I Gesuiti. Favole e leggende.
La Civiltà Cattolica
anno 59°, vol. II (fasc. 1392, 12 giugno 1908), Roma 1908 pag. 721-726.
È frequente nella storia il formarsi attorno a persone, a
istituzioni, o anche a semplici avvenimenti, una nube di leggende
così fitta, che dia le traveggole anche ad uomini chiaroveggenti
e assai bene intenzionati. Ma la nube diviene addirittura fosca
tenebria, quando all'errore della immaginazione si aggiunga
l'argomento della mente, il malvolere e la potenza, con l'arte e la
calunnia del tristi.
Ciò incontra generalmente alle istituzioni religiose, alla
Chiesa tutta, come alle diverse classi ovvero ordini de' suoi fedeli,
chierici e laici, come alle svariate congregazioni religiose, che sono
tutte quasi cellule viventi di questo divino organismo sociale della
Chiesa. E si adempie in ciò una promessa del suo divino
Fondatore, mentre si avvera uno dei più manifesti segni di
credibilità: l'essere perseguitati i discepoli, a somiglianza del
Maestro.
A questa sorte comune e inevitabile a tutti che vogliono vivere
piamente in Cristo, partecipò fino dalle sue origini con
abbondanza la Compagnia di Gesù: privilegio concessole da tutti,
non invidiatole da molti. Quindi sempre vive, sempre attuali e
popolarissime sono le «favole» sui gesuiti. E ad esse
concorrono anche persone buone, troppo buone, recando loro talora
nell'effetto maggior danno che i tristi, mentre da loro pretendono, ad
ogni costo, vanti leggendarii o di censo o di potenza o di nome o
simili, che non è punto nel loro spirito di ambire, molto meno di
esigere quale condizione di ammissione in un ordine che fa professione
con voto speciale di fuggire le dignità anche sacre, come un
drappello di milizia franca non ambiziosa di altro che di servire nel
grande esercito della Chiesa.
A molte persone dunque, benevole o malevole che sieno, sarà
utilissima, com'è curiosa e gradevole, la lettura dell'opera
storica che il P. Duhr ha compilato, dopo lunghi anni di studii, sopra
un gran numero di favole correnti sul conto dei gesuiti e che il ch.
Gaetano Bruscoli, noto già per altre sue pregevoli traduzioni, ha
voltato recentemente dal tedesco in italiano.
Quest'opera, non solo nell'originale, come già altra volta
avemmo occasione di osservare, ma altresì nella veste italiana,
in cui ora ci viene innanzi nitida e spigliata, si legge quasi con
l'avidità del romanzo: tante sono, così svariate e curiose
le favole e leggende che a mano a mano vi sono esposte, esaminate,
sventate alla luce della storia. [1]
Tali, per accennarne alcune delle più famose anche in Italia,
quella dei «Monita
secreta», o segrete istruzioni, su cui i nostri lettori
rammenteranno ancora la polemica sostenuta dal nostro periodico con
Raffaele Mariano [2] che ne aveva
affermata l'esistenza e fu poi costretto a ricredersi; quella del
preteso avvelenamento di Clemente XIV: quella dell'antipatriottismo
dei gesuiti; della loro opposizione alla civiltà; di una loro
guerra e monarchia nel Paraguay, ove imperava Niccolò I, divenuto
re del Paraguay e imperatore dei mammalucchi. A quest'ultima papera,
veramente fenomenale, dà ancora libero il volo per il campo
modernistico un cotale Giovanni Amendola, editore della Guida
spirituale del Molinos, scrivendo con tutto serietà e
sussiego nella introduzione: «Si rammenta che siamo nell'epoca
della monarchia del Paraguay»; ed egli dimentica invece che,
secondo la favola stessa, l'epoca suddetta andrebbe ritardata di un
secolo, nientemeno. Ma per un «mistico», ammiratore del
Molinos e avverso alla «categoria del Reale», com'egli
direbbe, questo si capisce, si capisce anche perchè egli,
rinnovando vecchie calunnie, attribuisca ai gesuiti la sparizione
delle innumerevoli copie,
non solo del suo Molinos, ma del Cisnero, abate benedettino di
Monserrato, «dal quale il generoso hidalgo Ignazio di Lojola
aveva appreso la parte non musulmana dei suoi esercizi e delle sue
istruzioni». A riprova di che egli cita il libello di uno
scrittore che tolse il nome di Hermanno Müller, soggiungendo
misteriosamente che è «quasi irreperibile» [3].
