IL RESTAURO DELLA PERSONALITÀ UMANA PEL CRISTIANESIMO
R.P. Matteo Liberatore d.C.d.G.
La Civiltà Cattolica anno I, vol. II, Napoli 1850 pag. 361-376.
I.
Indagando i disordini del gentilesimo, che corrompendo a poco a
poco i costumi li precipitarono finalmente in ogni sorta di vizî,
li vedemmo assommarsi in due capi principalissimi, pei quali la
ragione abbandonata a sè medesima non seppe altro produrre che
una società schiava ed immonda. Il superbo colosso del pagano
incivilimento, comechè abbarbagliasse i riguardanti col fulgor
dell'oro e dell'argento, onde ornava il capo ed il petto, tuttavia
terminavasi sozzamente in piedi di ferro e d'argilla. La
voluttà e la forza, erano i due perni intorno a cui tutta
giravasi quella bugiarda coltura, e se colla prima divenne ad
abbrutire l'intelligenza spegnendo in essa il gusto morale
dell'anima, riuscì coll'altra ad annientare la dignità
personale dell'umano individuo schiacciandolo coll'onnipotenza dello
Stato ed assorbendolo nell'ingorda voragine dell'interesse sociale
[1].
Io credo d'aver dimostrato abbastanza come il Vangelo guarì
l'umanità dall'una di queste piaghe sollevando i cuori ad
apprezzare e diligere i beni del cielo, cui mostrò in aperta
opposizione con quei della terra [2].
Fa d'uopo ora che entriamo a cercare in qual modo apportasse conforto
e salute all'altro malore redimendo l'individuo dalla oppressione
tirannica della pagana politica.
Facil cosa il rispondere. Ciò, dirassi, si operò dal
Vangelo col proclamare l'alta dignità dell'umano individuo e la
sua eccellenza al di sopra di tutto quello che è caduco e
perituro nel mondo. Così è veramente; e se la vita morale
dell'uomo s'inizia nell'intelletto, ognun vede che la riforma dovea
cominciarsi dal ristorare la conoscenza. Ma quel che vuole qui
sottilmente osservarsi si è il nuovo aspetto, sotto del quale
venne bandita nel mondo tal verità, ed il modo ammirevole onde le
si diede operosità e consistenza.
La spiritualità dell'animo umano, la sua destinazione ad una
vita immortale, il moral pregio dell'uomo non erano stati concetti
bastevoli a guarentirlo dalle invasioni del senso e della materia
sviluppantesi sotto la potente azione della vita sociale. Nonostante
la luce di che eran fregiati e la nativa loro efficacia, il contrasto
che loro opponeva la vita presente, con tutta la somma de' beni
ond'è corredata, e le nebbie che sollevavano verso le più
alte regioni dell'animo le focose esalazioni del cuore, erano giunte
ad alterarli sì in chi avea in mano la forza, che essi spenti o
moribondi raggio alcuno più non vibravano, o quei raggi per la
tanta languidezza eran cassi [= privi
N.d.R.] d'ogni valore. La
reminiscenza che ne restava avria potuto assomigliarsi a una bella
dipintura scancellata dal tempo, la quale non pur abbia perduto i suoi
vaghi colori, ma nè anche i primi tratti più ne conservi.
Venuti meno gli antichi presidi, affin di riabilitare l'umanità
degradata, ci faceva assolutamente mestieri che una nuova idea
s'introducesse nel mondo. Ma però un'idea potente, sublime,
inalterabile, che non sorgesse dalla terra, non si appoggiasse ai
discorsi dell'umana ragione, non si avvalorasse di sole forze
naturali, ma venisse direttamente dal cielo, si ammantasse di
oltramondani splendori, fosse attuata di potenza trascendente ogni
ordin creato. In tal guisa soltanto poteasi efficacemente restaurare
l'invilita personalità dell'uomo, ed assicurarla durevolmente da
oani assalto avvenire.
Or questa idea fa appunto a noi recata dal Vangelo e altamente
bandita dall'un estremo all'altro della terra. Essa è l'adozione
a figliuoli di Dio, procurataci per la redenzione di Cristo. Vedete,
qual pegno di amore ci diede il celeste Padre: che ci chiamassimo e
fossimo figliuoli di Dio; videte qualem charitatem dedit nobis
Pater, ut filii Dei nominemur et simus [3];
o carissimi, noi al presente siamo
figliuoli di Dio; carissimi nunc filii Dei sumus [4]. Come Cristo lo è per natura, così noi
lo siamo per grazia; praedestinavit
nos in adoptionem filiorum [5].
E questa adozione, che sopra ogni credere ci sublima, ci fu apportata
da Cristo; come venne la pienezza
de' tempi mandò Dio il suo unigenito .... acciocchè
ricevessimo l'adozion di figliuoli [6].
E qual prezzo gli convenne sborsare per acquistarci un tanto dono? Non
meno che il sangue suo. Non foste
ricomperi con corruttibile oro od argento, ma col prezioso sangue di
Cristo, come di un agn[ell]o immacolato: non
corruptibilibus auro vel argento redempti estis, sed pretioso
sanguine quasi agni immaculati Christi [7].
