele ama teneramente
la Chiesa, per lei incessantemente si adopera, è pronto a
sacrificarsi per essa; non guarda però ultimamente in essa, ma in
essa guarda il suo Dio. Egli la mira, sempre sotto un aspetto
relativo, come l'eredità del Signore, come il regno di Dio,
come il corpo mistico di Gesù Cristo. Imperocchè la Chiesa
non è altro, secondo l'espressione di Bossuet [15], che Cristo stesso sparso e comunicato per la
carità e la fede nell'insieme dei figli di Dio. Ovvero, secondo
l'alta idea di s. Agostino [16],
essa non è altro che un perpetuo ed universal sacrifizio, offerto
a Dio dal gran Sacerdote; il quale offrì sè stesso al Padre
nella sua passione, acciocchè noi fossimo membri di questo corpo
augusto, che egli informa della sua vita, e in cui rende continuata ed
eterna la sua unica obblazione.
Se il cuore d'ogni fedele allorchè si solleva a Dio, diviene suo
altare, ed ogni cosa quivi offerta nel fuoco dell'amore è ostia
grata ed accettevole a quell'alta maesta; che dovrem dire di tutta
insieme la città redenta, dell'intera congregazione e compagnia
de' Santi, cioè degli uomini a Dio dedicati e consegrati, vale a
dir di tutta quanta la Chiesa? Essa non può considerarsi
altrimenti che come un vivo tabernacolo eretto a Dio e un grande
altare, sopra del quale s'immolano del continuo a lui vittime
spirituali e sacrifici di lode, cioè tutto quello che fanno i
fedeli per purificare il loro spirito e congiungersi a quel sommo bene
con unione intima e santa. E queste obblazioni ricevendo ogni valore
da quella, che offerì Cristo sulla Croce e che rinnovasi in modo
incruento giornalmente tra noi dal Sacerdozio, formano così un
solo e gran sacrifizio, gratissimo a Dio, di pregio infinito, e che
solo è acconcio a rendere l'onore e la gloria dovuta a sì
sublime altezza.
Laonde il fedele amando ed ampliando la Chiesa, propriamente ama ed
amplifica la gloria di Dio, e sacrificandosi per essa si sacrifica per
Dio; cioè non per un bene estrinseco e straniero all'operante, ma
per un bene massimamente proprio di lui, e che solo può
costituirlo veracemente beato.Egli adunque in ciò fare non
abbandona sè stesso, non annienta la propria personalità; ma
la perfeziona e la sublima, facendola degna del possesso di Dio, suo
ultimo ed incommutabile fine, principio e termine da cui procedono e a
cui metton capo tutti quanti i suoi beni. Ecco qual è in sostanza
la tendenza de' fedeli nella Chiesa, e a che mena l'azione del governo
di lei.
VI.
Bene sta, dirà taluno da ultimo, il poter della Chiesa è
tale di sua natura da non assorbire la personalità
degl'individui, ma da ampliarla piuttosto e sublimarla. Pure ciò
avrà luogo soltanto quando essa opera secondo lo spirito della
sua istituzione divina, non già quando abusi il celeste suo
ministero. Il Sacerdozio non è esercitato da Angeli, ma sì
veramente da uomini; e l'uomo può fuorviare e corrompersi. Qual
sicurezza avrà dunque il valor personale degl'individui contro la
invasione del potere Ecclesiastico, qualora divenisse usurpatore e
dispotico?
Rispondo, un tal sopruso nella Chiesa essere impossibile, sì
grandi sono le sicuranze, e come diconle, le guarentigie che
nell'economia intrinseca della Chiesa stessa racchiudonsi. Da prima le
leggi fondamentali, sopra le quali, tutto quanto è, si appoggia
l'Ecclesiastico ministerio, non sono dipendenti dall'arbitrio di
veruno, ma immutabilmente sussistono siccome stabilite da Cristo
stesso. Determinati sono i precetti che regolano la morale,
determinati i dogmi che fondano le credenze, determinati i sacramenti
che ci comunicano la grazia, determinata la forma del pubblico
reggimento e il còmpito di ciascuna funzione. Il sacerdote non si
presenta che come rappresentante di Dio, da cui riceve la legge e i
limiti del suo potere e dalle cui prescrizioni non può
lontanarsi. L'uomo non ci stimi
altrimenti che come ministri di Cristo e dispensatori de' divini
misteri: sic nos existimet homo ut ministros Christi et
dispensatores mysteriorum Dei [17].