Ciò che non si capisce e che le favole del Müller,
così spropositate e ridicole, abbiano trovato credito nella Rivista storico-critica delle scienze
teologiche, dove un cotale F. V. se ne fa eco, criticando una
vita di S. Ignazio e sparlando del santo, come di «una delle
persone più enimmatiche» e dei suoi Esercizi e delle
Costituzioni, che egli vuole studiati «alla luce delle pratiche
in uso presso il sufismo o misticismo musulmano del secolo XVI» [4]. [Dal
1905 il direttore della Rivista
storico-critica delle scienze teologiche era l'eresiarca
modernista Ernesto Buonaiuti, poi scomunicato; la rivista fu posta
all'Indice nel 1910. N.d.R.]
Ciò, ripetiamo, non si capisce in autori cattolici e sacerdoti,
che si vantano di scienza storico-critica, quando l'opera dello
pseudonimo Müller è ritenuta come priva di ogni valore dagli
stessi critici avversi ai gesuiti e protestanti, e la sua tesi come
insussistente, anzi pure quanto a un secondario
influsso molto dubbia.
Le somiglianze da lui recate — come dice nella Enciclopedia
della teologia protestantica lo stesso Zöckler, non
certo troppo tenero dei gesuiti — si riducono a reminiscenze
più o meno lontane. E il Rinn aggiungeva, nella rivista teologica
dell'Harnack, che le citazioni erano tolte da libri mistici di
musulmani appartenenti in generale al secolo XIX, certo non anteriori
al 1799; gli esempi dei due fondatori di sette da lui allegati, erano
posteriori di tre secoli a S. Ignazio, morto nel 1556; tutto
l'ordinamento dell'ascesi nei musulmani dovuto a più recenti
progressi.
In mancanza di prove, il Müller si puntella su ipotesi
fantastiche, quali, ad es., una dottrina esoterica dei gesuiti, una
classe di gesuiti occulti, donne appartenenti all'ordine, e via via di
questo passo. Le quali cose tutte saranno apparse rivelazioni sublimi
di scienza storico-critica
al critico F. V. e alla Rivista
storico-critica delle scienze teologiche. Così anche era
già sembrato al Murri di origine poco meno che musulmana il
concetto dell'ubbidienza perfetta, inculcato da S. Ignazio, tanto
comune ai santi Padri e ai maestri tutti della vita religiosa.
Abbiamo insistito su questo punto in particolare, dove la
calunnia ripullula dal vecchio tronco della critica modernistica
sotto i nostri occhi; ma potremmo insistere ugualmente su cento e
cento altre ben più gustose favolette, che si ammanniscono alla
credula voracità non solo del volgo ma anche dei critici nuovi:
morale gesuitica rilassata, fine che giustifica i mezzi, cupidigia e
ricchezze, affari commerciali e, se Dio vuole, anche monopolio
librario; regicidii, avvelenamenti di principi e cardinali,
falsificazioni di documenti, depositi di armi, attentati di guerre e
di stragi; barbarie e spergiuri, sino al famoso «affare»,
alla condanna dell'ebreo Dreyfus in Francia, ed altrettali favole e
leggende, alle quali potremo ora aggiungere anche quella della
condanna e dei provvedimenti ordinati contro gli innocenti modernisti.
Così si avvera, alla giornata, ciò che ben dice l'autore.
«Il gesuita mitico creato dagli avversarii della Compagnia è
come l'idra delle cento teste, alla quale ne crescono sempre delle
nuove.» E bene osserva anche l'egregio traduttore, dando ragione
di non aver tralasciato certe favole sparse in Germania, ma finora
poco note in Italia: «Le accuse poco note oggi possono essere
molto diffuse domani. Basterebbe infatti che qualche giornale tedesco
le riproducesse per vederle subito accolte, e magari accresciute, da
parecchi dei nostri fogli quotidiani che colgono volentieri qualunque
occasione per dare addosso ai gesuiti. Proprio in questi giorni un
giornale romano ha annunziato, con gran lusso di particolari, la
prossima comparsa di un romanzo, basato su documenti gravissimi e
segreti della Compagnia di Gesù, documenti che non sono altro che
i famosi Monita secreta, la
cui falsità e notissima ad ogni persona anche mezzanamente colta
e dei quali nessun avversario onesto si varrebbe. Figurarsi dunque che
cosa accadrebbe se, per esempio, saltasse l'estro a qualche
giornalista tedesco di ricavar fuori la storiella del credo blasfemo o
del matrimonio del padre Schall. Quei giornali che hanno considerate
come una verità appetitosa la riproduzione dei Monita
secreta vi si getterebbero sopra a tutto pasto!»
Fin qui il Bruscoli, e giustamente; sicchè a lui pure dovremo
riconoscenza in Italia, se qualche argine sarà posto al dilagare
perpetuo e all'ingrossare frequente delle calunnie contro di noi e
contro ciò che l'animo nostro di religiosi ha di più
delicato e più caro.
La calunnia dei Monita secreta
e stata altresì maestrevolmente confutata dal P. Paolo Bernard in
un dotto non meno che dilettevole opuscolo, da poco voltato pure in
italiano, ristampato dal Desclée nella piccola collezione di Scienza e religione — Studi per i
tempi presenti [5].