Ecco la nuova idea, creata e promulgata dal Vangelo; ecco la sovrumana
dignità che rifaceva in certa guisa l'umana natura e quasi d'un
divino essere la decorava.
II.
Pertanto non è chi non vegga qual rivoluzione ideale dovesse
cagionar nelle menti questo inaudito mistero, quanta mutazion negli
affetti, quanta diversità ne' giudizî. Un nuovo e magnifico
aspetto si dischiuse dinanzi all'attonito riguardante, una nuova luce
balenò dal cielo e venne a confortargli la vista. Gli umani
individui che fino allora non persone ma cose appetto della
società [= di fronte
alla società N.d.R.]
estimavansi, ripigliarono il lor valore assoluto, riapparvero come
fine, non più come mezzo del politico reggimento. Voi
che dinanzi non eravate popolo,
cominciate ora ad esser popolo: qui
aliquando non populus, nunc autem populus;
e quale? Popol di Dio, populus Dei [8]. Gl'individui riuniti insieme nelle città,
allora sono e diconsi popolo, quando essi son quelli al cui ben
essere, alla cui felicità mira il governo. Allora solamente
meritano il nome di repubblica, la quale non è altro che il bene
del popolo, res populi,
giusta la definizione di Tullio. Un tal concetto almeno praticamente
era pervertito nel paganesimo, e le moltitudini in civil comunanza
assembrate si considerarono come semplici strumenti della
stabilità e floridezza dello Stato. Esse dunque non popolo,
ma masse, individui insieme
agglomerati, greggia di esseri senzienti, accozzaglia di corpi dotati
di forza, integrali di materia sarebbonsi detti, messi insieme per
servire di piedistallo e di base alla gran macchina sociale, alla
maestà dell'imperio, che su di quella innalzavasi.
Tanto disordin d'idee dovè necessariamente svanire allorchè
ogni umano apparve rivestito dell'alta dignità di figliuolo di
Dio, fratello di Cristo [9],
partecipe de' suoi più arcani segreti [10].
Apertamente si manifestò allora, e in guisa da non venire
oscurata per quantunque inganno o cavillo, la sublime ordinazione
dell'uomo ad un fine trascendente ogni sfera di politica associazione.
Fu chiarito esser egli chiamato a fruire la gloria stessa che Dio
apparecchiava al suo Cristo nei cieli. Se
siete figliuoli, voi siete per conseguenza eredi. Eredi di
che? del patrimonio stesso di Dio, che vi è padre, del retaggio
stesso di Cristo che vi è fratello: si
filii, et haeredes; haeredes quidem Dei, cohaeredes autem Christi
[11]. Voi, è vero, fate
parte in terra d'un civile consorzio, acciocchè forniate in pace
il vostro pellegrinaggio, e mantener possiate tra voi l'ordine e la
giustizia necessaria al viver presente. Ma il vostro còmpito
anche terreno non resta qui. Voi formate fin d'ora un popolo
d'acquisto divino: populus acquisitionis [12]; non siete
più vostri, perocchè siete stati comperi a grande prezzo
[13]. Voi formate una
generazione eletta, un regal sacerdozio, una gente a Dio consacrata
[14]. In forza della divina
redenzione voi vi accostaste all'alto monte di Sionne, siete chiamati
a costituire la città di Dio
vivente, la celeste Gerusalemme, ad associarvi all'unità
santa, universale, perpetua, esistente ab eterno tra le divine
persone, e tra voi iniziata nel tempo per compiersi ne' cieli,
unitamente a quella di già composta da miriadi di angeliche
creature [15]. Voi già
siete cosa santa e a Dio dedicata. I
vostri corpi medesimi son membra di Cristo [16], e tempio
dello Spirito Santo [17].
Niuno ardisca contaminarle; ma glorificate
e portate Dio nei vostri corpi. Essendo voi tempio di Dio, lo
Spirito Santo alberga in voi. Chiunque oserà violare il tempio
di Dio, Iddio lo sperderà. Imperocchè il tempio di Dio
è santo, è cosa sua, e questo tempio siete voi [18].
A fronte di tali idee come potea più reggere e tenersi in piedi
l'antico abuso pagano di considerar l'individuo come semplice mezzo
della grandezza e prosperità dello Stato? La persona umana
spiegò dimensioni più vaste di quello che abbracciar potesse
e circoscrivere un ordin qualunque che terminavasi ai soli interessi
terreni, e periva col perire dei secoli. Il
potere civile restò per necessità limitato, non fu
più una signoria, ma un semplice ministero, e il suo
depositario apparve non più che un incaricato di Dio,
costituito per mantener l'ordine sulla terra ed essere un difensore
armato delle sue leggi: Dei enim
minister est;
vindex in iram ei qui malum agit [19].
III.