Veniamo a voi come legati di
Cristo, ad annunziarvi quel tanto che Dio stesso c'impone: pro
Christo legatione fungimur, tanquam Deo exhortante per nos [18]. Ecco l'idea che ci porge
l'Apostolo del ministero ecclesiastico; idea che informa e vivifica i
sacri ministri, se non vogliamo creder vana la parola di Cristo colla
quale promette perenne e continuata assistenza alla sua Chiesa [19]. Ciò posto, il Sacerdozio non può
produrre servitù nei fedeli, perciocchè esso non impone loro
la sua volontà e la sua ragione, ma la volontà e la ragione
di Dio; non crea i fondamenti e le leggi dell'ordine in cui esso
opera, ma ricevendole da Cristo le applica solamente alla direzion
delle anime, le svolge a seconda delle occorrenze che sorgono, e crea
gl'istrumenti che debbono cooperarvi.
Questa è la prima malleveria a noi data di libertà nella
Chiesa, la preesistenza ed immutabilità delle leggi fondamentali,
secondo la determinazione fattane da Cristo stesso. La seconda è
la pubblicità della dottrina che insegnasi. Ciò
che io vi ho detto nel segreto della notte, voi manifestate nella
luce del giorno, e ciò che avete ascoltato nell'orecchio
predicate da sopra i tetti [20].
Costume innato della Chiesa di
Cristo si è di promuovere l'istruzion religiosa, di spezzare a
tutti il pane della divina parola, di travagliarsi incessantemente
ad illustrare gli spiriti colla luce della verità evangelica.
Quindi è che gl'immutabili insegnamenti lasciati da Cristo e
dagli Apostoli, e tramandati di generazione in generazione in questa
santa società, son patrimonio di tutti; e avvegnachè il
deposito e la tutela di essi sia affidato a Pastori, che deggiono
colla lor vigilanza custodirli illibati, col lor magistero
insegnarne i fedeli, colla loro autorità fulminare e rimuovere
i contrari errori; tuttavia la sostanza ne è palese e conta ad
ognuno; tutti sono istruiti di questa sapienza celeste, tutti per
conseguente son discepoli del maestro divino [21]. La
più umile vecchierella appo noi tanto sol che conosca il
catechismo, sa la somma dei veri che compongono la credenza
cattolica, il codice delle leggi che le conviene osservare,
l'organamento totale del governo della Chiesa. Ond'essa è
bastevolmente premunita contro ogni abuso che procedesse dalla
malizia di alcun degenere ministro, che disgiuntosi dalla colleganza
di tutto il corpo de' Sacerdoti insolentisse nella casa del Signore,
crudamente bistrattandone i componenti, e rapace lupo sotto spoglie
di agnello facesse scempio dell'ovile cristiano.
Finalmente la più preziosa guarentigia è riposta
nell'ammirabile gerarchia e subordinazion graduale de' singoli
preposti, la quale mette capo da ultimo in un Pastore supremo ed
infallibile. Non ostante la immutabilità delle leggi
fondamentali, la determinazione del ministero, lo spirito del
sacerdozio, la notorietà della dottrina e de' precetti
evangelici, il tempo stesso potrebbe insensibilmente venire
scancellando o adombrando questa vera immagine di Dio, e la nativa
fralezza dell'uomo potrebbe indebolire a poco a poco fino a viziar del
tutto la virtù che l'informa. Gravissimi dubbi potrebbon nascere
intorno a nuove quistioni collegantisi co' dogmi, co' costumi
cristiani, coi diritti della giurisdizione ecclesiastica,
trascinandosi dietro l'error delle menti, la divisione dei cuori. Ma
è pronto il rimedio nella guida de' supremi Pastori, e nel
ricorso da ultimo al Maestro universale e indefettibile de'
credenti. Egli, che innalzato da Cristo al colmo della dignità
apostolica ha ricevuto da lui il carico di pascere l'intera greggia
e confermar nella fede i vacillanti fratelli, possiede la virtù
di dissipare ogni nebbia, di comporre senza ombra di errore ogni
litigio, di mantenere nella sua integrità le credenze, il
costume, la giustizia tra i popoli a lui soggetti. La supremazia
della cattedra romana, l'infallibile oracolo del suo Pontefice
è per la Chiesa universale il più sicuro schermo contro
ogni generazione di abusi. Ondechè non è a meravigliare se
il Concilio Cartaginese nella sua epistola a Damaso lo appella il Prefetto della casa di Dio, il
custode e guardiano della vigna del Signore; e il Concilio
Romano sotto Gelasio il chiama porto
sicurissimo di tutta la Comunione Cattolica.
