martedì 6 dicembre 2016

I Gesuiti. Favole e leggende.

La Civiltà Cattolica

anno 59°, vol. II (fasc. 1392, 12 giugno 1908), Roma 1908 pag. 721-726.
È frequente nella storia il formarsi attorno a persone, a istituzioni, o anche a semplici avvenimenti, una nube di leggende così fitta, che dia le traveggole anche ad uomini chiaroveggenti e assai bene intenzionati. Ma la nube diviene addirittura fosca tenebria, quando all'errore della immaginazione si aggiunga l'argomento della mente, il malvolere e la potenza, con l'arte e la calunnia del tristi.
Ciò incontra generalmente alle istituzioni religiose, alla Chiesa tutta, come alle diverse classi ovvero ordini de' suoi fedeli, chierici e laici, come alle svariate congregazioni religiose, che sono tutte quasi cellule viventi di questo divino organismo sociale della Chiesa. E si adempie in ciò una promessa del suo divino Fondatore, mentre si avvera uno dei più manifesti segni di credibilità: l'essere perseguitati i discepoli, a somiglianza del Maestro.
A questa sorte comune e inevitabile a tutti che vogliono vivere piamente in Cristo, partecipò fino dalle sue origini con abbondanza la Compagnia di Gesù: privilegio concessole da tutti, non invidiatole da molti. Quindi sempre vive, sempre attuali e popolarissime sono le «favole» sui gesuiti. E ad esse concorrono anche persone buone, troppo buone, recando loro talora nell'effetto maggior danno che i tristi, mentre da loro pretendono, ad ogni costo, vanti leggendarii o di censo o di potenza o di nome o simili, che non è punto nel loro spirito di ambire, molto meno di esigere quale condizione di ammissione in un ordine che fa professione con voto speciale di fuggire le dignità anche sacre, come un drappello di milizia franca non ambiziosa di altro che di servire nel grande esercito della Chiesa.
A molte persone dunque, benevole o malevole che sieno, sarà utilissima, com'è curiosa e gradevole, la lettura dell'opera storica che il P. Duhr ha compilato, dopo lunghi anni di studii, sopra un gran numero di favole correnti sul conto dei gesuiti e che il ch. Gaetano Bruscoli, noto già per altre sue pregevoli traduzioni, ha voltato recentemente dal tedesco in italiano.
Quest'opera, non solo nell'originale, come già altra volta avemmo occasione di osservare, ma altresì nella veste italiana, in cui ora ci viene innanzi nitida e spigliata, si legge quasi con l'avidità del romanzo: tante sono, così svariate e curiose le favole e leggende che a mano a mano vi sono esposte, esaminate, sventate alla luce della storia. [1]
Tali, per accennarne alcune delle più famose anche in Italia, quella dei «Monita secreta», o segrete istruzioni, su cui i nostri lettori rammenteranno ancora la polemica sostenuta dal nostro periodico con Raffaele Mariano [2] che ne aveva affermata l'esistenza e fu poi costretto a ricredersi; quella del preteso avvelenamento di Clemente XIV: quella dell'antipatriottismo dei gesuiti; della loro opposizione alla civiltà; di una loro guerra e monarchia nel Paraguay, ove imperava Niccolò I, divenuto re del Paraguay e imperatore dei mammalucchi. A quest'ultima papera, veramente fenomenale, dà ancora libero il volo per il campo modernistico un cotale Giovanni Amendola, editore della Guida spirituale del Molinos, scrivendo con tutto serietà e sussiego nella introduzione: «Si rammenta che siamo nell'epoca della monarchia del Paraguay»; ed egli dimentica invece che, secondo la favola stessa, l'epoca suddetta andrebbe ritardata di un secolo, nientemeno. Ma per un «mistico», ammiratore del Molinos e avverso alla «categoria del Reale», com'egli direbbe, questo si capisce, si capisce anche perchè egli, rinnovando vecchie calunnie, attribuisca ai gesuiti la sparizione delle innumerevoli copie, non solo del suo Molinos, ma del Cisnero, abate benedettino di Monserrato, «dal quale il generoso hidalgo Ignazio di Lojola aveva appreso la parte non musulmana dei suoi esercizi e delle sue istruzioni». A riprova di che egli cita il libello di uno scrittore che tolse il nome di Hermanno Müller, soggiungendo misteriosamente che è «quasi irreperibile» [3].
Ciò che non si capisce e che le favole del Müller, così spropositate e ridicole, abbiano trovato credito nella Rivista storico-critica delle scienze teologiche, dove un cotale F. V. se ne fa eco, criticando una vita di S. Ignazio e sparlando del santo, come di «una delle persone più enimmatiche» e dei suoi Esercizi e delle Costituzioni, che egli vuole studiati «alla luce delle pratiche in uso presso il sufismo o misticismo musulmano del secolo XVI» [4]. [Dal 1905 il direttore della Rivista storico-critica delle scienze teologiche era l'eresiarca modernista Ernesto Buonaiuti, poi scomunicato; la rivista fu posta all'Indice nel 1910. N.d.R.] Ciò, ripetiamo, non si capisce in autori cattolici e sacerdoti, che si vantano di scienza storico-critica, quando l'opera dello pseudonimo Müller è ritenuta come priva di ogni valore dagli stessi critici avversi ai gesuiti e protestanti, e la sua tesi come insussistente, anzi pure quanto a un secondario influsso molto dubbia. Le somiglianze da lui recate — come dice nella Enciclopedia della teologia protestantica lo stesso Zöckler, non certo troppo tenero dei gesuiti — si riducono a reminiscenze più o meno lontane. E il Rinn aggiungeva, nella rivista teologica dell'Harnack, che le citazioni erano tolte da libri mistici di musulmani appartenenti in generale al secolo XIX, certo non anteriori al 1799; gli esempi dei due fondatori di sette da lui allegati, erano posteriori di tre secoli a S. Ignazio, morto nel 1556; tutto l'ordinamento dell'ascesi nei musulmani dovuto a più recenti progressi.