Ma che
dico il potere civile? Il domestico altresì venne per conseguente
ristretto. L'uomo tartassato ed oppresso nella società, se ne
compensava nella famiglia, diventando quivi tiranno alla sua volta.
È nota l'ampiezza illimitata del potere paterno presso la nazione
più incivilita dell'antico mondo, nella quale il padre poteva a
talenta diseredare il figliuolo, venderlo, ucciderlo, farne quel
governo che più gli aggradava. L'invilimento poi della donna,
salve pochissime eccezioni, era giunto a tale nel gentilesimo, che
essa più non sembrava l'onesto conforto dell'uomo, la consorte
così de' suoi beni, come de' mali; ma un essere essenzialmente
inferiore, un animale da razza e da trastullo. Tal era la sua
condizione nella prisca [= antica
N.d.R.] coltura, e
tal'è tuttavia presso i popoli non ancora illustrati dalla luce
del Cristianesimo. Non accade che accenni alla condizione de' servi, i
quali spogli affatto d'ogni diritto e personalità umana non
distinguevansi nella estimazione dai bruti. Essi non avevano nè
proprietà, nè famiglia, nè diritto a vivere. Che
più? Eran privati perfino della tutela de' Numi, perchè i
Patrizî dicevano che i Numi
eran loro.
La nuova idea evangelica disfece ed annientò errori così
assurdi e funesti; verso i quali la sapienza umana lungi dal
protestare erasi dichinata sino a farsene complice. Il sopruso del
potere paterno sui nati fondavasi nel disorbitante concetto che aveasi
della paternità, dai romani foggiato sul tipo del potere civile,
di già viziato e tirannico come più sopra è detto. Uopo
era reciderne il soverchio e ridurlo entro a giusti confini. A
ciò fare niente meglio valea che l'idea d'una paternità
più eccelsa, da cui l'umana si derivasse, e rispetto alla quale
ella tenesse un luogo secondario e subordinato. Uno è il Dio e il
padre di tutti, che impera sopra di tutti: Unus
Deus et pater omnium, qui est super omnes [20]. Da lui
ogni altra paternità si denomina: ex quo omnis paternitas in
coelis et in terra nominatur [21].
Non vogliate chiamarvi padre sulla terra, perocchè uno è il
padre vostro, e questi è nei cieli; patrem
nolite vocari super terram, unus est enim pater vester qui in coelis
est [22]. Non
è mestieri il dire quanto una tale dottrina venisse a limitare
la patria podestà nel tempo stesso che nobilitavala,
esaltandola al grado di vicaria di Dio. E veramente qual uomo avria
più osato disporre a volontà del figliuolo, quando
intendeva appartener quello al diritto d'un Padre divino, di cui
egli non era in terra che semplice rappresentante? Da siffatto
principio dovea ogni padre di necessità inferire le sue parti
altro non essere che di allevare il figliuolo secondo l'indirizzo e
la norma del padre supremo, nè mai potersi opporre a ciò
che il beneplacito di lui richiedesse.
La donna poi; rappresentata
come coerede della stessa vita di grazia, si trovò rimessa nel
seggio che le spettava di compagna dell'uomo. La inferiorità
delle forze, la quale era stata cagione che questo frale sesso
cadesse in tanto vilipendio, si convertì anzi in motivo per cui
le si dovesse più onoranza e maggiori riguardi. Come appunto
farebbesi con un vasellino di porcellana, che quanto è più
fragile e più gentile, tanto più si tiene caro e con
più cura si custodisce. Viri
similiter cohabitantes secundum scientiam quasi infirmiori vasculo
muliebri impertientes honorem, tamquam cohaeredibus gratiae vitae
[23].[I Pt. III, 7:
«E anche voi, o mariti, convivete con saggezza con le mogli e
rendete loro onore come a vaso più fragile, essendo anche le
donne coeredi della grazia della vita» (Ricciotti).
N.d.R.]
Da ultimo ridotti tutti alla condizione di fratelli, vos
fratres estis [24],
non potea più innanzi durare l'orrida differenza di schiavi e di
liberi, nè continuarsi l'abbiezione profonda in che i servi
gemevano sotto il tirannico signoreggiare de' crudeli loro padroni.
Tutti siete figliuoli di Dio per la fede che è in Cristo
Gesù. Non vi è più
Giudeo nè Greco; non vi è più schiavo
nè libero; non vi è più maschio nè
femmina. Imperocchè tutti siete una sola cosa in Cristo:
Omnes..... filii Dei estis per fidem, quae est in Christo Iesu. Non
est Iudaeus neque Graecus; non est servus neque liber; non est
masculus neque foemina. Omnes enim vos unum estis in Christo Iesu
[25]. L'abolizione
della schiavitù era la necessaria, ineluttabile conseguenza di
questa sublime teoria, nè veruna forza mortale saria bastata ad
impedirla. Potea ritardarsene più o men lungamente il
compiuto adempimento per le contrastanti passioni dell'egoismo; ma
l'effetto alla fine dovea seguire. L'affrancamento totale dell'uomo
dall'ingiusto servaggio ora proclamato a nome di Dio, a nome d'una
religione che dovea interamente trionfare del paganesimo, era fondato
sopra l'idea sublime d'una medesima redenzione per tutti, d'una stessa
speranza che tutti egualmente conforta, di un'adozione comune che
tutti del pari nobilita. La cagione era posta, non potea ricusarsene
la potente efficacia; il definitivo trionfo della libertà
evangelica era assicurato nel mondo.