A mirar sottilmente, le due prime da noi assegnate, e qualunque altra
cautela o assicuranza che volesse pensarsi, tornerebbero vane senza
questa terza, che sola le fa certe ed efficaci. Ogni
cosa nella Chiesa avrebbe un'esistenza precaria e vacillante, se non
la rendesse salda ed eterna la fermezza di quella inamovibile
pietra, sulla quale essa s'innalza. Imperò giustamente
di lei sta scritto essere il fondamento in cui tutto l'edifizio
s'appoggia, nè questo per urto o tempesta potrà crollare
giammai, finchè si terrà congiunto con quella. Di che derivo
un'altra conseguenza, colla quale pongo termine al mio discorso. Essa
è che se la vera salvaguardia dell'umana personalità non si
trova che nella Chiesa, e la Chiesa non è assicurata della
perennità del suo spirito se non in forza del romano Pontefice,
suo capo e maestro, egli è ad inferire che dunque esso romano
Pontefice sia la tutela, il pegno, e dirò così il palladio
della dignità personale dell'uomo. E per[ci]ò
i veri sapienti, i sinceri promotori dell'incivilimento, i genuini
filantropi, nonchè astiarne la potenza, difficultarne l'azione,
sminuirne nella estimazione il pregio, dovrebbono in quella vece
diligerne con ogni amore il benessere, crescerne con ogni lode la
stima, promuoverne con ogni studio la libera influenza.
Intendano bene sì importante verità quegl'illusi
politici, i quali nè mossi dalla ragione, nè
ammaestrati dall'esperienza, neppure ora vogliono indursi a
dismettere l'antico vezzo di contrastare la franca e libera azione del
supremo Pastore in tutto il corpo della Chiesa, e con ogni arte si
studiano di conservare per lui, se non tutti, almeno il più che
sappiano gli antichi ceppi. Essi tradiscono senza volerlo la causa del
loro principe e quella dei popoli. Tradiscono il principe, perchè
cooperano a mantener la cagione onde procedette lo sbrigliamento dei
popoli e lo spregio in che cadde l'autorità; tradiscono i popoli,
perchè tolgono ad essi l'unica sicurtà che valevolmente li
accerti e li tuteli contro la violazione de' loro individuali diritti.
Così rompendo i veraci vincoli della sociale giustizia concorrono
a perpetuare la diffidenza e la guerra tra sudditi e governanti.
Mi volgo da ultimo al moderno liberalismo, e l'invito a riconoscere
alla fine la vera causa del contrasto che trova negli uomini di
Chiesa, e dell'avversione che gli porta ogni animo sinceramente
cattolico. La causa è perchè il sedicente spirito di
libertà d'oggigiorno non è più quello che manifestossi
al medio evo, consistente in un legittimo amore d'assicurare i propri
diritti contro le invasioni della forza e dell'arbitrio. Che esso
allor fosse tale e non altro, ben lo mostrava il suo infinito amore
verso la Chiesa, e l'illimitata riverenza e soggezione in che tenevasi
verso il visibil capo di quella. Ma
il liberalismo odierno è evidentemente figlio del
protestantesimo, politicamente formolato da sofisti del passato
secolo, spinto all'atto (tranne i pochi illusi) dalla tenebrosa
azion delle sette, o, che peggio è, dalla manìa d'uomini
vagheggianti una religion da romanzo. È questo un vero
oggimai sì manifesto, che la sola stupidità o mala fede
può spargervi sopra alcun dubbio. Nè la famosa distinzione
tra i liberali di setta e i liberali di scuola, tra gli esaltati e i
temperanti, riesce più di verun pro, sendosi troppo apertamente
chiarito la tendenza degli uni e degli altri esser la stessa. Gli
ultimi fatti di Piemonte hanno squarciato il velo infino all'ultimo
lembo che ne restava. Quivi la cosa pubblica cadde in mano al fiore
de' moderati, uomini che fecero le più alte proteste di non
appartenere a veruna setta, d'aver nell'animo sensi cattolici, di non
altro pretendere che conciliazione, armonia, svolgimento pacifico
della libertà, sotto le ispirazioni della Fede. Eppure la
persecuzion religiosa colà cominciata sì di buon ora e che
va di giorno in giorno più ringrandendosi, lo scherno e l'onta
d'ogni cosa più sacrosanta [22],
gl'insulti e le beffe ai sacri ministri, i soprusi e le minacce fatte
all'intero ordine sacerdotale, le violenze, gli esiti,
gl'imprigionamenti de' più venerandi Pastori [23], il dispregio della voce, degli ammonimenti,
delle querele del Vicario di Cristo, e il timor d'imminenti danni
ancor più gravi, mostrano tale un odio verso la Cattolica Chiesa,
che per verità ha pochi esempi nella storia dei popoli.