In mancanza di prove, il Müller si puntella su ipotesi fantastiche, quali, ad es., una dottrina esoterica dei gesuiti, una classe di gesuiti occulti, donne appartenenti all'ordine, e via via di questo passo. Le quali cose tutte saranno apparse rivelazioni sublimi di scienza storico-critica al critico F. V. e alla Rivista storico-critica delle scienze teologiche. Così anche era già sembrato al Murri di origine poco meno che musulmana il concetto dell'ubbidienza perfetta, inculcato da S. Ignazio, tanto comune ai santi Padri e ai maestri tutti della vita religiosa.
Abbiamo insistito su questo punto in particolare, dove la calunnia ripullula dal vecchio tronco della critica modernistica sotto i nostri occhi; ma potremmo insistere ugualmente su cento e cento altre ben più gustose favolette, che si ammanniscono alla credula voracità non solo del volgo ma anche dei critici nuovi: morale gesuitica rilassata, fine che giustifica i mezzi, cupidigia e ricchezze, affari commerciali e, se Dio vuole, anche monopolio librario; regicidii, avvelenamenti di principi e cardinali, falsificazioni di documenti, depositi di armi, attentati di guerre e di stragi; barbarie e spergiuri, sino al famoso «affare», alla condanna dell'ebreo Dreyfus in Francia, ed altrettali favole e leggende, alle quali potremo ora aggiungere anche quella della condanna e dei provvedimenti ordinati contro gli innocenti modernisti.
Così si avvera, alla giornata, ciò che ben dice l'autore. «Il gesuita mitico creato dagli avversarii della Compagnia è come l'idra delle cento teste, alla quale ne crescono sempre delle nuove.» E bene osserva anche l'egregio traduttore, dando ragione di non aver tralasciato certe favole sparse in Germania, ma finora poco note in Italia: «Le accuse poco note oggi possono essere molto diffuse domani. Basterebbe infatti che qualche giornale tedesco le riproducesse per vederle subito accolte, e magari accresciute, da parecchi dei nostri fogli quotidiani che colgono volentieri qualunque occasione per dare addosso ai gesuiti. Proprio in questi giorni un giornale romano ha annunziato, con gran lusso di particolari, la prossima comparsa di un romanzo, basato su documenti gravissimi e segreti della Compagnia di Gesù, documenti che non sono altro che i famosi Monita secreta, la cui falsità e notissima ad ogni persona anche mezzanamente colta e dei quali nessun avversario onesto si varrebbe. Figurarsi dunque che cosa accadrebbe se, per esempio, saltasse l'estro a qualche giornalista tedesco di ricavar fuori la storiella del credo blasfemo o del matrimonio del padre Schall. Quei giornali che hanno considerate come una verità appetitosa la riproduzione dei Monita secreta vi si getterebbero sopra a tutto pasto!»
Fin qui il Bruscoli, e giustamente; sicchè a lui pure dovremo riconoscenza in Italia, se qualche argine sarà posto al dilagare perpetuo e all'ingrossare frequente delle calunnie contro di noi e contro ciò che l'animo nostro di religiosi ha di più delicato e più caro.
* * *
La calunnia dei Monita secreta e stata altresì maestrevolmente confutata dal P. Paolo Bernard in un dotto non meno che dilettevole opuscolo, da poco voltato pure in italiano, ristampato dal Desclée nella piccola collezione di Scienza e religione — Studi per i tempi presenti [5].
Anche gli avversarii della Compagnia furono costretti a riconoscere che la «storia della fortuna e delle controversie intorno ai Monita, rifatta dal nostro gesuita, è divertente ed interessante, oltrechè vera». Ma vi ha chi dopo questa confessione sforzata e troppo dolorosa alla sua serena coscienza di fautore della cultura nuova, ha l'ingenuità di rifarsi con questa dimanda divertente, unita a spiritosi puntini: «Ci sembra tuttavia che il P. Bernard siasi dimenticato, alla fine dell'importante opuscolo, di spiegarci una cosa, di levarci una legittima curiosita: Perche nessuno ha mai pensato ad inventare i Monita secreta... di S. Francesco?» [6].
È questa, sotto forma di un punto interrogante e di puntini, l'affermazione stessa molto serena e coscienziosa di quel tale critico moderno, che forzato a ritirarsi, volle almeno il ricatto di una vendetta del Parto, proclamando che sì veramente erano inventati i Monita secreta, ma che se non fossero ancora, bisognerebbe inventarli! [La frecciata del Parto è una malignità detta al momento di andarsene: gli antichi Parti infatti, quando fuggivano a cavallo, si voltavano improvvisamente per scagliare frecce contro gli inseguitori. N.d.R.]
A uomini tali fu ben risposto, nè si può rispondere altrimenti che col verso di Dante: Non ti curar di lor, ma guarda e passa.
Del resto il critico non ignorava, o non doveva ignorare, come accuse simili e anche peggiori furono mosse ai seguaci di S. Francesco, e nel modo più velenoso appunto dai famosi clerici circumvagantes, che erano i modernisti di quel secolo, i quali le spargevano in rozzi versi e in cantilene popolari. E parecchie ne riporta con mal simulata compiacenza qualche scrittore «liberale», come Adolfo Bartoli, nella sua storia della letteratura italiana. Niuna maraviglia poi che col progresso della cultura anche la nequizia abbia rivestito una forma più artistica e più colta, quale appare, ad esempio, nelle satire acerbe degli umanisti, nominatamente di quell'Erasmo ora tanto difeso e levato a cielo da scrittori modernisti. Al comparire infine della Compagnia di Gesù, l'odio e la calunnia, trovandosi già spuntate le armi aperte, ricorse spesso a quelle della falsificazione ingegnosa, dell'ironia e del sarcasmo, espressa talora anche in
forma di ammonimenti, di questioncelle, d'interrogazioni o d'insinuazioni. Tale fu l'arte del Zahorowski, il falsario inventore dei Monita, come dimostra vittoriosamente il Bernard. E a questa si potrebbe ben dire che si accostano un poco, e anche troppo, nella finta ingenuità delle loro interrogazioni o insinuazioni, alcuni scrittori moderni e modernisti, tra i chierici di nuova cultura. Così li perdoni Iddio, come noi li perdoniamo!