Allora potè mirarsi (spettacolo non pri[m]a
veduto) un Apostolo delle nazioni, sulle cui spalle pesavano le cure e
le sollecitudini di tutte le Chiese, credersi in debito non sol
d'occuparsi d'uno schiavo rubatore e fuggitivo, ma scrivere di proprio
pugno al padrone di lui Filemone, acciocchè non pure gli
perdonasse ma con ogni amorevolezza lo accogliesse in qualità di
fratello. E di quali termini si vale egli, Dio buono! Benchè
io abbia fiducia in Cristo di poterti comandare, nondimeno amo
meglio pregarti; io Paolo omai vecchio, di più prigione
[= prigioniero N.d.R.] ora per Gesù Cristo. Ti supplico
adunque pel mio figliuolo Onesimo, che io ho generato nelle catene.
Tu ricevilo come mie viscere. Iddio permise che ei si fuggisse da te
per breve tempo, acciò tu lo ricuperassi eternalmente. Ora
ricevilo non più come servo, ma come fratello
carissimo. Se mi hai per
amico e compagno, accogli lui, come accoglieresti me. Se egli ti
è debitore di alcuna cosa, o in alcuna cosa ti ha danneggiato,
reputalo a me. Io Paolo ti scrivo di propria mano [26].
Tre cose rendean vile l'uomo prima del cristianesimo: la condizione,
la povertà, la debolezza. Quanto al primo di questi capi ho
mostrato praticamente, con la lettera dell'Apostolo testè citata,
qual mutamento d'idee si producesse. Rechiamo un esempio per gli altri
due. Aprite il Vangelo di S. Luca al capo XVI, e leggete. Vi si narra
di un ricco che vestito di porpora e bisso, gioiante ogni dì
banchettava splendidamente. Al contrario un mendico giaceva fuori la
soglia di quella opulenta casa, pieno d'ulceri da capo a piè e
desioso di satollarsi dei bricioli che cadeano dalla mensa dello
sfondolato Epulone, e questi ancora gli eran disdetti; solo i cani, di
quel crudo men crudi venivano a lambirgli le piaghe. Ora avvenne che
ambidue si morissero in un bel giorno; ed ecco il povero assunto per
le mani degli Angeli nel seno di Abramo, ed il ricco gittato a
tormentar nell'inferno. Quinci egli sollevando gli affannati occhi
pieni di rimorso invidiava alla sorte del male da lui vilipeso
mendico, e chiedeva mercè d'una stilla d'acqua che gli
rinfrescasse la, lingua. Ma replicogli Abramo: ti
ricorda, figliuolo, aver tu goduto in vita di molti beni, e questi
per contrario patito di grandi mali. Ben è che rimutate le
sorti egli ora si bei, e tu ti doglia. Vedete novello aspetto
in che si mostran le cose! Vedete l'immensa luce di cui s'ammanta la
povertà!
Ci ha cosa più frale e meno rilevante agli occhi carnali che un
tenero bamboletto? Sappiamo il conto in che l'ebbe il paganesimo, permettendo l'aborto e la esposizion
de' neonati, la quale anzi non peritavasi di comandare, qualora si
prevedessero inutili alla prosperità dello Stato. Or
mirisi in qual pregio il Vangelo vuol che si tenga. Fa Cristo venire a
sè un pargolo, e tenendolo tra le sue braccia: chiunque,
così dice, accoglierà
uno di questi fanciulli, accoglie me stesso [27]. E
guardatevi dal dispregiare alcuno di questi parvolini,
imperocchè essi sono in tutela di Angeli del continuo presenti
al cospetto del Padre mio: Videte ne contemnatis unum ex his
pusillis; dico enim vobis quia Angeli eorum semper vident faciem
Patris mei qui in coelis est [28].
Rabbellita l'umanità del nuovo decoro che recavale l'idea
cristiana, niuna frazione potè trovarsene, per inferma e
piccoletta che fosse, la quale non apparisse degna d'altissimo
rispetto, siccome elevata ad un ordine superiore e divino.
IV.
Senonchè a rendere efficace duratura la grande opera, ei non
bastava un semplice rivolgimento ideale. I disordini da noi avvertiti
radicavansi profondamente nei costumi, nelle consuetudini, negli abiti
inveterati, negli ordini stessi sociali. Essi originariamente
nascevano dall'idolatria verso lo Stato, e lo Stato era non solamente
un'idea ma una istituzione concreta e reale. Il principio adunque
ristauratore dell'umana personalità non dovea fermarsi nella sola
sfera ideale, ma dovea prendere consistenza al di fuori eziandio della
mente, attuarsi in certa guisa e sussistere in ordinamenti esteriori e
visibili, che avessero azione reale, atta a contrabilanciare e
reprimere l'efficacia del suo contrario.