Anche gli avversarii della Compagnia furono costretti a riconoscere
che la «storia della fortuna e delle controversie intorno ai Monita, rifatta dal nostro
gesuita, è divertente ed interessante, oltrechè vera».
Ma vi ha chi dopo questa confessione sforzata e troppo dolorosa alla
sua serena coscienza di fautore della cultura nuova, ha
l'ingenuità di rifarsi con questa dimanda divertente,
unita a spiritosi puntini: «Ci sembra tuttavia che il P. Bernard
siasi dimenticato, alla fine dell'importante opuscolo, di spiegarci
una cosa, di levarci una legittima curiosita: Perche nessuno ha mai
pensato ad inventare i Monita
secreta... di S. Francesco?» [6].
È questa, sotto forma di un punto interrogante e di puntini,
l'affermazione stessa molto serena e coscienziosa di quel tale critico
moderno, che forzato a ritirarsi, volle almeno il ricatto di una
vendetta del Parto, proclamando che sì veramente erano inventati
i Monita secreta, ma che se
non fossero ancora, bisognerebbe inventarli! [La frecciata
del Parto è una malignità detta al momento di
andarsene: gli antichi Parti infatti, quando fuggivano a cavallo, si
voltavano improvvisamente per scagliare frecce contro gli
inseguitori. N.d.R.]
A uomini tali fu ben risposto, nè si può rispondere
altrimenti che col verso di Dante: Non
ti curar di lor, ma guarda e passa.
Del resto il critico non ignorava, o non doveva ignorare, come accuse
simili e anche peggiori furono mosse ai seguaci di S. Francesco, e nel
modo più velenoso appunto dai famosi clerici
circumvagantes, che erano i modernisti di quel secolo, i
quali le spargevano in rozzi versi e in cantilene popolari. E
parecchie ne riporta con mal simulata compiacenza qualche scrittore
«liberale», come Adolfo Bartoli, nella sua storia della
letteratura italiana. Niuna maraviglia poi che col progresso della
cultura anche la nequizia abbia rivestito una forma più artistica
e più colta, quale
appare, ad esempio, nelle satire acerbe degli umanisti, nominatamente
di quell'Erasmo ora tanto difeso e levato a cielo da scrittori
modernisti. Al comparire infine della Compagnia di Gesù, l'odio e
la calunnia, trovandosi già spuntate le armi aperte, ricorse
spesso a quelle della falsificazione ingegnosa, dell'ironia e del
sarcasmo, espressa talora anche in
forma di ammonimenti, di questioncelle, d'interrogazioni o d'insinuazioni. Tale fu l'arte del Zahorowski, il falsario inventore dei Monita, come dimostra vittoriosamente il Bernard. E a questa si potrebbe ben dire che si accostano un poco, e anche troppo, nella finta ingenuità delle loro interrogazioni o insinuazioni, alcuni scrittori moderni e modernisti, tra i chierici di nuova cultura. Così li perdoni Iddio, come noi li perdoniamo!
forma di ammonimenti, di questioncelle, d'interrogazioni o d'insinuazioni. Tale fu l'arte del Zahorowski, il falsario inventore dei Monita, come dimostra vittoriosamente il Bernard. E a questa si potrebbe ben dire che si accostano un poco, e anche troppo, nella finta ingenuità delle loro interrogazioni o insinuazioni, alcuni scrittori moderni e modernisti, tra i chierici di nuova cultura. Così li perdoni Iddio, come noi li perdoniamo!
NOTE:
[1] B. Duhr,
I Gesuiti. Favole e leggende.
(Jesuiten-Fabeln). Versione italiana sulla quarta edizione tedesca di
G. Bruscoli. Firenze,
tip. ed. fiorentina, 1908, 16°, p. 402; 448. L 6.
[2] Pubblicato a parte col nome
dell'autore: Tacchi Venturi
P. S. I. I monita secreta. Roma, Civ. Catt. L. 0,25.
[3] Se l'Amendola si desse almeno
qualche pensiero del reale avrebbe potuto facilmente trovare copie del
suo Molinos nella biblioteca Vaticana, per es., e così anche del
Cisnero — dove avrebbe accertato la pure differenza immensa dei
costui «Esercizi» da quelli di S. Ignazio. E più
facilmente ancora gli sarebbero state reperibili copie del
Müller, edito da protestanti, come l'Amendola, loro studioso, non
può ignorare.
[4] Rivista
stor.-critica, 1907, p. 627. Cf. Civ.
Catt., 1907, IV, p. 708 (Teosofia,
misticismo e modernismo).
[5] Paolo
Bernard d. C. d. G. Le
istruzioni segrete dei Gesuiti. Studio critico. Roma,
Desclée, 1907, L. 0.60.
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