L'incivilimento dunque a che tendono i così detti liberali de'
giorni nostri è evidentemente protestantico e per conseguenza
pagano.
Ora io ho dimostrato cento volte nel corso di questi articoli
l'incivilimento pagano essere un regresso per l'umanità, la sua
libertà racchiudere la più vergognosa schiavitudine
coll'annientamento dell'umana personalità assorbita dalla
onnipotenza del Dio Stato.
Adunque, senza che io il dica,
ognun vede da sè medesimo che il liberalismo moderno sotto
tinte di promuovere la libertà tende a distruggerla, e
sott'ombra di volere il progresso, vuol la barbarie. Laonde la
Chiesa osteggiandolo e combattendolo si mostra anche per questa
parte scudo e difesa della libertà e del progresso dei popoli,
e giungendo in fine a trionfarne sarà una terza volta la
salvatrice della civiltà d'Europa e conseguentemente del mondo.
Sì, giova ripeterlo perchè ogni animo retto o capace di
riacquistare la rettitudine, profondamente il comprenda. Non
è l'avversione alla libertà, le simpatie pel dispotismo
che inducon la Chiesa a contrastare gl'iniqui loro conati, come essi
calunniosamente vanno spacciando per crear odio a quest'unica
celeste guida dell'uomo e così prendere, come suol dirsi, a una
fava due colombi. Se questo fosse, bisognerebbe annullare la storia
di tutti i tempi, e sconvolgere tutte le idee riguardanti la Chiesa.
Ma è sibbene l'amore che essa porta alla verace libertà,
la nativa ripugnanza ad ogni genere di despotismo, la missione che
ha da Dio di salvar l'indipendenza personale dell'uomo, che le
ispira siffatti sensi, la sospinge a siffatto contrasto. È in
nome della libertà, del verace progresso, dell'incivilimento
cristiano, ch'essa scende in codesta arena, e ogni petto, che
sia caldo d'amore per la società e per l'uomo, dovrebbe
serbarne un'eterna riconoscenza. Se talun cel disdice,
distrugga egli con salde ragioni quanto dal primo di questa serie di
articoli infino al presente è dimostro [= è
dimostrato N.d.R.].
NOTE:
[4] Histoire de la Civilisation
en Europe. Leçon VI.
[5] Ecco le sue parole: Sous le
point de vue politique, c'est autre chose. Nul doute qu'en adoucissant
les sentiments et les mœurs, en décriant, en expulsant un
grand nombre de pratiques barbares, l'Église n'ait puissamment
contribué à l'amélioration de l'état social; mais
dans l'ordre politique proprement dit quand aux relations du
gouvernement avec les sujets du pouvoir avec la liberté, je ne
crois pas qu'à tout prendre son influence ait été bonne
... Sans doute l'Église a souvent invoqué les droits des
peuples contre le mauvais gouvernement; souvent même elle a
approuvé et provoqué l'insurrection. Souvent aussi elle a
soutenu auprès des souverains les droits et les
intérêts des peuples. Mais quand la question des garanties
politiques s'est posée entre le pouvoir et la liberté, quand
il s'est agi d'établir un système d'institutions
permanentes, qui missent véritablement la liberté à
l'abri des invasions du pouvoir, en général l'Église
s'est rangée du coté du despotisme. Leç. VI.
[7] De Civit. Dei, l. V. c. 23.
[9] Luc. XVII 21.
[10] Charitas
Dei diffusa est in cordibus nostris per Spiritum Sanctum qui datus
est nobis. Ad Rom. V.
[11] Ad Rom. VI. 22.
[13] De civit. Dei, l. 10. c.
6.
[14] Hist. de la civilis. en
Europe, leçon II.
[15] Pensée
chrétiennes et morales, t. 15.
[16] De civit. Dei, l. IX, c.
6.
[17] 1. Ad Cor. IV. 1.
[18] 2. Ad Cor. V. 20.
[20] Matth. c. X.
[22] Si ricordino lo
calunniose, villane, sozzissime dicerie dell'Opinione,
della Gazzetta del Popolo,
della Strega, e d'altri
giornalacci di simil lordura, tollerati o anche protetti dal governo
con grandissimo vituperio della moralità e dell'onor nazionale.
[23] Si ricordino gli atti e le
parole del Ministero.
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