Ciò fu effettuato dal Vangelo colla creazione dell'autorità
ecclesiastica, distinta, separata, indipendente dal potere civile. Nella coltura pagana lo Stato era
tutto. Esso assorbiva in sè solo tutto il governo
degl'individui; pretendea regolarne non solo gl'interessi materiali,
la sua temporale prosperità, ma il
pensiero eziandio, la coscienza, la morale, e dominar tutta
quant'ella era la esistenza dell'uomo. L'impero s'immedesimava col
sacerdozio, e noi vedemmo i superbi Cesari essere ad un tempo sovrani
e pontefici. L'onnipotenza dello Stato era giunta al suo colmo, e a
chi lo rappresentava ordinavansi perfino divini onori. Non puoi non
stomacarti nel mirar tra gl'Iddii non pure un Giulio o un
Augusto, ma ancora un Tiberio, fiero e sporco tiranno, e
rizzarglisi tempî e dedicarsegli altari, e festeggiarsene il nome
con sacri riti e religiose ceremonie.
Allora fu che il sassolino spiccatosi dal monte, senza opera di mano
d'uomo, venne a colpir nella base su cui appoggiavasi il gigantesco
simulacro, ed atterratolo l'infranse, lo stritolò, e al vento ne
disperse la sozza polvere. Un
nuovo Pastore, investito d'autorità direttamente dal cielo,
ebbe la missione di raccogliere in un solo ovile le sbrancate e
stanche pecorelle, pasturarle dei lieti pascoli della verità e
dell'amore, difenderle colla sua vigilanza dalle mortifere zanne dei
fieri lupi.
L'autorità spirituale, vita ed anima della Chiesa di Cristo, tra
gl'innumerevoli beni che arreca, ha questo di singolare, di magnifico,
di sommamente benefico, che essa vale mirabilmente a tutelar
gl'individui umani dall'ingiusta invasione di qualsiasi prepotenza
terrena. Considerata sotto questa civile veduta, essa è la
guarentigia vivente, la salvaguardia concreta ed operosa della
dignità personale dell'uomo, dei diritti che gli competono come
essere morale, non limitato alla sola durata del tempo, alle sole
funzioni della vita organica. Fino a tanto che essa starà in
piedi, l'assorbimento dell'individuo nella massa sociale, la
perdita d'ogni suo valore assoluto in faccia alla potenza della Stato
non è più possibile, di necessità convien che lo Stato
rientri e si tenga nel solo cerchio delle sue attribuzioni. La sua
potenza indeclinabilmente viene a limitarsi, tostochè fuori di
lei si erige un altro potere, rivendicante a sè il governo degli
umani individui, in ordine ad una destinazione più alta, e che di
tal diritto offre titoli più elevati, i quali dallo Stato in
niuna guisa dipendono.
Non può a meno allora che
non apparisca in modo lampante e cospicuo non potersi tutto l'uomo
restringere al solo ben essere di quaggiù, comechè
collettivo e politico; e quindi è tolta al potere civile la
balìa di soprusare il proprio diritto col fare colà
convergere unicamente tutte le forze individuali. Se
un'autorità diversa, essenzialmente distinta, d'origine
superiore, s'eleva di fronte all'autorità civile, attribuendo a
sè per commissione divina il reggimento dell'uomo in ordine
alle sue più vitali credenze, alla forma de' suoi costumi, allo
scopo oltramondano a cui mira ultimamente la sua esistenza; egli
è chiaro più che la luce del sole l'uomo essere qualche
cosa di più che un semplice frammento del civile edifizio, la
sua vita morale distinguersi dalla sua vita fisica, il suo ultimo
fine non potersi immedesimare collo scopo politico della comunanza
di cui fa parte. Che per[ci]ò promulgato una
volta il potere spirituale della Chiesa, l'onnipotenza dello Stato,
sia che in uno o molti s'incarni, ha ricevuto un colpo mortale ed
irreparabile. Essa rovina da fondamenti, e con essa crolla del pari
ogni altra autorità subalterna che volesse arrogarsi il diritto
di sottomettere a sè tutto l'uomo.
IV.
Questa quanto vera altrettanto
sublime considerazione ti conduce agevolmente a comprendere il
perchè dei furiosi sforzi che in ogni tempo si fecero
dall'umana politica per manceppare e sottomettere a sè la
Chiesa. Passati tre secoli di sanguinosa persecuzione, in cui tanto
più fiero contrasto la mondana politica opponeva, quanto
che vedevasi strappar di mano quello di che già era in
possesso, non rifinò mai in appresso di ritentare il conquisto
dello scettro che avea perduto. Dopo il pio Costantino, fin dai
tempi di Costanzo, di Valente e degli altri imperatori ariani
ribollì l'antico sdegno, che poi trapassò nel basso
impero, invase i nuovi Cesari di Occidente, avvelenò le
corti europee dell'andato secolo, e
vien accolto oggigiorno qual avito retaggio dal moderno
liberalismo.