NOTE:

[1] B. Duhr, I Gesuiti. Favole e leggende. (Jesuiten-Fabeln). Versione italiana sulla quarta edizione tedesca di G. Bruscoli. Firenze, tip. ed. fiorentina, 1908, 16°, p. 402; 448. L 6.
[2] Pubblicato a parte col nome dell'autore: Tacchi Venturi P. S. I. I monita secreta. Roma, Civ. Catt. L. 0,25.
[3] Se l'Amendola si desse almeno qualche pensiero del reale avrebbe potuto facilmente trovare copie del suo Molinos nella biblioteca Vaticana, per es., e così anche del Cisnero — dove avrebbe accertato la pure differenza immensa dei costui «Esercizi» da quelli di S. Ignazio. E più facilmente ancora gli sarebbero state reperibili copie del Müller, edito da protestanti, come l'Amendola, loro studioso, non può ignorare.
[4] Rivista stor.-critica, 1907, p. 627. Cf. Civ. Catt., 1907, IV, p. 708 (Teosofia, misticismo e modernismo).
[5] Paolo Bernard d. C. d. G. Le istruzioni segrete dei Gesuiti. Studio critico. Roma, Desclée, 1907, L. 0.60.
[6] Studi religiosi, VII, fasc. V-VI (sett.-dicembre 1907) p. 764-765.

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