Quinci ancora puoi intendere l'alta cagione onde per contrario la
Chiesa si mostra sì ferma contro l'ingiusta pretensione, e con
indomabil costanza cerca di tener saldi ed inviolati i diritti della
propria indipendenza. La portentosa ignoranza di chi dandosi voce di
filosofo, non ne possiede che la sola alterigia, non sa vedere in
questo operar della Chiesa che l'effetto dell'egoismo e ambizion del
dominio. Ciechi o maligni! È quello anzi l'effetto d'un
sacrosanto dovere e d'un immenso amore per l'uomo. L'influenza della
Chiesa nel migliorar la sorte dell'individuo umano e ridonargli la
nativa sua dignità saria stata di niun valore, se non avesse
sciolto e distrutto il concentramento di ogni poter nello Stato;
nè potea produrre sì grande effetto, se non costituendosi
appetto a lui potenza libera, ed indipendente. Testimonio lo scisma
greco; il quale sebben non abbia subìti i pericoli e le lotte che
incontrò e sostenne la Chiesa cattolica, contuttociò niente
valse ad operare in benefizio dell'uomo, appunto perchè
staccatosi dal gran tronco della Chiesa universale si lasciò
imporre il giogo dagl'imperadori d'Oriente e spogliarsi della propria
autonomia.
Sotto un tale riguardamento il vero salvatore della civiltà
europea si fu Gregorio VII. Per astuta sorpresa gl'imperadori
teutonici, tralignando dallo spirito di Carlo Magno, erano giunti a
tramutarsi da difenditori della Chiesa in assoluti padroni, e col
pretesto delle investiture disponevano a talento dei primi seggi della
Gerarchia Ecclesiastica, inceppando così tutta l'azione del
Sacerdozio. Ma Iddio che avea promesso di non abbandonar giammai della
sua assistenza quella colonna del vero, che avea stabilita
eternalmente per luce e sostegno delle nazioni, in tanta bisogna di
lei suscitò un uomo, unico al mondo, l'intrepido Ildebrando, e
prodigiosamente sollevatolo al sommo onor delle Chiavi, il contrappose
alla superba potenza del secolo. Son noti gli atroci conati, i
terribili scontri, le accanite lotte, che oppose la forza materiale di
Cesare, per elidere e soverchiare la virtù spirituale del
Pontefice, che spodestavalo dell'ingiusta usurpazione. Nè senza
un evidente miracolo avria questa potuto riportarne il disopra.
«Son tali e tanti, così Gregorio scriveva ad un suo fido, i
travagli, le pene, gli assalti che io duro, che l'umana fralezza vien
men ed io mi sento sgagliardito e vedovo d'ogni coraggio. Ma come
prima sollevo la mia mente al cielo, io sento tosto infondermisi un
incredibil vigore, ed ogni ostacolo mi sparisce dinanzi. Certamente io
sembro a molti un prodigio; ma tu sei, o Signore, che mi conforti
dall'alto: tanquam prodigium
factus sum, multis, et tu adiutor fortis [29].»
Un uomo eloquente ed erudito, ma che dello spirito della Chiesa
cattolica mostra di avere quella conoscenza che ne avrebbe un
letterato cinese il qual leggesse la storia del cristianesimo,
ragionando di questo gran fatto cade in vergognosissimo errore. Egli
afferma il pensier del magnanimo Ildebrando non altro essere stato che
la teocrazia assoluta, la
sottomissione del mondo al clero, e del clero a1 papato [30]. Da uno sbaglio traboccando agevolmente in un
altro, riesce a conchiudere che Gregorio fallì allo scopo
propostosi, e che da quel tempo s'iniziò l'affrancamento dello
Stato dalla Chiesa.
Chi ode cotali cose crederebbe che sotto Enrico il Nero, quando
cominciò a farsi sentire l'azion d'Ildebrando, comechè non
ancora Pontefice, non era la Chiesa che gemea sotto il giogo
dell'impero, ma l'impero che gemeva sotto il despotismo della Chiesa;
e che il trattato definitivo, col quale si pose termine alla lotta e
si conseguì l'intento di Gregorio, contenesse non la rinunzia
degl'imperadori a regolar gli affari della Chiesa, ma la rinunzia de'
Pontefici a regolar gli affari dell'impero.
Qual sia stata l'idea d'Ildebrando niuno può meglio saperlo
della Chiesa stessa, consapevole al certo de' fatti suoi. Or ella
solennemente la espresse nella preghiera che indirizza a Dio nella
solennità di questo gran santo, riducendo a breve formola tutti i
suoi pensieri, tutto il suo operare. «Dio,
fortezza di coloro che sperano in te, tu che il B. Gregorio tuo
confessore e pontefice avvalorasti della virtù della costanza
per difendere la libertà della Chiesa, dacci di poter col suo
esempio e colla sua intercessione superar fortemente tutte le
avversità della vita.» La libertà dunque della
Chiesa, ecco la grande idea di Gregorio VII. L'invitta costanza nel
propugnarla, ecco in compendio tutto il suo eroismo. Confrontando
questa formola con tutti gli atti della sua carriera mortale, si
scorgerà convenire con essi a capello; e togliendone ragguaglio
rispetto all'esito, si vedrà che il monaco Ildebrando colla
spirituale sua forza, riportò piena vittoria della potenza
materiale dei Cesari; perocchè dalla sua epoca data veramente la
piena emancipazione del sacerdozio dall'autorità laica, e da
quell'ora in poi le podestà della terra poteron comprendere
quanto lor fosse duro dar di cozzo in quella immobile pietra sulla
quale Cristo fondò la sua Chiesa.
V.
Sembra tuttavia fatale che la materia non voglia persuadersi di
questa sua impotenza, e noi vedemmo in appresso sotto diversa forma
rinnovellarsi l'inutile tentativo di sottoporre la Chiesa allo Stato.
Memorevole fra gli altri fu la seconda metà dello scorso secolo,
quando il paganesimo politico rigenerato da' sofisti di quel tempo si
traforò nelle Corti d'Europa e scippò ogni loro vigore nella
sacrilega impresa di mancipare la Chiesa e restringerne a più
potere i diritti. Sperava l'autorità terrena di tornar così
bel bello ad appropriarsi l'antica onnipotenza, di che godeva nel
gentilesimo, e stringere nella sola sua mano il governo di tutto
l'uomo. Follia incredibile e disastrosa! Non s'avvedeva egli lo Stato,
che introdotta una volta dal Cristianesimo la restrizione del potere
civile, affrancato una volta dal suo despotismo lo spirito
degl'individui, prodotta una sì profonda e radicale modificazion
di principî, il concentramento che agognava non era più
fattibile per modo alcuno? L'uomo era omai reso capace della sua
dignità personale, nè avria più comportato ch'essa
fosse calpesta da un potere illegittimo, e che i suoi diritti
venissero assorbiti nel gran tutto sociale. Sottratto dal potete
sacerdotale, non per questo tollererebbe di venir sottoposto al
laicale; quando la stessa ragionevolezza che scorgeva nella prima
soggezione, gli diventava cagione per riprovare e fuggir la seconda.
L'usurpazione che sotto a suoi occhi consumavasi dalla società
sulla Chiesa, lungi dal renderlo obbediente all'autorità
invaditrice, gli porgeva anzi esempio di ribellione e di riscossa.
Udendo dir dalla Stato: non
più potere ecclesiastico; sentivasi invitato a
ripigliare: non più potere
civile. Per l'uno e per l'altro, valeva la stessa causa della
natural ripugnanza a tollerare l'altrui correggimento. Senonchè
laddove nello Stato questa ripugnanza era irragionevole e passionata
rispetto alla Chiesa, nell'individuo riguardo allo Stato avea di
ragione non poca apparenza. Imperocchè quanto era giusto che
gl'individui e lo Stato si lasciassero reggere dalla Chiesa in
ciò che riguarda credenze e costumi, tanto era ingiusto che
rispetto agl'individui lo Stato sottentrasse a usar de' diritti che
esso empiamente rapiva alla Chiesa. Così
la rivolta politica, la dissoluzion de' governi civili, era la
natural conseguenza della sacrilega usurpazione, e le corti regie
senza saperlo lavoravano alla propria ruina.
Se avessero orecchi da sentire e senno da intendere, quali e quanti
utilissimi insegnamenti non dovrebbero di qua togliere quei
governanti, che con insensato odio avversano la libertà della
Chiesa. Segnatamente il dico per quegli Stati professanti liberalismo,
presso i quali sembra che cerchi un ultimo asilo il cieco furore
contro la podestà e l'influenza sacerdotale per rinnovare
l'antica guerra. Che cosa possano impromettersi da questo loro empio
disegno l'imparino dalla storia.
Dove sono i sì potenti nemici che pel corso di tanti secoli si
levarono l'un dopo l'altro a combatter la Chiesa? Caddero
gl'imperadori pagani; cadde il basso impero; perirono i Cesari di
Germania; si sciolsero come sale nell'acqua gli ultimi regni;
finì nella polvere il superbo conquistatore, il quale quanto
maggior macchina era, con tanto più strepitoso tonfo precipitava.
Nel mentre che la Chiesa in mezzo a tante sconfitte de' suoi nemici, a
tante rovine di regni, a tanti sperperamenti di nazioni, salda ed
incrollabile a traverso dei tempi s'inoltra nel suo trionfale cammino,
rendendoti simiglianza del noetico legno, che solo nel naufragio di
tutti, baldo e securo galleggiava sulle onde dell'allagato universo.
Oh se si specchiassero in questi esempî i governi! Ma se essi
non son prudenti a comprendere il loro meglio, il siano i popoli a
capire dove alberga la loro salvezza. Non si lascino trappolare
stolidamente dalle magagne di perfidi macchinatori. Non obliino
(chè l'oblio sarebbe mortifero) nella Chiesa aver essi un'immensa
e preziosa guarentigia della lor libertà e indipendenza
personale, e la sola Chiesa esser valevole a conservare nel giusto
equilibrio gli opposti diritti di ciascheduno. Non comportin giammai
che lo Stato assuma, se non il titolo, l'ufficio di Pontefice con
gentilesco ardimento. Poco monta del nome, quando trattasi della cosa.
Scemando l'autorità della
Chiesa, il poter temporale ne usurpa a poco a poco le parti, e
questa usurpazione ricondurrà il servaggio pagano
degl'individui e il loro assorbimento nella massa sociale. Non
s'illudano al bagliore delle apparenze, alle lusinghe di scaltrite
promesse, alle viste di forme di reggimento più libero;
guardino al fondo, alla sostanza del principio politico che sotto vi
si nasconde. Dove esso è essenzialmente pagano, forza è
che sia essenzialmente tirannico. L'illazione non può fallire,
posto il principio; gittato il seme, tosto o tardi uopo è che
la pianta germogli. Sarebbe stoltizia sperare di conservarsi illesa
l'acquistata libertà, invocando l'efficacia di quel principio
che produsse il servaggio. Ogni cosa non può vigorire o
crescere se non per le stesse cagioni onde prima trasse l'origine.
Se la sola Chiesa operò l'affrancamento della personalità
umana, essa sola potrà mantenerla e farla fiorire.
O vera città di Dio! molte cose gloriose sono state dette di te:
gloriosa dicta sunt de te, civitas
Dei [31]. Ma questa
per avventura non è l'ultima, dell'aver tu sola saputo ristorare
la dignità dell'umana natura, non pur ritogliendola dall'ontosa
abbiezione in cui era caduta, ma sollevandola ad un ordine superiore
di gloria. Possa il tuo lume rifulgere sì agl'infoscati occhi de'
mortali, ch'essi ne ravvisino i celesti splendori e ne sentano la
viviticatrice potenza. Lo spirito umano è tormentato da un
immenso bisogno di credere, di sperare, di amare. Chi potria
soddisfarlo meglio di te, che sola possiedi con pienezza la
verità, sola prometti un bene inesausto non mai perituro, sola
t'adorni d'ogni più varia e squisita bellezza.
[CONTINUA]
NOTE:
[3] Epist. I. Ioan. c. 3.
[4] Ibidem.
[5] Ad Ephes. c. 1.
[6] At
ubi venit plenitudo temporis misit Deus filium suum.... ut
adoptionem filiorum reciperemus. Ad Gal. c. 4.
[7] 1. Petri c. 1.
[8] I. Petri c. 2.
[11] Ad Rom. 8.
[12] 1. Petri 2.
[14] 1. Petri 2.
[15] Accessistis
ad Sion montem et civitatem Dei viventis, Ierusalem caelestem
et multorum millium Angelorum frequentiam ... Ecclesiam primitivorum.
Ad Haebraeos c. 12.
[17] An
nescitis quoniam membra vestra templum sunt Spiritus Sancti ...
Glorificate et portate Deum in corpore vestro. 1. Cor. c. 6.
[18] Nescitis
quia templum Dei estis, et Spiritus Dei habitat in vobis? Si quis
autem templum Dei violaverit, disperdet illum Deus. Templum enim Dei
sanctum est, quod estis vos. 1. Cor. c. 3.
[19] Ad Rom. c. 13.
[20] Ad Ephes. 4.
[21] Ib. 3.
[22] Matth. 23.
[23] I Petri c. 3.
[24] Matth. 23.
[25] Ad Galat. 3.
[26] Epist. B. Pauli Apost. ad
Philemonem. Multam fiduciam habens
in Christo Iesu imperandi tibi quod ad rem pertinet: propter
charitatem magis obsecro, cum sis talis ut Paulus senex, nunc autem
et vinctus Iesu Christi. Obsecro te pro
filio meo Onesimo, quem genui in vinculis. . . . Tu autem
illum ut mea viscera
suscipe. . . . Forsitan enim ideo discessit ad horam a te, ut
aeternum illum reciperes, iam
non ut servum sed pro servo carissimum fratrem. Si ergo
habes me socium, suscipe
illum sicut me. Si autem aliquid nocuit tibi aut debet; hoc
mihi imputa. Ego Paulus scripsi mea manu etc.
[27] Et
accipiens puerum statuit eum in media eorum; quem cum complexus
esset, ait illis: Quisquis unum ex huiusmodi pueris receperit in
nomine meo, me recipit. Marc. c. IX.
[28] Matth. c. XVIII.
[30] L'idée dominante de
Grégoire VII avait été de soumettre le monde au
clergé, le clergé à la papauté, l'Europe à
une vaste et régulière théocratie. Guizot
Histoire de la civilisation en
Europe, leçon X.
[31] Psalm. LXXXVI.
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